La responsabilità penale del direttore dimissionario

Corte di Cassazione, sez. V penale, 16 febbraio 2021, n. 13069

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la mera presentazione delle dimissioni dall’incarico da parte del direttore responsabile non è di per sé causa di esonero da responsabilità per l’omesso controllo della pubblicazione ai sensi dell’art 57 cod. pen., rimanendo egli investito della posizione di garanzia fino al momento in cui non si sia esaurita la procedura di aggiornamento della registrazione prevista dall’art. 6, l. 20 gennaio 1948, n. 47.

 

Sommario: 1. Il fatto storico e la quaestio disputata. – 2. Le “speciali modalità” con cui il nuovo direttore responsabile succede al direttore dimissionario. – 3. L’esigibilità del controllo nel periodo di vacatio. – 4. Tangenze in tema di tema di stampa on line. – 5. Note conclusive sugli aspetti sanzionatori.

1. Il fatto storico e la quaestio disputata

La vicenda di cui si è occupata la sentenza in commento può essere sinteticamente definita come “una diffamazione nella diffamazione”. Tutto ruota, infatti, intorno a due differenti episodi diffamatori in danno di magistrati, commessi con il mezzo della stampa. La prima diffamazione è quella – nota[1] – di cui si è reso protagonista il direttore di una nota testata giornalistica in danno di un Giudice tutelare. La seconda diffamazione, invece, viene commessa in danno di un Consigliere della Quinta Sezione Penale proprio in occasione della conferma, ad opera della Corte di Cassazione, della condanna per il primo episodio[2]. In particolare, l’esito del giudizio di legittimità, sfavorevole all’imputato, è stato criticato in due articoli apparsi il 30 settembre 2012 sia nell’edizione cartacea che in quella on line della medesima testata.

Il procedimento che ne è seguito ha quindi visto imputati tanto il giornalista per il reato di diffamazione aggravata dal mezzo della stampa quanto il direttore responsabile per omesso controllo ai sensi dell’art. 57 c.p.[3]

La pronuncia che si annota riguarda, appunto, il gravame interposto da entrambi gli imputati avverso la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che – dopo che il Tribunale aveva assolto il direttore “per non aver commesso il fatto” – aveva condannato entrambi.

Mentre l’impugnazione del giornalista attiene alla (asseritamente mancante) prova del dolo di diffamazione e al denegato riconoscimento della scriminante del diritto di cronaca, il ricorso proposto per conto del direttore solleva una questione peculiare, anche se non totalmente ignota alla giurisprudenza di legittimità[4]. Infatti, all’epoca della pubblicazione diffamatoria (30 settembre 2012) quest’ultimo aveva già rassegnato le dimissioni dalla carica (fatto avvenuto il 27 settembre), ma il cambio al vertice della testata non era ancora stato formalizzato mediante l’annotazione nel registro delle pubblicazioni periodiche tenuto presso la cancelleria del Tribunale (circostanza occorsa il 7 ottobre), come invece previsto dagli artt. 5 e 6 della Legge sulla stampa.

La Corte di Cassazione, acclarato che gli articoli avevano un effettivo contenuto diffamatorio[5], è stata quindi chiamata a decidere alcune interessanti tematiche in materia di responsabilità del direttore responsabile.

La prima attiene al profilo della “successione di garanti”. In particolare, ai giudici di legittimità viene chiesto di esprimersi sulle condizioni di efficacia delle dimissioni rassegnate dal direttore responsabile, ovvero sul quesito se la responsabilità dell’art. 57 c.p. venga meno a fronte di un atto unilaterale oppure se, per raggiungere l’effetto liberatorio, sia imprescindibile il perfezionamento del meccanismo ricettizio-sostitutivo previsto dalla Legge sulla stampa, ovvero che il direttore “uscente” rimane responsabile fin tanto che non sia avvenuta l’annotazione formale dei mutamenti occorsi.

La seconda tematica, invero appena accennata nella sentenza, ma in verità consustanziale rispetto al tema trattato, attiene all’esigibilità del controllo che è legittimo richiedere al direttore responsabile. Si tratta quindi di comprendere a quali condizioni e fino a che punto il direttore responsabile possa essere chiamato a rispondere, sebbene per colpa, del contenuto di tutti gli articoli che di giorno in giorno vengono pubblicati nel periodico di cui ha la responsabilità.

Una terza questione, sollecitata dalla vicenda de qua e di innegabile attualità, sebbene non affrontata ex professo dalla sentenza, riguarda la possibilità di trasporre le conclusioni che valgono per la stampa “cartacea” alla stampa on line. Ciò in considerazione del fatto che, al termine di un’evoluzione durata alcuni lustri, il più recente approdo della giurisprudenza penale è nel senso che anche al digitale si applichino sia le garanzie sia – ed è quel che qui interessa – gli obblighi previsti per la stampa tradizionale.

Infine, pur rimanendo “sullo sfondo” (in quanto i reati contestati nella vicenda in esame sono tutti prescritti) l’attualissimo tema del se e a quali condizioni la diffamazione commessa con il mezzo della stampa possa essere sanzionata con pene detentive, qualche riflessione potrà essere svolta anche con riguardo all’aspetto sanzionatorio.

 

2. Le “speciali modalità” con cui il nuovo direttore responsabile succede al direttore dimissionario

Come accennato, la sentenza in commento affronta ex professo il tema delle modalità con le quali il direttore responsabile dimissionario possa passare il testimone al suo successore. La questione sottesa è quindi quella, tutt’altro che semplice, della successione nella posizione di garanzia in quel particolare contesto che è la responsabilità del direttore responsabile[6].

Con un unico motivo di gravame il direttore ha sostenuto che, avendo egli rassegnato le dimissioni dall’incarico il 27 settembre 2012, nessuna responsabilità poteva essergli imputata a titolo di omesso controllo per l’articolo diffamatorio che è stato pubblicato il 30 settembre.

In verità la tesi si palesa subito non perfettamente aderente al dato normativo.

L’art. 6 della legge sulla stampa (l. n. 47/1948) prevede espressamente che ogni mutamento interveniente medio tempore sui requisiti previsti per l’originaria registrazione della testata, elencati dall’art. 5 e tra i quali vi è anche il nome del direttore responsabile, debbano «formare oggetto di nuova dichiarazione… da depositarsi entro quindici giorni dall’avvenuto mutamento». Precisa inoltre tale articolo che detto obbligo incombe sul proprietario della testata oppure sulla persona che esercita l’impresa giornalistica, se diversa dal proprietario. L’art. 18 della medesima legge prevede poi una sanzione – sebbene (riteniamo correttamente) solo amministrativa – per il caso in cui gli obblighi comunicativi non vengano soddisfatti o il termine concesso per provvedervi non sia rispettato[7].

Il diritto positivo contempla pertanto un sistema misto, in cui le scelte liberamente assunte nell’ambito della gestione della testata giornalistica, quindi in un contesto retto dalle regole del diritto “privato”, debbono trovare un’obbligatoria conferma ostensibile e di natura “pubblica” per il tramite dell’annotazione nel registro tenuto presso il Tribunale.

Tale assetto è coerente con la ratio della Legge del 1948, che, come anche ricordato dalla sentenza che si annota, prevede per la stampa periodica un «sistema di pubblicità “costitutiva”» ed è perentoria «nel richiedere che la testata d’informazione giornalistica si doti di una figura apicale professionale… capace di attivarsi per prevenire la commissione di reati prima di iniziare le pubblicazioni».

Di qui per i giudici di legittimità diventa semplice affermare che «il direttore responsabile della pubblicazione periodica rimane investito della posizione di garanzia, dovendo adempiere agli obblighi che ad essa si riconnettono, fino al momento in cui non si è esaurita la procedura di aggiornamento della registrazione prevista dall’art. 6 l. n. 47 del 1948».

Se ne ricava che, ai fini della l. n. 47/1948 e dell’art. 57 c.p., la sostituzione del direttore responsabile ha effetto nel momento in cui il proprietario della testata giornalistica l’ha comunicata al Tribunale oppure, in caso di sua inerzia o ritardo, decorsi quindici giorni dal momento in cui il rapporto di lavoro (privatistico) si è risolto. La legge sulla stampa, letta insieme con l’art. 57 c.p., istituisce cioè una sorta di ultrattività della responsabilità penale, che per alcuni giorni sopravvive a un rapporto civilistico già estinto[8].

Se questo è il quadro normativo (e riteniamo che la ricostruzione fatta dalla sentenza che si annota sia ineccepibile), ci pare tuttavia di intravvedere due problemi.

La prima questione è di ordine formale e attiene al che cosa accada nel periodo intercorrente tra il momento in cui il proprietario della testata giornalistica ha comunicato al Tribunale il cambio del direttore responsabile e quello in cui tale cambio viene recepito dal Tribunale stesso. Prevede, infatti, l’art. 6 che l’annotazione dei mutamenti debba farsi con le forme dell’art. 5 e dispone quest’ultima norma che le iscrizioni nell’apposito registro avvengano «entro quindici giorni» dalla presentazione della domanda. Sicché potrebbe darsi l’ipotesi in cui il direttore dimissionario non sia più portatore della posizione di garanzia, perché la comunicazione al Tribunale è già stata fatta, oppure perché il termine di quindici giorni per farla è scaduto, ma il nuovo direttore non risulti ancora iscritto come tale, perché il termine concesso al Tribunale per provvedere all’annotazione nel registro non è ancora decorso: chi risponderà, in tal caso, degli eventuali reati commessi con il mezzo della stampa?

Seguendo il ragionamento della sentenza che si commenta, la risposta non può che essere nel senso di rinvenire una responsabilità in capo al direttore neo-nominato[9]: vuoi perché, come s’è detto, effettuati gli adempimenti formali dell’art. 6 o decorso il termine per provvedervi, viene formalmente meno la posizione di garanzia in capo al direttore dimissionario; vuoi perché solo chi gli è succeduto è nelle condizioni, di fatto e di diritto, per esercitare il controllo che la legge gli impone. Infatti, il potere gerarchico di organizzare la testata giornalistica (con il correlato potere di intervenire per limitare la pubblicazione degli scritti illeciti) è consustanziale al rapporto negoziale che lega il giornale al suo direttore; sicché è da quando il contratto di lavoro ha effetto che il direttore responsabile ha l’obbligo, penalmente sanzionato, di verificare quanto viene pubblicato, perché è da quando la nomina è efficace dal punto di vista civilistico che il nuovo direttore si trova nelle condizioni di poter adempiere agli obblighi di controllo che l’art. 57 c.p. ricollega alla sua qualifica.

Ne segue che, mentre nel percorso di uscita l’adempimento degli obblighi formali è essenziale per far venir meno la posizione di garanzia in capo al direttore dimissionario (nel senso già illustrato che, fin tanto che gli incombenti dell’art. 6 non siano evasi o non sia decorso il tempo per provvedervi, il direttore uscente rimane vincolato al dovere di controllo), lo stesso principio non vale nell’opposto percorso di entrata, stante il fatto che il nuovo direttore diventa garante ancor prima che il Tribunale abbia recepito la sua nomina.

 

3. L’esigibilità del controllo nel periodo di vacatio

La seconda questione che nasce dalla ricostruzione che s’è fatta del quadro normativo di riferimento attiene all’aspetto, pure affrontato dalla Corte di legittimità, dell’esigibilità del controllo richiesto al direttore dimissionario. Infatti, dal momento in cui le dimissioni (o il licenziamento) siano divenute efficaci, il direttore responsabile non può più esercitare quei poteri di direzione e controllo che competono alle figure apicali. Dacché viene spontaneo chiedersi come il direttore dimissionario possa continuare a rispondere per aver omesso un controllo che non è più nelle sue competenze poter esercitare. Si ha cioè la sensazione di trovarsi di fronte a un’inesigibilità rilevante già sul piano della tipicità, stante il fatto che – in coerenza con il brocardo ad impossibilia nemo tenetur – non si può sanzionare l’inerzia di chi, giuridicamente (com’è nel caso di specie) o per motivi di mero fatto, non era nelle condizioni di poter agire.

La questione non è sfuggita alla Corte di Cassazione, che tuttavia, anziché affrontarla in maniera espressa, la liquida in poche righe di motivazione. I giudici di legittimità si limitano, infatti, ad affermare che le sentenze di merito hanno dato ampiamente conto di quali siano gli indici fattuali in base ai quali è stato ritenuto che Sallusti avesse di fatto continuato a esercitare le funzioni di direttore responsabile anche dopo aver rassegnato le dimissioni. Tale aspetto, chiosa la sentenza, rimane insindacabile nel terzo grado di giudizio, perché attiene a questioni non deducibili in tale sede.

La conclusione cui giunge la sentenza in commento è forse condivisibile. Tuttavia, non si può fare a meno di notare come una questione centrale nel contesto della responsabilità del direttore dimissionario sia solo accennata e non anche compiutamente affrontata.

Occorre quindi cercare di ricostruire il percorso argomentativo a sostegno (o a confutazione) di un simile approdo decisionale.

La prima questione da affrontare è quella della fonte dell’obbligo giuridico di impedimento che grava su un soggetto che è stato direttore responsabile, ma che, al momento in cui le verifiche prescritte devono essere effettuate, non lo è più.

A tale interrogativo non è troppo complicato dare una risposta. A prescindere dalle forme di regolamentazione negoziale del rapporto tra direttore responsabile e testata giornalistica, l’obbligo giuridico di impedire che con il mezzo della stampa siano commessi reati è ricavabile direttamente dall’art. 57 c.p. Tale norma, infatti, sia descrive quel che è necessario fare, sia contempla la sanzione per chi non tiene il comportamento prescritto. E ciò per tutto il periodo in cui il direttore responsabile può essere considerato tale, ovvero, per quel che qui interessa, fino al momento in cui la cessazione della sua qualifica non sia stata comunicata al Tribunale.

La seconda questione, più complessa, attiene al rapporto tra le norme di diritto penale e gli altri rami dell’ordinamento. Il direttore responsabile che si sia già dimesso (e che quindi abbia già visto estinguersi e quindi divenire inefficace il rapporto lavoro o di collaborazione precedentemente in essere con la testata giornalistica) è all’un tempo sia – come visto – destinatario dell’obbligo di controllo derivante dall’art. 57 c.p., sia sprovvisto dei poteri gerarchici (per esempio ex art. 2104, comma 2 c.c.) che sono necessari per adempiere a quell’obbligo.

Sicché potrebbero darsi due situazioni.

La prima è che quei poteri gerarchici e di intervento, che erano di competenza del direttore responsabile quando questi ancora era in servizio, gli continuino a essere riconosciuti per via di mero fatto, anche dopo che egli ha perduto tale veste. Con la conseguenza che la possibilità, per il direttore dimissionario, di continuare ad adempiere a un obbligo avente fonte formale viene ricavato dalla prova, ex post, dell’esistenza di un potere gerarchico sostanziale che gli permetta di adempierlo. Questo sembra essere il caso di specie, giudicato dalla Corte nella sentenza che si annota.

La seconda è che, nei fatti, quel potere non esista. Sicché andrà esente da responsabilità quel direttore dimissionario che, pur a fronte di un obbligo formale di effettuare dei controlli, nei fatti non sia più ascoltato e assecondato da nessuno dei giornalisti che fino a poco prima ha diretto. Ciò perché, una volta che le dimissioni siano divenute (civilisticamente) efficaci, il direttore non ha più alcun potere (gerarchico) di imporsi sui sottoposti che vogliano eventualmente disattendere le sue decisioni.

A valle di queste considerazioni, rimane da capire con quali concrete modalità il direttore responsabile possa efficacemente esercitare, da solo e in prima persona, il controllo su tutti gli articoli pubblicati quotidianamente dalle grandi testate. Ciò a maggior ragione nei casi in cui all’edizione cartacea sia affiancata quella digitale, spesso addirittura più ricca di contenuti e di possibili interazioni da parte dei lettori[10].

Sul punto la posizione assunta dalla giurisprudenza, che in questo settore continua a escludere l’efficacia della delega di funzioni[11], appare forse eccessivamente rigoristica, soprattutto se si tiene contro dell’importante percorso evolutivo compiuto in altri (forse anche più complessi e sensibili) rami dell’ordinamento[12].

In questo contesto sarebbe peraltro interessante esplorare la possibilità di riconoscere efficacia esimente per il direttore responsabile all’implementazione di controlli di carattere automatizzato, vuoi anche ricorrendo ai nuovi strumenti offerti dall’informatica e dall’intelligenza artificiale[13].

 

4.  Tangenze in tema di tema di stampa on line

Tenuto conto che, dopo un lungo e non poco accidentato percorso, la giurisprudenza di legittimità, anticipando il legislatore[14], è giunta a una sostanziale equiparazione tra la stampa cartacea e la stampa on line – con conseguente obbligo, anche per il direttore delle testate telematiche, di effettuare i controlli previsti dall’art. 57 c.p. e il conseguente rischio di incorrere nella sanzione ivi prevista in caso di omissione[15] – riteniamo che possa essere di qualche interesse chiedersi se il principio di diritto affermato dalla sentenza in commento possa trovare una qualche applicazione anche nel contesto digitale.

Per cercare di fornire una risposta a tale interrogativo occorre innanzi tutto capire se per le testate on line valgano tutti gli obblighi previsti dalla Legge sulla stampa; non quindi il solo dovere di controllo ex art. 57 c.p. In particolare, il tema è se anche alla testata digitale si applichi la previsione che impone di avere un direttore responsabile (art. 3), quella che dispone di comunicare il suo nome al Tribunale (art. 5) e, da ultimo, la norma che prescrive l’annotazione nel registro pubblico delle successive modifiche (art. 6).

A quanto consta la giurisprudenza non si è ancora occupata di tali specifici aspetti. Pur tuttavia, partendo dall’arresto di legittimità del 2019, secondo il quale l’intero “statuto penale della stampa”, fatto di guarentigie ma anche di obblighi, si applica anche alla stampa on line, non sembra un fuor d’opera sostenere che, in aderenza a tale impostazione, si potrebbe giungere a ritenere che la testata giornalistica digitale sia destinataria, oltre che dell’art. 21 Cost., commi 2, 3 e 4, ed dell’art. 57 c.p., anche delle disposizioni sulla “stampa clandestina” di cui al combinato disposto degli artt. 3 e 16 della l. n. 47/1948[16].

Invero, un tale approdo ermeneutico, pur essendo – se non sbagliamo – la logica conseguenza delle affermazioni fatte dai giudici di legittimità, solleva non pochi interrogativi[17] e perplessità. Non foss’altro per la difficoltà di discernere, nel contesto digitale, cosa possa considerarsi “stampa” e cosa no. Sul punto, infatti, le sentenze della Corte di Cassazione richiamano una casistica generica per identificare la “testata giornalistica on line” (ad esempio, la pubblicazione di notizie di interesse per la collettività, la direzionalità verso un pubblico di lettori indeterminato, la periodicità e la frequenza delle pubblicazioni)[18] che, quando rapportate al contesto concreto, rilevano una capacità selettiva decisamente scarsa e lasciano che una disciplina casistica prenda il posto delle norme generali ed astratte.

La questione diventa ancora più complicata laddove si cerchi di discernere tra testate on line e social network. Come detto, le prime, secondo l’orientamento che va affermandosi in giurisprudenza, sarebbero sottoposte alla disciplina prevista per la stampa tradizionale; i secondi, invece, tendenzialmente no[19]. Eppure è proprio facendo ricorso ai social network che una variegata moltitudine di soggetti, talvolta anche molto noti, esprimono le loro opinioni e partecipano al dibattito politico[20]. Il tutto senza barriere all’ingresso, ovvero fruendo di un mezzo di comunicazione che (almeno in astratto) permette un accesso paritario a tutti gli utenti, limitato solo dalle “condizioni generali del servizio”[21].

Tutto questo produce una duplice disarmonia sistematica. Intrinseca, nel senso che la pubblicazione diffamatoria su carta non può essere sequestrata ai sensi dell’art. 21 Cost., perché tale reato non rientra tra quelli per i quali il sequestro è ammesso; mentre la pubblicazione on line (purché su siti non qualificabili come testate giornalistiche) può certamente costituire oggetto di un tale tipo di provvedimento cautelare[22]. Estrinseca, perché – nonostante qualche tentativo di “forzare il sistema”, soprattutto ad opera della giurisprudenza civile[23] – nel “mondo social” l’eventuale inibizione alla fruizione di un determinato contributo per gli utenti piuttosto che il c.d. deplatforming (ovvero l’inibizione al singolo utilizzatore del servizio tout court) sono decisi non già da un’autorità giurisdizionale o quanto meno da un’autorità amministrativa indipendente, bensì da un fornitore privato.

In sostanza, alla stampa on line si è affermato applicarsi le regole previste per la stampa tradizionale, senza che si sia finora riusciti a definire “in positivo” cosa effettivamente sia “stampa”, ma dando per scontato, “in negativo”, che a tale concetto non siano riconducibili i social network. Eppure questi ultimi da un lato svolgono ormai anche una funzione di diffusione delle informazioni (quanto meno verso il “pubblico degli utenti”)[24] e dall’altro sono quelli meglio attrezzati per effettuare quel tipo di controlli che solitamente vengono richiesti al direttore responsabile[25].

Gli approdi ermeneutici in questa tematica sono quindi tutt’altro che saldi e anche una questione di dettaglio qual è la responsabilità del direttore responsabile dimissionario (e la sua dubbia estendibilità alle testate on line) mette in mostra tutte le difficoltà che si incontrano nel tentare di estendere all’on line le regole della carta stampata.

 

5. Note conclusive sugli aspetti sanzionatori

Come accennato, nella vicenda de qua il maturare della prescrizione rende superfluo affrontare il tema di quale sanzione applicare al giornalista e al direttore responsabile: se solo quella pecuniaria o anche quella detentiva. Questione sulla quale è invece intervenuta la più recente giurisprudenza costituzionale[26].

Pur tuttavia, il fatto che il giudizio penale sia proseguito fino alla Corte di Cassazione al fine di delibare sui capi civili delle sentenze di merito sollecita alcune altre riflessioni.

In primo luogo, riteniamo che occorra chiedersi se conservi ancora significato una sanzione indirizzata solo alla persona fisica quando la responsabilità ai sensi dell’art. 57 c.p., al di là del dato testuale e della rigida lettura giurisprudenziale, in verità nasconde una colpa da organizzazione. Quel che si vuol dire è che, nelle realtà più strutturate e complesse, è poco verosimile pensare che il direttore responsabile sia nelle condizioni di poter adeguatamente e approfonditamente verificare tutti i contributi che vengono pubblicati. Riteniamo invece che l’“obbligo di controllare” possa essere meglio declinato come “obbligo di organizzare il controllo”, ricorrendo a strumenti e persone che siano in grado di coadiuvare il direttore[27]. Se questo è il dato di fatto, ci sembra che non sia un fuor d’opera cominciare a interrogarsi sull’opportunità che, per i reati a mezzo stampa, possa esservi una responsabilità (aggiuntiva o esclusiva) dell’ente[28].

In secondo luogo, ammesso di voler mantenere una responsabilità penale in capo al direttore responsabile, potrebbe forse avere un’utilità chiedersi se, accanto a eventuali meccanismi di notice and take down attuati in via d’urgenza[29], non sia forse il caso di prevedere percorsi alternativi alla celebrazione del processo che, da un lato, siano deflattivi del carico giudiziario e dall’altro possano portare a una composizione del contrasto insorto tra l’autore del reato e la sua vittima, anche attraverso un adeguato ristoro di quest’ultima per il danno patito. Questi, d’altronde, paiono gli auspici tracciati nel più ampio e recente progetto di riforma del sistema penale[30].

[1] In data 18 febbraio2007 appariva un articolo in cui un autore coperto da pseudonimo denunciava che una tredicenne era stata costretta ad abortire, oltre che dai genitori, dal giudice tutelare. All’esito del giudizio dibattimentale, il Tribunale di Milano riconosceva la totale falsità delle informazioni contenute negli articoli e condannava il direttore responsabile della testata alla pena di 5.000 euro di multa (cfr. Trib. Milano, 26 gennaio 2009, in Diritto penale contemporaneo). La sentenza di primo grado veniva impugnata da tutte le parti processuali. La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione degli imputati e, in parziale riforma in pejus della sentenza emessa dal Tribunale, applicava al direttore anche la pena detentiva, come imposto dall’art. 13 della L. n. 47/1948 (App. Milano, 7 giugno 2011, n. 2516, in Diritto penale contemporaneo, 2012). Contro tale sentenza, egli ricorreva in Cassazione. La Corte di Cassazione, tuttavia, rigettava il ricorso e ne confermava la responsabilità, ritenendo altresì che nel caso di specie l’applicazione della pena detentiva fosse legittima (Cass. pen., sez. V, 26 settembre 2012, n. 41249, in Diritto penale contemporaneo, 2012, con nota di F. Viganò, Sulle motivazioni della Cassazione nel caso Sallusti). Da ultimo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, pur non esprimendo dubbi in merito alla colpevolezza del direttore responsabile, ha affermato che il principio generale, più volte ribadito, secondo cui la pena detentiva inflitta a un giornalista responsabile di diffamazione è sproporzionata in relazione allo scopo perseguito e comporta una violazione della libertà di espressione garantita dall’art. 10 CEDU, va applicato anche in tale vicenda (CEDU,  Sallusti c. Italia, ric. 22350/13 (2019), in Diritto penale contemporaneo, 2019, con nota di S. Turchetti, Diffamazione, pena detentiva, caso Sallusti: ancora una condanna all’Italia da parte della Corte EDU; per un commento a tale decisione, v. anche S. Lonati, Diffamazione a mezzo stampa e applicazione della pena detentiva: ancora qualche riflessione a margine del cd. caso Sallusti in (perenne) attesa di un intervento del legislatore, in questa Rivista, 1, 2020, 69 ss.). Per un quadro retrospettivo della giurisprudenza sovranazionale, v. V. Pezzella, La diffamazione. Le nuove frontiere della responsabilità penale e civile e della tutela della privacy nell’epoca delle chat e dei social forum, Milano, 2016, 383 ss. (ovvero ed. 2020).

[2] Tale seconda diffamazione è anch’essa nota per aver dato origine, nella fase cautelare, alla sentenza Cass. pen., sez. un., 29 gennaio 2015, n. 31022, su cui v. infra.

[3] Per un quadro d’insieme sui profili dell’attività giornalistica A. Mino, La disciplina sanzionatoria dell’attività giornalistica. Dalla responsabilità penale del direttore alla responsabilità penale dell’ente, Milano, 2012; P. Spagnolo, Il segreto giornalistico nel processo penale, Milano, 2014; S. Turchetti, Cronaca giudiziaria e responsabilità penale del giornalista, Roma, 2014.

[4] V. Cass. pen., sez. V, 29 settembre 2000, n. 11958, CED 218209.

[5] In particolare gli scritti vengono qualificati come diffamatori in quanto a mezzo degli stessi si è addebitato al Consigliere Bevere un fatto – l’esser venuto meno all’obbligo di terzietà connaturato all’esercizio delle funzioni giudiziarie – inveritiero e di per sé pregiudizievole per la sua persona. Quanto alla responsabilità del giornalista, la sentenza affronta prevalentemente il tema della sussistenza del dolo, ritenendolo sussistente, quanto meno nella forma del dolo eventuale, in ragione della scarsa attendibilità delle fonti della notizia e della mancata attivazione di iniziative finalizzate ad una sua verifica.

[6] Sul tema della successione nella posizione di garanzia, v. le ampie riflessioni di A. Gargani, Posizioni di garanzia nelle organizzazioni complesse: problemi e prospettive, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2017, 508 ss.; Sulla successione nella posizione giuridica di garanzia, in Studium iuris, 2004, 909 ss.; Ubi culpa, ibi omissio. La successione di garanti in attività inosservanti, in Indice penale, 2000, 581 ss. Volendo M. Grotto, Morti da amianto e responsabilità penale: problemi di successione nella posizione di garanzia (nota a Cass. pen., 17 settembre 2010, n. 43786), in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2011, 561 ss.

[7] L’art. 18 della l. n. 47/1948 prevede: «Chi non effettua la dichiarazione di mutamento nel termine indicato nell’art. 6, o continua la pubblicazione di un giornale o altro periodico dopo che sia stata rifiutata l’annotazione del mutamento, è punito con la sanzione amministrativa fino a lire 250.000». La sanzione originaria dell’ammenda è stata depenalizzata dall’art. 32 della l. n. 689/1981.

[8] Questa pare essere anche la posizione espressa da Cass. pen., sez. V, 29 settembre 2000, n. 11958, cit. In tale vicenda il direttore responsabile di una testata giornalistica, condannato nei gradi di merito ai sensi dell’art. 57 c.p., aveva dedotto, da un lato, che da tempo egli aveva rassegnato le dimissioni dall’incarico e che soltanto la colpevole inerzia dell’editore non aveva reso possibile la sua tempestiva sostituzione, nonché, dall’altro, che egli era anche nei fatti nell’impossibilità di provvedere all’ordinario controllo del periodico. La Corte, ritenendo fondato il rilievo, ha ritenuto che non sia giuridicamente corretto subordinare l’efficacia delle dimissioni all’accettazione dell’editore o del proprietario del periodico né far carico allo stesso direttore rinunciante di un fatto (la mancata sua sostituzione) imputabile a un terzo. Tuttavia ha colto anche l’occasione per affermare che non può neppure ritenersi che la mera presentazione delle dimissioni stesse sia fatto idoneo a comportare, di per sé, l’esonero da responsabilità, come se, sul piano penalistico, potessero trovare applicazione principi, relativi all’immediata efficacia dell’atto unilaterale della rinuncia, dettati in altri contesti dell’ordinamento giuridico: «in definitiva, al di là del dato meramente formale delle dimissioni, ciò che conta accertare in concreto è non già l’intervenuta accettazione delle stesse ovvero la conseguente sostituzione del rinunciante, quanto piuttosto se, malgrado quella rinuncia, il direttore – in attesa di sostituzione – abbia o meno continuato ad esercitare, di fatto, le sue mansioni in seno al giornale, al fine di consentirne la regolare uscita. Tale accertamento, in quanto oggetto di mero apprezzamento di fatto, esula dai limiti propri del sindacato di legittimità e va, dunque, devoluto al giudice di merito».

[9] In un precedente risalente, Cass. pen., sez. V, 21 aprile 1983, n. 5653, CED 159542 si è espressa in questi termini: «Soggetto attivo del reato di cui all’art. 57 c.p. è anche chi, non essendo state osservate le prescrizioni concernenti la sua nomina, eserciti di fatto le mansioni di direttore responsabile del periodico. Ne consegue che l’omessa registrazione del mutamento del direttore responsabile non costituisce motivo di impunità per il soggetto che, sia pure irregolarmente, succede nella carica di direttore responsabile assumendone in concreto le mansioni».

[10] V. la vicenda commentata da C. Melzi d’Eril, Una pronuncia problematica in tema di responsabilità del gestore del sito per i commenti dei lettori, in questa Rivista, 2017, 1, 4 ss.

[11] Tra i molti precedenti, alcuni anche citati dalla sentenza che si annota, v. Cass. pen., sez. V, 2 maggio 2016, n. 42309, CED 268461; Cass. pen., sez. V, 16 ottobre 2014, n. 51111, CED 261737. Il ddl n. 812 A. S. contempla invece la possibilità, per il direttore responsabile, di delegare ad altri il materiale adempimento dei compiti che gli competono. Saluta con favore tale previsione G.E. Vigevani-C. Melzi d’Eril, La riforma della diffamazione: da Strasburgo al Senato, passando per Palazzo della Consulta, in questa Rivista, 3, 2020, 151 ss.

[12] Il riferimento è all’espresso riconoscimento dell’efficacia della delega di funzioni nell’ambito del settore della sicurezza sui luoghi di lavoro, dapprima ammesso dalla giurisprudenza di legittimità e poi anche dal legislatore, con una norma (l’art. 16 del d. lgs. n. 81/2008) che si assume avere portata generale.

[13] Il dibattito sui riflessi giuridici dei progressi compiuti nel campo dell’intelligenza artificiale è ormai amplissimo. Tra i molti scritti, si vedano R. Borsari, Intelligenza Artificiale e responsabilità penale: prime considerazioni, in questa Rivista, 3, 2019, 262 ss.; C. Burchard, L’intelligenza artificiale come fine del diritto penale? Sulla trasformazione algoritmica della società, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2019, 1909 ss.; G. Canzio, Intelligenza artificiale, algoritmi e giustizia penale, in Sistema penale, 2021; D. Imbruglia, L’intelligenza artificiale (IA) e le regole. Appunti, in questa Rivista, 3, 2020, 18 ss.; B. Panattoni, Intelligenza Artificiale: le sfide per il diritto penale nel passaggio dall’automazione tecnologica all’autonomia artificiale, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2021, 317 ss.; C. Piergallini, Intelligenza artificiale: da “mezzo” ad “autore” del reato?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2020, 1745 ss.; I. Salvadori, Agenti artificiali, opacità tecnologica e distribuzione della responsabilità penale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2021, 83 ss.; G. Ubertis, Intelligenza artificiale, giustizia penale, controllo umano significativo, in Sistema penale, 2020.

[14] Il riferimento è all’art. 1, comma 1, lett. a) del ddl n. 812 A. S. che prevede: «1. Alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 1 è aggiunto, in fine, il seguente comma: “Le disposizioni della presente legge si applicano altresì alle testate giornalistiche online registrate ai sensi dell’articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, nonché alle testate giornalistiche radiotelevisive”». Per un commento, v. G.E. Vigevani, La riforma della diffamazione, cit., 137 ss. (spec. 146 ss.).

[15] Il riferimento è a Cass. pen., sez. V, 23 ottobre 2018, n. 1275, in Giurisprudenza penale, 2019 secondo la quale «il giornale telematico – a differenza dei diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero: forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, Facebook – soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea e rientra, dunque, nella nozione di “stampa” di cui all’art. 1 della L. 8 febbraio 1948, n. 47, con la conseguente configurabilità della responsabilità ex art. 57 c.p. ai direttori della testata telematica». Tale principio di diritto costituisce l’approdo di un percorso ermeneutico apertosi con Cass. pen., sez. un., 29 gennaio 2015, n. 31022, cit. (che ha esteso al giornale on line le guarentigie previste per la stampa tradizionale, affermando che esso «non può essere oggetto di sequestro preventivo, eccettuati i casi tassativamente previsti dalla legge, tra i quali non è compreso il reato di diffamazione a mezzo stampa»; la sentenza è pubblicata in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2015, 1041 ss., con nota di G. Corrias Lucente, Le testate telematiche registrate sono sottratte al sequestro preventivo. Qualche dubbio sulla “giurisprudenza legislativa”) e sviluppatosi prima con Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2016, n. 23469, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2016, 706 ss. e poi con Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 2017, n. 13398 (in Cass. pen., con nota di C. Pedullà, La responsabilità del direttore di un periodico “on-line” per il reato di omesso controllo ex art. 57 c.p. ed in questa Rivista, 2018, 2, 15 ss. con nota di S. Vimercati, Il “revirement” della Cassazione: la responsabilità per omesso controllo si applica al direttore della testata telematica). Per alcune considerazioni critiche intorno a tale soluzione, v. L. Amerio, La responsabilità ex art. 57 c.p. del direttore di testate telematiche: tra estensione interpretativa ed analogia in malam partem, in questa Rivista, 2, 2019, 283 ss.; F. Cecchini, La responsabilità del direttore di periodico telematico ex art. 57 c.p. tra divieto di analogia, “esigibilità” del controllo e prevedibilità dell’esito giudiziario, in Archivio penale, 2, 2019; I. Pisa, La responsabilità del direttore di periodico “on line” tra vincoli normativi e discutibili novità giurisprudenziali, in Diritto penale e processo, 2019, 407 ss.

[16] Noto, anche se risalente, il precedente costituito da Trib. Modica, 8 maggio2008, in penale.it, peraltro poi sconfessato dalla decisione di legittimità (Cass. pen., sez. III, 10 maggio 2012, n. 23230, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2012, 1118 ss., con nota di P. Di Fabio, “Blog”, giornali “on line” e “obblighi facoltativi” di registrazione delle testate telematiche: tra confusione del legislatore e pericoli per la libera espressione del pensiero su Internet). Recentemente Cass. pen., sez. V, 7 giugno 2019, n. 27675, CED 276898, ha escluso la configurabilità del reato di stampa clandestina per un blog che aveva diffuso notizie diffamatorie. Tuttavia lo stretto legame tra estensione della disciplina della stampa alla stampa on line e il reato di stampa clandestina emerge già in Cass. pen., sez. un., 29 gennaio 2015, n. 31022, cit.: «conclusivamente, il giornale telematico, sia se riproduzione di quello cartaceo, sia se unica e autonoma fonte di informazione professionale, soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea. È, infatti, un prodotto editoriale, con una propria testata identificativa, diffuso con regolarità in rete; ha la finalità di raccogliere, commentare e criticare notizie di attualità dirette al pubblico; ha un direttore responsabile, iscritto all’Albo dei giornalisti; è registrato presso il Tribunale del luogo in cui ha sede la redazione [sic!]; ha un hostig provider, che funge da stampatore, e un editore registrato presso il ROC». Sul tema, v. anche S. Sileoni-C. Melzi d’Eril, “Un blog è un blog” (nota a TAR Lazio – Roma, sez. III, 20 settembre 2017, n. 9841), in questa Rivista, 1, 2018, 5 ss.

[17] Con riguardo al ddl n. 812 A. S., G. E. Vigevani-C. Melzi d’Eril, La riforma della diffamazione, cit., 149 notano come la novella preveda l’applicazione della legge sulla stampa ai prodotti digitali “registrati”, senza però introdurre un obbligo di registrazione di questi ultimi. Sicché un modo per eludere la disposizione in esame parrebbe essere semplicemente quello di non registrare la testata on line o di cancellare la registrazione eventualmente già intervenuta. Ci pare peraltro che l’eventuale approvazione di tale norma risolverà il problema, nel senso di univocamente stabilire che la registrazione della testata giornalistica on line è facoltativa e, così, contrastare “sul nascere” l’altrimenti futuribile ma possibile deriva giurisprudenziale.

[18] Cass. pen., sez. un., 29 gennaio 2015, n. 31022, cit. e Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2016, n. 23469, cit.

[19] Ex multis, Cass. pen., sez. V, 19 febbraio 2018, n. 16751, CED 272685 (che pure, al fine di escludere l’applicabilità ai social network dello statuto penale della stampa, ha affermato che la testata giornalistica telematica è «funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo» e quindi «rientra nella nozione di “stampa” di cui all’art. 1 della Legge 8 febbraio 1948, n. 47»). Anche in Cass. pen., sez. V, 23 ottobre 2018, n. 1275, cit., si è affermato che «l’interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine “stampa” non può riguardare tutti in blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook), a prescindere dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi, ma deve essere invece riconosciuta a quei casi che, per i profili strutturale e finalistico che li connotano, sono riconducibili nel concetto di “stampa” inteso in senso più ampio». Di recente anche Cass. pen., sez. V, 12 gennaio2021, n. 7220, CED 280473, ha affermato che il gestore di un sito internet non risponde del reato di omesso controllo di cui all’art. 57 c.p., ma ciò «salvo che sussistano elementi che denotino una compartecipazione dello stesso alla condotta offensiva posta in essere da un soggetto terzo»: in tal caso egli può rispondere a titolo di concorso nel reato di diffamazione aggravata (per un commento a tale pronuncia, v. S. Vimercati, La responsabilità del gestore del sito per i contenuti pubblicati da soggetti terzi, in questa Rivista, 2, 2021, 247 ss.). Ante, v. Trib. Napoli Nord, 3 novembre 2016, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2017, 243 ss., con nota di M. Montanari, La responsabilità delle piattaforme on-line (il caso Rosanna Cantone). Amplius sul tema, E. Albamonte, La diffamazione a mezzo web, in C. Parodi-V. Sellaroli (a cura di), Diritto penale dell’informativa. Reati della rete e sulla rete, Milano, 202, 487 ss.

[20] Cfr. G. Donato, Il potere senza responsabilità dei social media nelle campagne elettorali, in questa Rivista, 2020, 2, 360 ss.; G. Grasso, Social network, partiti politici e lotta per il potere, in questa Rivista, 2020, 1, 211 ss.; A. Lauro, Siamo tutti giornalisti? Appunti sulla libertà di informazione nell’era social, in questa Rivista, 2, 2021, 141 ss. (il quale dà anche conto – 151 ss. – dell’interessante sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 14 febbraio 2019, C-345/17); D. Servetti, Social network, deliberazione pubblica e legislazione elettorale di contorno, in questa Rivista, 1, 2020, 194 ss.

[21] Notissima la vicenda che ha contrapposto Twitter e l’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sulla quale v. T. Guerini, Il Presidente e lo Sciamano. Riflessioni sul ruolo del diritto penale come elemento regolatore dell’infosfera, in Archivio penale, 2021, 1, nonché l’editoriale di G. E. Vigevani-C. Melzi d’Eril, I network oscurano Trump: lezioni di giornalismo davanti alle menzogne del potere, in questa Rivista, 3, 2020, 11 ss. A livello nazionale, si vedano i tre provvedimenti emessi dal Tribunale di Roma (Trib. Roma, ord. 12 dicembre 2019, confermata poi, in sede di reclamo cautelare, da Trib. Roma, ord. 29 aprile 2020, caso Casa Pound c. Facebook; Trib. Roma, ord. 23 febbraio 2020, caso Forza Nuova c. Facebook), i quali, come noto, sono giunti a conclusioni opposte, ritenendo in un caso, che interessava Casa Pound, che l’oscuramento della pagina Facebook fosse illegittimo e, nell’altro, che riguardava Forza Nuova, che l’intervento di Facebook fosse non solo legittimo ma finanche doveroso. Per una disamina delle sentenze e dei loro vari profili, tra i molti contributi, v. O. Grandinetti, Facebook vs. Casa Pound e Forza Nuova, ovvero la disattivazione di pagine social e le insidie della disciplina multilivello dei diritti fondamentali, in questa Rivista, 2021, 1, 173 ss. B. Mazzolai, Hate speech e comportamenti d’odio in rete: il caso Forza Nuova c. Facebook, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2020, 552 ss.; Id., La censura su piattaforme digitali private: il caso Casa Pound c. Facebook, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2020, 104 ss. Ampi spunti di riflessione sul tema sono offerti da M. Bassini, Libertà di espressione e social network, tra nuovi “spazi pubblici” e “poteri privati”. Spunti di comparazione, in questa Rivista, 2, 2021, 67 ss.; P. Falletta, Controlli e responsabilità dei social network sui discorsi d’odio online, in questa Rivista, 1, 2020, 146 ss.; R. Petruso, Responsabilità delle piattaforme online, oscuramento di siti web e libertà di espressione nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2018, 511 ss.; P. Zicchittu, La libertà di espressione dei partiti politici nello spazio pubblico digitale: alcuni spunti di attualità, in questa Rivista, 2, 2020, 81 ss. Da ultimo, un singolare esempio di chiusura ab rupto dell’account Facebook è stato affrontato da Trib. Bologna, ord. 10 febbraio 2021, in questa Rivista, 11 giugno 2021, con nota di L. Albertini, Responsabilità del social network per chiusura immotivata dell’account con distruzione dei dati ivi presenti. Sul rapporto giuridico utente/piattaforma: tra protezione e commercializzazione dei dati personali.

[22] Sulla sequestrabilità di un sito internet, basti il richiamo a Cass. pen., sez. un., 29 gennaio 2015, n. 31022, cit. Recentemente Cass. pen., sez. V, 23 aprile 2021, n. 20644, CED 281310 ha confermato la sequestrabilità di una parte del sito del programma Le iene, escludendo che esso possa essere qualificato come testata giornalistica on line.

[23] Ci si riferisce a quella giurisprudenza che ha fatto ricorso al concetto di “host provider attivo” per escludere che i gestori di piattaforme di social networking possano beneficiare dei safe harbours previsti dalla Direttiva sul commercio elettronico. In tal senso Cass. civ., sez. I, 21 febbraio 2019, n. 7708, con nota di M. Bassini, La Cassazione e il simulacro del provider attivo: mala tempora currunt, in questa Rivista, 2, 2019, 248 ss. e Trib. Roma, Sez. XVII civile, 10 gennaio 2019, n. 693, con nota di F. Frigerio, Attivo, anche se inconsapevole. Il Tribunale di Roma sanziona Vimeo e conferma i caratteri della responsabilità dell’hosting provider attivo per violazione del diritto d’autore altrui, in questa Rivista, 2019, 2, 258 ss.. Per un quadro riassuntivo dell’attuale assetto ordinamentale, v. S. Braschi, Social media e responsabilità penale dell’Internet Service Provider, in questa Rivista, 3, 2020, 157 ss., che pure da conto della recente Netzwerkdurchsetzungsgesetz, su cui pure v. J Rinceanu, Verso una forma di polizia privata nello spazio digitale? L’inedito ruolo dei provider nella disciplina tedesca dei social network, in Sistema penale, 2021.

[24] Il dibattito sul rapporto tra social network ed informazione (o disinformazione) è oramai amplissimo. Per un quadro di sintesi, v. M. Lamanuzzi, La disinformazione ai tempi dei social media: una nuova sfida per il diritto penale?, in Archivio penale, 2020, 1.

[25] Proprio con riferimento all’informazione tramite social network si parla comunemente di filter bubble, ovvero di quel meccanismo per il quale la piattaforma fornisce all’utente un’informazione personalizzata sulle preferenze da lui stesso manifestate, in tal modo spingendolo in un vortice informativo che si avviluppa su se stesso anziché confrontarsi con l’esterno. Sul tema, v. M. Bianca, La filter bubble e il problema dell’identità digitale, in questa Rivista, 2, 2019, 39 ss. Anche l’intervento de lege ferenda pare sul punto scarsamente tassativo: G. E. Vigevani-C. Melzi d’Eril, La riforma della diffamazione, cit., 148 s. evidenzia come l’estensione proposta con il ddl n. 812 A. S. riguardi i «quotidiani on line di cui all’articolo 1, comma 3 bis della legge 7 marzo 2001, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalla redazione degli stessi» e come quest’ultima disposizione introduca la definizione di «quotidiano on line» nei termini di «quella testata giornalistica: a) regolarmente registrata presso una cancelleria di tribunale; il cui direttore responsabile sia iscritto all’Ordine dei giornalisti, nell’elenco dei pubblicisti ovvero dei professionisti; c) che pubblichi i propri contenuti prevalentemente on line; d) che non sia esclusivamente una mera trasposizione telematica di una testata cartacea; e) che produca principalmente informazione; f) che abbia frequenza di aggiornamento almeno quotidiana; g) che non di configuri esclusivamente come un aggregatore di notizie». Così che sembra che lo speciale “statuto” previsto dall’ordinamento per la stampa non si basi più sulla tipologia del mezzo di comunicazione, bensì sulla materia trattata, ovvero l’informazione, e sulla tipologia di soggetti che la produce, ovvero i professionisti.

[26] Corte cost., 12 luglio 2021, n. 150, in Giurisprudenza penale, 2021, con nota di C. Malavenda, La sentenza n. 150/2021 della Corte Costituzionale in tema di diffamazione: i “pericoli per la democrazia” e il rischio che l’informazione, da “cane da guardia”, si trasformi in “cucciolo da salotto”. Per una ricostruzione delle questioni sottese alla questione di legittimità proposta dal Tribunale di Salerno, con ord. 9 aprile 2019 (su cui v. D. Butturini, La problematica della pena detentiva come limitazione del diritto di informazione tra Costituzione e CEDU. Spunti di riflessione a partire da una questione di legittimità costituzionale sollevata nel 2019 dal Tribunale penale di Salerno, in questa Rivista, 3, 2019, 61 ss.), e dal Tribunale di Bari, ord. 16 aprile 2019, nonché all’ordinanza “di rinvio della decisione” n. 132 adottata dalla Corte Costituzionale il 26 giugno 2020, v. G.M. Bondi, Effetto dissuasivo della pena detentiva e diffamazione a mezzo stampa: un nuovo equilibrio euroconvezionalmente orientato, in Archivio penale, 1, 2021; E. Calvo, Diffamazione e proporzione del trattamento sanzionatorio: il dialogo tra Cassazione e Corte Costituzionale, in Archivio penale, 2021, 2; G. E. Vigevani-C. Melzi d’Eril, La riforma della diffamazione, cit., 140 ss.; M. C. Ubiali, Diffamazione a mezzo stampa e pena detentiva: la Corte costituzionale dà un anno di tempo al Parlamento per trovare un punto di equilibrio tra libertà di espressione e tutela della reputazione individuale, in linea con i principi costituzionali e convenzionali, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2020, 1475 ss.

[27] Tale opinione è stata espressa anche con riguardo ai social network: S. Braschi, Il ruolo delle reti sociali nel contrasto ai reati commessi all’interno del web. Tendenze evolutive e prospettive di sviluppo, in questa Rivista, 2, 2021, 106.

[28] V. già A. Mino, La disciplina sanzionatoria dell’attività giornalistica, cit., 107 ss.

[29] Il riferimento è all’art. 3 del ddl. n. 812 A. S., il quale prevede che, fermo il diritto di ottenere la rettifica o l’aggiornamento delle informazioni contenute nell’articolo ritenuto lesivo dei propri diritti, l’interessato può chiedere l’eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge, con la facoltà di ricorrere al Giudice in caso di rifiuto o di omessa cancellazione dei dati. Sul punto, si vedano ancora le riflessioni di G. E. Vigevani-C. Melzi d’Eril, La riforma della diffamazione, cit., 152 ss.

[30] Si vedano i commi da 18 a 20 dell’art. 1 della L. delega n. 134/2021, dedicati alla giustizia riparativa. Per un primo commento, v. G. L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in Sistema penale, 2021, 20 ss.

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