Sul  diritto all’oblio e obblighi di deindicizzazione globale

Corte di Cassazione, sez. I civile, 15 novembre 2022, n. 34658

In tema di trattamento dei dati personali, la tutela spettante all’interessato, strettamente connessa ai diritti alla riservatezza e all’identità personale e preordinata a garantirne la dignità personale dell’individuo, ai sensi dell’art. 3 Cost., c. 1, e dell’art. 2 Cost., che si esprime nel cosiddetto “diritto all’oblio”, consente, in conformità al diritto dell’Unione europea, alle autorità italiane, ossia al Garante per la protezione dei dati personali e al giudice, di ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraeuropee, del suddetto motore, previo bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà d’informazione, da operarsi secondo gli standard di protezione dell’ordinamento italiano.

 

Sommario: 1. Il caso. 2. Il diritto all’oblio. 3. Il diritto all’oblio online. 4. Il diritto all’oblio online e gli obblighi dei motori di ricerca

  1. Il caso

Un soggetto adiva all’Autorità Garante della Privacy, lamentando un pregiudizio al proprio diritto all’oblio a causa della perdurante diffusione nel web di notizie non aggiornate attinenti ad una vicenda giudiziaria che lo aveva visto coinvolto. Vicenda poi conclusasi con un decreto di archiviazione del GIP per infondatezza del reato. Al Garante veniva così richiesto di ordinare a Google la rimozione, degli URL della notizia nelle versioni europee e extraeuropee, e ciò sul presupposto che il ricorrente era titolare di interessi personali e professionali, anche fuori dallo spazio europeo.

Il Garante della Privacy, accertato che Google aveva già spontaneamente rimosso gli URL delle versioni europee, in accoglimento parziale del ricorso ne aveva ordinato la rimozione anche nelle versioni extraeuropee del motore di ricerca.

Contro tale decisione Google ricorreva al Tribunale di Milano, il quale con sentenza n. 5560/2020 limitava l’ordine di rimozione degli URL sulle sole versioni nazionali del motore di ricerca corrispondenti agli Stati membri dell’Unione Europea.

Contro tale decisione l’Autorità Garante della Privacy adiva alla Corte di Cassazione che accoglieva il ricorso con la decisione qui in commento.

  1. Il diritto all’oblio

È noto che il diritto all’oblio, nasce come il «giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione, dopo un consistente lasso di tempo, di una notizia che in passato era stata legittimamente pubblicata»[1]. In questi casi, si ritiene che prevalga il diritto all’oblio dell’interessato a meno che, per altri eventi nel frattempo sopravvenuti, la notizia ritorni di attualità, rinnovando l’interesse del pubblico all’informazione[2].

Il diritto all’oblio, dunque, quale diritto della personalità, tutelato dall’art. 2 Cost., è strettamente connesso al diritto al rispetto della propria identità personale ed a quello della tutela della propria riservatezza. A tale ultimo riguardo la decisione in commento, ha ribadito che il diritto all’oblio «protegge l’interessato nella pretesa di non veder ulteriormente divulgate notizie, già legittimamente pubblicate, ma ormai superate dal tempo, che ha dissolto l’interesse pubblico alla circolazione dell’informazione»[3]. Mentre per quanto concerne l’identità personale, la sentenza ha precisato che con il diritto all’oblio viene «protetta l’esigenza di contestualizzazione e aggiornamento delle informazioni»[4]. In ogni caso, in una prospettiva evolutiva, tale diritto si traduce «nell’esigenza di evitare che la propria persona resti cristallizzata ed immutabile in un’identità legata ad avvenimenti o contesti del passato, che non sono più idonei a definirla in modo autentico o, quanto meno, in modo completo»[5].

Appaiono in tale delineazione del diritto, due elementi: anzitutto, il fattore tempo e, in secondo luogo, l’interesse per il pubblico a conoscere fatti che, per un motivo o per un altro, sono tornati di attualità. Al fine di meglio delineare tali elementi, la giurisprudenza successivamente formatasi, ha avuto modo di precisare che la «riemersione, di un fatto molto lontano nel tempo – che rivestiva, all’epoca, un sicuro interesse pubblico – non si traduce, ipso facto, nella permanenza dell’interesse anche nel momento attuale»[6]. Difatti, quest’ultimo dev’essere bilanciato con la «legittima aspettativa della persona coinvolta ad essere dimenticata dall’opinione pubblica e rimossa dalla memoria collettiva»[7]. Ciò comporta, da un lato, che, la «diffusione di notizie personali in una determinata epoca ed in un determinato contesto non legittima, di per sé, che le medesime vengano utilizzate molti anni dopo, in una situazione del tutto diversa e priva di ogni collegamento col passato»; dall’altro lato, che il diritto dell’interessato ad essere dimenticato «può cedere il passo rispetto al diritto di cronaca in quanto sussista un interesse effettivo ed attuale alla diffusione della notizia; diversamente argomentando, altrimenti, si finirebbe col riconoscere una sorta di automatica permanenza dell’interesse alla divulgazione, anche in un contesto storico completamente mutato»[8]. Fermo restando, comunque, che per una certa notizia può tollerarsi una sua più lunga permanenza nel tempo, qualora si tratti di eventi che per la «loro eccezionalità e per la efferatezza dei delitti rievocati necessitano di essere ricordati e tramandati»[9]. Difatti, se il «decorso del tempo può attenuare l’attualità della notizia e far scemare, al tempo stesso, anche l’interesse pubblico all’informazione», può nondimeno accadere, che «all’effetto di dissolvenza dell’attualità della notizia non faccia riscontro l’affievolimento dell’interesse pubblico o che – non più attuale la notizia – riviva, per qualsivoglia ragione, l’interesse alla sua diffusione»[10].

  1. Il diritto all’oblio online

Con l’affermarsi di nuove forme di comunicazione di massa diffuse online, il diritto all’oblio viene ulteriormente delineato, giacché non si tratta più di valutare la liceità, o meno, della ripubblicazione sulla carta stampata, o la ridiffusione a mezzo radiotelevisione, di una notizia risalente nel tempo[11]. Difatti, le notizie – e, più in generale, una qualsiasi informazione riguardante una qualsiasi persona e/o un qualsiasi fatto o avvenimento – una volta immesse nel circuito online rimangono a galleggiare nella rete in una sorta di eterno presente cosicché i motori di ricerca, con l’inserimento di una qualsiasi parola chiave, sono in grado di ripescarle nel giro di pochi secondi e gli utenti possono di riutilizzarle con le più disparate finalità[12]. Il diritto all’oblio deve quindi oggi scontare, sul piano applicativo, e segnatamente su quello del bilanciamento degli interessi, la possibilità di conservare in rete notizie, anche risalenti, spesso superate da eventi successivi, e perciò inattuali»[13].

Per le notizie pubblicate sul web, si ritiene che il bilanciamento con l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica, possa trovare soddisfazione anche nella sola deindicizzazione[14] dell’articolo dai motori di ricerca[15]. Deindicizzazione che non è però scontata ed automatica, dovendo il diritto all’oblio dell’interessato controbilanciarsi con il legittimo interesse degli utenti di internet potenzialmente interessati ad avere accesso a quella specifica informazione. Per tale ragione si è precisato che siffatto equilibrio dipende dalle «circostanze rilevanti di ciascun caso, in particolare dalla natura dell’informazione di cui trattasi e dal suo carattere sensibile per la vita privata dell’interessato, nonché dall’interesse del pubblico a disporre di tale informazione, il quale può variare, in particolare, a seconda del ruolo che tale persona riveste nella vita pubblica»[16]. Difatti «l’interessato, quando svolge un ruolo nella vita pubblica, deve dar prova di un maggior grado di tolleranza, poiché è inevitabilmente e con piena consapevolezza esposto al pubblico scrutinio»[17].

Mentre per quanto concerne gli archivi storico digitali dei giornali usufruibili online[18], si distinguono due ipotesi.

Una prima ipotesi è quella degli articoli di stampa cartacea inseriti nell’archivio storico digitale di un quotidiano, il cui contenuto diffamatorio risulti già accertato con sentenza passata in giudicato: in questo caso «l’inserimento e il mantenimento nel suddetto archivio di quelle stesse informazioni integra una nuova e autonoma fattispecie illecita, ove sussista la lesione di diritti costituzionalmente garantiti (all’immagine, anche sociale, alla reputazione personale e professionale o alla vita di relazione), essendo differenti sia il tempo, sia la forma, sia la finalità della veicolazione di dette notizie. Ne segue che la successiva lesività diffusiva deve valutarsi in concreto, avuto riguardo a tutte le peculiarità del singolo caso, secondo gli ordinari criteri di cui all’art. 2043 c.c., con onere probatorio a carico del soggetto leso, anche, se del caso, in via di presunzioni, di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie (condotta, elemento soggettivo, nesso causale, danno), la cui sussistenza necessita di apposita indagine del giudice di merito»[19].

La seconda ipotesi è quella di articoli la cui l’originaria pubblicazione era, a suo tempo, perfettamente lecita. In questi casi il più recente orientamento giurisprudenziale ritiene che la sola deindicizzazione possa non essere sufficiente garantire in modo adeguato il diritto all’oblio dell’interessato, dovendosi apporre anche «una sintetica nota informativa, a margine o in calce», all’articolo che dia «conto dell’esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato, in tal modo contemperandosi in modo bilanciato il diritto ex art. 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita lesione della propria immagine sociale»[20].

In proposito le Sezioni Unite hanno precisato che «quando si parla di diritto all’oblio ci si riferisce, in realtà, ad almeno tre differenti situazioni: quella di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione; quella, connessa all’uso di internet ed alla reperibilità delle notizie nella rete, consistente nell’esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale e quella, infine, trattata nella citata sentenza Google Spain della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella quale l’interessato fa valere il diritto alla cancellazione dei dati»[21].

Peraltro, nella sentenza Google Spain, la Corte di giustizia ha ribadito l’esigenza che la nozione di responsabile del trattamento sia soggetta ad un’interpretazione ampia, onde assicurare una tutela quanto il più possibile efficace e completa. Ragion per cui si è fatto ricomprendere in tale categoria anche quei soggetti che, al pari dei responsabili dei motori di ricerca, non esercitano alcun controllo sui dati personali pubblicati sulle pagine web di terzi; chiarendo in proposito che «il trattamento dei dati personali effettuato nell’ambito dell’attività di un motore di ricerca si distingue e si aggiunge a quello effettuato dagli editori di siti web, consistente nel far apparire tali dati su una pagina internet»[22]. In particolare, nel caso “Google Spain”, si è statuito che l’attività del motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come “trattamento di dati personali” e il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il “responsabile” del trattamento summenzionato[23].

Si è così ritenuto che la giurisprudenza della Corte di giustizia, configuri una «responsabilità concorrente tra gli editori dei siti web e i gestori dei motori di ricerca, in una prospettiva di massimizzazione della tutela dei dati personali quando questi siano diffusi attraverso il web»[24]. Tale principio ha trovato conferma anche nella giurisprudenza della Corte EDU, secondo la quale l’obbligo di deindicizzazione grava non soltanto sui gestori dei motori di ricerca, ma anche sugli amministratori di giornali online[25]. Costoro, tuttavia, non sono tenuti a «provvedere, a seconda dei casi, alla cancellazione, alla deindicizzazione o all’aggiornamento di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, ancorché relativo a fatti risalenti nel tempo, in difetto di richiesta dell’interessato che è la sola a far scaturire in capo al gestore l’obbligo di provvedere senza indugio»[26]. Si ritiene difatti che in «doveroso bilanciamento degli interessi in gioco, sarebbe eccessivamente oneroso accollare al gestore di un archivio digitale di notizie l’onere di un controllo periodico del loro superamento e della loro inattualità, in difetto di qualsiasi parametro temporale fissato dalla legge e sulla base di elementi del tutto sconosciuti come l’evoluzione personale dei soggetti interessati»[27]. Saranno quindi questi ultimi a dover richiedere la deindicizzazione o la cancellazione; nonché – almeno in una certa misura – a dimostrare l’inesattezza manifesta delle informazioni che li riguardano. A tale ultimo proposito, si ritiene che il richiedente sia unicamente tenuto a «fornire gli elementi di prova che, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, possono essere ragionevolmente richiesti al fine di dimostrare tale inesattezza manifesta; non è invece tenuto, in linea di principio, a produrre, fin dalla fase precontenziosa, a sostegno della sua richiesta di deindicizzazione presso il gestore del motore di ricerca, una decisione giurisdizionale, anche scaturente da procedimento sommario. Imporre un obbligo siffatto a detta persona avrebbe, infatti, l’effetto di far gravare su di essa un onere irragionevole»[28]. Se, dunque, il soggetto a cui la notizia si riferisce ha il diritto (e l’onere) di attivarsi per chiederne l’aggiornamento o la rimozione o la deindicizzazione; per altro verso, la condotta del gestore del sito e/o del motore di ricerca, in caso di ingiustificato rifiuto o ritardo ad adempiere, è ritenuta idonea a «comportare il risarcimento del danno patito successivamente alla richiesta (fermo l’onere di allegazione e prova del pregiudizio da parte dell’interessato)»[29].

  1. Il diritto all’oblio online e gli obblighi dei motori di ricerca

Con specifico riguardo al tema centrale della decisione in commento, concernente i limiti dell’efficacia territoriale dei doveri di rimozione dei motori di ricerca, la Corte di Cassazione anzitutto fa richiamo ai principi espressi dalla Corte di giustizia UE. Quest’ultima, in particolare, ha statuito che il gestore di un motore di ricerca, è responsabile, non del fatto che dei dati personali compaiano su una pagina internet pubblicata da terzi, ma dell’indicizzazione di tale pagina tramite link presenti nell’elenco dei risultati che compaiono all’esito ad una ricerca[30]. In questi casi, osserva la Corte di giustizia, la responsabilità del gestore si attiva quando la persona interessata fa istanza di deindicizzazione e consiste nel valutare se, sulla base di tutte le circostanze del caso (quali la gravità dell’ingerenza nella vita privata e la necessità di protezione dei dati personali), l’inserimento dei link nell’elenco dei risultati sia, o meno, necessario a proteggere la libertà di informazione degli utenti interessati ad accedere a tale pagina mediante la ricerca effettuata tramite il motore di ricerca.

In quest’attività valutativa di bilanciamento dei diversi interessi in gioco (il rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali da un lato, e la libertà d’informazione dall’altro lato) il gestore del motore di ricerca deve poi portare particolare attenzione al caso in cui i link rimandino a pagine internet contenenti dati relativi ad un procedimento penale che si riferiscono a una fase precedente di tale procedimento, non più corrispondente alla situazione attuale. Per tale particolare ipotesi la Corte, infatti, precisa come il gestore debba considerare tutte le circostanze concrete, quali ad esempio la natura e la gravità dell’infrazione di cui trattasi, lo svolgimento e l’esito della procedura, il tempo trascorso, il ruolo rivestito nella vita pubblica dalla persona interessata dal procedimento penale, l’interesse del pubblico al momento della richiesta, il contenuto e la forma della pubblicazione, nonché le sue ripercussioni sulla persona cui si riferiscono i dati pubblicati.

Osserva, inoltre la Corte di Cassazione come la citata decisione sul “caso CNIL”, che limita l’obbligo di deindicizzazione del gestore del motore di ricerca al solo territorio dell’Unione Europea, precisa purtuttavia che è ben possibile – bilanciando opportunamente i contrapposti diritti – ordinare, se del caso, al «gestore del motore di ricerca di effettuare la deindicizzazione su tutte le versioni del suddetto motore» e, dunque, anche al di fuori del territorio dell’Unione Europea disponendo un ordine globale (come ad esempio era già stato deciso dalla Corte di giustizia nel c.d. “caso Glawischnig[31]).

Del resto sempre la Corte di Cassazione aveva già avuto modo di chiarire che le «disposizioni nazionali in tema di protezione di dati personali e poteri del garante, dettate in attuazione della normativa europea in materia, si applicano anche al gestore di un motore di ricerca estero, quando il trattamento di dati personali (consistente nel reperimento, indicizzazione, memorizzazione e pubblicazione in rete di informazioni contenenti dati personali) sia effettuato nel contesto dell’attività pubblicitaria e commerciale di uno stabilimento del predetto gestore presente sul territorio italiano»[32].

In ogni caso, secondo la decisione in commento, da ciò consegue che ciascun Stato membro è «libero di effettuare nella sua disciplina nazionale, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali, un bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà d’informazione, per richiedere all’esito al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni del proprio motore, incluse quelle extraeuropee»[33]. Osservando in proposito che, se un lato, la «tesi dell’inammissibilità degli ordini di rimozione/deindicizzazione globale (ossia destinati a produrre effetti anche su motori di ricerca extra UE)»[34], appare in «contrasto con il diritto della Unione europea come interpretato dalla Corte di Giustizia»[35]; dall’altro lato, il diritto alla protezione dei dati personali e il suo fondamento costituzionale, non tollerano «limitazioni territoriali nell’esplicazione della sera di protezione, tanto più che nella specie tale diritto si sovrappone e si accompagna ai diritti dell’identità, alla riservatezza e alla contestualizzazione delle informazioni»[36]. Tanto più che tramite internet la circolazione dei dati avviene con «modalità liquide e pervasive»[37], ragion per cui non sarebbe sufficiente alla tutela costituzionale dei diritti dell’interessato, limitare la «deindicizzazione alle sole versioni dei motori di ricerca corrispondenti a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea»[38].

Con riguardo poi allo standard valutazione da effettuare nel bilanciamento tra diritto della personalità e diritto all’informazione, la Corte osserva che questo «non può essere che quello europeo e nazionale e non viene invece in considerazione il quadro giuridico di contemperamento fra i due diritti, previsto in altri Paesi il cui diritto nazionale non è applicabile al rapporto giuridico oggetto della pronuncia per il solo fatto che al destinatario sia imposto di provvedere alla deindicizzazione anche sulle versioni di quel Paese del suo motore di ricerca»[39].

Da ultimo, la decisione in commento ha ritenuto di censurare la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha reputato insufficienti le prove offerte dal richiedente per giustificare la propria tutela del diritto all’oblio con riferimento ai motori di ricerca extraeuropei. Ha osservato in proposito la Corte di cassazione che il richiedente aveva invece fornito «tutti gli elementi necessari e sufficienti per giustificare il proprio interesse alla deindicizzazione extraeuropea dell’informazione». In particolare, il richiedente aveva provato di risiedere e di esercitare la propria professione fuori dall’Europa: dati questi non contestati e, ad avviso della Cassazione, «non suscettibili di rilevanti integrazioni ai fini della qualificazione dell’interesse all’estensione globale dell’ordine di protezione e in particolare dell’accertamento del possibile pregiudizio sui motori di ricerca extraeuropei»[40].

[1] Cass. civ., sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro it., 1998, I, 1834 ss. con nota di P. Laghezza, Il diritto all’oblio esiste (e si vede), 1836 ss. ed in Danno resp., 1998, 882 ss. con nota di C. Lo Surdo, Diritto all’oblio come strumento di protezione di un interesse sottostante.

[2] Cass. civ., sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, cit., così testualmente precisa: «quando il fatto precedente per altri eventi sopravvenuti ritorna di attualità, rinasce un nuovo interesse pubblico alla informazione non strettamente legato alla stretta contemporaneità fra divulgazione e fatto pubblico che si deve contemperare con quel principio, adeguatamente valutando la ricorrente correttezza delle fonti di informazione».

[3] Così, testualmente, Cass. civ., sez. I, 15.11.2022, n. 34658, § 11, qui in commento.

[4] Peraltro è stato osservato che l’evoluzione tecnica e quella giuridica che ne è conseguita ha portato all’enucleazione di «nuove sfumature dell’identità personale e una nuova antropologia, che astrae l’individuo dalla sua dimensione naturale, fino a concepirlo come un complesso di dati: la navigazione dell’individuo-utente in rete, infatti, permette di ricostruire un profilo identitario ricavato dalle sue attività̀ svolte (si pensi, ad esempio, alle transazioni online e alla relativa immissione dei dati personali), o dalle preferenze da questi manifestate (attraverso social network, blog, online community, etc.), che non sempre risulta pienamente aderente alla identità fisica reale, in particolare a quella di natura anagrafica», così, testualmente, G. Garofalo, Identità digitale e diritto all’oblio: questioni aperte all’indomani dell’approvazione del GDPR, in Il diritto di famiglia e delle persone, 3, 2021, 1506.

[5] Cass. civ., sez. I, 31 maggio 2021, n. 15160, in Foro it., I, 1, 2022, 320 ss.

[6] Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2013, n. 16111, in Dir. inf., 6, 2013, 829 ss.

[7] Cass. pen., sez. V, 17 luglio 2009, n. 45051, in Resp. civ. prev., 5, 2010, 1060 ss. con nota di S. Peron, La verità della notizia tra attualità ed oblio. Sentenza pubblicata anche in Critica del diritto, 2009, 236 ss. con nota di A. Cerri, Diritto di cronaca, diritto di rievocare fatti passati versus diritto di riservatezza e diritto all’oblio.

[8] Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2013, n. 16111, cit.

[9] Così, Trib. Roma, 1 febbraio 2001, in Dir. inf., 2, 2001, 206 ss.

[10] Cass. pen., sez. V, 17 luglio 2009, n. 45051, cit., che così ulteriormente precisa: «insomma, può non esservi corrispondenza o piena sovrapposizione cronologica tra attualità della notizia ed attualità dell’interesse pubblico alla divulgazione. Nondimeno, in quest’ultima ipotesi, il persistente o rivitalizzato interesse pubblico, che – in costanza di attualità della notizia – doveva equilibrarsi con il diritto alla riservatezza, all’onore od alla reputazione, deve trovare – quando la notizia non è più attuale – un contemperamento con un nuovo diritto, quello all’oblio, come sopra delineato, anche nell’ulteriore accezione semantica di legittima aspettativa della persona ad essere dimenticata dall’opinione pubblica e rimossa dalla memoria collettiva».

[11] Per approfondimenti sulle varie declinazioni del diritto all’oblio si rinvia a D. Barbierato, Osservazioni sul diritto all’oblio e la (mancata) novità del regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati personali, in Responsabilità civile e previdenza, 6, 2017, 2100 ss.

[12] Correttamente è stato osservato che l’avvento di internet ha fatto emergere «nuovi e inediti pericoli per l’identità personale, a causa della disponibilità di una grande quantità di informazioni decontestualizzate, prive di riferimento temporale, definitivamente disperse online e custodite, in una eterna dimensione di “inconscio digitale”, nella memoria della rete. In essa l’identità virtuale resta cristallizzata in una rappresentazione permanente e profilata dei dati personali, precludendone la concreta possibilità di cancellazione per soddisfare la pretesa individuale ad essere dimenticati», così testualmente, A. Alù, Esiste il diritto all’oblio su internet? La complessa evoluzione di tale figura tra giurisprudenza e legge, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1, 2020, 313 ss.

[13] Cass. civ., sez. I, 31 maggio 2021, n. 15160, cit.

[14] La deindicizzazione (o de-listing) è un’attività «consistente nell’escludere che il nome di un soggetto compaia tra i risultati di un motore di ricerca in esito a una interrogazione del medesimo; con la deindicizzazione (il punto sarò ripreso in seguito), si elimina una particolare modalità di ricerca del dato, che rimane presente in rete, e che continua ad essere raggiungibile, ma con una ricerca più complessa e più lunga», così Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2022, n. 3952, in Dir. inf., 2, 2022, 369 ss. con nota di P. Sammarco, Diritto all’oblio e cancellazione delle copie cache del motore di ricerca, in Dir. inf., 2022, 383 ss. Pubblicata anche in Dir. fam., 1, 2022, 122 ss. con nota di A. Alù, Cancellazione delle “copie cache” e tutela del diritto all’oblio “digitale”: spunti di riflessione sulla sentenza della Corte di Cassazione n. 3952/2022.

[15] Si vedano in proposito: Cass. civ., sez. I, 31 maggio 2021, n. 15160, cit.; Cass. civ., sez. I, 19 maggio 2020, n. 9147, e Cass. civ., sez. I, 27 marzo 2020, n. 7559, in Resp. civ. prev., 1, 2021 174 ss. con nota di M. Cocuccio, Deindicizzare per non censurare: il «ragionevole compromesso» tra diritto all’oblio e diritto di cronaca.

[16] CGUE, C‑460/20, TU, RE c. Google LLC (2022).

[17] Ibidem.

[18] Cass. civ., sez. I, ord. 11 gennaio 2023, n. 479, ha affrontato il tema della configurazione giuridica dell’archivio storico digitale di un quotidiano, negando che si tratti di un prodotto editoriale su supporto informatico dal momento che, non ne possiede i «tratti caratterizzanti (testata, diffusione o aggiornamento con regolarità, organizzato in una struttura, con un direttore responsabile, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione, finalizzato all’attività professionale di informazione diretta al pubblico)». Secondo la Cassazione è dirimente rimarcare che la «finalità dell’archivio è meramente compilativa e storica», tendenzialmente priva di «organizzazione giornalistica con struttura tipica – direttore responsabile redazione e via dicendo», consistendo in una mera «aggregazione di notizie, integralmente trasferite nell’archivio digitale, pubblicate dal quotidiano nel corso di svariati anni». Ne segue, come corollario di detto inquadramento, «l’inapplicabilità della speciale disciplina sulla stampa, posto che solo ove ricorra l’ipotesi di “giornale informatico” con le caratteristiche precisate potrebbe applicarsi integralmente la L. n. 47/1948 e successive modificazioni (per la verità non senza criticità, evidenziate dalla dottrina, anche su detta conclusione) e, in particolare, l’art. 11 sulla responsabilità oggettiva di proprietario ed editore», la cui applicazione va «rigorosamente limitata ai casi previsti, dato che introduce una particolare tipologia di responsabilità oggettiva – del proprietario della testata giornalistica e dell’editore – che, in via speciale e derogatoria rispetto ai principi generali della responsabilità civile, consente di presumere la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito, e ciò in ragione del rischio d’impresa che grava, per l’appunto, su detti soggetti obbligati, correlato all’elevata diffusività lesiva dello strumento di veicolazione della notizia».

[19] Cass. civ., sez. I, 31 gennaio 2023, n. 2893, in Foro it. 2023, 2, I, 391 ss.

[20] Ibidem. Si veda anche Cass. civ., sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525, in NGCC, 1, 2012, 836 ss. nota di A. Mantelero, Right to be forgotten ed archivi storici dei giornali: «a fronte dell’esigenza di garantire e mantenere la memoria dell’informazione si pone, come detto, il diritto all’oblio del soggetto cui l’informazione si riferisce. Se del dato è consentita la conservazione per finalità anche diversa da quella che ne ha originariamente giustificato il trattamento, con passaggio da un archivio a un altro, nonché ammessa la memorizzazione (anche) nella rete di Internet (ad esempio, pubblicazione on line degli archivi storici dei giornali), per altro verso al soggetto cui esso pertiene spetta un diritto di controllo a tutela della proiezione dinamica dei propri dati e della propria immagine sociale, che può tradursi, anche quando trattasi di notizia vera – e “a fortiori” se di cronaca – nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento della notizia, e se del caso, avuto riguardo alla finalità della conservazione nell’archivio e all’interesse che la sottende, financo alla relativa cancellazione».

[21] Cass. civ., sez. un., 22 luglio 2019, n. 19681, in Resp. civ. prev., 5, 2019, 1556 ss. con nota di G. Citarella, Diritto all’oblio: un passo avanti, tre di lato. La sentenza data la sua importanza è stata pubblicata anche in Dir. Famiglia e delle Persone, 4, 2020, 1260 ss. con nota di A. Spatuzzi, Diritto all’oblio e rievocazione storica. Il bilanciamento delle Sezioni Unite; Cass. pen., 2020, 151 ss. con nota di M. Cerase, Il diritto di espressione tra libertà di ricerca e pretesa alla dimenticanza; D&G, 136, 2019, 3 ss. con nota di A. Mazzaro, Diritto all’oblio: bilanciamento tra diritto di cronaca, diritto di rievocazione storica e diritto di riservatezza; Giur. cost., 1, 2020, 349 ss. con nota di M. Mezzanotte, Il diritto all’oblio secondo le Sezioni unite: cerbero o chimera?

[22] CGUE, C-131/2012, Google Spain (2014), in Resp. civ. prev., 2014, 1159 ss. con nota di S. Peron, Il diritto all’oblio nell’era dell’informazione on-line.

[23] In questo senso anche Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2022, n. 3952, cit.

[24] Cass. civ., sez. VI, 30 agosto 2022, n. 25481, in Foro it., 2022, 9, I, 2669 ss.

[25] CEDU, Biancardi c. Italia, ric. 77419/16 (2021).

[26] Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2023, n. 6806.

[27] Ibidem.

[28] Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2023, n. 6806, cit., la quale richiama gli insegnamenti di CGUE, C‑460/20, TU, RE c. Google LLC (2022), cit.

[29] Cass. civ., sez. III, 1 marzo 2023, n. 6116.

[30] CGUE, C‑507/17, Google v. CNIL (2019) , in Resp. civ. prev., 2019, 1987, la sentenza è nota anche come “caso CNIL”.

[31] Sull’obbligo di estensione a livello mondiale, la decisione in commento fa espresso richiamo alla decisione nota come “caso Glawischnig”: CGUE, C‑18/18, Glawischnig-Piesczek (2019). In proposito osserva la Corte di giustizia che la direttiva 2000/31/CE (ossia la direttiva sul commercio elettronico) non prevede «alcuna limitazione, segnatamente territoriale, alla portata dei provvedimenti che gli Stati membri hanno diritto di adottare conformemente alla direttiva in parola». Di conseguenza, essa «non osta a che detti provvedimenti ingiuntivi producano effetti a livello mondiale».

[32] Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2022, n. 3952, cit.

[33] Così, testualmente, Cass. civ., sez. I, 15.11.2022, n. 34658, § 17, qui in commento.

[34] Ivi, § 18.

[35] Ibidem.

[36] Ivi, § 19.

[37] Ibidem.

[38] Ibidem.

[39] Ivi, § 22.

[40] Ivi, § 26.

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