NFT e proprietà intellettuale: problemi e prospettive

Tribunale di Roma, sez. Impresa, 20 luglio 2022

È illegittima la creazione di NFT riproducenti un calciatore nell’atto di indossare la maglia da gioco di una squadra calcistica, se quest’ultima non ha autorizzato allo scopo l’utilizzo del proprio marchio. La circostanza che il calciatore abbia autorizzato lo sfruttamento della propria immagine non esclude infatti l’obbligo per la società autrice dei tokens di richiedere altresì alla società calcistica, di cui sono riprodotte le maglie da gioco, apposita autorizzazione al fine di poterne utilizzare il marchio. Infatti, la creazione e offerta in vendita di non fungible tokens costituisce un’operazione di carattere commerciale, sulla quale incide significativamente la notorietà dei club calcistici interessati dalla riproduzione digitale. Ne deriva che tale mancata autorizzazione determina un concreto rischio confusorio nel pubblico, indotto a credere che gli NFT immessi sul mercato provengano dalla società calcistica la cui maglia viene riprodotta o da società alla prima collegate.

 

Sommario: 1. La pronuncia del Tribunale di Roma. – 2. Natura e funzione degli NFT. – 3. Gli NFT nel panorama americano. – 4. Gli interrogativi giuridici sollevati in materia di proprietà intellettuale.

  1. La pronuncia del Tribunale di Roma

Con ordinanza del 20 luglio 2022, un Tribunale italiano si è per la prima volta pronunciato su una vicenda legata all’uso e alla commercializzazione degli ormai famigerati NFT (Non-Fungible tokens). I fatti di causa si incentrano, in particolare, sull’avvenuta richiesta di inibitoria cautelare avanzata al Tribunale di Roma da parte della nota società calcistica Juventus S.p.A., volta ad impedire ogni ulteriore «produzione, commercializzazione, promozione e offerta in vendita, diretta e/o indiretta, in qualsiasi modo e forma» degli NFT creati e commercializzati dalla società Blockeras s.r.l. raffiguranti l’ex calciatore Christian Vieri con indosso la maglia del club ricorrente e l’indicazione del nome della squadra. A detta della società Juventus tale condotta avrebbe costituito una lesione del marchio figurativo della società, costituito appunto dalla maglia a strisce verticali di colore bianco e nero con due stelle sul petto, simbolo della squadra torinese.

La ricorrente ha avanzato altresì richiesta al Tribunale di fissare una somma di denaro a titolo di astreintes per ogni giorno di ritardo nell’attuazione dei provvedimenti richiesti, oltre alla pubblicazione del provvedimento giurisdizionale su due celebri quotidiani italiani.

La società resistente, autrice degli NFT in questione, si è opposta deducendo la carenza dei presupposti del provvedimento cautelare, in particolare del periculum in mora, la sussistenza del proprio diritto all’utilizzo e alla commercializzazione dei tokens, nonché contestando la tutelabilità del marchio Juventus in ambito digitale, posto che lo stesso non risultava registrato nella categoria dei prodotti virtuali suscettibili di download di cui alla classe 9 della Convenzione di Nizza.

La pronuncia del giudice romano, disattendendo le menzionate contestazioni, ha accolto i motivi della ricorrente, affermando innanzitutto la sussistenza del fumus boni iuris, ossia la verosimile esistenza del diritto alla tutela del proprio marchio figurativo, oggetto di titolarità non contestata, e comunque dotato di notorietà generalizzata, tale da attribuirgli la tutela rafforzata di cui all’art. 20 del d.lgs 30/2005 (cd. Codice della proprietà industriale).

É infatti noto che, ai sensi del c. 1, lett. c), del citato articolo, il marchio registrato dotato di notorietà gode di una tutela particolarmente rafforzata, tale da impedire l’utilizzo di un segno identico o simile anche in relazione a prodotti non affini a quelli per cui il marchio risulta registrato, laddove l’uso indebito del segno consenta all’utilizzatore di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo del marchio notorio o di recare pregiudizio al legittimo titolare di quest’ultimo[1].

Ebbene, il Tribunale ha riconosciuto l’esistenza di un rischio confusorio legato all’illegittimo sfruttamento del marchio Juventus in relazione all’indebita apposizione dello stesso sugli NFT oggetto di esame, determinandosi la concreta possibilità che il pubblico «possa credere che i prodotti o servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate». La Corte ha ulteriormente evidenziato come la circostanza dell’esistenza di un contratto tra la società autrice dei tokens e il calciatore Vieri, tale da autorizzare l’utilizzazione dell’immagine di quest’ultimo, non escludeva l’obbligo di richiedere altresì apposita e separata autorizzazione anche alla società Juventus, al fine di poterne utilizzare il relativo marchio.

Né, peraltro, ha osservato il Tribunale, la legittimità dell’operazione di commercializzazione dei tokens poteva ammettersi invocando l’art. 97 della legge sul diritto d’autore (l. 633/1941), ai sensi del quale non occorre il consenso della persona ritratta, qualora «la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico». E ciò non solo perché la finalità dell’operazione era unicamente commerciale, ma anche in quanto, come già osservato, la prestazione del consenso da parte del calciatore all’utilizzo della propria immagine non escludeva la necessità di richiedere separata autorizzazione alle squadre le cui maglie da gioco venivano rappresentate negli NFT e il cui marchio risultava così indebitamente utilizzato.

A fronte poi della contestazione proposta dalla società resistente per cui la tutela del marchio Juventus sarebbe stata preclusa in ambito digitale, non risultando il marchio registrato rispetto alla categoria relativa ai prodotti scaricabili, il Tribunale ha osservato ancora che il marchio in esame risulta registrato nella classe 9 relativa alle classi merceologiche indicate dalla Convenzione di Nizza[2], comprensiva altresì di prodotti non espressamente indicati, quali le pubblicazioni elettroniche scaricabili[3]. Pertanto, nemmeno da questo punto di vista il Tribunale ha rilevato impedimenti di sorta alla tutela del marchio.

La condotta della società autrice delle cards raffiguranti il calciatore è stata ritenuta illegittima dal Tribunale anche per un altro motivo, integrando un’ipotesi di concorrenza sleale, mediante uso non autorizzato del marchio altrui e conseguente appropriazione di pregi collegati al marchio indebitamente utilizzato.

Secondo la prospettiva dell’Autorità Giudicante, la condotta posta in essere dalla resistente ha infatti determinato una concreta possibilità di confusione nel pubblico, sfruttando la funzione distintiva del marchio Juventus in violazione dell’art. 2598 n. 1 c.c. (concorrenza sleale confusoria)[4], oltre a realizzare una illegittima appropriazione dei pregi riconducibili alla società ricorrente, in violazione dell’art. 2598 n. 2 c.c.

Così individuati i presupposti del fumus boni iuris, l’ordinanza in esame si sofferma infine sull’esistenza del periculum in mora che ritiene sussistente in relazione al rischio di volgarizzazione del marchio, oltre che alla lesione dei diritti di sfruttamento del marchio della ricorrente, suscettibili di cagionare alla stessa un danno di difficile quantificazione.

Pertanto il Tribunale ha accolto la domanda cautelare della ricorrente, ordinando l’inibizione di ogni ulteriore produzione e commercializzazione degli NFT indicati, oltre che l’utilizzo del marchio Juventus in ogni ulteriore forma e modalità. Il Tribunale ha altresì disposto il ritiro degli NFT presenti sui siti internet controllati dalla resistente attraverso i quali gli NFT erano offerti in vendita, fissando una penale per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento cautelare emanato.

  1. Natura e funzione degli NFT

La pronuncia esaminata rappresenta un punto di svolta nella perimetrazione dei diritti di proprietà intellettuale aventi ad oggetto una particolare categoria di beni ormai sempre più al centro della riflessione giuridica: gli NFT.

Gli NFT, acronimo di Non-Fungible tokens, sono dei certificati digitali basati sulla tecnologia blockchain volti a identificare in modo univoco, insostituibile e non replicabile la proprietà di un prodotto digitale[5].

In via generale, i token sono sequenze di informazioni registrate su blockchain, che rinviano in modo univoco al titolare delle informazioni medesime. Tali informazioni possono essere archiviate e trasmesse solo a soggetti autorizzati ad accedervi, così garantendo che i dati “tokenizzati” rimangano riservati.

Un token può essere “coniato” (dall’inglese “minting”) sia in qualità di bene fungibile, sia con caratteristiche di infungibilità.

Nel primo caso, il token può essere scambiato con altro token dello stesso genere. Sono ad esempio token fungibili le criptovalute, dal momento che le stesse sono dotate di valore intrinseco e misurabile e possono essere utilizzate come mezzo di scambio sul mercato.

Nel secondo caso, invece, il token rappresenta beni infungibili: è questa l’ipotesi degli NFT, per l’appunto Non-Fungible tokens.

Gli NFT vengono utilizzati in relazione a contenuti digitali unici, quali immagini, video, opere d’arte. La memorizzazione degli stessi sulla rete blockchain consente di salvaguardare la paternità dei contenuti digitali che non possono essere rimossi o modificati proprio perché custoditi su tale rete. L’infungibilità degli NFT deriva dalla creazione di un numero limitato degli stessi da parte delle piattaforme che li generano (tra le varie OpenSea, Rarible, Mintable) o addirittura dalla loro creazione in edizione singola[6].

L’NFT rappresenta, in definitiva, un diritto su un bene digitale specifico. Tuttavia, l’acquisto di un NFT non comporta l’acquisizione della titolarità del bene materiale sottostante all’asset digitale, quanto la proprietà dell’asset digitale stesso, suscettibile pertanto anche di essere trasferito a terzi.

Pare corretto affermare dunque che il Non-Fungible Token si limiti a certificare la titolarità di una delle poche copie digitali disponibili di un’opera originale.

In tal senso gli NFT ambiscono a traslare nel mondo digitale il concetto di “scarsità” di beni proprio del mondo fisico, rendendo uniche e irriproducibili rappresentazioni informatiche che per loro natura sarebbero al contrario replicabili all’infinito.

Alla luce della natura digitale, e dunque immateriale, del bene oggetto dell’NFT, si è resa necessaria l’implementazione di un sistema di autenticazione che consentisse di ricondurre univocamente la proprietà della copia digitale al suo esclusivo titolare: allo scopo, si è impiegata la già menzionata tecnologia blockchain, ossia un meccanismo che, sfruttando il sistema della crittografia, consente di convalidare la registrazione di molteplici transazioni su un registro immutabile, accessibile solo ai membri autorizzati della rete[7].

Nel caso degli NFT, all’interno della blockchain viene resa operante la tecnologia degli smart contract, ossia un protocollo di transazione computerizzato che esegue i termini di un contratto sulla base della ricezione di specifici input. Attraverso un contratto smart è possibile definire le condizioni per il trasferimento degli NFT attraverso le transazioni operate sulla rete blockchain.

Il meccanismo descritto risulta particolarmente significativo nell’ambito della circolazione di opere digitali, posto che lo stesso consente, ad esempio, di prevedere a favore dell’autore una percentuale risultante da ogni trasferimento dell’NFT successivo al primo. In questo modo l’autore dell’NFT si garantisce il diritto di ricevere ulteriori ricavi da ogni rivendita successiva della propria opera, al contrario di quanto normalmente avviene rispetto al trasferimento materiale dei beni, in cui gli artisti non ottengono ricavi aggiuntivi dopo aver trasferito la proprietà delle loro opere.

Il processo di “tokenizzazione” di beni materiali infungibili, quali opere d’arte, video o brani musicali, solleva una serie di interrogativi in ordine ai diritti di proprietà intellettuale facenti capo agli autori materiali dei lavori riprodotti in forma di NFT.

L’ordinanza cautelare analizzata affronta proprio tale questione, esaminandola dal punto di vista della tutela del marchio registrato, indebitamente utilizzato dai creatori dell’NFT “incriminato”.

  1. Gli NFT nel panorama americano

I predetti interrogativi stanno animando anche oltre oceano la discussione degli operatori del diritto, come si evince da due recenti controversie aventi ad oggetto l’indebito utilizzo di marchi registrati nella creazione di NFT, nonché di una ulteriore disputa legale connessa alle interferenze della vendita di NFT con il diritto d’autore[8].

In materia di NFT e tutela del marchio, la prima delle pronunce in esame vede protagonista l’azienda Nike contro la piattaforma di reselling StockX, in relazione alla vendita non autorizzata di «Valut NFT» riferiti a calzature materialmente offerte in commercio da StockX e riportanti il celebre marchio, simile ad una virgola capovolta, dell’azienda americana.

Quest’ultima, ritenendo tale operazione illecita, ha contestato l’indebito utilizzo del proprio marchio da parte del rivenditore, che lo avrebbe sfruttato decettivamente al fine di ottenere indebiti profitti, con ulteriore rischio di diluizione del marchio Nike, oltre che di indebita appropriazione di pregi.

La difesa di StockX si è basata sull’argomento per cui la stessa, lungi dal commercializzare asset digitali, si fosse limitata ad una rivendita autorizzata di modelli materiali di calzature Nike, descrivendo i relativi NFT come semplici “chiavi” per accedere al bene materiale conservato presso il rivenditore. Pertanto StockX ha negato che l’NFT fosse dotato di valore intrinseco, rappresentando un semplice strumento di accesso al bene fisico oggetto di offerta sul mercato[9].

Corre l’obbligo di osservare che, se è vero che gli NFT in contestazione sono collegati a modelli di calzature reali, dando all’acquirente il diritto di accedere al prodotto fisico custodito da StockX, gli stessi possono tuttavia circolare autonomamente in qualità di beni digitali, qualora il “riscatto” del bene materiale non venga esercitato.

In attesa della decisione della corte ci si chiede pertanto se i Vault NFT messi in circolazione da StockX rappresentino una sorta di ricevuta digitale connessa ad un bene materiale, e dunque espressione di un ordinario processo di vendita, o piuttosto siano prodotti a se stanti la cui circolazione comporta, pertanto, un indebito utilizzo del marchio altrui.

Altro caso connesso ad una vicenda di sfruttamento illecito del marchio altrui in relazione all’emissione di NFT si è avuto rispetto al caso Hermès vs Mason Rothschild[10].

La vicenda ha visto la casa di moda Hermès – titolare del marchio Birkin volto a designare le iconiche borse simbolo della maison – citare in giudizio l’artista Mason Rothschild per la commercializzazione di NFT connessi ad immagini di borse riportanti il marchio MetaBirkin e aventi caratteristiche simili a quelle proprie delle borse della celebre casa di moda francese, rivisitate nel materiale utilizzato (pelliccia).

Hermès ha quindi citato l’artista autore degli NFT MetaBirkin dinanzi al Tribunale Federale di New York, accusandolo di violazione e diluizione del marchio, cybersquatting e lesione della propria reputazione commerciale, e chiedendo, oltre all’ordine di inibizione di ogni ulteriore utilizzo del proprio marchio, il risarcimento dei danni subiti, comprensivi dei profitti realizzati mediante la vendita degli NFT.

L’artista si è difeso invocando il diritto alla libertà di espressione, sancito dal primo emendamento della Costituzione americana, in nome del quale egli avrebbe avuto diritto di utilizzare gli NFT delle Meta Birkin quale strumento di critica rispetto alla pratica di utilizzo di pellicce di animali per la produzione di borse e altri accessori di moda. In ciò avrebbe pertanto fatto uso legittimo del marchio Hermès Birkin.

Il Tribunale di New York, con una recente decisione del maggio 2022, si è preliminarmente pronunciato affermando che, se è vero che gli NFT Meta Birkin rappresentano opere d’arte digitale dotate di carattere espressivo, alle quali risulta pertanto applicabile la tutela del primo emendamento, d’altra parte l’uso del nome MetaBirkin presenta in ogni caso carattere ingannevole rispetto all’origine delle opere, idoneo ad ingenerare nel pubblico l’illegittima percezione della loro provenienza dalla casa di moda francese[11].

La vicenda è ancora pendente, ma dal preliminare pronunciamento della Corte pare potersi intravedere anche oltreoceano la tendenza a tutelare in maniera rafforzata i titolari di diritti di privativa industriale, a fronte del dilagante fenomeno degli NFT.

  1. Gli interrogativi giuridici sollevati in materia di proprietà intellettuale

Si è visto come gli NFT rappresentino un fenomeno recente, rispetto al quale manca allo stato un quadro giuridico di riferimento.

Se negli USA alcune pronunce hanno iniziato ad esplorare il tema, in Italia non si hanno ancora decisioni, fatta eccezione per la commentata ordinanza del Tribunale di Roma, che rappresenta certamente un importante punto di partenza in materia.

Occorre pertanto interrogarsi sugli strumenti che il diritto offre per tutelare i soggetti coinvolti dall’emissione dei Non-Fungible Tokens, in particolare laddove tali strumenti minaccino di ledere i loro diritti di proprietà intellettuale.

Il primo interrogativo da cui partire, peraltro risolto dall’ordinanza del luglio 2022, si pone rispetto alla tutela del marchio registrato.

Ebbene, si è visto che non vi è nessun ostacolo rispetto alla tutela del marchio, laddove lo stesso sia violato dalla creazione di un NFT che ne faccia indebitamente uso.

Il problema – anch’esso in realtà risolto dall’ordinanza – si pone semmai soltanto laddove tale marchio non copra le classi relative a prodotti e servizi digitali.

Come osservato da alcuni commentatori[12], si nota come per superare tale ostacolo, sempre più marchi vengano depositati estendendo la registrazione del marchio anche a tali categorie di beni o servizi, per esempio, ai file multimediali suscettibili di download ricompresi nella Classe 9[13].

Si è già visto come peraltro il problema assuma una portata più limitata laddove si tratti di marchi dotati di rinomanza, rispetto ai quali viene assicurata una più ampia tutela, venendo gli stessi protetti anche nei casi in cui il marchio non sia stato registrato per prodotti identici o affini (art. 20, c. 1, lett. c), c.p.i.).

Un secondo profilo rispetto al quale la creazione di NFT è suscettibile di creare conflitti, si ha rispetto al diritto d’autore.

Si è visto come non di rado gli NFT siano connessi a opere dell’ingegno umano (opere d’arte, immagini, video, musica); si realizza pertanto un conflitto nei casi in cui l’autore dell’NFT non sia altresì il creatore del prodotto sottostante, il cui diritto d’autore viene di conseguenza leso dalla creazione della copia digitale della propria opera d’ingegno.

Non vi è infatti dubbio che nei casi in cui la creazione di un NFT abbia quale necessario presupposto l’opera di un diverso autore, essa equivalga ad una forma di riproduzione della stessa, che come tale rientra tra i diritti esclusivi dell’autore[14].

Infine, connessa al tema della responsabilità degli autori di NFT per violazione dei diritti di proprietà intellettuale altrui, un’ultima considerazione merita la possibilità di chiamare a rispondere le stesse piattaforme attraverso le quali gli NFT vengono creati e commercializzati.

Tale considerazione risulta ancor più significativa alla luce della recente approvazione da parte del Parlamento Europeo del Digital Services Act[15], che, tra gli altri obiettivi, stabilisce nuovi standard in materia di responsabilità delle piattaforme online per quanto riguarda contenuti illegali o dannosi.

In particolare, le piattaforme tramite le quali vengono creati e commercializzati NFT, paiono riconducibili a piattaforme di hosting, rispetto alle quali il nuovo DSA prevede un obbligo di rimozione dei contenuti illegali (ad esempio degli NFT coniati in violazione del diritto d’autore), non appena la piattaforma ne venga a conoscenza mediante indagini volontarie o notifiche sufficientemente precise ricevute da persone o enti, tali da consentire ad un operatore economico diligente di individuare e contrastare efficacemente i presunti contenuti illegali (cd. notice and take down).

A fronte di siffatta condotta, il DSA prevede l’esonero di responsabilità della piattaforma di hosting; è possibile dunque affermare a contrario la responsabilità della piattaforma nel caso in cui tale condotta non venga invece realizzata.

Ai sensi del successivo par. 24 resta in ogni caso fermo che le esenzioni di responsabilità lasciano impregiudicate i provvedimenti inibitori emanati da autorità giurisdizionali o amministrative volte a porre fine alle violazioni contestate, anche mediante rimozione dei contenuti illegali o disabilitazione dell’accesso a tali contenuti.

Nel caso degli NFT, il contenuto non può essere materialmente cancellato dalla rete blockchain, quanto piuttosto inviato ad un indirizzo della stessa che funge da “buco nero” per i certificati digitali di cui ci si voglia liberare[16].

In conclusione, dalle riflessioni svolte sembra potersi ricavare che la novità della tecnologia impiegata rispetto agli NFT non mette in discussione i meccanismi di tutela approntati dal diritto industriale e della proprietà intellettuale.

Il fenomeno degli NFT consente di riflettere su come il progresso digitale venga letto e governato dalla lente del diritto che, sebbene con difficoltà, cerca di rimanere al passo con i tempi, adeguandosi al fine di proporre rimedi adatti a governare una realtà sempre più complessa e foriera di nuove sfide.

[1] É noto come la tutela dei marchi registrati risulti particolarmente rafforzata, data la specifica disciplina del marchio dotato di rinomanza ai sensi degli artt. 12, c. 1, lett. e) e 20, c. 1, lett. c). Si tratta, in particolare, di una tutela che talvolta prescinde da una confondibilità in concreto basandosi, invece, su un accertamento, per così dire, “virtuale”, ossia fondato su una presunzione di confondibilità, come accade ad esempio quando segni identici al marchio registrato vengano apposti su prodotti identici.

Si veda sul punto A. Vanzetti – V. Di Cataldo – Manuale di diritto industriale, Milano, 2021, 240-242.

[2] La Classificazione Internazionale di Nizza prevede 34 classi di prodotti ed 11 classi di servizi, per un totale di 45 classi di prodotti e servizi. Ogni classe contiene, al suo interno, decine di prodotti e servizi.

[3] Tale approccio è conforme a quanto suggerito dall’Ufficio europeo (EUIPO) che, in data 23 giugno 2022, ha comunicato che i beni virtuali rientrano nella classe 9 poiché sono trattati come contenuti digitali o immagini.

[4]  La tutela del marchio vede un’area di parziale sovrapposizione al divieto di concorrenza sleale confusoria di cui all’art. 2598, n. 1, c.c., ai sensi del quale «ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente».

[5] Per maggiori approfondimenti si veda C. Trevisi – R. Moro Visconti – A. Cesaretti, Non-Fungible Tokens (NFT): business models, legal aspects, and market valuation, in questa Rivista, 1, 2022, 332 ss.

[6] Da questo punto di vista è possibile individuare in via generale due tipologie di token: a) l’LRC721, il token maggiormente utilizzato, è in grado di garantire l’unicità del bene o servizio compravenduto, assicurando al suo titolare la proprietà esclusiva del bene o del servizio acquistato. In tal senso, il proprietario esclusivo potrà invocare rispetto al bene acquistato tutte le forme di tutela da cui è assistita normalmente un’opera d’arte, garantendosi innanzitutto il diritto alla non riproducibilità dell’opera da parte di terzi. In questo caso ad un token viene associato un contratto, avente ad oggetto l’opera d’arte; b) l’altra tipologia di token utilizzabile è quello LRC 1155, che, al contrario del primo, associa un token a diversi contratti, in modo tale che l’opera risulta oggetto di diversi diritti di comproprietà, in una situazione analoga a quella che si avrebbe rispetto ad un’opera d’arte riprodotta in serie ma a tiratura limitata. É quanto accaduto, ad esempio, per l’opera di Andy Warhol “14 small electric chairs” del 1980, commercializzata sulla piattaforma Maecenas nel 2018 e associata a diversi token. Così P. Liberanome, Criptoarte e nuove sfide alla tutela dei diritti autorali, in I Contratti, 1, 2022, 93.

[7] Per una descrizione tecnica del meccanismo di funzionamento della blockchain si veda What is blockchain technology?, in ibm.com.

[8] Per l’analisi del caso in esame si rimanda a casetext.com. La vicenda vede contrapporsi la nota casa di produzione Miramax al regista Quentin Tarantino. La prima sostiene che i diritti riservati del regista in relazione al film “Pulp Fiction” non sarebbero tali da giustificare la creazione e commercializzazione, da parte del regista, di NFT riproducenti bozze inedite della sceneggiatura originale del film, rispetto alla quale sarebbe la Miramax, nella sua prospettazione, a detenere i relativi diritti.

[9] Si veda sul punto stockx.com/lp/nfts/ in cui tale concetto è espresso indicando che «Each Vault NFT is tied to a physical product (as depicted on the NFT), which is stored in our brand new, climate-controlled, high-security vault».

[10] Per una precisa descrizione dei fatti di causa si veda castext.com.

[11] Per il contenuto della decisione si veda images.law.com.

[12] M. Tavella, Il parere del professionista – La creazione di un NFT in violazione di diritti di proprietà intellettuale altrui in Il diritto industriale, 4, 2022, 394.

[13] Nella già citata comunicazione EUIPO del giugno 2022 si legge infatti che gli NFT, in quanto classificabili come “merci virtuali” sono ricompresi nella Classe 9, ferma restando la necessità di doverne meglio specificarne il contenuto all’atto della registrazione: «The Office is increasingly receiving applications containing terms relating to virtual goods and non-fungible tokens (NFTs). This is the approach that the Office is taking for classification purposes. Virtual goods are proper to Class 9 because they are treated as digital content or images. However, the term virtual goods on its own lacks clarity and precision so must be further specified by stating the content to which the virtual goods relate (e.g. downloadable virtual goods, namely, virtual clothing). The 12th Edition of the Nice Classification will incorporate the term downloadable digital files authenticated by non-fungible tokens in Class 9. NFTs are treated as unique digital certificates registered in a blockchain, which authenticate digital items but are distinct from those digital items. For the Office, the term non fungible tokens on its own is not acceptable. The type of digital item authenticated by the NFT must be specified. Services relating to virtual goods and NFTs will be classified in line with the established principles of classification for service».

[14] É quanto si evince dal combinato disposto degli artt. 12 e 13, l. 633/1941 sulla protezione del diritto d’autore. Ai sensi dell’art. 12 infatti «l’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera. Ha altresì il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo originale, o derivato, nei limiti fissati da questa legge, ed in particolare con l’esercizio dei diritti esclusivi indicati negli articoli seguenti (…)». Nell’elencazione di tali diritti, l’art. 13 dispone che: «Il diritto esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l’incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione».

[15] Si veda il regolamento (UE) 2022/2065 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un mercato unico dei servizi digitali (legge sui servizi digitali) e che modifica la direttiva 2000/31/CE, par. 22.

[16] Per una guida pratica sul punto si rimanda a How do I delete or burn my NFTs?, in docs.mintable.app.

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