La sentenza n. 170 del 2023: la Corte costituzionale chiarisce il perimetro della nozione di corrispondenza e torna sull’interpretazione della legge n. 140 del 2003

Corte costituzionale, 27 luglio 2023, n. 170

Analogamente all’art. 15 Cost., quanto alla corrispondenza della generalità dei cittadini, anche, e a maggior ragione, l’art. 68, c. 3, Cost. tutela la corrispondenza dei membri del Parlamento – ivi compresa quella elettronica – anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”.

 

Sommario: 1. Introduzione: il caso oggetto del conflitto di attribuzione sollevato dal Senato. – 2. Le nozioni di corrispondenza a confronto: le tesi del Senato e della Procura. – 2.1. La soluzione offerta dalla Corte costituzionale: le comunicazioni di natura elettronica, purché riservate, costituiscono “corrispondenza” a tutti gli effetti. – 2.2. … e sono “corrispondenza” anche (e soprattutto) qualora recapitate e conservate sul dispositivo del destinatario. – 2.3. La precisazione relativa alla natura del conto corrente bancario. – 3. L’interpretazione offerta in merito allo schema procedurale applicabile ai sensi della l. 140/2003 nelle ipotesi di sequestro di corrispondenza. – 4. Conclusioni.

 

  1. Introduzione: il caso oggetto del conflitto di attribuzione sollevato dal Senato

Con la sentenza n. 170 del 2023 la Corte costituzionale ha deciso il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Senato della Repubblica nei confronti della Procura della Repubblica di Firenze, a seguito dell’acquisizione da parte di quest’ultima di plurime comunicazioni del senatore Matteo Renzi nell’ambito di un procedimento penale a suo carico[1].

Oggetto dell’indagine era, nello specifico, il sostegno economico prestato dalla Fondazione Open all’attività politica del senatore Renzi (e della relativa corrente del Partito democratico), che, ad avviso degli inquirenti, avrebbe configurato un’ipotesi di finanziamento illecito. All’esito dell’attività investigativa la Procura aveva sottoposto a sequestro probatorio i telefoni cellulari di due degli indagati, Vittorio Ugo Manes e Marco Carrai, nella cui memoria erano conservati una serie di messaggi intercorsi con il senatore Renzi sia a mezzo WhatsApp (nei giorni 3-4 giugno 2018 e dal 12 agosto 2018 al 15 ottobre 2019) che per posta elettronica (dal 1° agosto 2018 al 10 agosto 2018). Contestualmente gli inquirenti avevano sequestrato l’estratto del conto corrente bancario del senatore riferito al periodo dal 14 giugno 2018 al 13 marzo 2020.

Con delibera assunta alla seduta del 22 febbraio 2022[2], il Senato aveva sollevato ricorso per conflitto tra poteri dello Stato, assumendo che la Procura avesse leso le proprie attribuzioni costituzionali, avendo acquisito la corrispondenza di un membro del Parlamento in assenza della necessaria autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza, richiesta dall’art. 68, c. 3, Cost.

La Corte costituzionale, nell’accogliere il ricorso – fatta eccezione, come si vedrà oltre (par. n. 2.3), per la sola ipotesi dell’acquisizione dell’estratto del conto corrente del senatore – segna un precedente di indubbio rilievo, destinato ad avere riflessi ben al di là dei confini del caso da cui era originato il conflitto[3].

La motivazione si può dividere in due parti fondamentali.

Nella prima (nn. 4-4.1-4.2-4.3-4.4-4.5 del Considerato in diritto) il Giudice delle Leggi risolve la questione di fondo all’origine del ricorso, chiarendo il perimetro della nozione di corrispondenza ed estendendola alle comunicazioni di natura telematica, anche qualora queste siano già state recapitate e siano conservate nella memoria del dispositivo del destinatario. Trattasi di una presa di posizione che, smentendo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, travalica il tema dei confini della tutela delle comunicazioni dei parlamentari ed è preordinata a dispiegare i suoi effetti a garanzia della generalità dei consociati, consentendo l’applicazione delle guarentigie costituzionali in materia di corrispondenza ai mezzi di comunicazione oggi più diffusi, ossia i messaggi WhatsApp e la posta elettronica (nonché, più in generale, le diverse forme di comunicazione elettronica).

Nella seconda (nn. 5-5.1-5.2 del Considerato in Diritto) la Corte chiarisce, invece, una questione interpretativa particolarmente complessa, data anche l’assenza di precedenti in materia, relativa al modulo procedurale applicabile alle ipotesi di sequestro di corrispondenza di un parlamentare ai sensi dell’art. 68, c. 3, Cost. e della l. 140/2003, con particolare riferimento al caso in cui a essere posto sotto sequestro sia il dispositivo di un terzo. Come si vedrà, la soluzione offerta, discostandosi dalla tradizionale distinzione tra attività investigativa diretta/mirata, da una parte, e casuale, dall’altra, elaborata dalla Corte con riferimento alle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni e all’acquisizione dei tabulati telefonici[4], apre una serie di spunti di riflessione di sicuro interesse.

 

  1. Le nozioni di corrispondenza a confronto: le tesi del Senato e della Procura

La questione di fondo su cui la Corte costituzionale era stata chiamata a interrogarsi concerneva, come anticipato, il perimetro applicativo della nozione di corrispondenza ai sensi degli artt. 15 e 68, c. 3, Cost. Si trattava di una questione di particolare delicatezza, stante l’assenza, da un lato, di precedenti inerenti l’interpretazione dell’art. 15 Cost. che avessero avuto ad oggetto specificamente comunicazioni di carattere telematico (che, per ovvie ragioni storiche, la Costituzione non prende direttamente in considerazione), e, dall’altro, per il fatto che la pur copiosa giurisprudenza costituzionale sull’art. 68, c. 3, Cost. mai aveva avuto prima ad oggetto ipotesi di sequestro di corrispondenza (nemmeno epistolare) di parlamentari, ma esclusivamente casi di intercettazioni di natura telefonica oppure di acquisizione di tabulati telefonici.

Preliminarmente, si ritiene allora utile precisare quali siano, ad avviso della dottrina maggioritaria[5], i caratteri tipici della nozione di corrispondenza, identificabili nella segretezza, nell’inter-subiettività e nell’attualità della comunicazione. Una sintetica ricostruzione al riguardo è, infatti, necessaria, stante il fatto che la (condivisibile) soluzione cui approda la Corte costituzionale si fonda proprio su una rilettura di tali requisiti – e di quello dell’attualità in particolare – originariamente formulati con riferimento alla corrispondenza epistolare.

Quanto al primo carattere, quello della segretezza, la dottrina concorda sul fatto che sussista uno stretto legame tra segretezza e libertà della corrispondenza[6]. Secondo un orientamento, l’art. 15 Cost. tutelerebbe, infatti, «una sola situazione giuridica soggettiva: la libertà delle comunicazioni materialmente assoggettabili e concretamente assoggettate a vincolo di segretezza»[7], cessando, quindi, di operare automaticamente alla presa visione da parte del destinatario. Secondo altro filone, pur sussistendo un chiaro legame, “libertà” e “segretezza” costituirebbero due distinte situazioni soggettive. Si dovrebbe quindi derivare la conclusione che, quand’anche il mittente abbia scelto uno strumento di comunicazione “aperto”, la garanzia costituzionale possa tornare a dispiegarsi dal momento della ricezione da parte del destinatario della comunicazione, qualora quest’ultimo abbia interesse a mantenerne riservato il contenuto[8].

Con “inter-subiettività” si intende, invece, la necessità che un messaggio sia destinato ad uno o più soggetti determinati. Secondo l’orientamento prevalente, a tal fine, sarebbe decisivo l’animus del mittente e, invece, irrilevante sia il contenuto trasmesso, sia la forma adoperata, sia, infine, lo strumento di trasmissione[9]; ad avviso di una tesi più restrittiva, al contrario, la tutela offerta dalla disposizione costituzionale in oggetto riguarderebbe le sole comunicazioni di pensiero generalmente riconoscibili come tali[10].

Decisivo, infine, il terzo requisito, il più controverso, ossia l’attualità della comunicazione, che cessa di essere tale quando, per il decorso del tempo, ne viene meno il carattere privato e personale ed il suo oggetto acquista un mero valore retrospettivo, affettivo, collezionistico, storico, artistico, scientifico o probativo. Secondo una tesi più “estensiva”, siffatto momento potrebbe essere anche successivo all’apertura della missiva da parte del destinatario e la sua individuazione richiederebbe, pertanto, un’indagine volta a tenere conto, caso per caso, del valore della comunicazione e dell’intenzione di mittente e destinatario di considerarla ancora attuale[11]; secondo un diverso orientamento, invece, l’attualità verrebbe meno automaticamente nel momento in cui il messaggio sia stato recapitato e visionato dal destinatario[12].

In questa complessa cornice teorica si inserisce il caso sottoposto all’attenzione della Corte costituzionale.

Ad avviso del Senato la nozione di corrispondenza si presterebbe a includere non solo la tradizionale corrispondenza epistolare cartacea, ma anche quella di carattere telematico. Quest’ultima sarebbe, infatti, assistita dalle medesime garanzie di segretezza, di cui si diceva poc’anzi, assicurate in particolare da credenziali di accesso riservate e dalla disponibilità esclusiva, in capo ai corrispondenti, dei dispositivi elettronici utilizzati per lo scambio dei messaggi. In secondo luogo, anche con riferimento alle comunicazioni telematiche sussisterebbe il requisito dell’attualità, che si estenderebbe ai messaggi recapitati e conservati sulla memoria del destinatario, elemento questo di particolare importanza dato che, in tali forme di comunicazione, per ragioni tecniche, all’invio segue immediatamente il recapito. Questione, tuttavia, tutt’altro che di agevole soluzione. Un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità[13], richiamato non a caso dalla Procura a fondamento delle proprie difese, era, infatti, costante nell’affermare che i messaggi come SMS, WhatsApp o e-mail, cesserebbero di essere “corrispondenza” una volta recapitati sul dispositivo del destinatario, ma dovrebbero essere, al contrario, considerati come meri “documenti”, sicché sarebbe legittima la loro libera acquisizione nel procedimento mediante riproduzione fotografica ai sensi dell’art. 234 c.p.p., non trovando applicazione né le garanzie previste per le intercettazioni ex art. 266 ss. c.p.p., né quelle relative al sequestro di corrispondenza di cui all’art. 254 c.p.p. In altri termini, ad avviso della Procura, le guarentigie di cui agli artt. 15 e 68, c. 3, Cost. si interromperebbero per effetto del mero recapito del messaggio, non estendendosi alla “dimensione statica” della comunicazione.

Un discorso a parte merita la qualificazione dell’estratto del conto corrente bancario del senatore acquisito dagli inquirenti. Ad avviso del Senato sarebbe, infatti, inequivocabile la sussunzione sotto la nozione di corrispondenza dell’estratto conto, che altro non sarebbe che una comunicazione che la banca invia al cliente contenente dati riservati, quali le operazioni di dare e di avere compiute in un determinato periodo, con indicazione dei destinatari e delle causali. Opposta la tesi della Procura, secondo la quale, invece, si tratterebbe di un documento che non nasce per essere trasmesso, pur potendolo essere, ma che ha la funzione di riepilogo di operazioni dispositive in entrata o in uscita. A ragionare diversamente, ad avviso della resistente, si dovrebbe, difatti, pervenire alla paradossale conclusione che l’acquisizione di qualsiasi scritto, semplicemente perché inserito all’interno di un plico, resterebbe sottoposta alle regole sul sequestro di corrispondenza anche una volta conclusa la spedizione.

 

2.1. La soluzione offerta dalla Corte costituzionale: le comunicazioni di natura elettronica, purché riservate, costituiscono “corrispondenza” a tutti gli effetti 

La Corte costituzionale, con motivazione ampia, approfondita e pienamente condivisibile[14], sposando la tesi del Senato, qualifica come corrispondenza i messaggi WhatsApp e di posta elettronica anche (e soprattutto) nella loro dimensione prettamente “statica”. Si tratta di una presa di posizione importante e non scontata, anche in considerazione del fatto che, come si è visto poc’anzi retro (par. n. 2), la giurisprudenza di legittimità militava in senso diametralmente opposto.

La prima pietra su cui si regge il ragionamento del giudice costituzionale concerne una distinzione preliminare e fondamentale, ossia quella tra intercettazione di conversazioni o comunicazioni, da una parte, e sequestro di corrispondenza, dall’altra. In dottrina, come in giurisprudenza, erano state, infatti, formulate diverse tesi al riguardo[15]. Il Giudice delle Leggi, rigettando le posizioni sia del Senato che della Procura – che avevano sostenuto che si sarebbe in presenza di un’intercettazione solo nel caso di una comunicazione orale e, invece, di un sequestro di corrispondenza in caso di acquisizione di una comunicazione scritta – ritiene che la linea di confine tra le due nozioni si trovi altrove. In particolare, affinché si possa parlare di intercettazione occorre, ad avviso della Corte, che siano verificate due condizioni: anzitutto, che la comunicazione sia in corso di svolgimento e, quindi, captata nel suo momento “dinamico”; al contrario, in caso di acquisizione del supporto fisico che reca memoria di una comunicazione già avvenuta – dunque, nel suo momento “statico” – si rientra nel sequestro di corrispondenza; in secondo luogo, perché si tratti di intercettazione è necessaria l’apprensione del messaggio comunicativo in modo occulto, ossia all’insaputa dei soggetti tra i quali la comunicazione intercorre[16].

Trattasi di una soluzione condivisibile, in coerenza peraltro con alcuni importanti approdi della giurisprudenza di legittimità, che forse avrebbero potuto essere maggiormente valorizzati nel corpo della motivazione[17]. Conseguenza pratica di tale impostazione, che rifugge quindi la schematica distinzione tra comunicazione orale e scritta, è che, in caso di flusso di comunicazioni telematiche in corso (per esempio e-mail o fax) si potrà procedere ad intercettazione (per quanto si tratti di messaggi scritti)[18], nell’ipotesi, invece, di un messaggio audio via WhatsApp si rientrerà nel perimetro della nozione di corrispondenza (per quanto la comunicazione sia orale).

Ad ogni modo, appare chiaro il motivo per il quale il Giudice delle Leggi affronta tale profilo in via preliminare. La distinzione tra intercettazione di conversazioni e sequestro di corrispondenza è infatti fondamentale ai fini della risoluzione del conflitto, dal momento che, per quanto l’art. 68, c. 3, Cost. richieda genericamente, in entrambe le ipotesi, l’autorizzazione della Camera di appartenenza, ad essere differente (come si avrà modo di illustrare infra, par. n. 3) è il modulo procedurale applicabile alle due fattispecie ai sensi della l. 140/2003, specie nel caso in in cui ad essere posto sotto sequestro è il dispositivo di terze persone e non direttamente quello del parlamentare.

Tanto premesso, nel caso oggetto del conflitto, non si rientrava chiaramente nell’ipotesi di un’intercettazione, dal momento che l’acquisizione delle comunicazioni del senatore Renzi era avvenuta da parte degli inquirenti a conversazioni concluse e in modo palese.

Chiariti i confini tra le due nozioni, la Corte può così entrare ad affrontare il cuore della questione giuridica sottopostale, sposando la tesi sostenuta dalla difesa del Senato e arricchendola di ulteriori argomentazioni. La motivazione si struttura in due parti fondamentali.

Nella prima (n. 4.2 del Considerato in diritto) il giudice costituzionale chiarisce come, nonostante i messaggi WhatsApp e le e-mail non siano espressamente qualificati dall’ordinamento come corrispondenza, più indici depongano, senza dubbio, in tale direzione. Nella seconda (nn. 4.3-4.4 del Considerato in diritto) precisa che la nozione di corrispondenza si estende anche alle comunicazioni elettroniche nella loro dimensione statica, ossia qualora il messaggio sia stato già recapitato e risulti conservato nella memoria del dispositivo del destinatario.

Muovendo dalla prima parte della motivazione, la Corte rileva a sostegno dell’assimilazione delle comunicazioni di natura telematica alla nozione di corrispondenza quanto segue.

Preliminarmente, ricorda che la nozione di corrispondenza ex art. 15 Cost.  è, tradizionalmente, stata intesa in senso piuttosto ampio ad abbracciare «ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate»[19], che non siano in presenza.

In secondo luogo, osserva che tale qualificazione prescinde dalle caratteristiche tecniche del mezzo tecnico utilizzato ai fini del pensiero. È questo uno dei passaggi sicuramente più significativi della pronuncia. La Corte richiama, infatti, importanti precedenti, coi quali aveva fornito un’interpretazione estensiva delle guarentigie costituzionali in commento. Tra le pronunce evocate spiccano la sentenza n. 1030 del 1988, nella quale, con riferimento agli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, la Corte aveva osservato che «si tratta di strumenti tipicamente preordinati a realizzare comunicazioni interpersonali e non a diffondere messaggi alla generalità (…). Il favor legislativo è, d’altra parte, coerente con la tendenziale espansione delle possibilità di comunicazione implicita nella garanzia costituzionale di cui all’art. 15»[20]; la sentenza n. 81 del 1993, ove la Corte, in un momento in cui internet non era ancora diffuso, aveva affermato che «il riconoscimento e la garanzia costituzionale della libertà e della segretezza della comunicazione comportano l’assicurazione che il soggetto titolare del corrispondente diritto possa liberamente scegliere il mezzo di corrispondenza, anche in rapporto ai diversi requisiti di riservatezza che questo assicura sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello giuridico»[21]; più recenti, sono invece, la sentenza n. 20 del 2017, nella quale il Giudice delle Leggi chiariva che «il diritto di cui all’art. 15 Cost. comprende tanto la «corrispondenza» quanto le «altre forme di comunicazione», incluse quelle «telefoniche, elettroniche, informatiche, tra presenti o effettuate con gli altri mezzi resi disponibili dallo sviluppo della tecnologia»[22] e, da ultimo, la sentenza n. 2 del 2023, ove si valorizzava la circostanza che l’art. 15 Cost. aprisse «il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata»[23]. Alla luce di tali precedenti, la Corte non può che concludere che «posta elettronica e messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi»[24].

La segretezza della comunicazione (retro par. n. 2) torna qui in rilievo. Se, infatti, irrilevanti sono le caratteristiche tecniche del mezzo prescelto per le ragioni anzidette, determinante, affinché si possa parlare di corrispondenza, è, invece, che la comunicazione tra mittente e destinatario sia riservata. Tale segretezza è garantita, per la corrispondenza epistolare-cartacea, dalla chiusura in una busta del testo scritto e, per quella elettronica, dalla visibilità esclusiva del messaggio da parte dei soggetti legittimati ad avere accesso al sistema informatico (tramite, ad esempio, Pin o password). Sul punto, con riferimento specifico proprio alla posta elettronica, si era già espressa la giurisprudenza di legittimità, rilevando che «tale corrispondenza può essere qualificata come “chiusa” solo nei confronti dei soggetti che non siano legittimati all’accesso ai sistemi informatici di invio o di ricezione dei singoli messaggi»[25].

Chiarito, quindi, il perimetro applicativo dell’art. 15 Cost., la Corte cala la riflessione sull’art. 68, c. 3, Cost. dal momento che quest’ultima era la disposizione costituzionale che veniva in rilievo nel conflitto. Sotto questo punto di vista occorreva in particolare chiarire se la mancanza di un riferimento al concetto di ogni “altra forma di comunicazione” oltre a quello di “corrispondenza” – presente all’art. 15 Cost. e assente, invece, all’art. 68, c. 3, Cost. – potesse escludere le comunicazioni elettroniche dalla guarentigia parlamentare[26]. In realtà, tale asimmetria non poneva particolari criticità.  Difatti, per quanto la portata dell’art. 68, c. 3, Cost. sembri a prima vista essere più ristretta, già solo il concetto di “corrispondenza” è sufficientemente esteso da ricomprendere i messaggi WhatsApp e le e-mail, proprio in quanto essi consistono nello scambio di un pensiero in modalità riservata tra soggetti determinati.

Di ciò si mostra consapevole la Corte costituzionale, che supera il problema della supposta diversa portata applicativa delle due disposizioni costituzionali. Sul punto, il primo argomento a sostegno della riconducibilità delle comunicazioni telematiche alla nozione di corrispondenza ex art. 68, c. 3, Cost. è, in realtà, più di fatto che non giuridico. Rileva, infatti, il giudice costituzionale che, a ragionare diversamente, si svuoterebbe la guarentigia costituzionale posta a tutela dei parlamentari, che continuerebbe ad operare solo formalmente, in quanto limitata ad ipotesi assolutamente minoritarie e residuali (data la marginalità della corrispondenza cartacea nella pratica). Al riguardo, proprio per dimostrare la centralità dei mezzi di comunicazione di natura elettronica nella contemporanea realtà digitale, si sarebbe, forse, potuta valorizzare maggiormente la recente sentenza n. 2 del 2023, con cui la Corte, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, c. 4, del d.lgs. 159/2011, nella parte in cui includeva i telefoni cellulari tra gli apparati di comunicazione radiotrasmittente di cui il questore può vietare, in tutto o in parte, il possesso o l’utilizzo, per violazione proprio dell’art. 15 Cost., al punto n. 9 del Considerato in Diritto aveva osservato acutamente che «è difficile pensare che il divieto di possesso e uso di un telefono mobile – considerata l’universale diffusione attuale di questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa, familiare e personale – non si traduca in un limite alla libertà di comunicare […]. Da questo punto di vista, il telefono cellulare ha assunto un ruolo non paragonabile a quello degli altri strumenti evocati dai rimettenti. Rivelerebbe, inoltre, un senso d’irrealtà l’obiezione per cui la libertà di comunicare, privata del telefono mobile, ben potrebbe ancora oggi essere soddisfatta attraverso mezzi diversi, come gli apparati di telefonia fissa»[27].

E, verosimilmente, proprio in quanto consapevole del rischio che una motivazione fondata sulla mera rilevanza “pratica” dei messaggi WhatsApp e della posta elettronica potesse risultare debole, la Corte tenta di rafforzarla con due ulteriori argomentazioni, entrambe pienamente condivisibili.

Anzitutto, osserva come soccorre nella direzione considerata la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale non ha avuto incertezze nel ricondurre le forme di comunicazione telematica sotto il cono di protezione dell’art. 8 CEDU (ove si fa, peraltro, riferimento alla corrispondenza tout court alla stregua dell’art. 68 Cost.) La Corte cita qui una serie di precedenti, ove erano venuti in rilievo proprio i messaggi di posta elettronica[28], gli SMS[29] e la messaggistica istantanea inviata e ricevuta tramite internet[30], su cui più diffusamente, infra, par. n. 2.2.

In secondo luogo, a sostegno dell’assimilazione delle comunicazioni di natura elettronica alla nozione di corrispondenza di cui all’art. 68, c. 3, Cost., il Giudice delle Leggi adduce un’ulteriore motivazione, ricordando che, a livello di legislazione ordinaria, il quarto comma dell’art. 616 c.p., come sostituito dall’art. 5 della l. 547/1993, già da tempo include espressamente nella nozione di «corrispondenza» – agli effetti delle disposizioni che contemplano i delitti contro l’inviolabilità dei segreti – oltre a quella epistolare, telegrafica e telefonica, anche quella «informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza». La disposizione in parola fornisce, pertanto, un ulteriore argomento utile a sostegno della tesi secondo cui, sin dal 1993, l’ordinamento accoglierebbe una nozione piuttosto lata di corrispondenza: e tra le comunicazioni telematiche, cui fa riferimento il testo di legge, possono essere certamente ricompresi sia i servizi di messaggistica istantanea, che la posta elettronica.

In definitiva, da tutto quanto precede, la Corte giunge alla conclusione secondo cui, a patto che il testo sia inoltrato a una o più persone determinate in modalità riservata (ossia sussista quel carattere di inter-subiettività e segretezza di cui si diceva retro al par. n. 2), anche i messaggi WhatsApp e le e-mail sono da considerarsi a tutti gli effetti “corrispondenza” ai sensi sia dell’art. 15 Cost. che dell’art. 68, c. 3, Cost.

 

2.2. … e sono “corrispondenza” anche (e soprattutto) qualora recapitate e conservate sul dispositivo del destinatario

Dopo aver chiarito che la nozione di corrispondenza si estende anche a comunicazioni di natura elettronica, pur in assenza di un riferimento espresso in tal senso in Costituzione, la Corte costituzionale doveva esaminare un ulteriore e più controverso profilo, ossia la possibilità di estendere tale nozione (e conseguentemente la protezione offerta dagli artt. 15 e 68, c. 3, Cost.) alla “dimensione statica” della comunicazione, ossia al messaggio già recapitato e conservato sul dispositivo del destinatario.

Nel dare risposta affermativa a tale interrogativo (nn. 4.3-4.4 del Considerato in Diritto), la Corte risolve un’annosa questione, che, come si è anticipato retro al par. n. 2, aveva diviso dottrina e giurisprudenza in merito all’interpretazione del requisito dell’attualità della comunicazione.

La Corte costituzionale sposa l’orientamento, su cui aveva fatto leva la difesa del Senato (sempre retro par. n. 2), secondo cui la tutela di cui alle disposizioni costituzionali in parola – iniziata nel momento in cui l’espressione del pensiero è affidata ad un mezzo idoneo a trasmetterlo, rendendo così fattivo l’intento di comunicarlo ad altri – non si esaurirebbe automaticamente con la ricezione del messaggio e la presa di cognizione del suo contenuto da parte del destinatario, ma permarrebbe finché la comunicazione conservi carattere di attualità e interesse per i corrispondenti, venendo meno solo quando il decorso del tempo o altra causa abbia trasformato il messaggio in un documento “storico”, cui attribuire un valore retrospettivo, affettivo, collezionistico, artistico, scientifico o probatorio. Così facendo, la Corte smentisce il pur consolidato orientamento della Corte di cassazione, che aveva statuito che i messaggi di posta elettronica, SMS e WhatsApp, già ricevuti e memorizzati nel computer o nel telefono cellulare del mittente o del destinatario, sarebbero stati da considerare come semplici «documenti» ai sensi dell’art. 234 c.p.p.[31].

Nella motivazione della Corte, la prima ragione per la quale l’orientamento della giurisprudenza di legittimità non può essere condiviso è, infatti, di ordine logico[32]. Se la ratio della disposizione costituzionale non è quella di prefigurare un privilegio del singolo parlamentare in quanto tale[33], ma una prerogativa «strumentale […] alla salvaguardia delle funzioni parlamentari, volendosi impedire che intercettazioni e sequestri di corrispondenza possano essere indebitamente finalizzat[i]ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività»[34], limitarla alle sole comunicazioni in corso di svolgimento e non già concluse significherebbe, secondo la Corte, darne una interpretazione così restrittiva da limitare significativamente la suddetta tutela costituzionale ai casi, ormai rari, di corrispondenza cartacea e addirittura annullarla per i servizi di messaggistica istantanea e le mail, in cui all’invio segue immediatamente la ricezione[35]. Osserva in proposito, correttamente, il giudice costituzionale che «condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione del mandato parlamentare possono bene derivare, infatti, anche dalla presa di conoscenza dei contenuti di messaggi già pervenuti al destinatario»[36]. Peraltro, l’interpretazione proposta dalla giurisprudenza di legittimità e ripresa dalla Procura esporrebbe al rischio di un’elusione del dettato costituzionale da parte degli organi inquirenti, i quali anziché captare le comunicazioni nel momento in cui si svolgono, ne attenderebbero la conclusione (che nel caso dei messaggi elettronici è, come detto, pressoché coeva), per poi acquisire il dispositivo in cui vi è traccia del contenuto.

A ciò si aggiunga un profilo, su cui la Corte non era chiamata a pronunciarsi in quanto non oggetto del conflitto, ma che merita comunque una riflessione. Una lettura eccessivamente restrittiva della nozione di corrispondenza avrebbe minacciato la riservatezza delle comunicazioni anche della generalità dei cittadini, una volta che queste fossero state recapitate, consentendo «all’autorità di pubblica sicurezza di poter facilmente eludere tale tutela, sequestrando i messaggi via mail, sms o WhatsApp in casi asseritamente eccezionali di necessità ed urgenza che invece l’art. 15 Cost., a differenza dei precedenti due articoli sulla libertà personale e di domicilio, non prevede per la libertà di comunicazione»[37].

A sostegno della tesi qui prospettata la Corte adduce una serie di ulteriori argomenti.

Anzitutto, rileva che, se la tutela di cui all’art. 15 Cost. e all’art. 68, c. 3, Cost. si estende anche ai dati esteriori delle comunicazioni in quanto essi stessi “fatti comunicativi”[38], non si vede come possano essere esclusi i messaggi WhatsApp e la posta elettronica dalla medesima copertura costituzionale. Nessuna differenza ontologica sussiste, infatti, tra una conversazione o una comunicazione e il documento che ne rivela i dati estrinseci quale il tabulato telefonico[39]. Anzi, come si era avuto già modo di osservare[40],  il sequestro dei messaggi di posta elettronica e WhatsApp ha una capacità intrusiva addirittura maggiore a quella dell’acquisizione dei tabulati, dal momento che non solo è possibile risalire ai dati identificativi estrinseci delle comunicazioni, ma anche al contenuto.

Inoltre, il Giudice delle Leggi richiama nuovamente la citata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che, non solo, come osservato retro al par. n. 2.1., aveva ricondotto sotto la nozione di corrispondenza le comunicazioni elettroniche, ma specificamente anche i messaggi già recapitati e conservati sul dispositivo del destinatario. Due le pronunce più significative al riguardo. La prima è quella relativa al caso Bărbulescu c. Romania, con la quale la Corte di Strasburgo, per la prima volta, incluse nel concetto di corrispondenza un servizio di messaggistica istantanea quale Yahoo Messenger. Si trattava di un software, sviluppato da Yahoo! a partire dal 1998 e in funzione sino al 2018, che consentiva lo scambio in tempo reale di brevi messaggi tra gli utenti, così configurandosi come uno dei precursori proprio di WhatsApp. Nell’accogliere il ricorso di un cittadino rumeno, che lamentava di essere stato licenziato dopo che il proprio datore di lavoro, accedendo alle comunicazioni private del ricorrente, aveva verificato che quest’ultimo aveva fatto ricorso al servizio di messaggistica dall’account della società per finalità esclusivamente personali, i giudici di Strasburgo affermavano che «il tipo di servizio di messaggeria istantanea mediante internet in questione è soltanto una delle forme di comunicazione che permettono alle persone di condurre una vita sociale privata. Allo stesso tempo, l’invio e la ricezione di comunicazioni sono compresi nella nozione di “corrispondenza”»[41]. La seconda decisione è la sentenza Saber c. Norvegia[42], con la quale la Corte EDU confermava che la tutela di cui all’art. 8 CEDU si estende alla corrispondenza “conservata” sul dispositivo del destinatario (in quel caso un telefono cellulare posto sotto sequestro).

Infine, la Corte costituzionale, a sostegno del fatto che i messaggi WhatsApp e di posta elettronica recapitati sono da considerarsi a tutti gli effetti corrispondenza, richiama quel filone della giurisprudenza di legittimità che aveva delineato i confini dei già richiamati artt. 616 e 617 c.p., rubricati rispettivamente “Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza” e “Cognizione, interruzione o impedimento di illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche”. Ad avviso di tale giurisprudenza «pur nell’ambito di una non nitida sistematica quale è quella che caratterizza le incriminazioni poste a tutela della inviolabilità delle comunicazioni, deve ritenersi che la possibile interferenza tra le fattispecie punite dagli artt. 616 e 617 c.p. (determinata dalla comune previsione della condotta di colui che prende cognizione della corrispondenza o delle comunicazioni altrui) sia solo apparente»[43]. Le stesse hanno, infatti, ambiti operativi ben definiti dalla diversa configurazione dell’oggetto materiale della condotta, anche indipendentemente dalle specifiche connotazioni modali che la caratterizzano nell’art. 617 c.p. e che, invece, non sono previste nell’art. 616 c.p. Pertanto, l’art. 617 c.p. si riferirebbe al profilo “dinamico” della comunicazione umana, come suggerirebbero anche l’ulteriore termine dispiegato per definire l’oggetto materiale del reato (“conversazione”) e le condotte alternative a quella di fraudolenta cognizione idonee ad integrare il fatto tipico (interrompere ed impedire). Nell’art. 616 c.p. il concetto di “corrispondenza” risulterebbe invece funzionale ad individuare la comunicazione umana nel suo profilo “statico” e cioè «il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale»[44]. Tanto è vero che la Suprema Corte concludeva rilevando come la condotta contestata all’imputato in quel caso – e cioè aver preso cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra due soggetti estranei conservata nell’archivio di posta elettronica di uno di loro – proprio in virtù della configurazione del suo oggetto materiale, doveva essere ricondotta nell’alveo dell’art. 616 c.p. e non già, come ritenuto dai giudici di merito, in quello dell’art. 617, c. 1, c.p. Sulla base di tali premesse, il giudice di legittimità era giunto alla conclusione che i messaggi di natura telematica conservati nel dispositivo del destinatario fossero da considerarsi allora come “corrispondenza” (nella sua accezione più propriamente “statica”)[45].

Al medesimo esito perviene la Corte costituzionale, chiarendo, in definitiva, che le guarentigie dell’art. 15 Cost. per la generalità dei cittadini e quelle aggiuntive dell’art. 68, c. 3, Cost. per i soli parlamentari si estendono anche ai messaggi recapitati e conservati sul dispositivo del destinatario.

 

2.3. La precisazione relativa alla natura del conto corrente bancario

Ad un esito differente il giudice costituzionale giunge con riferimento all’acquisizione del conto corrente bancario del senatore Renzi da parte degli inquirenti (n. 4.5 del Considerato in Diritto).

Nel sostenere che, anche in questo caso, si configurasse un sequestro di corrispondenza, il Senato aveva fatto leva in particolare sulla circostanza che l’estratto del conto corrente – ossia il prospetto redatto dalla banca, nel quale sono riportati tutti i movimenti di dare e di avere verificatisi nel conto durante un dato lasso temporale – deve formare oggetto di periodica spedizione al correntista[46]. L’art. 119 del T.U. bancario prevede infatti, in via generale, al c. 1, che nei contratti di durata la banca fornisce al cliente, alla scadenza del contratto e, comunque sia, almeno una volta l’anno, «una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto» e precisa, al c. 2, che per i «rapporti regolati in conto corrente» l’estratto conto è inviato con periodicità annuale o con quella più breve – semestrale, trimestrale o mensile – prescelta dal cliente. Per tali ragioni, ad avviso del Senato, l’estratto conto si sarebbe configurato come una comunicazione, riservata, della banca nei confronti del cliente, potendosi annoverare nel più ampio concetto di “corrispondenza bancaria”, con conseguente applicazione delle garanzie di cui all’art. 15 Cost. (e per i parlamentari di quelle aggiuntive di cui all’art. 68, c. 3, Cost.). In questo senso avrebbe deposto sia l’orientamento di parte della dottrina[47] sia alcune pronunce della Cassazione[48].

La Corte costituzionale non smentisce tale ricostruzione, tanto da sottolineare che se oggetto di apprensione da parte degli organi inquirenti fosse effettivamente stato l’estratto conto spedito dalla banca al correntista (ossia al senatore Renzi) avrebbero operato le guarentigie costituzionali di cui si discorre. Ciò, tuttavia, non si era verificato nello specifico caso di specie, dal momento che l’estratto conto del senatore era entrato negli atti di indagine in altro modo, ossia tramite un decreto di acquisizione di segnalazioni di operazioni bancarie sospette effettuate in base alla normativa antiriciclaggio di cui al d.lgs. 231/2007, tra le quali figurava appunto il documento in questione, ricavato dalla segnalante Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia tramite interrogazione delle banche dati in suo possesso. In una simile, peculiare, ipotesi non ci si trova allora di fronte, ad avviso della Corte, ad un sequestro di corrispondenza, poiché manca, all’origine, un’attività di comunicazione e di spedizione. Il conto corrente di per sé, infatti, è un documento contabile interno della banca e il fatto che debba, in taluni casi, essere trasmesso al cliente non lo qualifica in automatico come corrispondenza, quantomeno fintanto che tale invio non si verifichi. Né ad una conclusione differente può giungersi in ragione del fatto che esso contiene dati riservati del cliente. Ricorda, infatti, la Corte che l’art. 68, c. 3, Cost. non tutela genericamente la riservatezza del parlamentare, che sotto questo punto di vista gode delle medesime garanzie previste dall’ordinamento per la generalità dei cittadini[49]. Tanto premesso, il ricorso del Senato, limitatamente a tale atto investigativo, non può quindi essere accolto.

Trattasi di un passaggio della motivazione, a prima vista di minore rilevanza, ma in realtà interessante, offrendo al Giudice delle Leggi l’occasione per chiarire la portata applicativa e la ratio di fondo delle disposizioni costituzionali di cui si tratta. Quanto all’art. 68 Cost., non va, infatti, dimenticato che la disposizione costituzionale richiede l’autorizzazione della Camera di appartenenza esclusivamente per eseguire specifici e tassativi atti nei confronti dei membri del Parlamento particolarmente suscettibili di incidere sullo svolgimento del mandato elettivo[50], non rispondendo la disposizione costituzionale ad altre esigenze. Quanto, invece, al perimetro applicativo del concetto di corrispondenza, la precisazione della Corte è importante, poiché sottolinea come sia pregiudiziale la sussistenza di una “trasmissione”, nel senso di uno scambio di pensiero tra due o più soggetti determinati, senza la quale risulta inutile ogni altro ragionamento sugli ulteriori requisiti di cui si è detto retro al par. n. 2.

 

  1. L’interpretazione offerta in merito allo schema procedurale applicabile ai sensi della l. 140/2003 nelle ipotesi di sequestro di corrispondenza

Chiarito come le comunicazioni di natura elettronica siano, a tutti gli effetti, corrispondenza, la Corte, al punto n. 5.1 del Considerato in Diritto, passa all’individuazione del modulo procedurale applicabile ai sensi della l. 140/2003 alle ipotesi di sequestro di corrispondenza in cui siano coinvolti parlamentari.

Sul punto, come noto, la giurisprudenza costituzionale in materia di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni ed acquisizione di tabulati telefonici, a partire dalla sentenza n. 390 del 2007, ha sempre distinto tra intercettazioni “mirate” (dirette o indirette), da una parte, rispetto alle quali è necessaria l’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza ex art. 4 della legge menzionata, e quelle “casuali”, dall’altra, per le quali si richiede esclusivamente l’autorizzazione successiva all’utilizzo del materiale investigativo nei confronti del parlamentare (mentre nessuna autorizzazione è necessaria per l’utilizzo nei confronti di terzi), ex art. 6 della legge in questione[51].

In particolare, la disciplina dell’autorizzazione preventiva, delineata dall’art. 4 cit. in attuazione dell’art. 68 Cost., il quale «vieta di sottoporre ad intercettazione, senza autorizzazione, non le utenze del parlamentare, ma le sue comunicazioni», deve trovare applicazione «tutte le volte in cui il parlamentare sia individuato in anticipo quale destinatario dell’attività di captazione»: dunque, non soltanto quando siano sottoposti ad intercettazione utenze o luoghi appartenenti al soggetto politico o nella sua disponibilità (c.d. intercettazioni “dirette”), ma anche tutte le volte in cui la captazione si riferisca ad utenze di interlocutori abituali del parlamentare o sia effettuata in luoghi presumibilmente da questo frequentati, al precipuo scopo di conoscere il contenuto delle conversazioni e delle comunicazioni del parlamentare stesso (c.d. intercettazioni indirette-mirate). E ciò che rileva al fine di distinguere tali intercettazioni da quelle casuali non è la titolarità o la disponibilità dell’utenza captata, ma la direzione dell’atto di indagine, dal momento che «se quest’ultimo è volto, in concreto, ad accedere nella sfera delle comunicazioni del parlamentare, l’intercettazione non autorizzata è illegittima, a prescindere dal fatto che il procedimento riguardi terzi o che le utenze sottoposte a controllo appartengano a terzi». Viceversa, la disciplina dell’autorizzazione successiva, prevista dall’art. 6 cit., si riferisce unicamente alle intercettazioni “casuali”, rispetto alle quali «proprio per il carattere imprevisto dell’interlocuzione del parlamentare, l’autorità giudiziaria non potrebbe, neanche volendo, munirsi preventivamente del placet della Camera di appartenenza»[52].

Orbene, muovendo dall’assunto che i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento alle intercettazioni e ai tabulati telefonici fossero tout court applicabili anche alle ipotesi di sequestro di corrispondenza, il ricorso del Senato era fondamentalmente teso a dimostrare il carattere “non casuale” dell’attività investigativa disposta dalla Procura di Firenze. Ciò al precipuo fine di sottolineare la necessità di un’autorizzazione preventiva ex art. 4 della l. 140/2003, autorizzazione mai richiesta da parte dell’autorità giudiziaria e, in questo modo, sostenere l’illegittimità dei sequestri disposti. Tanto è vero che, sempre nel ricorso in commento, si rilevava che dai decreti di perquisizione e sequestro emessi a carico di Ugo Manes e Marco Carrai, presso i quali era stata sequestrata, acquisita e trasfusa negli atti di indagine la corrispondenza con il senatore Renzi, sarebbe stato chiaramente desumibile che la direzione dell’atto di indagine fosse diretta ad accedere nella sfera delle comunicazioni e conversazioni del parlamentare[53]. Di avviso contrario la Procura, che aveva rilevato di non aver svolto alcuna attività investigativa nei confronti del parlamentare, né di avere elementi per ritenere che i dott. Manes e Carrai intrattenessero rapporti di corrispondenza con l’onorevole Renzi, così escludendo qualsiasi intento persecutorio nei confronti del senatore e, pertanto, la necessità di richiedere un’autorizzazione preventiva al Senato.

Nessuno delle due parti si era però preoccupata di riflettere attorno ad un profilo, evidenziato in dottrina[54] ed emerso anche nella riunione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato del 14 dicembre 2021[55], ossia che la l. 140/2003 presenta due formulazioni differenti, a seconda che si prenda in considerazione l’art. 4 o l’art. 6 cit.; nel primo caso, infatti, la disposizione, nel disciplinare l’autorizzazione ex ante, così recita: «quando occorre eseguire nei confronti di un membro del Parlamento perquisizioni personali o domiciliari, ispezioni personali, intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni, sequestri di corrispondenza, o acquisire tabulati di comunicazioni, ovvero, quando occorre procedere al fermo, all’esecuzione di una misura cautelare personale coercitiva o interdittiva ovvero all’esecuzione dell’accompagnamento coattivo, nonché di misure di sicurezza o di prevenzione aventi natura personale e di ogni altro provvedimento privativo della libertà personale, l’autorità competente richiede direttamente l’autorizzazione della Camera alla quale il soggetto appartiene […]». Al contrario, l’art. 6, nel regolare l’autorizzazione ex post all’utilizzo, ha una portata più ristretta, statuendo che: «1. Fuori dalle ipotesi previste dall’articolo 4, il giudice per le indagini preliminari, anche su istanza delle parti ovvero del parlamentare interessato, qualora ritenga irrilevanti, in tutto o in parte, ai fini del procedimento i verbali e le registrazioni delle conversazioni o comunicazioni intercettate in qualsiasi forma nel corso di procedimenti riguardanti terzi, alle quali hanno preso parte membri del Parlamento, ovvero i tabulati di comunicazioni acquisiti nel corso dei medesimi procedimenti, sentite le parti, a tutela della riservatezza, ne decide, in camera di consiglio, la distruzione integrale ovvero delle parti ritenute irrilevanti, a norma dell’articolo 269, commi 2 e 3, del codice di procedura penale». Dal che si ricava che all’art. 6 citato manca un riferimento al sequestro di corrispondenza, regolando la disposizione in esame esclusivamente le ipotesi di autorizzazione ex post all’utilizzo dei verbali delle intercettazioni o dei tabulati telefonici.

Proprio sulla base di questa differente formulazione, la Giunta aveva concluso che nelle ipotesi di sequestro di corrispondenza l’unica disposizione applicabile fosse l’art. 4 della l. 140/2003 e, quindi, lo schema procedurale quello dell’autorizzazione preventiva, precisando che, qualora ad essere posto sotto sequestro fosse il dispositivo di un terzo e l’autorità inquirente vi rinvenisse corrispondenza con un parlamentare, essa avrebbe dovuto immediatamente inviare la richiesta di autorizzazione alla Camera di appartenenza e astenersi, nel mentre, da ogni attività[56].

Ed è proprio quest’ultima la prospettiva accolta dalla Corte costituzionale nella decisione in esame, nonostante, come detto, nessuna delle due parti (né il Senato né la Procura) l’avesse fatta propria.

Nello specifico, il giudice costituzionale muove dalla preliminare considerazione che i dispositivi sequestrati dagli inquirenti, che non appartenevano direttamente al senatore Renzi ma a terzi (i dott. Carrai e Manes), vadano considerati come «contenitori di dati informatici appartenenti a terzi – telefoni cellulari, ma potrebbe trattarsi, allo stesso modo, di computer o di altri dispositivi – nella cui memoria erano conservati, tra l’altro, messaggi inviati in via telematica a un parlamentare, o da lui provenienti». In altre parole, la Corte distingue tra contenitore (il dispositivo) e il contenuto (la corrispondenza telematica). In una simile evenienza, gli organi inquirenti possono disporre il sequestro del “contenitore” (nella specie, del dispositivo di telefonia mobile). Nel momento, però, in cui riscontrano la presenza in esso di messaggi intercorsi con un parlamentare, devono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa copia) e chiedere l’autorizzazione, preventiva, alla Camera di appartenenza del parlamentare, a norma dell’art. 4 della l. 140/2003, al fine di poterli coinvolgere nel sequestro. Proprio come sostenuto dalla Giunta, ad avviso della Corte, «l’autorizzazione va chiesta, nei termini dianzi delineati, a prescindere da ogni valutazione circa la natura “mirata” o “occasionale” dell’acquisizione dei messaggi del parlamentare, operata tramite l’apprensione dei dispositivi appartenenti a terzi». Ciò in quanto la distinzione tra captazione indirette-mirate e casuali elaborata con riferimento alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni non è riferibile alla fattispecie del sequestro di corrispondenza. Il motivo risiede nella circostanza che «diversamente che nel caso delle intercettazioni – le quali consistono in una attività prolungata nel tempo di captazione occulta di comunicazioni o conversazioni che debbono ancora svolgersi nel momento in cui l’atto investigativo è disposto – qui si discute dell’acquisizione uno actu di messaggi comunicativi già avvenuti. Una volta riscontrato che si tratta di messaggi di un parlamentare, o a lui diretti, diviene, quindi, in ogni caso operante la guarentigia di cui all’art. 68, terzo comma, Cost.»[57].

In definitiva, ad avviso della Corte, «il modulo procedurale che si è delineato garantisce, d’altro canto, un punto di equilibrio tra gli interessi in gioco […]. Quando pure, infatti, gli organi inquirenti possano prevedere che nel telefono cellulare o nel computer di una persona sottoposta ad indagini siano memorizzati messaggi di un parlamentare, ciò non impedisce, comunque sia, agli organi stessi di apprendere il dispositivo e di sequestrare tutti gli altri dati informatici contenuti nel dispositivo, che nulla hanno a che vedere con la corrispondenza del parlamentare: fermo restando invece l’onere della richiesta di autorizzazione al fine di estrapolare dal dispositivo e di acquisire agli atti del procedimento i messaggi che riguardano il parlamentare stesso». La ricostruzione prospettata spiegherebbe, d’altro canto, nella prospettiva del giudice costituzionale, perché il citato art. 6 cit. non abbia esteso la disciplina dell’autorizzazione successiva al sequestro di corrispondenza, dal momento che in questo caso la natura occasionale o mirata dell’atto non verrebbe proprio in considerazione, risultando in ogni caso necessaria l’autorizzazione preventiva[58].

La soluzione offerta dalla Corte è certamente interessante e ha il pregio di offrire una risposta chiara ad una questione interpretativa piuttosto intricata e controversa. Lo “schema procedurale” proposto può, quindi, essere riassunto come segue: a) nessuna preclusione discende dall’art. 68, c. 3, Cost. per disporre il sequestro del dispositivo di proprietà di un terzo; b) qualora ciò avvenga, nessuna verifica in merito alla direzione dell’atto di indagine è necessaria da parte dell’autorità inquirente; c) tuttavia, nel caso siano rinvenute all’interno del dispositivo sequestrato conversazioni con un parlamentare, il pubblico ministero è tenuto a richiedere, immediatamente, l’autorizzazione preventiva ex art. 4 della l. 140/2003 alla Camera di appartenenza, altrimenti l’estrazione della corrispondenza tra terzo e parlamentare è illegittima.

Nonostante la chiarezza e praticità del modulo procedurale qui delineato, alcuni passaggi della motivazione scontano alcuni margini di ambiguità su cui può essere di interesse sollecitare una riflessione aggiuntiva.

Da questo punto di vista, in altra sede[59], si era provato a offrire una possibile soluzione alternativa al quesito in esame, muovendo dal presupposto che il consolidato orientamento che distingueva tra attività investigativa diretta/mirata, da una parte, e casuale, dall’altra, dovesse tenersi fermo anche con riferimento ai sequestri di corrispondenza e fosse, quindi, necessario procedere ad una valutazione della direzione dell’atto di indagine.  In particolare, la casualità del sequestro si sarebbe avuta tutte le volte in cui il pubblico ministero fosse riuscito a dimostrare di non essersi prefigurato la possibilità che tra i messaggi conservati all’interno del dispositivo del terzo ve ne fossero alcuni diretti ad un membro del Parlamento[60].

Tale soluzione non è stata, tuttavia, accolta dalla Corte, che, come visto, giustifica la scelta distinguendo, anzitutto, tra contenitore (il dispositivo) e contenuto (la corrispondenza) e rilevando che, nelle ipotesi del sequestro di corrispondenza, si è in presenza di un’acquisizione uno actu di messaggi comunicativi già avvenuti.

Sul punto possono, in particolare, svolgersi le seguenti considerazioni.

Anzitutto, per quanto sicuramente la distinzione contenitore/contenuto sia convincente, è lo stesso giudice costituzionale a rilevare che nel sequestro informatico il “vero” oggetto del sequestro non è tanto il dispositivo elettronico (il contenitore) quanto piuttosto i suoi dati (il contenuto). Cosa che allora avrebbe potuto suggerire la necessità di una valutazione complessiva dell’attività investigativa, il cui scopo non è tanto il sequestro del contenitore (il telefono, per fare un esempio), ma appunto del contenuto (la corrispondenza telematica).

In secondo luogo, non persuade del tutto la scelta di escludere, alla radice, la possibilità anche solo di valutare la sussistenza della casualità con riferimento ai sequestri di corrispondenza in ragione del fatto che la comunicazione è, in questi casi, già avvenuta. In disparte il fatto che possono ben verificarsi anche sequestri di corrispondenza in itinere (è il caso dell’art. 254 c.p.p., come ricorda la stessa Corte), la circostanza che solitamente, quando si tratta di corrispondenza, la comunicazione sia già conclusa potrebbe non essere dirimente. Sul punto si sarebbe potuto richiamare un significativo precedente, ossia la sentenza n. 38 del 2019 in materia di tabulati telefonici. In quell’occasione il Giudice delle Leggi dichiarò non fondata la questione di legittimità sollevata con riferimento all’art. 6, c. 2, della l. 140/2003, nella parte in cui prevedeva che il giudice debba chiedere alla Camera di appartenenza l’autorizzazione successiva ad utilizzare i tabulati di comunicazioni relativi ad utenze intestate a terzi venute in contatto con un parlamentare. Tabulati che la Corte qualificava come “dati puramente storici ed esteriori”, in altre parole “fatti comunicativi”, avvenuti e conclusi. Ebbene, nel rigettare la questione sull’art. 6 cit., il giudice costituzionale implicitamente riconobbe la possibilità che potesse verificarsi l’acquisizione casuale di un tabulato telefonico, e, quindi, di un “fatto comunicativo concluso”[61]. Lo stesso ragionamento si sarebbe forse potuto estendere alla corrispondenza.

È pur vero che, come evidenzia la Corte, il riferimento all’acquisizione dei tabulati telefonici compare non solo all’art. 4, ma anche all’art. 6 della l. 140/2003, a differenza del sequestro di corrispondenza, e questo potrebbe in effetti spingere nella direzione di escludere in radice possibili sequestri di corrispondenza casuali a carico dei parlamentari. La differente formulazione legislativa si sarebbe potuta leggere, tuttavia, in modo differente. L’assenza di un riferimento al sequestro di corrispondenza all’art. 6 cit. avrebbe potuto, infatti, portare alla diversa conclusione che nessuna autorizzazione (nemmeno successiva) sarebbe stata necessaria nel caso in cui fosse stata accertata la casualità dell’attività investigativa. In caso di sequestro, invece, diretto o comunque mirato sarebbe stata chiaramente necessaria l’autorizzazione preventiva ai sensi dell’art. 4 cit[62]. Una simile prospettiva sarebbe stata avvalorata dal fatto che, come affermato dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 390 del 2007, la previsione di cui all’art. 68, c. 3, Cost. risulta interamente soddisfatta, a livello di legge ordinaria, dall’art. 4 della l. 140/2003, mentre l’autorizzazione successiva prevista dall’art. 6 della l. 140/2003, la cui ratio è differente, non è costituzionalmente imposta[63]. In definitiva, si sarebbe forse potuto sostenere che il legislatore, nel formulare l’art. 6 cit., avesse, nella sua discrezionalità, scelto di introdurre una previsione, costituzionalmente non necessaria (a differenza dell’art. 4 cit., vera e propria norma di attuazione dell’art. 68 Cost.) per tutelare ulteriormente i parlamentari (e, in origine, prima dell’intervento della sentenza n. 390 del 2007, anche i terzi) dalle sole attività di intercettazione e di acquisizione dei tabulati, di natura casuale, senza estendere la previsione anche ad altri atti investigativi, pure contemplati nell’art. 4 cit.

Se questa poteva essere una possibile strada alternativa, ad ogni modo, la Corte costituzionale sposa una differente soluzione, dichiarando conseguentemente che non spettava alla Procura acquisire agli atti la messaggistica WhatsApp e di posta elettronica tra il senatore Renzi e i dott. Carrai e Manes, rinvenuta sui dispositivi di questi ultimi in assenza dell’autorizzazione richiesta dall’art. 4 cit.

In definitiva, la soluzione individuata, da un lato, ha il pregio di offrire un chiarimento atteso in merito alla diversa formulazione degli artt. 4 e 6 della l. 140/2003, proporre uno schema procedurale di agevole applicazione e consentire alle autorità inquirenti di procedere all’estrazione di tutta la corrispondenza rinvenuta sul dispositivo di un terzo che non abbia come destinatario un membro del Parlamento; dall’altro, sconta alcune ambiguità relative alla linearità del percorso argomentativo seguito e potrebbe inoltre rivelarsi eccessivamente “garantista”, dal momento che, così facendo, il mero rinvenimento di una corrispondenza con un parlamentare sul dispositivo di un privato cittadino impone di richiedere l’autorizzazione preventiva e, nel caso questa sia negata, comporta l’impossibilità di procedere all’estrazione e, quindi, all’acquisizione della corrispondenza in oggetto nei confronti di entrambi (non solo il parlamentare, quindi, ma anche il terzo).

 

  1. Conclusioni

Per concludere, può affermarsi che, con la sentenza n. 170 del 2023, la Corte costituzionale ha segnato un precedente di indubbio rilievo, sanando quella che si era andata configurando come una vera e propria “zona franca” da ogni forma di garanzia in una materia delicata come quella della tutela delle comunicazioni private dei membri del Parlamento, protette dall’art. 68 Cost.

Non solo. La rilevanza della decisione risiede nel fatto che essa è destinata a dispiegare i suoi effetti ben al di là del caso da cui era originato il conflitto, estendendo le garanzie di cui all’art. 15 Cost. (in particolare, riserva di legge e di giurisdizione) ai mezzi di comunicazione interpersonale oggi più utilizzati dalla generalità dei cittadini, ossia quelli telematici. Di ciò la giurisprudenza dovrà necessariamente tenere conto.

Quanto, invece, allo schema procedurale applicabile alle ipotesi di sequestro di corrispondenza di membri del Parlamento, la scelta della Corte ha l’indubbio merito di fare chiarezza sull’interpretazione di una legge, la n. 140/2003, che, a ben vent’anni dalla sua approvazione, continua a far riflettere, ponendo quesiti non sempre di facile soluzione sia all’interprete che ai poteri dello Stato chiamati a darne applicazione.

Per tutte queste ragioni, la sentenza in commento è una di quelle decisioni destinate a “fare strada”. E, sotto questo profilo, l’indicazione forse più significativa che si può trarre è la capacità del testo costituzionale, pur redatto in un periodo storico in cui strumenti come internet e le comunicazioni di natura telematica erano inimmaginabili, di adattarsi e continuare a fornire risposte ad una realtà in costante ed imprevedibile evoluzione.

[1] Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato n. 10 del 2022, promosso dal Senato della Repubblica nei confronti della Procura della Repubblica di Firenze, pubblicato su G.U. 1a Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 3 del 18.01.2023.

[2] Cfr. resoconto stenografico della seduta pubblica del Senato n. 406 del 22.02.2022, nella quale l’Assemblea approvava la relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del 14 dicembre 2021, comunicata alla Presidenza del Senato il 20 dicembre 2021 (Doc. XVI n. 9).

[3] Per un primo commento alla pronuncia, cfr. G. Guzzetta, La nozione di comunicazione e altre importanti precisazioni della Corte costituzionale sull’art. 15 della Costituzione nella sentenza n. 170 del 2023, in Federalismi, 21, 2023, 81 ss.; M. Borgobello, Il concetto di “corrispondenza” nella sentenza 170 del 2023 della Corte costituzionale, in Giurisprudenzapenaleweb, 8, 2023, 1 ss.

[4] Cfr., in particolare, Corte cost., 6 marzo 2019, n. 38; Corte cost., 28 maggio 2010, n. 188, Corte cost., 25 marzo 2010, n. 114, Corte cost., 25 marzo 2010, n. 113; Corte cost., 23 novembre 2007, n. 390.

[5] In materia cfr. P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, 163 ss.; P. Barile-E. Cheli, Corrispondenza (libertà di), in Enc. Dir., X, Milano, 1962, 743 ss.; P. Caretti, I diritti fondamentali, Torino, 2005, 275 ss.; P. Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione: stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2005; P. Caretti, Corrispondenza (libertà di), in Digesto pubbl., IV, Torino, 1989, 200 ss.; M. Cuniberti (a cura di), Nuove tecnologie e libertà della comunicazione. Profili costituzionali e pubblicistici, Milano, 2008; F. Donati, Art. 15, in R. Bifulco-A. Celotto-M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. 1, Torino, 2006, 362 ss.; M. Di Majo, Corrispondenza (dir. priv.), in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, 741 ss.; A. Pace, Art. 15, in Comm. Cost. Branca, Bologna-Roma, 1977, 80 ss.; A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. II. Parte speciale, Padova, 1992; Id., Contenuto e oggetto della libertà di corrispondenza e di comunicazione, in Scritti in onore di C. Mortati, I, Milano, 1977, 813 ss.; G.M. Salerno, La protezione della riservatezza e l’inviolabilità della corrispondenza, in R. Nania – P. Ridola (a cura di), I Diritti costituzionali, Torino, I, 2001, 417 ss.; A. Valastro, Libertà di comunicazione e nuove tecnologie, Milano, 2001; R. Zaccaria, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2004.

[6] Cfr. P. Barile, Diritti dell’uomo, cit., 163, che osserva come la corrispondenza «è libera in quanto segreta ed è al contempo segreta per poter essere libera». Sul punto, si veda, altresì, Corte cost., 26 gennaio 2017, n. 20, Considerato in Diritto n. 3.1., che nel riprendere la sent. 23 luglio 1991, n. 366 ricorda che: «La “libertà” e la “segretezza” della «corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione» sono oggetto del diritto «inviolabile» tutelato dall’art. 15 Cost., che garantisce «quello spazio vitale che circonda la persona e senza il quale questa non può esistere e svilupparsi in armonia con i postulati della dignità umana».

[7] Cfr. A. Pace, art. 15, cit., 85.

[8] Cfr. P. Barile, Diritti dell’uomo, cit., 164; M. Petrone, voce Segreti (delitti contro l’inviolabilità dei), in Noviss. Dig. It., XVI, Torino, 1969, 972.

[9] P. Barile-E. Cheli, Corrispondenza (libertà di), cit., 744-745; inoltre, v. P. Barile, Diritti dell’uomo, cit., 164-165.

[10] In questi termini, la busta suggellata sarebbe, quindi, tutelata dall’art. 15 Cost., ma non, ad esempio, un pacco, che secondo i criteri di generale riconoscibilità non sarebbe riconosciuto come strumento idoneo a veicolare un pensiero da un individuo ad un altro, cfr. A. Pace, art. 15, cit., 81-82.

[11] Cfr., in particolare, P. Barile, Diritti dell’uomo, cit., 164-165, che rileva come per «corrispondenza si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, con collegamento tramite filo o “ad onde guidate” […]. Il concetto abbraccia in verità ogni possibile corrispondenza: si pensi ad esempio ai segnali ottici da punto a punto, ai segnali acustici (tamburi nella giungla, e meno romanticamente, “radio-carcere” mediante il tambureggiamento sui muri da cella a cella). Questo tipo di comunicazioni hanno dunque un carattere intersoggettivo (fra soggetti determinati) e hanno anche, per loro natura, un carattere attuale: diventano corrispondenza nell’atto in cui viene scelto e utilizzato il mezzo di trasmissione (la lettere non è tale prima di essere imbucata), cessano di essere tale non, come alcuni sostengono, all’atto del ricevimento e della presa di conoscenza da parte del destinatario, bensì quando per decorso del tempo ha trasformato il messaggio in un documento storico, avente carattere meramente retrospettivo (mancanza dell’attualità)»; ed anche F. Antolisei, Manuale di Diritto penale, Milano, 2003, 253, che ritiene che la corrispondenza perda, caso per caso, il suo carattere di attualità – divenendo un semplice documento – «quando, per decorso del tempo od altra causa, non le si può assegnare che un valore meramente retrospettivo, affettivo, collezionistico, storico, artistico, scientifico o probatorio».

[12] Cfr. A. Pace, art. 15, cit., 90; V. Italia, Libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, Milano, 1963, 212; C. Troisio, Corrispondenza, libertà e segretezza della corrispondenza, in EG, IX, Roma, 1988, 10.

[13] Tra le ultime, Cass. pen., sez. II, 19 ottobre 2022, n. 39529, in Quotidiano Giuridico, 2022; Cass. pen., sez. VI, 8 giugno 2022, n. 22417; Cass. pen., sez. V, 6 maggio 2021, n. 17552, in Quotidiano Giuridico, 2021.

[14] In merito alla necessità che la Corte, alla luce dell’evoluzione delle nuove forme di comunicazione telematica, qualificasse, senza ambiguità, la posta elettronica e i messaggi WhatsApp come corrispondenza, sia consentito rinviare a P. Villaschi, La posta elettronica e i messaggi WhatsApp sono corrispondenza? Note a margine del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Senato della Repubblica in relazione al “caso Renzi”, in Federalismi, 7, 2023, 234 ss.; cfr. altresì E. Albanesi, Messaggistica WhatsApp ed e-mail nel contesto delle prerogative dei membri del Parlamento ex art. 68, terzo comma, Cost. Prospettive costituzionali di diritto della comunicazione, in questa Rivista, 3, 2022, 94 ss.

[15] Secondo un primo orientamento, il criterio distintivo tra intercettazione di conversazioni e sequestro di corrispondenza sarebbe stato quello “temporale”: in caso di captazione in tempo reale di un flusso comunicativo in fieri, avrebbe operato la disciplina delle intercettazioni; viceversa, i messaggi già recapitati e archiviati sul dispositivo del destinatario, in quanto costituenti un flusso concluso, non sarebbero stati  ricompresi nel materiale intercettabile ma in quello sequestrabile, cfr. A. Aprile, Intercettazioni di comunicazioni, in A. Scalfati (a cura di), Prove e misure cautelari, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, cit., 535; L. Luparia, Computer crimes e procedimento penale, in G. Garuti (a cura di), Modelli differenziati di accertamento, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, VII, I, Torino, 2011, 387; A. Vele, Documento informatico e tutela della riservatezza nel processo penale: aspetti problematici, in Archivio Penale, 1, 2018; secondo altro filone, decisive sarebbero state le “modalità di esecuzione” dell’atto di indagine: si sarebbe trattato di intercettazione, quindi, quando l’attività di captazione fosse stata effettuata a distanza ed in modo occulto; di sequestro, qualora l’atto investigativo, seppur a sorpresa, fosse stato eseguito in modo palese. Inoltre, se lo scopo fosse stato quello di privare il titolare della disponibilità materiale del messaggio, le norme che si sarebbero applicate sarebbero state quelle sul sequestro di corrispondenza (artt. 254, 254-bis e 352 c.p.p.); se, viceversa, l’obiettivo fosse stato quello di apprendere, in modo occulto, un flusso comunicativo in corso, si sarebbe dovuto fare ricorso all’intercettazione telematica ex art. 266 ss. c.p.p., cfr. F. Zacché, L’acquisizione della posta elettronica nel processo penale, in Proc. pen. giust., 4, 2013, 106; M. Pittituti, Profili processuali della prova informatica, in L. Marafioti-G. Paolozzi (a cura di), Incontri ravvicinati con la prova penale. Un anno di seminari a Roma Tre, Torino, 2014, 59.

[16] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, Considerato in diritto n. 4.1.

[17] Ad esempio, chiarissima, in questo senso, peraltro con riferimento proprio a conversazioni di natura telematica, era stata la pronuncia della Cass pen., sez. V, 4 novembre 2020, n. 30735, che aveva escluso dall’ambito di applicazione dell’art. 616 c.p., la presa visione delle e-mail, qualora la loro trasmissione fosse in corso, in quanto la norma incriminatrice considererebbe la “corrispondenza” in senso esclusivamente statico; su questi aspetti, più nello specifico, infra par. n. 2.2.

[18] Cfr., sul punto, E. Aprile-F. Spiezia, Le intercettazioni telefoniche ed ambientali, Milano, 2004.

[19] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, Considerato in diritto n. 4.2.

[20] Corte cost., 15 novembre 1988, n. 1030, Considerato in diritto n. 8, con nota di R. Niro, I ponti radio: mezzi di “comunicazione” o mezzi di “trasporto” di programmi destinati alla radiodiffusione?, in Giurisprudenza costituzionale, 10, 1988, parte I, sez. I, 500.

[21] Corte cost., 11 marzo 2023, n. 81, Considerato n. 4, con nota di A. Pace, Nuove frontiere della libertà di “comunicare riservatamente” (o, piuttosto, del diritto alla riservatezza)?, in Giurisprudenza costituzionale, 1993, 742 ss.

[22] Corte cost., 26 gennaio 2017, n. 20, Considerato in Diritto n. 3.3, con commento di M. Ruotolo, Regolazione dei mezzi di ricerca della prova e limiti del sindacato della Corte costituzionale (sentenza n. 20 del 2017), in Quaderni costituzionali, 2, 2017, 376 ss.

[23] Corte cost., 12 gennaio 2023, n. 2, Considerato in Diritto n. 9, con nota di F. Losurdo, Nucleo essenziale della libertà di comunicazione e riserva di giurisdizione. Esiste un “diritto al mezzo” ?, in Giurisprudenza costituzionale, 1, 2023, 18 ss.

[24] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, Considerato in diritto n. 4.2.

[25] Cass. pen., sez. V., 19 dicembre 2007, n. 47096.

[26] L’art. 15 Cost. recita infatti: «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili», mentre l’art. 68, c. 3, Cost. statuisce: «Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza».

[27] Corte cost., 12 gennaio 2023, n. 2, Considerato in Diritto n. 9.

[28] CEDU, Bărbulescu c. Romania, ric. 61496/08 (2016), § 72; CEDU, Copland c. Regno Unito, ric. 62617/00 (2007), § 41.

[29] CEDU, Saber c. Norvegia, ric. 459/18 (2020), § 48.

[30] CEDU, Bărbulescu c. Romania, cit., § 74.

[31] In questo senso, tra le ultime, Cass. pen., sez. II, 19 ottobre 2022, n. 39529; Cass. pen., sez. VI, 8 giugno 2022, n. 22417; Cass. pen., sez. V, 6 maggio 2021, n. 17552, che hanno ritenuto quindi inapplicabile sia l’art. 254 c.p.p in materia di sequestro di corrispondenza, che l’art. 266 c.p.p. in materia di intercettazione nelle ipotesi di acquisizione di messaggi di natura elettronica recapitati (retro par. n. 2).

[32] Cfr. sul punto S. Curreri, La libertà di comunicazione del parlamentare. Riflessioni sul “caso Renzi”, in LaCostituzione.info, 2 marzo 2022, 2 ss; sia consentito un rinvio anche a P. Villaschi, La posta elettronica e i messaggi WhatsApp sono corrispondenza?, cit., 248-249.

[33] La libertà e segretezza delle cui comunicazioni è già protetta, infatti, dall’art. 15 Cost.

[34] Così Corte cost., 23 novembre 2007, n. 390; in senso analogo, Corte cost., 6 marzo 2019, n. 38, Corte cost., 17 aprile 2013, n. 113.

[35] Riprendendo quanto osservato da S. Curreri, La libertà di comunicazione, cit., 1. Sul punto, v. anche G. Guzzetta, La nozione di comunicazione, cit., 84, che evidenzia come la Corte ricorra qui ad una reductiu ad absurdum.

[36] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, Considerato in Diritto n. 4.4.

[37] Sempre S. Curreri, La libertà di comunicazione, cit., 2.

[38] Il riferimento è, chiaramente, ai tabulati telefonici, documenti che consentono di aprire squarci di conoscenza sui rapporti di un parlamentare «di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una specifica indagine e riguardanti altri soggetti (in specie, altri parlamentari) per i quali opera e deve operare la medesima tutela dell’indipendenza e della libertà della funzione», in questi termini, Corte cost., 6 marzo 2019, n. 38, Considerato in Diritto n. 2.4. A commento, cfr. F. Girelli, La “legittimità” della tutela dello spazio comunicativo del parlamentare, in Osservatorio AIC, 1, 2020, 240 ss.; R. Orlandi, Tabulati telefonici e immunità parlamentare, in Giurisprudenza costituzionale, 2, 2019, 678 ss; M. Violante, Tabulati telefonici relativi a parlamentari tra autorizzazione e dubbi di legittimità costituzionale, in Processo penale e giustizia, 5, 2019, 1101 ss.

[39] Così Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, Considerato in Diritto n. 4.3.

[40] Sul punto sia consentito rinviare a P. Villaschi, La posta elettronica e i messaggi WhatsApp sono corrispondenza?, cit., 250-251.

[41] CEDU, Bărbulescu c. Romania, cit., §§ 72 e 74.

[42] CEDU, Saber c. Norvegia, cit., §§ 48-51.

[43] Cass. pen., sez. V, 4 novembre 2020, n. 30735.

[44] Cfr., sempre, Cass. pen., sez. V, 4 novembre 2020, n. 30735, che riprende Cass. pen., sez. V, 2 maggio 2019, n. 18284; Cass., sez. II, 28 novembre 2017, n. 952; Cass. pen., sez. II, 15 marzo 2017, n. 12603.

[45] In materia civile, rileva, invece, Cass., sez. Lavoro, ord. 10 settembre 2018, n. 21965, ove si evidenziava che «l’esigenza di tutela della segretezza nelle comunicazioni si impone anche a riguardo ai messaggi di posta elettronica scambiati tramite mailing list riservata agli aderenti ad un determinato gruppo di persone, alle newsgroup o alle chat private, con accesso condizionato al possesso di una password fornita a soggetti determinati». Tanto è vero che, scrivevano gli ermellini, «i messaggi che circolano attraverso le nuove forme di comunicazione, ove inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone, ma unicamente agli iscritti a un determinato gruppo, come nelle chat private o chiuse, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e involabile».

[46] In dottrina si registra una tendenziale contrapposizione fra coloro che qualificano il conto corrente bancario come “contratto innominato misto”, risultante dall’unione di più prestazioni tipiche di altri contratti nominati e coordinate intorno ad una prestazione principale di mandato (A. Fiorentino, Del conto corrente. Dei contratti bancari, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1823-1860, Bologna-Roma, 1972, 164) e quanti ne affermano la tipicità (N. Salanitro, Conto corrente bancario, in Digesto comm., IV, Torino, 1989, 10).

[47] In particolare, si v. l’analisi di M. Cerase, Art. 68, in R. Bifulco-A. Celotto-M. Olivetti (a cura di), Commentario alla costituzione, Torino, 2006, 1304 ss.

[48] È stata, infatti, ritenuta integrare la fattispecie del più volte menzionato art. 616 c.p. l’apertura da parte del marito della corrispondenza chiusa, destinata alla moglie, contenente l’estratto conto inviato a quest’ultima dalla banca (Cass. pen., sez. II, 12 gennaio 2018, n. 952, in Dir. Pen. e Processo, 3, 2018, 343).

[49] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, Considerato in Diritto n. 4.5.

[50] E nello specifico al c. 2: limitazioni della libertà personale, perquisizioni personali e domiciliari; al c. 3: intercettazioni e sequestri di corrispondenza, cfr., ex plurimis, v. M. Cerase, Anatomia critica delle immunità parlamentari italiane, Rubbettino, 2011, 101 ss.

[51] Su tale distinzione si rinvia alle autorevoli riflessioni, elaborate all’indomani della sentenza Corte cost., 23 novembre 2007, n. 390, da N. Zanon, Il regime delle intercettazioni “indirette” e “occasionali” fra principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione e tutela della funzione parlamentare, in Federalismi, 23, 2007, 1 ss.; T. F. Giupponi, Le intercettazioni «indirette» nei confronti dei parlamentari: cronaca di un’illegittimità costituzionale (pre)annunciata, in Quaderni costituzionali, 1, 2008, 150 ss.

[52] Corte cost., 23 novembre 2007, n. 390, Considerato in Diritto n. 5.3. Tale distinzione tra intercettazioni mirate e casuali è stata confermata nelle successive pronunce che hanno avuto ad oggetto l’applicazione dell’art. 68, c. 3, Cost., ad esempio sentenze Corte cost., 25 marzo 2010, n. 114, Corte cost., 25 marzo 2010, n. 113 e, più di recente, Corte cost., 6 marzo 2019, n. 38.

[53] Cfr. ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato n. 10 del 2022, promosso dal Senato della Repubblica, cit., 14-15.

[54] Cfr. ad esempio E. Albanesi, Messaggistica WhatsApp, cit., spec. 99-108.

[55] Cfr. Relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del 14 dicembre 2021, cit., 3-5.

[56] Cfr. Relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del 14 dicembre 2021, cit., 4, ove si legge «per il “sequestro di corrispondenza”, il modulo procedurale applicabile è solo quello dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, ossia quello dell’autorizzazione ex ante. Ovviamente, quando viene reperita corrispondenza elettronica sul cellulare sequestrato ad un terzo non parlamentare, l’autorità giudiziaria, ove si accorga della presenza di corrispondenza elettronica intercorsa con un senatore, deve immediatamente inviare richiesta al Senato». A suffragare tale tesi la Giunta richiamava in particolare un precedente, che aveva avuto ad oggetto la richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano di autorizzazione ad eseguire un sequestro di corrispondenza nei confronti del senatore Armando Siri, corrispondenza contenuta nello smartphone di proprietà ed in uso al collaboratore Marco Luca Perini; la richiesta era stata  giustificata dall’esigenza di acquisire conversazioni telefoniche, messaggistiche, mail e chat presenti nel telefono del collaboratore e intercorse con il senatore stesso, nell’ambito di un procedimento penale pendente nei confronti di entrambi (in quel caso si trattava, in particolare, di un’ipotesi di concorso nel reato di auto-riciclaggio aggravato). Ebbene, in quell’occasione, lo stesso Pubblico ministero, nel fare riferimento al terzo comma dell’art. 68 della Costituzione precisava di aver sospeso l’esecuzione del provvedimento ai sensi dell’art. 4, c. 2, della legge n. 140 del 2003 ed, illustrate le esigenze investigative poste a base della domanda, chiedeva al Senato della Repubblica l’autorizzazione ex ante ad eseguire il sequestro di corrispondenza del senatore Armando Siri contenuta nello smartphone di proprietà ed in uso al collaboratore. Tuttavia, giova precisare che quel precedente non pare particolarmente conferente dal momento che, in quel caso, la lettura del resoconto della stessa Giunta suggerisce come l’attività investigativa fosse stata ab origine mirata. Per maggiori dettagli si veda la Relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato della Repubblica sulla domanda di autorizzazione a eseguire un sequestro di corrispondenza nei confronti del senatore Armando Siri con riferimento al suo collaboratore Marco Luca Perini, 13 novembre 2019, doc. IV n. 4-a, 1-5.

[57] L’estrazione dei dati non è, infatti, ad avviso della Corte, un «posterius rispetto all’esecuzione dell’atto investigativo per il quale è prefigurata la garanzia in questione. In senso contrario, va osservato che nel caso di sequestro probatorio informatico il “vero” oggetto del sequestro non è tanto il dispositivo elettronico (il “contenitore”) – il quale, di per sé, non ha di norma alcun interesse per le indagini – quanto piuttosto i suoi dati (il “contenuto”), nella parte in cui risultano utili alle indagini stesse: dati che, secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, vanno all’uopo selezionati e fatti possibilmente oggetto di una “copia-clone”, con restituzione del dispositivo (e della disponibilità di tutti gli altri dati) al titolare».

[58] Tutti i passaggi riportati sono tratti da Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, Considerato in Diritto n. 5.1.

[59] Sia consentito un rinvio a quanto rilevato, a commento del ricorso, in P. Villaschi, La posta elettronica e i messaggi WhatsApp sono corrispondenza?, cit., spec. 257-263.

[60] Sulla specifica questione delle acquisizioni probatorie informatiche cfr. le indizioni di Cass. pen., sez. VI, 22 settembre 2020, n. 34265, in Foro It., 2021, 2, 6, 402, con nota di M. Pittiruti, Dalla corte di cassazione un vademecum sulle acquisizioni probatorie informatiche e un monito contro i sequestri digitali omnibus, in Sistema Penale, 1, 2021.

[61] Nello stesso senso, può leggersi la sent. della Corte cost., 28 maggio 2010, n. 188, ove non si obiettò che l’acquisizione di tabulati di utenze di altri indagati fosse avvenuta al fine di eludere l’autorizzazione preventiva all’acquisizione dei tabulati delle utenze del parlamentare e, dunque, che, in altre parole, si applicasse il censurato art. 6, c. 2.

[62] A testimonianza della pluralità di interpretazioni prospettabili, a commento del ricorso sollevato dal Senato, in dottrina, muovendo dal presupposto che la distinzione tra attività investigativa diretta/mirata e casuale si dovesse applicare anche ai sequestri di corrispondenza, si era anzi avanzata l’ipotesi di un’auto-rimessione da parte della stessa Corte della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge n. 140 del 2003, nella parte in cui non prevede, tra le fattispecie ivi presenti, anche quella del «sequestro della corrispondenza», in parallelismo con l’art. 4 della stessa legge, cfr. E. Albanesi, Messaggistica WhatsApp, cit., spec. 102-105.

[63] In questo senso cfr. N. Zanon, Il regime delle intercettazioni, cit., 3.

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