Braccialetti elettronici: specifiche tecniche obsolete e problemi di privacy

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Il decreto legge 23 dicembre 2013 n.146, recante misure dirette a ridurre il sovraffollamento delle carceri (cd. decreto svuotacarceri), attualmente in discussione per la conversione in Senato, tenta di rilanciare l’uso, sia in sede cautelare che esecutiva, dei braccialetti elettronici.

 Non è mia intenzione, in questa sede, ripercorrere l’infelice storia del rapporto costo/utilizzo dei braccialetti: mi limito a ricordare che la prima convenzione tra Ministero dell’Interno e Telecom, per il periodo 2003-2011, ha comportato un esborso di denaro pubblico, censurato anche dalla Corte dei Conti, pari a 81,3 milioni di euro per la fornitura di 400 braccialetti, di cui solo 14 effettivamente utilizzati, mentre la seconda convenzione, sempre con Telecom (peraltro annullata dal Consiglio di Stato nel gennaio 2013 a causa dell’aggiudicazione mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando pubblico) prevede, per il periodo 2012-2017, un costo di 9 milioni di euro all’anno per la fornitura di 2.000 braccialetti, di cui, ad oggi, ne risultano effettivamente utilizzati solo 55.

 In questo articolo voglio, invece, soffermarmi su due aspetti particolari:

  1. le specifiche tecniche
  2. l’impatto con il codice privacy.

1. Specifiche tecniche

 I braccialetti elettronici sono stati introdotti nel nostro panorama legislativo dagli artt.16 e 17 del decreto legge 341/2000 (cd. decreto antiscarcerazioni) i quali hanno rispettivamente inserito l’art.275 bis al codice di procedura penale ed il comma 4 bis all’art.47 ter dell’ordinamento penitenziario.

Il 2 febbraio 2001 veniva emanato un decreto ministeriale contenente le specifiche tecniche per il funzionamento degli strumenti di controllo a distanza delle persone sottoposte alla misura cautelare degli arresti domiciliari o alla misura alternativa della detenzione domiciliare.

Il decreto, ancor oggi in vigore, prevede che il dispositivo di controllo sia costituito da un trasmettitore (braccialetto o cavigliera, che deve essere a tenuta stagna, di materiale ipoallergico e di dimensioni e peso contenuti) di impulsi radioelettrici a banda di frequenza compresa tra i 433,05 ed i 434,79 MHz ed un ricevitore, alimentato dalla rete elettrica, che riceve gli impulsi radio dal trasmettitore e li invia, a sua volta, al sistema informatico centrale installato presso le sedi operative delle forze dell’ordine che svolgono funzioni di polizia giudiziaria (Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza).

La trasmissione dal ricevitore al sistema informatico avviene mediante linea telefonica analogica o digitale (ISDN).

Il sistema informatico, a sua volta, è composto da dispositivi hardware e software idonei a controllare, anche da remoto, la regolarità dei vari flussi di comunicazione e gestire i processi di dati nonché le segnalazioni di allarme (guasti o manomissioni del braccialetto o del ricevitore, superamento del perimetro predefinito di spazio di movimento autorizzato).

 Si tratta, in tutta evidenza, di caratteristiche tecniche decisamente obsolete: non solo non vi è alcun riferimento alle linee fisse DSL o alla banda larga, ma non si prevedono neppure sistemi di trasmissione dati via rete cellulare.

La domanda che mi (vi) pongo è la seguente: com’è possibile che il Governo abbia emanato un decreto legge – anche se per la parte relativa ai braccialetti elettronici, per fortuna, non è entrato in vigore – ed il nostro Parlamento si appresti ad approvare una norma che impone l’utilizzo dei braccialetti come ordinaria modalità esecutiva degli arresti e della detenzione domiciliare, senza neanche porsi il problema di aggiornare il relativo disciplinare tecnico?

 Ma c’è di peggio.

Pur essendo l’accordo quadro Ministero-Telcom un atto secretato, da informazioni rilasciate dalla stessa Telecom, emerge che una quota (10%) della nuova fornitura di 2000 braccialetti è stata riservata al cd. outdoor tracking, ovverosia al monitoraggio dei soggetti sottoposti alle misure mediante sistema GPS.

La soluzione è quasi certamente da ricondurre al decreto legge 14 agosto 2013, n.93 (cd. legge sul femminicidio), il quale ha esteso la possibilità di applicare i braccialetti elettronici anche alle persone sottoposte alla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (art.282 bis c.p.p.) e quindi a persone che sono libere di muoversi, salvo il divieto di raggiungere e/o avvicinarsi a determinati luoghi abitati o frequentati dalla persona offesa.

Si tratta di una condizione molto diversa dagli arresti domiciliari ed è evidente che il sistema di monitoraggio tramite GPS potrebbe risultare utile ed efficace.

Peccato non sia previsto dalla legge.

Ed allora la seconda domanda che mi (vi) pongo è la seguente: com’è possibile che una società privata, quale è Telecom, predisponga uno strumento di controllo a distanza, invasivo e pervasivo come l’electronic tagging, senza la necessaria base normativa?

Davvero siamo al punto di dover rammentare che ogni restrizione della libertà personale può essere disposta solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge?

2. Impatto col codice privacy

 Sotto questo profilo, mi preme analizzare la questione relativa al trattamento di dati personali in relazione alla gestione, da parte delle centrali operative, del sistema informatico di controllo del regolare funzionamento del braccialetto.

Sul punto il decreto ministeriale 2 febbraio 2001 è attento e puntuale. L’art.4, coerentemente col fatto che i titolari del trattamento sono soggetti pubblici, prevede che i dati personali correlati all’uso dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici di controllo possano essere utilizzati solo per le finalità di cui al decreto 341/2000, prevedendo espressamente che gli uffici di polizia conservino solo i dati relativi agli allarmi o altri eventi che rilevano ai fini dell’eventuale inosservanza delle prescrizioni o della sottrazione al controllo e cancellino, invece, periodicamente (anche se non viene specificato alcun termine) gli altri dati.

 Orbene, in base ai dati ricavabili dalla presentazione della piattaforma Telecom, risulta che, in virtù della convenzione ministeriale, le centrali operative anziché essere gestite, come previsto dalla legge, dai vai uffici territoriali delle forze dell’ordine sono state accentrate in un’unica sede operativa nazionale, denominata BETI, sita ad Oriolo Romano, interamente gestita da Telecom.

La centrale operativa fa da filtro tra i dispositivi di controllo e le forze dell’ordine, gestendo tutto il sistema informatico. Telecom ha conseguentemente messo in piedi una procedura piuttosto burocratica corredata da una minuziosa modulistica che le forze dell’ordine devono compilare (ed inviare a mezzo fax, sic!) alla centrale operativa BETI per richiedere installazione, modifiche e cessazione dell’utilizzo di un braccialetto. La procedura prevede sin anche un modulo da inviare a Telecom per la gestione degli eventuali permessi di uscita concessi dai magistrati ai detenuti.

Ed allora mi (e vi) domando ancora: com’è possibile che sia stata istituita una centrale operativa presso una società privata laddove la legge prevede che le sedi operative siano dislocate presso gli uffici delle forze dell’ordine? Ed ancora: il trattamento dei dati personali giudiziari – che, non a caso, il codice privacy tutela come i dati sanitari – delle persone a cui viene installato il braccialetto elettronico è stato disciplinato? Se sì, come? Ma soprattutto: dove? Nell’accordo quadro Ministero-Telecom … quello secretato e annullato?

 Personalmente, da avvocato penalista, penso che il braccialetto elettronico, con o senza GPS, sia una misura restrittiva della libertà personale autonoma (e non una modalità esecutiva di misure già previste per legge) che, in quanto tale, dovrebbe essere disciplinata ad hoc, ma in una situazione disastrosa come quella in cui versa oggi l’Italia mi accontenterei che almeno ci fosse una normativa efficace, aggiornata, ma soprattutto rispettata, quanto ad aspetti tecnici e garanzie di riservatezza. Chiedere anche che un singolo braccialetto elettronico non costi quanto un gioiello di Bulgari mi pare quasi una pretesa temeraria!

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