Diritto alla vita privata e tutela della proprietà intellettuale: un bilanciamento ponderato tra gli interessi in gioco

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Corte di giustizia dell’Unione europea, 18 ottobre 2018, causa C-149/17, Bastei Lübbe GmbH & Co. KG c. Michael Strotzer

In tema di bilanciamento tra diritti fondamentali, viola la disciplina comunitaria posta a salvaguardia dei diritti alla tutela della proprietà intellettuale e ad un ricorso effettivo, una normativa nazionale come quella tedesca, in forza della quale il titolare di una connessione Internet, attraverso cui siano state commesse violazioni del diritto d’autore, possa non essere considerato responsabile per dette violazioni, qualora indichi che alla suddetta connessione abbia accesso anche un suo familiare, pur senza fornire ulteriori precisazioni quanto al momento in cui la medesima connessione sia stata utilizzata da tale familiare e alla natura dell’utilizzo che quest’ultimo ne abbia fatto.

 

Sommario: 1. Il caso. La decisione della Corte di giustizia – 2. Analisi della decisione. Il contesto normativo. – 3. Il diritto alla protezione della vita privata e il diritto alla tutela della proprietà intellettuale a confronto. – 4. Il bilanciamento tra diritti fondamentali. – 5. Considerazioni finali.

  

  1. Il caso. La decisione della Corte di giustizia

La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame solleva la questione della necessaria conciliazione degli obblighi connessi alla tutela di diversi interessi fondamentali: da una parte, il diritto al rispetto della vita privata e, dall’altra, i diritti alla tutela della proprietà intellettuale e ad un ricorso effettivo.

La Bastei Lübbe è una società tedesca di produzione di fonogrammi, titolare dei diritti d’autore e dei diritti connessi su un audiolibro, che, l’8 maggio 2010, è stato condiviso su una piattaforma internet peer-to-peer, tramite una connessione internet di titolarità del sig. Michael Strotzer.

Dopo aver inutilmente intimato in via stragiudiziale la cessazione di tale violazione, la Bastei Lübbe ha agito in giudizio contro il sig. Strotzer dinanzi al Tribunale circoscrizionale di Monaco per far valere le proprie ragioni. Il giudice tedesco, preso atto delle difese del convenuto, ha respinto in primo grado, la domanda di risarcimento dei danni della Bastei Lübbe, in ragione del fatto che non si poteva ritenere il sig. Strotzer responsabile della violazione del diritto d’autore lamentata, avendo questi affermato che i suoi genitori potevano ugualmente esserne gli autori.

Giunta la questione in sede d’appello, dinanzi al Tribunale del Land di Monaco I, il giudice tedesco ha ravvisato la sussistenza di un peculiare filone interpretativo del Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia), secondo cui non sarebbe da ritenersi responsabile del presunto comportamento illecito il titolare di una connessione Internet mediante la quale è stata perpetrata una violazione dei diritti d’autore, ogniqualvolta egli indichi (senza doverne specificare ulteriori dettagli) che alla stessa connessione abbia accesso anche un suo familiare. In questi casi, secondo la giurisprudenza federale tedesca, infatti, l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, posto a tutela della vita privata e familiare, impedirebbe al soggetto leso di ottenere ulteriori precisazioni quanto alla modalità e ai tempi in cui tale connessione sia stata utilizzata.

Se si costringesse, infatti, il titolare della connessione internet a fornire dettagli aggiuntivi in merito alle modalità in cui è avvenuto l’accesso da parte dei suoi familiari, nell’ottica della Corte federale, si rischierebbe di ledere il diritto alla vita privata e familiare dello stesso.

Preso atto di tale indirizzo giurisprudenziale, il giudice d’appello tedesco ha, pertanto, ritenuto opportuno investire della questione la Corte di giustizia dell’Unione europea.

Quest’ultima, nella sentenza in esame, ha rilevato che la disciplina autoriale tedesca – così come interpretata dal giudice nazionale competente – sarebbe lesiva dei diritti fondamentali e dei principi sanciti nella direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione e nella direttiva 2004/48/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004 (sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale), in quanto, come meglio si vedrà infra, una tale impostazione non garantirebbe a sufficienza la tutela dei diritti di proprietà intellettuale.

 

  1. Analisi della decisione. Il contesto normativo

Come si è detto, oggetto della questione pregiudiziale sollevata dinanzi alla Corte di giustizia, nel caso di specie, è la valutazione circa la compatibilità della normativa nazionale tedesca in materia di diritto d’autore e diritti connessi, con i principi sanciti nelle direttive 2001/29/CE e 2004/48/CE e, più specificatamente, con i livelli minimi di protezione in essa garantiti per i diritti di proprietà intellettuale.

È, innanzitutto, opportuno premettere che le direttive europee – così come i trattati internazionali – sono fonti di importanza primaria in tale settore: la frontiera nazionale, infatti, non ha mai costituito una barriera alla circolazione delle opere creative[1], la cui diffusione, per vocazione stessa dei prodotti dell’ingegno, ha spesso natura transfrontaliera, soprattutto nell’epoca del digitale.

Per meglio comprendere i rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale in materia di diritti fondamentali, si deve necessariamente tener conto dell’ormai consolidato orientamento della Corte di giustizia, secondo cui, in sede di attuazione delle misure di trasposizione delle direttive europee, le autorità e i giudici degli Stati membri non solo devono interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme alle medesime direttive, ma «devono anche evitare di fondarsi su un’interpretazione di esse che entri in conflitto con i suddetti diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto dell’Unione»[2].

Con riferimento al caso di specie, l’obiettivo delle due direttive – così come si evince dal tenore letterario dei considerando in premessa alle stesse – è quello di ravvicinare le legislazioni nazionali e di «assicurare un livello elevato, equivalente ed omogeneo di protezione della proprietà intellettuale nel mercato interno»[3].

Infatti, la promozione di un alto livello di protezione del diritto d’autore e dei diritti connessi incentiverebbe la circolazione dei prodotti e dei servizi interessati e, dunque, in ultima analisi, favorirebbe «gli investimenti economici nella produzione culturale»[4].

In particolare, «[u]n quadro giuridico armonizzato in materia di diritto d’autore e di diritti connessi, creando una maggiore certezza del diritto e prevedendo un elevato livello di protezione della proprietà intellettuale, promuoverà notevoli investimenti in attività creatrici ed innovatrici, segnatamente nelle infrastrutture delle reti, e di conseguenza una crescita e una maggiore competitività dell’industria europea per quanto riguarda sia la fornitura di contenuti che le tecnologie dell’informazione nonché, più in generale, numerosi settori industriali e culturali. Ciò salvaguarderà l’occupazione e favorirà la creazione di nuovi posti di lavoro»[5].

È nel solco di queste premesse che si inseriscono gli articoli delle due direttive sulla cui interpretazione verte la domanda pregiudiziale in esame: si tratta dell’art. 3 della direttiva 2004/48/CE e degli artt. 8 e 3 della direttiva 2001/29/CE.

Dette disposizioni, da una parte, sanciscono un obbligo per gli Stati membri di definire le «misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari» ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale; dall’altra, vincolano gli stessi Stati a prevedere adeguate sanzioni per i casi di violazione dei diritti.

Ebbene, tra le «misure necessarie» cui fa riferimento la legislazione comunitaria, deve essere senz’altro rammentato l’obbligo dello Stato membro di agevolare, o quantomeno di non rendere irragionevolmente oneroso o inaccessibile, l’assolvimento da parte del soggetto leso (il creatore/l’inventore) dell’onere della prova[6]. Tale obbligo è strettamente connesso al diritto, di cui all’art. 47 della Carta di Nizza, ad una tutela effettiva delle proprie prerogative: garantire il diritto sotteso ad un’azione giurisdizionale, senza ragionevolmente tutelarne gli strumenti processuali, equivarrebbe a porre nel nulla la tutela sostanziale cui essi sono funzionali[7].

Alla luce di un quadro normativo così delineato, la Corte di giustizia ha rilevato che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti – come quelli del caso in esame – dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (la cd. Carta di Nizza) debbano rispettare il «contenuto essenziale di detti diritti e libertà»[8].

È in quest’ottica che devono essere lette le norme di cui alla direttiva n. 2004/48/CE, che, proprio nel proposito di garantire il nucleo essenziale del diritto alla tutela della riservatezza e della vita privata, prevedono espressamente che la protezione dei diritti di proprietà intellettuale debba comunque ­­­­­garantire «la tutela delle informazioni riservate», nonché rispettare «le disposizioni che disciplinano la protezione e la riservatezza delle fonti informative o il trattamento di dati personali»[9].

Sulla base di tali preliminari considerazioni, la Corte di giustizia ha affermato che una misura che comporti la violazione grave di un diritto tutelato dalla Carta «deve considerarsi non conforme all’esigenza di garantire un giusto equilibrio». Essa ha, pertanto, concluso che non possa essere condivisa l’interpretazione fornita dal Bundesgerichtshof sull’art. 97 della legge tedesca a tutela del diritto d’autore, la quale, rendendo di fatto impossibile l’identificazione dell’autore dell’asserita violazione (e, in generale, l’assolvimento dell’onere della prova da parte del soggetto leso), comporterebbe una grave violazione dei diritti fondamentali di proprietà intellettuale e ad un ricorso effettivo, tutelati dalle direttive in questione.

 

  1. Il diritto alla protezione della vita privata e il diritto alla tutela della proprietà intellettuale a confronto

I diritti rilevanti nel caso di specie sono, da un lato, il diritto alla protezione della vita privata e della vita familiare di cui all’art. 7 della Carta di Nizza, dall’altro, i diritti di proprietà intellettuale – tra cui va rammentato il diritto d’autore[10] – e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, tutelati rispettivamente dall’art. 17 e dall’art. 47 della Carta di Nizza.

Si rammenti che, anche alla luce di una vasta giurisprudenza sul tema, tali diritti devono essere oramai considerati principi generali del diritto comunitario[11], in quanto espressione di “interessi superiori” della collettività, che trascendono dalla mera tutela del singolo[12].

In particolare, il diritto fondamentale alla tutela della vita privata e familiare, come sostenuto da autorevole dottrina[13], non si esaurirebbe nel c.d. diritto di essere lasciato in pace dai poteri pubblici, quale era originariamente inteso, ma implicherebbe anche il diritto di poter controllare le informazioni che circolano sul proprio conto. Esso, dunque, deve essere inteso come vero e proprio strumento di controllo e di riequilibrio del potere sociale, in quanto in grado di garantire la tutela della libera “costruzione” di un’identità personale e, dunque, di promuovere l’uguaglianza dei cittadini[14].

D’altra parte, la tutela dei diritti fondamentali di proprietà intellettuale – e del connesso diritto di agire in giudizio per far valere le proprie prerogative in sede giurisdizionale – lungi dall’essere mera espressione degli interessi economici dell’inventore e del creatore di un’opera, ha lo scopo di perseguire un interesse superiore dei cittadini: quello all’accesso e alla fruizione della conoscenza[15]. Come fa notare parte della dottrina, «l’espressione artistica […] è fortemente collegata alla possibilità di sviluppo individuale della persona ed al contempo alla crescita collettiva della società cui ciascun individuo appartiene»[16].

In entrambi i casi, dunque, attraverso la tutela della prerogativa del singolo si perseguirebbe un interesse collettivo[17].

Ne consegue che a tali diritti debba essere riconosciuta, quantomeno in astratto, pari dignità: di qui, l’importanza di effettuare un “giusto” contemperamento tra tutti gli interessi in gioco, ovvero un bilanciamento tra i diritti fondamentali in conflitto che sia ragionevole e ponderato.

 

 

  1. Il bilanciamento tra diritti fondamentali

Sembra ormai indiscutibile che i diritti fondamentali contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nella cd. Carta di Nizza e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nel corso degli ultimi decenni, abbiano perso la caratteristica “assolutezza” che hanno sempre avuto, quantomeno in termini astratti, come si evince dalla formulazione stessa delle disposizioni normative che li contemplano. A seguito delle numerose pronunce della CEDU e della Corte di giustizia dell’UE sul tema, infatti, essi devono essere re-intrepretati nel senso che possono trovare tutela soltanto fino a quando (e nei limiti in cui) non ledano altri interessi di pari rango e di uguale dignità: «per quanto assolute possano essere le proclamazioni dei diritti fondamentali in testi costituzionali o simili, l’applicazione concreta […] dei diritti comporterà necessariamente l’esigenza di un loro contemperamento, di una loro armonizzazione, di un loro parziale sacrificio»[18].

Copiosa è la giurisprudenza in merito al necessario bilanciamento tra diritto alla protezione della vita privata e familiare con altri diritti fondamentali, anche di rilevanza politica, quali la libertà di manifestazione del pensiero o il diritto alla tutela della sicurezza dello Stato[19]: in entrambi i casi, come si evince dalle numerose pronunce della CEDU e della Corte di giustizia, l’equilibrio tra le varie prerogative in gioco è estremamente delicato, data la rilevanza pubblica degli interessi rilevanti e le gravi implicazioni che un loro sacrificio potrebbe determinare[20].

Tuttavia, come si è detto, anche la tutela delle opere dell’ingegno e di tutte le forme di espressione creativa ed artistica è di fondamentale importanza in una società democratica. Non bisogna, infatti, sottovalutare il valore sotteso alla tutela della proprietà intellettuale: proteggere l’arte e la scienza «equivale a salvaguardare l’espressione del pensiero e la personalità stessa del cittadino»[21] e, in ultima istanza, l’interesse generale della collettività alla cultura[22].

Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che possano essere estese anche a questo settore le elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza in tema di bilanciamento tra diritti fondamentali. Ci si riferisce, ad esempio, al cd. “test di proporzionalità”[23], ovvero a quel processo di valutazione tra tutti gli interessi coinvolti, che si sviluppa in tre fasi logico-consequenziali, la prima delle quali si identifica in un’analisi di «idoneità», a cui si aggiunge un’analisi di «necessità», che è seguita, a sua volta, da un’analisi di «proporzionalità in senso stretto» o di «ponderazione»[24]. In quest’ottica, paradigmatici risultano i criteri di necessità e di ragionevolezza: la compressione di un diritto fondamentale sarebbe legittima solo se idonea e necessaria a salvaguardare un altro diritto fondamentale e se il sacrificio che essa comporta non è sproporzionato rispetto al vantaggio perseguito.

 

 

  1. Considerazioni finali

Alla luce di quanto sinora esposto, non si può che condividere la decisione resa dalla Corte di giustizia dell’UE nel caso di specie[25].

Si ritiene, infatti, che i diritti di proprietà intellettuale della Bastei Lübbe siano stati irragionevolmente sacrificati a fronte di una tutela quasi assoluta della vita privata del sig. Strotzer. In particolare, l’interpretazione della giurisprudenza tedesca sulla normativa in questione, se sottoposta al vaglio del c.d. test di proporzionalità, non supererebbe il giudizio di ponderazione (o di “proporzionalità in senso stretto”) in quanto eccessiva e sproporzionata risulterebbe la compressione del diritto alla tutela della proprietà intellettuale.

Sarebbe grave – se si tiene conto della ingente casistica di violazioni perpetrate tramite connessioni internet private e appartenenti a contesti familiari – aderire ad una interpretazione come quella offerta dalla Corte federale tedesca (cfr. supra, par. 1): sposare una siffatta ricostruzione finirebbe con tutta evidenza per rendere impossibile – o, comunque, eccessivamente oneroso – ai detentori dei diritti d’autore, far valere le proprie prerogative su un’opera.

A differenza di quanto avvenuto in altri casi ormai di rilevanza storica[26], la richiesta effettuata dalla società tedesca al fine di ottenere le informazioni relative ai log di accesso alla connessione internet di titolarità del sig. Strotzer è effettuata nel contesto di un procedimento giudiziario (a poco rileva che la tutela fatta valere nel caso di specie sia di natura civile e non penale)[27]. Inoltre, nel caso in esame, la rivelazione di dette informazioni risponderebbe ad una finalità specifica e predeterminata: quella di indagare, con le garanzie del giusto processo, sulle modalità di perpetrazione dell’asserita violazione e sull’identità del suo possibile autore.

Diverso sarebbe, se, per evitare un’ingerenza ritenuta inammissibile nella vita familiare, i titolari dei diritti potessero disporre di un’altra forma di ricorso effettivo, comunque idonea a tutelare le proprie ragioni. La valutazione in merito all’esistenza di sistemi alternativi di tutela è, però, come affermato dalla stessa Corte di giustizia, di competenza esclusiva dei giudici nazionali[28].

Se una tale tutela alternativa non fosse, invece, riconosciuta in capo ai familiari, il diritto alla protezione della vita privata finirebbe per divenire un mero pretesto per legittimare violazioni indiscriminate su diritti di pari rango, rischiando paradossalmente di perdere, agli occhi della collettività, il giusto rispetto che merita.

 

[1] G. d’Ammassa, La legge sul diritto d’autore nell’era multimediale, in G. Cassano-G. Scorza-G. Vaciago (a cura di), Diritto dell’internet. Manuale operativo, Padova, 2013, 380 ss.

[2] CGUE, C-580/13, Coty Germany (2015).

[3] Cfr. considerando 10 della direttiva 2004/48/CE.

[4] G. d’Ammassa, op. cit., 380; cfr., altresì, il considerando 2 della direttiva 2004/48/CE, ai sensi del quale «la tutela della proprietà intellettuale dovrebbe consentire all’inventore o al creatore di trarre legittimo profitto dalla sua invenzione o dalla sua creazione. Dovrebbe inoltre consentire la massima diffusione delle opere, delle idee e delle nuove conoscenze. Nello stesso tempo, essa non dovrebbe essere di ostacolo alla libertà d’espressione, alla libera circolazione delle informazioni, alla tutela dei dati personali, anche su Internet».

[5] Cfr. considerando 4 della direttiva 2001/29/CE.

[6] Si veda, ad esempio, il considerando 20 della direttiva 2004/48, ai sensi del quale la prova deve essere considerata un elemento determinante per l’accertamento della violazione dei diritti di proprietà intellettuale ed è opportuno garantire che siano effettivamente messi a disposizione i mezzi per presentare, ottenere e proteggere le prove.

[7] È in quest’ottica che deve essere valutata la connessione funzionale tra l’art. 17 e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cd. Carta di Nizza) che tutelano, rispettivamente, il diritto di proprietà intellettuale (c. 2) e il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.

[8] Cfr. art. 52, c. 1, della Carta di Nizza, che, a tal proposito, specifica che possono essere legittimamente apportate limitazioni ai diritti fondamentali purché sempre «nel rispetto del principio di proporzionalità» e «solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».

[9] Cfr. artt. 6 e 8 della direttiva 2004/48/CE.

[10] Cfr., in tal senso, CGUE, C-479/04, Laserdisken (2006).

[11] Cfr., in tal senso, rispettivamente, CGUE, C‑154/04 e C‑155/04, Alliance for Natural Health e a.,(2005), nonché C‑432/05, Unibet (2007).

[12] Non è un caso che essi abbiano rilevanza costituzionale in molti sistemi giuridici di civil law. Con riferimento al diritto alla protezione della vita privata, si veda, altresì, l’art. 8 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali, nonché l’art. 12 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Con riferimento al diritto alla tutela della proprietà intellettuale, si veda, invece, l’art. 27 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.

[13] S. Rodotà, La privacy tra individuo e collettività, in Politica del diritto, 1974, 24-28, secondo il quale il diritto alla protezione dei dati personali deve essere inteso come «sentinella della democrazia».

[14] Ibidem.

[15] A. Coni, Il diritto penale d’autore alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale nazionale ed europea, in G. Cassano-G. Scorza-G. Vaciago (a cura di), op. cit., 2013, 529.

[16] Ibidem.

[17] C. Cost., 6 aprile 1995, n. 108.

[18] G. Pino, La «lotta per i diritti fondamentali», in Europa Integrazione europea, diritti fondamentali e ragionamento giuridico, in I. Trujillo-F. Viola (a cura di), Identità, diritti, ragione pubblica in Europa, Bologna, 2007, 7-10.

[19] Con riferimento al conflitto tra diritto alla protezione della vita privata e libertà d’espressione, cfr., tra le tante, CEDU, Sunday Times v. UK, ric. 6538/74 (1979); CEDU, Thorgeir Thorgeirson v. Iceland, ric. 13778/88 (1992); CEDU, Von Hannover v. Germany (n. 1), ric. 59320/00 (2004); Rubio Dosamantes v. Spain, ric. 20996/10 (2017); con riferimento al conflitto tra privacy e sicurezza nazionale, cfr. la storica sentenza CGUE, cause riunite C-293/2012 e C-594/2012, Digital Rights Ireland Ltd. (2014).

[20] Si pensi, ad esempio, a come una visione troppo restrittiva del diritto alla libertà d’espressione che potrebbe giustificare forme più o meno gravi di censura.

[21] A. Coni, op.cit., 529.

[22] , 6 aprile 1995, n. 108.

[23] G. Alpa-G. Resta, Le persone e la famiglia. Vol. 1: Le persone fisiche e i diritti della personalità, in R. Sacco (a cura di), Trattato di diritto civile, Assago, 2006, 588.

[24] Cfr., sul punto, R. Alexy, Diritti fondamentali, bilanciamento e razionalità, in «Ars Interpretandi», 2002, 131-144, secondo cui per “idoneità” si intende l’effettiva attitudine del mezzo in concreto adoperato a realizzare lo scopo perseguito. Per “necessita” si intende, invece, l’infungibilità e l’indispensabilità della misura adottata rispetto all’obiettivo specifico – valutazione che presuppone sia già stato superato con esito affermativo l’esame circa l’idoneità della stessa. Il test di necessità implica che la misura impugnata sia la meno invasiva nei confronti del bene concorrente. La “ponderazione”, invece, è lo strumento con cui si individua un equilibrio tra sacrificio imposto e vantaggio ottenuto.

[25] Cfr., per analogia, CGUE, Coty Germany, cit.; nonché, C-360/10, Sabam (2012) e C-70/10, Scarlet Extended (2011).

[26] Si pensi, ad esempio, al caso “Peppermint” che nel settembre 2006 suscitò grande dibattito in Italia. In detta occasione, infatti, il Tribunale di Roma concesse ad una società straniera di entrare in possesso, nell’ambito di un’indagine privata condotta al fine di individuare gli autori di alcune violazioni del diritto d’autore, di informazioni personali riguardanti quasi 4000 utenti delle più famose piattaforme di peer to peer. In quel caso, non era stata ancora intrapresa alcuna azione giudiziaria nei confronti degli utenti e il trattamento dei dati esperito era stato massivo. Si vedano, a tal riguardo, le riflessioni di G. Scorza, in Id., Processo alla rete. Blog Anthology, 2008.

[27] CGUE, C-275/06, Promusicae (2008).

[28] La Corte, dunque, rimanda l’apprezzamento su tale punto al giudice tedesco che aveva originariamente sollevato la questione pregiudiziale.

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