Siamo sicuri che il punto sia riscrivere la storia e cancellarne i segni?

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Medialaws ospita, con grande piacere, l’intervento di Teresa Numerico, filosofa della scienza e professoressa di Storia e teoria dell’informatica e di Comunicazione di rete presso l’Università di Roma Tre. È una prospettiva interessante, forse proprio perché non proviene da un giurista; uno spunto di riflessione originale, che aiuta a comprendere i problemi che la decisione della Corte di Giustizia potrebbe ingenerare e solleva interrogativi che guardano al di là dei confini del diritto all’oblio. (GMR)

 

Il 24 luglio scorso le autorità europee per la protezione dati (DPAs), hanno convocato Google, Yahoo e Microsoft a Bruxelles per discutere dell’implementazione pratica della decisione della Corte di Giustizia Europea (ECJ) a proposito di diritto all’oblio, resa pubblica il 13 maggio. Il diritto all’oblio è nato relativamente di recente e riguarda la tutela dal rischio che gli atti del passato di un individuo debbano essere sempre ricordati anche quando non sono più rilevanti ai fini del diritto di cronaca. Un delitto commesso o un’opinione espressa una volta non possono essere richiamati costantemente per inchiodare una persona a quell’evento del suo passato, a meno che non sia qualcosa di rilevante pubblicamente.

Tuttavia questo diritto, sancito anche dalla direttiva europea sulla protezione dei dati (95/46EC), è molto difficile da applicare perché è in conflitto con altri diritti anche più vitali come la libertà di espressione o il divieto della censura. Il dispositivo della Corte Europea sul diritto all’oblio non fa eccezione quanto a vaghezza e difficoltà d’interpretazione. La sentenza chiede che l’informazione sia rimossa dalle liste dei risultati dei motori di ricerca e da altri siti che non sono espressamente mezzi di comunicazione nel caso sia inaccurata, inadeguata, irrilevante o eccessiva.

Per quali siti vale la sentenza? Motori di ricerca o siti che non siano dei mezzi di comunicazione. Ogni sito è un mezzo di comunicazione, sebbene non sempre prodotto da professionisti dell’informazione. Ritenere che Google debba tutelare il diritto all’oblio dei cittadini europei è piuttosto strano. Segnala o esplicita un elemento finora mai discusso giuridicamente o politicamente: l’idea che il motore costituisca la memoria della collettività. Il diritto all’oblio non riguarderebbe quindi la presenza di un’informazione in un blog o in un articolo giornalistico online, ma solo la sua visibilità attraverso un motore di ricerca, e in particolare quello di maggior uso in Europa. Una tale affermazione mette Google in una certa difficoltà e insieme gli attribuisce un enorme potere. Gli viene chiesto di svolgere una funzione da servizio pubblico. Inoltre la sentenza si riferisce solo a quei motori di ricerca che hanno le loro sedi e i loro server anche in Europa. Se invece le informazioni sono contenute nei siti che non hanno una sede legale o tecnica in Europa, il dispositivo non ha valore. Eppure esse sono ugualmente consultabili dai cittadini dell’Unione.

Ma quali sono le informazioni da rimuovere? Il contenzioso aperto dai termini usati dalla Corte Europea è filosofico e politico prima che giuridico e apre più interrogativi di quelli ai quali offre una risposta: l’informazione da rimuovere sarebbe quella inadeguata, irrilevante o eccessiva. Concetti che si riferiscono alla tutela di una misura incalcolabile precisamente. Inadeguata rispetto a cosa? Che dobbiamo intendere per rilevanza? E come possiamo definire l’eccesso? Lasciare a un soggetto privato la discrezionalità su questi temi significa attribuirgli una capacità di discernimento, una saggezza che, in mancanza di precise regole o casi ai quali uniformarsi, evoca il sapore di una facoltà divina.

E’ forse per questo che le autorità europee hanno chiesto il colloquio ai rappresentanti dei motori? Per chiedere consiglio agli interessati su come scrivere le linee guida per applicare il principio, previste in autunno? Si chiede a chi deve far rispettare le regole come scrivere le linee guida che dovrà applicare?

I casi da risolvere sono del resto un discreto numero ormai. Già dopo 24 ore erano 12.000. Fino a fine luglio sembra che Google abbia ricevuto più di 90.000 richieste, e ne abbia accolte circa la metà. L’Italia, per esempio, si piazza al quinto posto con 7.500 richieste dopo Francia, Germania, Inghilterra e Spagna.

La scelta di Google di dare ampio riscontro alle domande ricevute e una certa pubblicità a quelle accolte sembra il frutto di una strategia di comunicazione prima che organizzativa. Quando Google ha rimosso articoli della BBC e del Guardian l’opinione pubblica si è ribellata gridando alla minaccia del diritto di cronaca e facendo ipotesi di censura. E’ nato persino un sito hiddenfromgoogle.com che si ripromette di rendere pubblici i link indisponibili su Google. Il rischio, soprattutto per i casi iniziali, è l’effetto boomerang: la divulgazione immediata e amplificata proprio di quelle informazioni che dovevamo dimenticare. Anche per questo forse le autorità hanno convocato le parti, per chieder loro di abbassare i toni. Come un favore forse. Rispetto al ridicolo al quale la tutela sembra essere condannata.

Difficile tenere sotto controllo la memoria, specie quella di gruppo, per giunta online. Siamo immersi in un mondo di tracce digitali, che continuiamo a lasciare. Come possiamo cancellarle? Intanto dimentichiamo informazioni accessibili consegnandole senza pensarci a dispositivi distanti e incontrollabili. Li mettiamo sulla nuvola, “cloud”. Ma cosa c’e’ di più impalpabile e impenetrabile delle nuvole? Chissà se tutte queste tracce lasciate giorno e notte, non siano proprio parte del problema della memoria e dell’oblio? Siamo sicuri che il punto sia riscrivere la storia? Cancellarne i segni? Chiedere a qualcuno di amministrare la nostra memoria, per giunta in maniera instabile a causa dei tagli richiesti da chi vuole essere dimenticato?

 

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