Il Premio Nobel per la pace alla libertà di stampa: il valore del pluralismo democratico avverso le dittature e la disinformazione

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Nel corso del 2021, in ogni parte del globo sono emerse spinte liberticide che hanno messo a dura prova la democrazia, con il dichiarato scopo di controllare e reprimere l’esercizio dei diritti fondamentali degli individui. L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a due giornalisti sembra essere, dunque, il consolante epilogo di un anno che ha visto un turbolento inizio nell’assalto a Capitol Hill quale risultato di un annoso attacco alle libertà avvenuto tanto online quanto offline. Un premio con un valore speciale anche per il suo significato storico. L’ultima volta che un giornalista ha ricevuto il Nobel per la Pace è stato nel 1935, anno in cui l’Accademia ha premiato Carl von Ossietzky, detenuto in un campo di concentramento per aver rivelato come Hitler stesse segretamente riarmando la Germania.

A quasi un secolo di distanza, altri due giornalisti, Maria Ressa e Dmitry Muratov, lei filippina e lui russo, sono stati premiati a Oslo per aver difeso la democrazia e averne promosso i valori attraverso la loro professione. Come ricordato dalla Direttrice della Commissione Norvegese del Premio Nobel, il cuore della democrazia è situato nella partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica[1]. Tale partecipazione passa imprescindibilmente per l’accesso a informazioni imparziali e veritiere, e ciò è possibile soprattutto grazie al lavoro di giornalisti che siano in grado di veicolare messaggi liberi per individui liberi. Come ha dichiarato, difatti, Muratov in un’intervista[2] rilasciata alla BBC, ​​«it is an award for professionals and not for propagandists», e per tutti quei giornalisti che si sono messi al servizio della libertà dei cittadini, mettendo a rischio la loro. La stessa Ressa, del resto, ha recentemente affrontato il carcere per “cyberlibel” nelle Filippine, mentre Muratov, caporedattore di Novaya Gazeta, guida uno degli ultimi giornali indipendenti della Russia.

Il ruolo centrale dell’attività giornalistica per il corretto funzionamento di una società democratica è stato più volte sottolineato sul piano internazionale ed europeo. Risalente e consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) ha evidenziato il «public-watchdog role»[3] della stampa, ovverosia la sua funzione di “guardiano” a tutela del bene pubblico e dei valori democratici. Il diritto di cronaca, che è un ponte tra idee e individui, è espressione di una dimensione tanto attiva quanto passiva della libertà di manifestazione del pensiero. Come, del resto, ha rammentato in molteplici occasioni la Corte Costituzionale Italiana, i giornalisti debbono essere i promotori del diritto a essere informati: ovverosia, il risvolto passivo della libertà di cui all’art. 21 della Costituzione[4]. Da questo, passa la compiuta realizzazione di un interesse generale all’informazione, che, in un regime di democrazia, completa il diritto di informare, e si concretizza nella garanzia di un pluralismo delle idee e nel libero accesso alle stesse.

Nei loro discorsi, pronunciati nel corso della cerimonia di premiazione[5], Ressa e Muratov hanno posto l’accento su due questioni cruciali che rappresentano un rischio concreto per la garanzia di un sistema informativo sano e pluralistico: da un lato, le diffuse e crescenti minacce per la sicurezza, l’integrità fisica e la libertà personale dei giornalisti; dall’altro lato, l’impatto delle tecnologie digitali, e in particolare di Internet, sulla diffusione dell’informazione.

Sotto il primo profilo, i due hanno in primo luogo ricordato i nomi dei numerosi colleghi vittime di aggressioni, e spesso di omicidio, per l’attività investigativa da essi condotta. Il problema della violenza, psicofisica e verbale, nei confronti di giornalisti, attivisti e voci “dissidenti” – violenza spesso guidata dalla propaganda di regime – è invero una questione centrale che richiede sforzi ulteriori a livello di politica nazionale e sovranazionale, al fine di garantire un ecosistema in linea con i principi democratici[6]. Al tempo stesso, la persecuzione dei giornalisti assume sempre più sovente un profilo più prettamente “legale”, attraverso il ricorso ad azioni giudiziarie pretestuose, in sede civile o penale, volte a scoraggiare e silenziare il diritto di cronaca, soprattutto se di opposizione (c.d. “SLAPP”[7]). Ressa, in particolare, ha sottolineato come, in meno di due anni, il governo filippino abbia emanato dieci mandati d’arresto contro di lei e come, nel 2020, ella e un suo collega siano stati condannati per cyber-diffamazione a causa di un articolo pubblicato in un periodo antecedente la promulgazione della stessa legge penale di riferimento[8]. In Europa, del resto, la stessa Commissione, nel suo Piano d’azione per la democrazia europea[9], ha espresso una seria preoccupazione nei confronti del fenomeno delle SLAPPs: per questo motivo si è scelto, tra l’altro, di allestire un gruppo di esperti per elaborare adeguate strategie di contrasto[10].

Sotto il secondo profilo, i due vincitori del Premio Nobel hanno evidenziato come le tecnologie digitali abbiano impattato lo stesso sistema informativo. Al giorno d’oggi, il ruolo che il giornalista è chiamato a compiere nell’esercizio della sua professione si rende assolutamente indispensabile nell’epoca che taluni hanno definito della “post-verità”[11], ovvero del “capitalismo della sorveglianza”[12]. La tecnologia, il cui utilizzo non dev’essere senz’altro demonizzato, tenuto conto del ruolo che essa ricopre per il presente e il futuro della nostra civiltà, provoca, d’altro canto, delle evidenti fratture e sfide sul piano dell’esercizio di tali libertà[13]. L’impiego di algoritmi non solo per la moderazione dei contenuti, ma anche per la profilazione degli individui e la conseguente somministrazione di consigli di lettura o di acquisti (content curation[14]), fa sorgere una serie di considerazioni circa la libertà di autodeterminazione degli stessi e la garanzia di un accesso effettivo a una libera informazione che non sia troppo condizionata dalle “bolle-filtro”[15]. Con questo termine si intende il risultato di un sistema di filtraggio sartoriale di contenuti che, unito alla massiva raccolta di dati personali, incoraggia la creazione di un’esperienza digitale altamente personalizzata. Pur essendo utile ricevere notizie che interessano, evitando il fastidioso slalom tra titoli da clickbait, questo strumento rischia a volte di tradursi in una stanza senza uscita, ove il pluralismo di opinioni va in crisi e lascia spazio alla polarizzazione del pensiero[16], a scapito della stessa dimensione passiva della libertà di informazione.

La letteratura ha, del resto, ripetutamente sottolineato come l’utilizzo di sistemi algoritmici per la “cura” dei contenuti in rete tenda ad alimentare la diffusione di disinformazione ed hate speech in rete, a causa del maggiore coinvolgimento prodotto da contenuti altamente controversi, a discapito invece della libertà di espressione delle categorie “protette” (donne, minoranze etnico-razziali, comunità LGBTQIA+ etc.)[17]. In questo contesto, secondo alcuni, la metafora tutta statunitense che fa di Internet il «libero mercato delle idee»[18] va utilizzata con cautela[19] in un contesto, peraltro, affaticato da fake news ed echo-chambers e nel quale il dibattito lascia sempre più spazio ai discorsi d’odio. L’eccesso di informazioni e di fonti, la poco trasparente selezione effettuata dagli algoritmi, la ricerca del click ad ogni costo, sono tutti elementi che, stando ad una prospettiva oggi abbastanza seguita, stanno minando alle fondamenta il pluralismo del mercato delle idee. Meccanismi che la pandemia da COVID-19 non ha fatto altro che esacerbare, dando la possibilità a chiunque di essere artefice di notizie, spesso senza alcun credito, e andando a minare non soltanto l’accesso alla conoscenza, ma soprattutto la tenuta degli stessi valori democratici.

I giornalisti, pertanto, divengono, sia nel mondo degli atomi sia nel mondo dei bit, protettori del sano dibattito democratico, che non può aver luogo laddove le verità di ciascuna bolla prevarichino e tentino di imporsi sulla verità delle bolle altrui[20]. «Il giornalismo è il principale vaccino contro la disinformazione»[21], ma in ancora troppi paesi del mondo è bloccato, con un conseguente aumento di ostacoli alla copertura delle notizie e al sicuro esercizio di questa professione.

La premiazione di Ressa e Muratov, dunque, si fa bandiera di questa e di molte altre problematiche che la libertà di stampa – così come altre libertà democratiche – sta vivendo, e rappresenta, altresì, un faro per un futuro che non intende cedere sul rispetto dei diritti fondamentali degli esseri umani. Come affermato dalla stessa Ressa nel suo discorso di premiazione: «the destruction has happened. Now it’s time to build – to create the world we want»[22].

[1] Berit Reiss-Andersen, Award ceremony speech, in nobelprize.org, 10 dicembre 2021.

[2] BBC – Hardtalk, Maria Ressa and Dmitry Muratov: Fighting for a free press, in open.spotify.com, 15 dicembre 2021.

[3] Si vedano, ex multis: CEDU, Observer e Guardian c. Regno Unito, ric. 13585/88 (1991), par. 59; CEDU, Observer e Guardian c. Regno Unito, ric. 13585/88 (1991), par. 59; CEDU, Goodwin c. Regno Unito, ric. 17488/90 (1996), par. 39.

[4] Corte Costituzionale, sent. 105/1972, par. 4.

[5] M. Ressa, Nobel Lecture, in nobelprize.org, 10 dicembre 2021; D. Muratov, Nobel Lecture, in nobelprize.org, 10 dicembre 2021.

[6] Si veda, in tal senso, Article19, Safety of journalists and human rights defenders, in article19.org.

[7] Strategic lawsuits against public participation. Si veda, sul punto, la Comunicazione della Commissione sul piano d’azione della democrazia europea, COM/2020/790 final, p. 16: «Le azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica (“azioni bavaglio”) sono una particolare forma di molestia sempre più utilizzata nei confronti dei giornalisti e di altri soggetti coinvolti nella tutela dell’interesse pubblico. Si tratta di azioni legali infondate o esagerate, avviate da organi dello Stato, società commerciali o persone potenti nei confronti di parti più deboli che esprimono critiche o comunicano messaggi scomodi ai suddetti soggetti, su una questione di interesse pubblico. Il loro scopo è quello di censurare, intimidire e mettere a tacere gli oppositori, imponendo loro l’onere delle spese legali di difesa fino a quando non desistono dalle loro posizioni critiche o dalla loro opposizione. Sebbene tali iniziative possano colpire i soggetti della società civile, sono i giornalisti ad essere particolarmente esposti proprio per la natura del loro lavoro»

[8] Maria Ressa, Nobel Lecture, cit.

[9] Comunicazione della Commissione sul piano d’azione della democrazia europea, cit.

[10] Commissione europea, Registro dei gruppi di esperti della Commissione e di altri organismi analoghi – Expert group against SLAPP, in ec.europa.eu.

[11] L. C. McIntyre, Post-verità, Milano, 2019.

[12] S. Zuboff, Surveillance Capitalism, Cambridge MA, 2019.

[13] Lo rammenta bene anche Ressa nell’intervista che ha rilasciato alla BBC, di cui alla nota n. 2.

[14] E. Llansó et al., Artificial Intelligence, Content Moderation, and Freedom of Expression, Transatlantic Working Group Paper Series, in ivir.nl, 26 febbraio 2020, pp. 14 ss.

[15] E. Pariser, The Filter Bubble: How the New Personalized Web Is Changing What We Read and How We Think, Londra, 2011.

[16] C.R. Sunstein, #Republic. Divided Democracy in the Age of Social Media, Princeton NJ, 2017.

[17] E. Llansó et al., op. cit.; N. Helberger et al., A freedom of expression perspective on AI in the media – with a special focus on editorial decision making on social media platforms and in the news media, in European Journal of Law and Technology, 11-3, 2020, in ejlt.org; S.U. Noble, Algorithms of Oppression. How Search Engines Reinforce Racism, New York, 2018.

[18] Reno v. American Civil Liberties Union, 521 U.S. 844 (1997).

[19] Si veda, in tal senso, l’analisi offerta da A. Morelli e O. Pollicino, Metaphors, Judicial Frames and Fundamental Rights in Cyberspace, in American Journal of Comparative Law, 2020.

[20] Tale aspetto è posto bene in evidenza anche da Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani in Ma il mercato delle idee è proprio al capolinea? Considerazioni sparse a partire dal volume “Il mercato delle verità” di Antonio Nicita, in questa rivista, n. 3, 2021.

[21] Dal Report di Reporters Sans Frontiers, pubblicato nel 2021, in rsf.org/fr/classement.

[22] M. Ressa, Nobel lecture, cit.

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