Tra tutela dell’indipendenza della magistratura e garanzia del diritto alla protezione dei dati personali. L’Avvocato Generale Bobek si pronuncia sull’esclusione del controllo delle autorità garanti rispetto ai trattamenti di autorità giurisdizionali nell’esercizio delle loro funzioni.

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Introduzione

Lo scorso 6 ottobre l’Avvocato Generale presso la Corte di giustizia ha rassegnato le proprie conclusioni nella causa C-245/2020, originata da un rinvio pregiudiziale sollevato del Tribunale dei Paesi Bassi Centrali in merito alla corretta interpretazione dell’art. 55, par. 3, del Regolamento (UE) 2016/679 (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali, in seguito “GDPR”). Tale norma, come noto, si inserisce nell’ambito della disciplina sulla competenza delle autorità di controllo, ed esclude la sussistenza di un potere di controllo da parte delle autorità di protezione dati sui trattamenti di dati personali effettuati dalle autorità giurisdizionali nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali. La ratio di tale previsione si coglie nell’esigenza di salvaguardare l’indipendenza del potere giudiziario (compreso il processo decisionale) identificata dal considerando 20 del GDPR, secondo il quale Proprio a mente di questo considerando, “[s]i dovrebbe poter affidare il controllo su tali trattamenti di dati a organismi specifici all’interno del sistema giudiziario dello Stato membro, che dovrebbero in particolare assicurare la conformità alle norme del […] regolamento, rafforzare la consapevolezza della magistratura con riguardo agli obblighi che alla stessa derivano dal presente regolamento ed esaminare i reclami in relazione a tali operazioni di trattamento dei dati”.

Il contesto del rinvio pregiudiziale

Per comprendere la portata della questione sottoposta alla Corte di giustizia è necessario esaminare i fatti che hanno portato al quesito su cui l’Avvocato Generale ha formulato ora le proprie conclusioni. Nell’ambito di una controversia di diritto amministrativo, veniva consentito ai giornalisti presenti in loco, nei pressi dell’aula, di prendere visione di alcune informazioni relative al procedimento perché gli stessi potessero fornire un resoconto accurato delle vicende di causa. La documentazione, visionabile dai giornalisti esclusivamente nei locali della corte e il giorno dell’udienza, includeva copia di alcuni atti del procedimento (per esempio, il ricorso introduttivo, la memoria difensiva e l’eventuale sentenza di primo grado), la cui ostensione implicava una diffusione, tra l’altro, di dati personali. Questa prassi consolidata, realizzatasi senza nessuna acquisizione di consenso delle parti, veniva sottoposta all’attenzione dell’autorità olandese per la protezione dei dati personali, la quale riteneva tuttavia di essere carente di competenza, rinviando gli atti a una commissione appositamente istituita per gli organi giurisdizionali amministrativi sulla risoluzione dei ricorsi in materia di GDPR. In questo scenario, era messo in discussione se l’autorità garante olandese fosse effettivamente legittimata a declinare la propria competenza a riesaminare la decisione del Consiglio di Stato di rendere accessibili gli atti processuali. Tale dubbio si appuntava sulla necessità di verificare se, in tale frangente, detto organo potesse effettivamente qualificarsi come “autorità giurisdizionale nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali”, ai sensi dell’art. 55, par. 3, del GDPR. Della questione era pertanto investita la Corte di giustizia mediante rinvio pregiudiziale.

L’interpretazione dell’Avvocato Generale

Secondo l’Avvocato Generale, la soluzione del quesito in via pregiudiziale presuppone la valutazione di due elementi: l’uno sostanziale, ossia la verifica di un’operazione di trattamento, l’altro istituzionale, ossia la presenza di un’autorità giurisdizionale che agisca nell’esercizio delle relative funzioni giurisdizionali. Appurato che senz’altro nel caso di specie sussiste un’operazione di trattamento di dati, l’Avvocato Generale concentra la propria analisi sul secondo elemento. Ad avviso di Bobek, l’alternativa tra una lettura restrittiva (sostenuta dalla Commissione), secondo cui occorrerebbe attribuire rilevanza solo alle attività che hanno o potrebbero avere un legame diretto con il processo decisionale (menzionato al considerando 20), e un’interpretazione ampia, in base alla quale la salvaguardia dell’indipendenza della magistratura richiede un approccio estensivo, va sciolta a favore della seconda opzione. Il riferimento al “processo decisionale” contenuto nel considerando 20 sarebbe meramente esemplificativo ma non potrebbe circoscrivere l’alveo delle attività per le quali si applicano le ulteriori garanzie in questione.

Secondo l’Avvocato Generale, l’art. 55, par. 3, attribuisce rilevanza a due elementi che giustificano l’attribuzione dei compiti di controllo a un organo diverso dall’autorità di controllo ordinaria: un elemento istituzionale, corrispondente alla qualificazione come autorità giurisdizionale (da cui si presume una prevalenza di attività giurisdizionali, anche in caso di svolgimento di attività amministrative accessorie), e un correttivo/adeguamento istituzionale, che permette di cogliere determinate funzioni (quelle, per l’appunto giurisdizionali) tra quelle svolte in seno alle predette autorità. Non si tratta, quindi, di una definizione puramente funzionale: non basta che vi siano genericamente organismi che esercitano funzioni giurisdizionali, serve che si tratti di autorità giurisdizionali. Questo correttivo funzionale deve essere interpretato in senso ampio onde consentire una tutela effettiva dell’indipendenza della magistratura nell’adempimento dei compiti giurisdizionale (tra cui il processo decisionale è uno tra gli altri). Questa conclusione, secondo Bobek, è suffragata dalla stessa interpretazione ampia offerta dalla Corte di giustizia del concetto di indipendenza della magistratura, da intendersi come “capacità dei giudici di esercitare le proprie funzioni liberi da qualsiasi forma di pressione”. Così, “l’approccio alla categorizzazione delle attività che vengono svolte “nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali” non può essere un approccio individuale e specifico per il singolo caso, incentrato sulla potenziale ingerenza su ciò che è “giurisdizionale” nelle circostanze di un singolo caso. Un siffatto approccio sarebbe per definizione fattuale e circostanziale, a volte più ampio e a volte più ristretto. L’approccio adottato per l’interpretazione di tale nozione deve quindi essere strutturale (cioè procedere in base alla tipologia di attività) e, per sua natura, preventivo”. Così, quando sussistano dubbi sulla natura di un tipo di attività come giurisdizionale o amministrativa e sulla idoneità di determinate forme di controllo a incidere sull’indipendenza dei giudici, “ciò dovrebbe rimanere (strutturalmente) estraneo alla competenza dell’autorità di controllo”.

Le conclusioni

L’ampia argomentazione sulla ratio dell’art. 55, par. 3, e sulla genuina interpretazione da attribuire a questa disposizione consente all’Avvocato Generale di identificare alcuni punti fermi nella soluzione che egli propone di adottare alla Corte di giustizia.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, secondo Bobek, la sussistenza di una designazione istituzionale del Consiglio di Stato come autorità giurisdizionale è pacifica. Inoltre, anche aderendo al “correttivo funzionale”, un’attività quale la comunicazione alla stampa degli atti di un processo si riferisce all’esercizio di funzioni giurisdizionali, in quanto rende più trasparente l’attività del giudice e tocca il nucleo del diritto all’equo processo.

Su questo presupposto, l’Avvocato Generale formula ulteriori considerazioni in risposta ai vari sotto-quesiti sollevati dal giudice del procedimento principale.

In primo luogo, il giudice non è chiamato ogni volta a verificare se la sottoposizione a controllo dell’autorità giurisdizionale integri un’effettiva incidenza sull’indipendenza della magistratura. La finalità istituzionale dichiarata dall’art. 55, par. 3, serve ad attrarre nella fattispecie tutti i tipi di attività giudiziari il cui controllo possa implicare un’influenza, anche indiretta, sull’indipendenza dei magistrati.

In secondo luogo, ad avviso di Bobek l’esatta natura e lo scopo di una particolare operazione di trattamento non costituiscono circostanze determinanti per verificare quando un giudice agisca “nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali”. I propositi concretamente perseguiti nel trattamento di dati, come l’incremento della trasparenza e della pubblicità delle decisioni giudiziarie, non giocano alcun ruolo nell’apprezzamento dei presupposti indicati all’art. 55, par. 3.

Infine, la stessa necessità di una base giuridica nel diritto nazionale e la sua identificazione sono questioni “di merito” che non rilevano per accertare che i giudici agiscano o abbiano agito nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali.

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About Author

Marco holds a PhD in Constitutional and European Law from the University of Verona (2016) and is a qualified lawyer in Milan (2013). He is an Emile Noël at the Jean Monnet Center for International and Regional Economic Law & Justice - New York University (School of Law). In 2010 he got his degree in Law (magna cum laude) from Bocconi University, Milan. He has been a visiting researcher at the Max Planck Institute for Comparative Public Law and International Law in Heidelberg (2012) and at the Max Planck Institute for Foreign and International Criminal Law in Freiburg im Breisgau (2012). His research interests include Constitutional Law, Information and Communication Law and EU Law.

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