Protezione dei diritti di Ip e sistemi di filtraggio e blocco delle comunicazioni

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L’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Cruz Villalón ha depositato oggi le proprie conclusioni nella causa pendente innanzi alla Corte in sede di rinvio pregiudiziale C-70/11 Scarlet Extended / Société belge des auteurs compositeurs et éditeurs (Sabam). Le questioni pregiudiziali proposte al massimo organo giurisdizionale comunitario riguardano l’interpretazione della legislazione belga che per tutelare i diritti di proprietà intellettuale in rete attribuisce all’autorità giudiziaria la possibilità di ingiungere ai provider provvedimenti di natura inibitoria volti al filtraggio ed al blocco delle comunicazioni in rete.

La causa principale ha avuto origine dal ricorso promosso dalla Sabam, società belga di gestione collettivi dei diritti, nei confronti della Scarlet Extended SA, un fornitore di accesso ad Internet, con il quale si chiedeva l’adozione di un provvedimento provvisorio nei confronti del provider. La Sabam richiedeva, innanzitutto, che si dichiarasse l’esistenza di lesioni al diritto d’autore relativo alle opere musicali appartenenti al suo repertorio, cagionate dallo scambio non autorizzato, mediante servizi forniti dalla Scarlet, di file elettronici musicali, realizzato, in particolare, tramite software peer-to-peer. La Sabam domandava, inoltre, che fosse ingiunto alla Scarlet di far cessare tali lesioni rendendo impossibile o paralizzando qualsiasi forma di invio o di ricevimento da parte dei suoi clienti, mediante software peer-to-peer, di file contenenti un’opera musicale senza l’autorizzazione dei titolari dei diritti. In sostanza nella causa principale i rappresentanti dei titolari dei diritti rivolgendosi direttamente nei confronti del provider chiedevano il blocco dell’accesso ai sistemi P2P da parte dei clienti del provider, in analogia a quanto avvenuto nel nostro Paese nello scorso anno nel noto contenzioso tra Fapav e Telecom Italia.

Con una prima decisione del 26 novembre 2004 un tribunale belga riconosceva l’esistenza delle denunciate lesioni ai diritti di proprietà intellettuale lamentate dalla ricorrente e con una seconda sentenza del il 29 giugno 2007, veniva ordinato alla Scarlet di far cessare le ripetute violazioni dei diritti rendendo impossibile qualsiasi forma di invio o di ricevimento da parte dei suoi clienti di file elettronici contenenti un’opera musicale del repertorio della Sabam. Il provider avrebbe dovuto ottemperare alla decisione, elaborando gli opportuni sistemi di filtraggio e blocco, entro un termine di sei mesi dalla decisione, a pena di vedersi infliggere un’ammenda giornaliera pari a 2500 euro in caso di inottemperanza alla sentenza. La Scarlet avverso le richiamate decisioni proponeva appello innanzi alla Cour d’appel di Bruxelles evidenziando, in particolare, i possibili profili di contrasto della legislazione belga con le disposizioni comunitarie in materia di protezione dei diritti di proprietà intellettuale e di responsabilità dei provider nella società dell’informazione.

La Corte d’Appello persuasa dalle argomentazioni difensive proposte dal provider decideva, quindi, di sospendere il giudizio rivolgendo alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:”Se le direttive 2001/29 1 e 2004/48, lette in combinato disposto con le direttive 95/46 3, 2000/31 e 2002/58, interpretate, in particolare, alla luce degli artt. 8 e 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, consentano agli Stati membri di autorizzare un giudice nazionale, adito nell’ambito di un procedimento nel merito e in base alla sola disposizione di legge che prevede che: “[E]ssi (i giudici nazionali) possono altresì emettere un’ingiunzione recante un provvedimento inibitorio nei confronti di intermediari i cui servizi siano utilizzati da un terzo per violare il diritto d’autore o un diritto connesso”, ad ordinare ad un Fornitore di Accesso ad Internet di predisporre, nei confronti della sua intera clientela, in abstracto e a titolo preventivo, esclusivamente a spese di tale provider e senza limitazioni nel tempo, un sistema di filtraggio di tutte le comunicazioni elettroniche, sia entranti che uscenti, che transitano per i suoi servizi, in particolare mediante l’impiego di software peer to peer, al fine di individuare, nella sua rete, la circolazione di file elettronici contenenti un’opera musicale, cinematografica o audiovisiva sulla quale il richiedente affermi di vantare diritti, e in seguito di bloccare il trasferimento di questi, al momento della richiesta o in occasione dell’invio. In caso di risposta affermativa alla questione sub 1, se tali direttive obblighino il giudice nazionale adito con una richiesta di ingiunzione nei confronti di un intermediario dei cui servizi si avvalgano terzi per violare il diritto d’autore, ad applicare il principio della proporzionalità quando è chiamato a pronunciarsi sull’efficacia e sull’effetto dissuasivo della misura richiesta”.

L’avvocato generale nelle sue conclusioni ha riconosciuto, svolgendo delle considerazioni di pressante attualità anche rispetto ai provvedimenti in discussione in questo periodo nel nostro Paese, in termini generali, come un provvedimento inibitorio della specie di quello ottenuto dalla Sabam nella causa principale leda, in linea di principio, i diritti fondamentali degli utenti. Per essere ammissibile, un provvedimento del genere dovrebbe rispettare le condizioni per la limitazione all’esercizio dei diritti previste dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione ed, in particolare, dovrebbe essere basato su un fondamento normativo che soddisfi i requisiti della «qualità della legge» in questione.

L’avvocato generale dopo un’attenta ricostruzione delle caratteristiche del sistema di blocco imposto al provider rileva come il provvedimento inibitorio rivolto nei confronti del fornitore dei servizi si presenti come un nuovo obbligo come tale non previsto dal diritto dell’Unione. Si tratterebbe, peraltro, di un’obbligazione di risultato per quanto riguarda la tutela dei diritti d’autore protetti dalla Sabam, mediante il sistema istituito, e ciò a pena di ammenda. Inoltre, sotto altro profilo, come rileva acutamente l’avvocato, tale sistema porrebbe a carico del provider i costi per la creazione del sistema di filtraggio e di blocco e, per tal via, la responsabilità giuridica ed economica della lotta al download illegale, largamente delegata ai fornitori di accesso a Internet. Così descritte le conseguenze del provvedimento rivolto alla Scarlet l’estensore delle conclusioni passa a verificare la compatibilità di tale sistema con i diritti riconosciuti ai cittadini europei dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Sotto tale profilo, l’avvocato rileva come la predisposizione di un tale sistema di filtraggio e di blocco si risolverebbe in una limitazione del diritto al rispetto del segreto delle comunicazioni, del diritto alla protezione dei dati personali e della libertà d’informazione tutelata dalla Carta dei diritti. A fronte degli effetti potenzialmente lesivi dei succitati diritti determinati dall’adozione del sistema richiesto dalla Sabam, l’avvocato generale passa nel proseguo delle conclusioni a verificare se tali limitazioni possano essere considerate giustificate alla luce del sistema di garanzie istituito con l’approvazione della Carta di Lisbona.

La Carta dei diritti fondamentali, come ricorda l’avvocato, riconosce, infatti, la possibilità di imporre delle limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà da essa garantiti, a condizione, in particolare, che siffatte limitazioni siano «previste dalla legge». In virtù della giurisprudenza sviluppata in materia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, l’avvocato generale Cruz Villalón ritiene che una limitazione all’esercizio dei diritti e delle libertà garantite dalla Carta dei diritti fondamentali debba basarsi su un fondamento normativo che risponda ai requisiti relativi alla «qualità della legge» in questione. Pertanto, dal suo punto di vista, una limitazione dei diritti e delle libertà degli utenti di Internet come quella oggetto di questa causa sarebbe ammissibile solo se si basasse su un fondamento normativo nazionale accessibile, chiaro e prevedibile. Orbene, secondo l’avvocato generale non si può considerare che l’obbligo a carico dei fornitori di accesso a Internet di predisporre, a loro spese, il sistema di filtraggio e di blocco in questione sia stato previsto in modo espresso, tempestivo, chiaro e preciso nella disposizione di legge belga in questione. Infatti, l’obbligo imposto ai fornitori di accesso a Internet è alquanto singolare, da una parte, e «nuovo», o addirittura inatteso, dall’altra.

L’avvocato generale sottolinea che, peraltro, né il sistema di filtraggio, destinato ad essere applicato sistematicamente e in modo universale, permanente e perpetuo, né il meccanismo di blocco, che può essere attivato senza che sia prevista la possibilità per le persone che lo subiscono di contestarlo o di opporvisi, sono corredati da sufficienti garanzie. Alla luce delle cosniderazioni svolte l’avvocato generale propone alla Corte di giustizia di dichiarare che il diritto dell’Unione vieta ad un giudice nazionale di emanare, sulla base di una disposizione di legge belga, un provvedimento che ordini ad un fornitore di accesso ad Internet di predisporre, nei confronti della sua intera clientela, in abstracto e a titolo preventivo, esclusivamente a spese di tale fornitore e senza limitazioni nel tempo, un sistema di filtraggio di tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi (in particolare mediante l’impiego di software peer-to-peer) per individuare, nella sua rete, la circolazione dei file elettronici contenenti un’opera musicale, cinematografica o audiovisiva sulla quale un terzo affermi di vantare diritti, e in seguito di bloccare il loro trasferimento, a livello della richiesta o in occasione dell’invio.

Le considerazioni svolte dall’avvocato generale nelle descritte conclusioni si dimostrano di particolare interesse almeno sotto due profili. Da un lato, infatti, l’avvocato non esclude, almeno in linea di principio, la possibilità per i legislatori dei Paesi membri dell’Unione di predisporre dei sistemi di protezione dei diritti di proprietà intellettuale che contemplino la possibilità di imporre ai provider l’adozione dei sistemi di filtraggio e blocco sopra descritti purchè però tali rimedi siano previsti da norme di legge dotate dei caratteri di chiarezza e prevedibilità richiesti dalla Carta dei diritti. Sotto altro profilo, le conclusioni segnano, ad avviso di chi scrive, un ulteriore passo in avanti della giurisprudenza comunitaria nel percorso teso alla costruzione di un sistema di garanzie per gli utenti della rete contro l’aggressività dimostrata in questi anni dai titolari dei diritti di Ip. Come noto le conclusioni non vincolano la Corte, se non in termini di obblighi motivazionali in caso di dissenting opinion, e sarà dunque, interessante valutare quale saranno gli orientamenti dei giudici comunitari nell’affontare la delicata questione proposta. Le conclusioni presentate oggi potrebbero, infine, svolgere un importante ruolo pedagogico nei confronti della nostra autorità nazionale di regolazione, l’Agcom, relativamente al recente provvedimento relativo alle procedure di notice and takedown da affidare ai providerattualmento oggetto di consultazione pubblica. Come autorevolmente sostenuto dal Centro Nexa nel rispondere alla consultazione, il provvedimento dell’Agcom ed i rimedi dallo stesso previsti appaiono sprovvisti di una base legale idonea a legittimarli e, anche nel nostro caso, i sistemi elaborati si dimistrano, almeno potenzialmente, lesivi dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta di Lisbona. Probabilmente, anche in vista del recepimento del pacchetto Telecom, sarebbe opportuna, da parte dell’Autorità, un’ulteriore riflessione sul tema mentre il legislatore, ove lo ritenesse opportuno, dovrebbe farsi carico di prevedere forme di regolamentazione conformi al quadro legislativo comunitario disciplinante la materia per evitare di incorrere, ancora una volta, nella scure dei giudici comunitari che, in diverse occasioni, in questi anni hanno fatto sentire la propria voce in materia.

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