PIPA, SOPA.Tutela del copyright o censura della libertà di espressione e della privacy?

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Dopo essere stata protagonista e strumento delle rivoluzioni popolari che nella scorsa primavera hanno caratterizzato il Nord Africa e il Medio Oriente, la Rete torna (o resta?) alla ribalta per il grande successo che ha avuto l’organizzazione del primo web-sciopero della sua storia.

Il fatto è noto: il Congresso U.S.A. sta discutendo due diverse proposte di legge, una denominata Protect IP Act (“PIPA”) e l’altra Stop Online Privacy Act (“SOPA”). Il SOPA persegue obiettivi anti-piracy attraverso meccanismi rigorosi e di rapida applicazione per reprimere i fenomeni di violazione del copyright, prevedendo che i titolari dei diritti violati possano agire sia nei confronti di chi ha materialmente commesso la violazione che nei confronti dei siti e dei portali che ospitano materiali che ledono il diritto d’autore o che (per citare il bill)  “rendono possibile o comunque facilitano attività di violazione del copyright” (ad esempio attraverso il linking). Nel PIPA – anch’esso finalizzato a reprimere i fenomeni di pirateria informatica – è previsto che il giudice possa sanzionare i siti web (senza specifiche territoriali, quindi anche quelli all’estero..) che offrono e distribuiscono materiali “copyrighted”. Soprattutto, è disciplinato il potere del giudice di perseguire  anche i provider (di qualsiasi tipo: gli access provider, i content provider e addirittura portali, social network, motori di ricerca) che in qualsiasi modo rendono possibili transazioni con i siti illeciti o ad essi facciano pubblicità o presentino collegamenti.
Tanto è bastato per scatenare la protesta on line dei net-citizens che sostengono che gli effetti nefasti della normativa (presentata da Lamar Smith, deputato del giustizialista Texas…) sarebbero quelli di una radicale limitazione della libertà di espressione in Rete e della privacy attraverso forme di vera e propria censura. Il web-sciopero (attuato in varie forme: dal black-out, all’oscuramento auto-imposto, a siti listati a lutto, etc) ha visto la partecipazione di quasi tutti i grandi protagonisti del web: da Wikipedia a WordPress a Mozilla a 30 milioni di utenti (anche se Google, Twitter e Facebook – pur appoggiando l’iniziativa – non hanno formalmente “scioperato”).

Questo on-line strike (vero segno delle continue trasformazioni sociali del nostro tempo) ha ottenuto l’effetto di far fare una parziale retromarcia a 26 senatori del Congresso e di rinviare la discussione di PIPA e SOPA a Febbraio, anche perché lo stesso Presidente degli Stati Uniti d’America, in un messaggio ufficiale, ha dichiarato: “Noi non supporteremo una legge che riduce la libertà d’espressione, aumenta il rischio di attacchi informatici e mina le basi della forza dinamica e innovativa di internet”, prospettando la possibilità che sia posto il veto (negli USA il Presidente può bloccare una leggete approvata dal Congresso ponendo il veto).

La vicenda può indurre qualche riflessione.

La prima: nella Società dell’Informazione Globale sempre più spesso le battaglie di civiltà e democrazia (e non solo queste, come le recenti rivoluzioni popolari dimostrano) si combattono e si combatteranno sempre più sulla e mediante la Rete.

La seconda: gli attacchi alla libertà di espressione e alla privacy avvengono da parte di Legislatori miopi che ancora legiferano in base alla “territorialità”, che il cyber-space (non-luogo per eccellenza) ha da tempo spazzato via…

La terza: tentativi simili (vedi la legge HADOPI in Francia) – pur portati a termine – stanno dimostrando tutta la loro inefficacia e gli impatti negativi sulla stessa industria che vorrebbero proteggere.

Infine, la vicenda dimostra ancora una volta la contrapposizione tra due diversi mondi e culture del Diritto, quello americano e quello europeo. Le proposte di legge americane imporrebbero stringenti obblighi di monitoraggio preventivo e successivo ai provider, sanzionandoli per una sorta di responsabilità indiretta, mentre la normativa comunitaria (in particolare la direttiva sui servizi della società dell’informazione) specifica l’assenza di qualsivoglia “obbligo generale di sorveglianza” in capo ai provider. E ancora, mentre il SOPA determinerebbe una prevalenza legale del copyright sul diritto alla privacy (come lo stesso minaccioso e poco elegante titolo del bill – Stop online privacy – suggerisce..), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha già avuto modo di chiarire in una importante sentenza (Promusicae/Telefonica) il rapporto – nell’ordinamento comunitario e in quelli nazionali – tra la normativa posta a tutela dei diritti di proprietà intellettuale e la legislazione sulla protezione dei dati personali nella cosiddetta Società dell’Informazione specificando che non esiste alcun obbligo previsto dalle leggi comunitarie di imporre la divulgazione dei dati personali con il fine di proteggere il diritto d’autore (in sostanza, la Corte afferma che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica – almeno nei procedimenti civili – non sono tenuti a privilegiare i diritti di proprietà intellettuale di terzi a discapito della privacy dei loro utenti).

Il vero rischio – e su tale aspetto si dovrà concentrare l’attenzione nei mesi futuri dei net-citizens – è quello di una “americanizzazione” dell’Europa, nel senso che le proposte di modifica delle direttive su IP e data protection di cui si sta discutendo a livello comunitario sembrano lasciare spazio ad assetti regolatori simili – nelle intenzioni – a quelli del PIPA e del SOPA.

(articolo già pubblicato su www.tafter.it)

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