La relazione tra innovazione e mercati costituisce un tema complesso e, spesso, irrisolto. Gli interventi antitrust, cosí come quelli regolatori basati su modelli di azione pro-concorrenziale, hanno bisogno di identificare una situazione di significativo potere di mercato.
Questa modalitá di azione, sebbene indirizzi in senso pro-concorrenziale l’outcome regolatorio, aumenta il rischio di una regolazione non ottimale in talune situazioni di mercato. Si pensi, ad esempio, al caso in cui la distorsione del mercato non ha (prevalentemente) origine in un diffuso potere di mercato, ma in altri fallimenti, quali ad esempio le esternalitá di rete.
Peraltro, come presupposto alla identificazione del potere di mercato, il regolatore deve definire un mercato ‘rilevante’. Un contesto competitivo, cioè, nel quale i rapporti di sostituibilità, innanzitutto per la domanda, siano tali da permettere di includere nello stesso mercato beni e servizi giudicati sostituti dagli acquirenti e di escludere tutti gli altri. La sostituibilità viene in particolare articolata con riferimento ai prezzi e allo spazio geografico. Ma il tempo è generalmente tenuto costante. E ciò che è sostituibile adesso e, ragionevolmente, in un futuro prossimo definisce ‘questi’ mercati ‘rilevanti’.
L’azione antitrust e quella regolatoria si confrontano dunque sempre con un fantasma dispettoso: il tempo. O, se si vuole, l’innovazione. Perché i processi innovativi, che avvengono nel corso del tempo, finiscono per modificare i rapporti di sostituibilità e dunque i confini del mercato. Possono farlo rimpiazzando i prodotti o aggregandoli in una nuova forma di consumo integrato. Pensiamo ai ‘vecchi’ CD musicali prima dell’IPod e della nascita di Apple Store o di prodotti e servizi analoghi. Per non parlare di come IPhone abbia rivoluzionato gli smartphone, generando nuovi attori sul mercato e costringendo al ritiro di fatto dal mercato di un colosso come Nokia. Cambiano i mercati? Cambiano i consumi? Emergono nuovi mercati con tentativi di monopolizzazione?
Il dilemma è che, di solito, le autorità antitrust e i regolatori devono rispondere a queste domande in fretta, prima di osservarne effetti compiuti. Il che ci porta a scegliere adesso tra aumentare il rischio futuro di falsi positivi (definisco e colpisco posizioni dominanti e abusi che non lo erano, danneggiando l’innovazione) o quello di falsi negativi (aspetto a valutare negativamente posizioni che una volta affermate sul mercato saranno difficili da contendere). Non sapendo ex-ante quale di questi incrementi sia maggiore ed abbia maggiore probabilitá di verificarsi.
Questi dilemmi sono la norma nell’ecosistema digitale e non dobbiamo meravigliarci se i casi che nascono presso l’Antitrust europeo (i casi Microsoft, il caso Intel, il caso Google, il caso Qualcomm) ci mettano moltissimo tempo prima di giungere ad una decisione, con addebiti che spesso cambiano nel corso del tempo.
Coloro che sono chiamati a decidere si trovano in una posizione non certo invidiabile. Perché le risposte vere alle domande che si pongono si avranno solo con il tempo e c’è il rischio che gli esiti sui mercati siano poi influenzati dalle decisioni assunte dalle autorità antitrust e dai regolatori.
Uno dei dilemmi riguarda l’affermazione di standard non replicabili a causa degli effetti di rete. Fu cosi con il primo caso Microsoft, laddove si riteneva che il bundle con il browser Explorer monopolizzasse il mercato dei browser. A quel tempo era Netscape il leader e subì la concorrenza di Explorer. E vennero le decisioni Antitrust, in Europa quella più stringente.
E poi però, arrivarono Safari, Firefox e tanti altri ancora. Prima di Google, il motore di ricerca dominante a livello mondiale era Yahoo.
In una recente intervista, Tim Berners-Lee, ritenuto l’”inventore” di Internet ha riconosciuto che oggi Facebook e Google hanno caratteristiche di dominanza, ma ha aggiunto che così erano Netscape e Microsoft anni fa. E ribadendo che la concorrenza è “a click away”. Nell’intervista al Corriere della Sera del 3 dicembre 2015, curata da Serena Danna, Berners-Lee afferma: “Mentre lottavamo contro la posizione dominante di Mountain View, è spuntato Facebook e l’ingegneristica sociale. Come si evince, la storia del web è apparentemente una storia di alternarsi di monopoli, ma la verità è che all’improvviso il vento cambia e l’enfasi si sposta altrove: mentre siamo concentrati sul presunto «nemico» del momento, arrivano invenzioni. In rete c’è molto più offerta di quella che appare: ci sono le grandi compagnie ma anche le piccole che non profilano i propri utenti”.
Senza dubbio è una tesi affascinante che potremmo definire Schumpeteriana: il monopolio genera concorrenza attraverso processi imitativi, ma la concorrenza genera innovazioni destinate a mantenere monopoli non duraturi. Nell’ottica schumpeteriana, il ciclo monopolio-concorrenza è diacronico e si autodisciplina, basta aspettare. Interventi ‘esterni’ finirebbero per bloccare il ciclo, danneggiando l’innovazione e, in ultima analisi, il benessere sociale.
E qui però risorge il dilemma. Se oggi, nell’ecosistema digitale, gli standard sono comunque esposti alla concorrenza che verrà, esattamente come lo furono Netscape e Microsoft, allora conviene muoversi su un piano di soft regulation, di aggiustamenti progressivi, senza azioni esterne di disturbo al ciclo monopolio-concorrenza. E, da questo punto di vista, indagini antitrust pluriennali che modifichino continuamente il focus dell’allegation finirebbero per alimentare l’incertezza giuridica delle imprese e il loro incentivo ad innovare.
Ma se invece fossimo ormai in un ecosistema che ha superato la soglia monopolio-concorrenza, al punto da trasformare pervasivamente le dinamiche innovative e imitative?
Se fossimo ormai calati in un mondo nel quale il prodotto coincide con il mercato e dunque la concorrenza è sempre residuale e segmentata?
Detto in altri termini, se nell’ecosistema digitale l’innovazione procedesse non per strappi ma per accumulazione della conoscenza, dei dati e degli effetti di rete, non potremmo essere già precipitati in un mondo nel quale la concorrenza, sempre possibile, diventi man mano meno probabile?
Un altro dilemma riguarda il processo di progressiva sostituzione e sostituibilitá delle piattaforme digitali, non ‘nel’ mercato ma, ‘con il’ mercato, nel senso di ‘market place’. Nel commercio eletrtronico le piattaforme digitali “si fanno” mercato ed intermediano, da un lato, fra i fornitori di informazioni che sono anche consumatori di prodotti, e, dall’altro, i consumatori di informazioni che sono anche fornitori di prodotti.
Le piattaforme digitali, i nuovi market place, riducono drasticamente i costi di ‘search’ e di transazione rispetto ai mercati tradizionali; ma come queste modifichino le dinamiche concorrenziali da un versante e dall’altro della piattaforma é ancora da ben definire. Come e quanto i fornitori di informazioni valutano e prezzano la cessione del proprio ‘prodotto informativo’? Come le esternalitá incrociate di rete (cross-group network externalities) vengono internalizzate? Come gli acquirenti di informazioni ed fornitori di prodotti competono fra di loro e come questa concorrenza trasforma la tradizionale catena del valore e di approprazione dei surplus? Quali nuovi e diversi lock-in ed exit cost si vengono a creare? .
Sono tutte domande che agitano i responsabili delle autorità antitrust e di regolazione, specie in Europa. E, in tutta onestà, oggi è difficile avere una risposta chiara.
E’ alto il rischio di buttar via il bambino digitale ed innovativo con l’acqua sporca del potere di mercato e cioè spiazzare ed inibire ciò che di meglio ha prodotto l’ecosistema digitale per paura di forme irreversibili di monopolizzazione (che, tuttavia, potrebbero essere di breve durata, sempre se ha ragione Berners-Lee).
E allora, la strada maestra è quella della definizione dei mercati rilevanti, della relazione tra piattaforme e multi-sided markets e di un nuovo approccio regolatorio volto ad individuare e ‘governare’ le posizioni dominanti, nuove situzioni di lock-in, esternalitá di rete e nuovi mercati.
Mettendo al centro tre questioni: l’interoperabilità di piattaforme e software; la creazione di mercati concorrenziali per l’accesso e la diffusione ai dati e la determinazione delle dinamiche concorrenziali, e dei loro effetti, ai dievrsi versanti della piattaforma digitale.
Si tratta di questioni complesse rispetto alle quali è ragionevole sviluppare un approccio regolatorio precauzionale e sistemico, evitando di inibire un numero estremamente elevato di transazioni efficienti. Visione sistemica e capacità di adattamento temporale sono oggi fondamentali per valutare l’impatto sociale ed economico dell’innovazione tra nuovi mercati, spinte competitive e market foreclosure.