La complessa regolamentazione di Internet tra diritto di accesso e diritto di “uscita”

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  1. La rivoluzione digitale come cambiamento epocale della storia dell’umanità tra rilevanti vantaggi e nuovi problemi

Con l’avvento della cd. era dell’accesso[1] Internet rappresenta l’emblema della “Società dell’informazione”[2] che proietta l’umanità – ancora in modo non del tutto pienamente consapevole – verso un’inedita esperienza cd. “onlife”[3] in cui, venendo meno la tradizionale distinzione tra “off-line” e “on-line”, prende forma il nuovo ambiente della cd. “Infosfera”[4], caratterizzato dall’impatto pervasivo delle tecnologie grazie alla fruibilità di strumenti e risorse disponibili nel “cyberspazio” in grado di favorire la generale digitalizzazione della stragrande maggioranza dei servizi erogati dalla PA e dalle imprese, nonché delle relazioni interpersonali instaurate su scala planetaria.

La “Quarta Rivoluzione digitale”[5] lascia un segno tangibile lungo il cammino del progresso sociale che si è sviluppato nel corso del tempo come tappa fondamentale della storia dell’umanità, con cui ha origine, a partire dal nuovo Millennio, un nuovo ecosistema raffigurato dalla cd. “Generazione Z”, costituita dai nuovi “millennias” successori dei primi nativi digitali totalmente connessi ad Internet che sperimentano quotidianamente inedite esperienze di interazione offerte dal “web 2.0” e dai social network.

Diventa sempre più centrale l’uso delle ICT, come conferma la pandemia “Covid-19”[6], che ha reso necessario il ricorso massivo ad applicazioni di video conferenza, piattaforme di e-commerce, servizi di messaggistica a causa della necessaria riorganizzazione in modalità digitale delle quotidiane attività di lavoro, studio e socialità svolte dalle persone[7].

Nonostante la progressiva crescita quantitativa degli utenti di Internet, pari al 59% della popolazione mondiale, con più di 4,5 miliardi di persone che usano la Rete[8], le disomogenee condizioni di utilizzo di Internet determinano un grave fattore di diseguaglianza sociale che alimenta diffusi rischi di esclusione digitale suscettibile di pregiudicare il corretto esercizio di diritti fondamentali configurabili online, a causa di numerose variabili che influenzano l’accesso ad Internet (competenze digitali di base, bassi livelli di scolarizzazione e istruzione, fattori economici), tali da determinare, secondo la prospettiva pessimistica descritta dalla teoria della cd. stratificazione[9], un crescente incremento delle discriminazioni virtuali senza riuscire a colmare l’attuale ritardo esistente[10].

Emerge, infatti, il fenomeno del digital divide, configurabile in una dimensione “cognitiva” (fondata sul mancato possesso di conoscenze minime indispensabili nella capacità di “navigare” in Rete[11]) e in una dimensione “infrastrutturale” (basata sulla carente disponibilità di adeguati sistemi di connessione alla Rete).

La diffusione “a macchia di leopardo” di Internet in Europa trova conferma nel Rapporto DESI[12] (Digital Economy and Society Index) pubblicato dalla Commissione europea a partire dal 2015 per monitorare il livello di digitalizzazione degli Stati membri, facendo riferimento agli obiettivi generali fissati dall’Agenda Digitale per l’Europa[13].

Secondo l’edizione DESI 2020, l’Italia[14] occupa il terzultimo posto fra i 28 Stati membri dell’UE, rispetto al 23º posto raggiunto in base alla classifica DESI 2019, a causa delle criticità riscontrate soprattutto in base all’indicatore “Capitale umano” (sul piano della “Connettività”, malgrado i miglioramenti riscontrati nell’ultimo anno, la diffusione della banda larga fissa ad almeno 100 Mbps al 13% è ancora troppo distante dal livello medio infrastrutturale europeo, al pari della banda ultra-larga VHCN).

Il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni, infatti, possiede almeno competenze digitali di base (rispetto al 58% nell’UE) e il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (a fronte del 33% nell’UE); solo l’1% dei giovani italiani è in possesso di una laurea in discipline ICT (il dato più basso nell’UE), mentre il 17% degli italiani non ha mai utilizzato Internet (quasi il doppio della media UE)[15].

Il  trend negativo di analfabetismo digitale provoca rischiosi fattori di esclusione sociale, precludendo le potenzialità di crescita economica e sociale oggi sempre più influenzate dall’efficace sfruttamento delle tecnologie, con gravi ricadute negative sul crollo del PIL[16], sulla tenuta dei settori produttivi a rischio recessione[17] e sui livelli occupazionali a causa della mancata riqualificazione della forza lavoro in linea con quanto descritto dal World Economic Forum, secondo cui a partire dal 2022 verranno create nuove opportunità professionali collegate al settore digitale che richiederanno competenze specialistiche ICT[18].

 

  1. Perché “costituzionalizzare” il diritto di accesso ad Internet? Prospettive di inquadramento

Alla luce dei problemi esistenti, da tempo si discute sulla necessità di garantire il diritto di accesso ad Internet, mediante interventi di regolamentazioni in grado di adeguare il quadro normativo vigente all’evoluzione tecnologica.

Allo stato attuale, è possibile individuare numerose fonti legislative dedicate – direttamente o indirettamente – al diritto di accesso ad Internet.

A livello di Unione europea, la base giuridica di riferimento è formalizzata, all’interno del cd. “pacchetto” di direttive del 2002[19], nella nozione di “servizio universale” delineata dalla Direttiva 2002/22/CE per assicurare la fornitura dei servizi di comunicazione elettronica alla totalità dell’utenza secondo standard minimi essenziali «a prescindere dall’ubicazione geografica dei medesimi e, tenuto conto delle specifiche circostanze nazionali, ad un prezzo abbordabile […] nel rispetto dei principi di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità» (art. 3), ivi compreso «un accesso efficace a Internet, tenendo conto delle tecnologie prevalenti usate dalla maggioranza degli abbonati e della fattibilità tecnologica» (art. 4).

Ad integrazione della citata normativa, il Regolamento (UE) n. 2015/2120 (entrato in vigore il 30 aprile 2016) emanato in materia di net neutrality «per garantire un trattamento equo e non discriminatorio del traffico nella fornitura di servizi di accesso a Internet e i relativi diritti degli utenti finali» (art. 1), attribuisce agli utenti «il diritto di accedere a informazioni e contenuti e di diffonderli, nonché di utilizzare e fornire applicazioni e servizi, e utilizzare apparecchiature terminali di loro scelta, indipendentemente dalla sede dell’utente finale o del fornitore o dalla localizzazione, dall’origine o dalla destinazione delle informazioni, dei contenuti, delle applicazioni o del servizio» (art. 3), ponendo a carico dei fornitori dei servizi digitali l’obbligo generale (salve limitate ipotesi tassative) di trattare «tutto il traffico allo stesso modo, senza discriminazioni, restrizioni o interferenze, e a prescindere dalla fonte e dalla destinazione, dai contenuti cui si è avuto accesso o che sono stati diffusi, dalle applicazioni o dai servizi utilizzati o forniti, o dalle apparecchiature terminali utilizzate» (art. 4).

Anche il diritto internazionale offre una solida cornice normativa di principi che potrebbero essere utilizzati per ricondurre il fondamento del diritto di accesso ad Internet nel combinato disposto degli artt. 19 e 25 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici di New York del 16 dicembre 1966, nonché nell’art. 10 CEDU, tenendo presente che, in più occasioni, le Nazioni Unite hanno riconosciuto ufficialmente la rilevanza di Internet con l’intento di sollecitare gli Stati a promuovere l’accesso ad Internet in condizioni effettive di libertà, sicurezza e trasparenza[20].

Per quanto riguarda il quadro normativo italiano, l’art. 1 della legge 2004, n. 4 dopo aver disposto che «La Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici», tutela in particolare «il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili, in ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione», per poi precisare nel successivo art. 8 che «lo Stato promuove iniziative volte a favorire l’alfabetizzazione informatica dei cittadini con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire l’utilizzo dei servizi telematici delle pubbliche amministrazioni».

Anche nell’ambito della cd. “Carta della cittadinanza digitale” prevista dal D.lgs. 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione digitale) è sancito il riconoscimento del diritto all’uso delle tecnologie (art. 3), reso effettivo mediante l’attuazione, a carico dello Stato, di «iniziative volte a favorire la diffusione della cultura digitale tra i cittadini con particolare riguardo ai minori e alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire lo sviluppo di competenze di informatica giuridica e l’utilizzo dei servizi digitali delle pubbliche amministrazioni» (art. 8).

Merita, infine, di essere menzionata la Dichiarazione dei Diritti in Internet ufficialmente adottata il 28 luglio 2015 «per dare fondamento costituzionale a principi e diritti nella dimensione sovranazionale» (Preambolo).

In particolare, l’art. 2 della “Carta dei Diritti di Internet” afferma che «l’accesso ad Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale. Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete. L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda dispositivi, sistemi operativi e applicazioni anche distribuite. Le Istituzioni pubbliche garantiscono i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilità».

Alla luce del panorama normativo vigente, in considerazione delle implicazioni giuridiche che oggi assume la Rete, si discute da tempo sulla possibilità di qualificare l’accesso ad Internet come diritto costituzionalmente tutelato, a partire da quando, nel 2010, per la prima volta, in occasione della III Edizione dell’Internet Governance Forum Italia, Stefano Rodotà, formulava la prima proposta di modifica costituzionale, poi recepita in un disegno di legge[21], recante l’introduzione del nuovo art. 21-bis Cost. («Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire le violazioni dei diritti di cui al Titolo I della parte I»).

Un’ulteriore proposta di legge costituzionale in corso[22] – già presentata nella precedente legislatura[23] – prevede l’introduzione dell’articolo 34-bis della Costituzione («Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete internet in condizioni di parità e con modalità tecnologicamente adeguate. La Repubblica promuove le condizioni che rendono effettivo l’accesso alla rete internet come luogo dove si svolge la personalità umana, si esercitano i diritti e si adempiono i doveri di solidarietà politica, economica e sociale. La limitazione di tale diritto può avvenire, con le garanzie stabilite dalla legge, solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria. È riconosciuta la neutralità della rete internet. La legge determina le condizioni affinché i dati trasmessi e ricevuti mediante la rete internet non subiscano trattamenti differenziati se non per fini di utilità sociale e riconosce la possibilità di utilizzare e di fornire apparecchiature, applicativi e servizi di propria scelta»).

In tale prospettiva, è al centro di un aperto dibattito il problema di stabilire se la costituzionalizzazione della Rete serva a determinare utili effetti applicativi concreti sul piano pratico[24], o se o se sia sufficiente valorizzare, sulla scorta di un’interpretazione estensiva, il contenuto precettivo delle disposizioni costituzionali vigenti[25], provando ad esempio a ricondurre il diritto di accesso ad Internet negli artt. 2, 3 e 9 Cost., come norme in grado di assicurare la conformità costituzionale della legislazione ordinaria predisposta in materia.

Di certo l’eventuale costituzionalizzazione del diritto di accesso ad Internet pone una serie di criticità in ordine alle concrete modalità di attuazione di tale situazione giuridica soggettiva, qualificabile come pretesa “finanziariamente sostenibile”, difficilmente azionabile come prestazione a carico dei pubblici poteri in mancanza di risorse economiche disponibili[26].

La costituzionalizzazione della Rete potrebbe, quindi, degradare a mera enunciazione di principio soltanto simbolica, priva di effettività specie in un momento storico, come quello attuale, «caratterizzato da una significativa contrazione di liquidità economica per esigenze di “Spending review” e di contenimento della spesa pubblica»[27], anche alla luce dei risultati riscontrabili, sul piano empirico-comparativistico, nell’ordinamento greco, in cui continuano a registrarsi risultati poco soddisfacenti ben al di sotto della media europea secondo gli indicatori DESI, pur essendo stato formalizzato il riconoscimento del cd. “diritto di accesso alle informazioni diffuse elettronicamente”, come esplicito intervento dedicato alla rilevanza giuridica di Internet mediante l’inserimento del nuovo articolo 5A della Carta fondamentale predisposto in sede di revisione del testo avvenuta nel 2001.

 

  1. Verso nuove esigenze di tutela connesse all’evoluzione tecnologica: il diritto di “uscita” da Internet

La rapida evoluzione dell’ambiente digitale espone gli utenti al pericolo di costanti violazioni dei propri diritti[28] a causa di sofisticati strumenti di profilazione che realizzano un sistema di “personalizzazione” dei contenuti[29] mediante tecniche invasive di raccolta massiva di “big data” in grado di realizzare un tracciamento completo e dettagliato sulle preferenze e sulle abitudini delle persone a discapito della privacy[30], con l’ulteriore rischio di favorire la circolazione incontrollata di fake news veicolate all’interno di cd. “bolle di filtro”[31] in cui si manifesta la cd. “polarizzazione ideologica”[32] degli utenti, attirati da “informazioni polarizzate”[33] (anche se false o distorte) corrispondenti alle proprie convinzioni personali, determinando un crescente aumento della disinformazione online[34].

Con l’avvento della cd. “società dell’algoritmo[35], sembra quindi necessario garantire la tutela effettiva del diritto di “uscita” da Internet[36], come pretesa individuale di abbandonare in qualsiasi momento l’ambiente digitale, cancellando il flusso integrale dei dati personali memorizzati in Rete.

Così come il diritto di accesso ad Internet, da sempre emblema della “rivoluzione digitale”, assume i connotati di un vero e proprio diritto fondamentale, in quanto «precondizione di ogni altro diritto digitale o dell’esercizio on line dei diritti tradizionali»[37], allo stesso modo anche «anche l’uscita da esso esige un’analoga, adeguata considerazione, perché il governo del sé in rete possa davvero svolgersi in modo da garantire la persona nella sua integralità»[38] al fine di assicurare un’effettiva protezione del cd. “corpo elettronico[39] delle persone.

[1] Cfr. J. Rifkin, L’Era dell’Accesso. La rivoluzione della New Economy, Milano, 2001.

[2] J.R. Beniger, Le origini della Società dell’Informazione. La rivoluzione del controllo, Torino, 1995

[3] L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Milano, 2017, 47.

[4] Cfr. L. Floridi, Infosfera. Etica e filosofia nell’età dell’informazione, Torino, 2009.

[5] L. Floridi, La quarta rivoluzione, cit.

[6] A conferma di ciò, si veda la Relazione annuale 2020 sulle attività svolte da AGCOM in materia di net neutrality, giugno 2020.

[7] Sia consentito rinviare a A. Alú, Il mondo dopo il Covid-19: quali lezioni (digitali) per prepararci al futuro, Agendadigitale.eu, 1 aprile 2020.

[8] Secondo quanto indicato dal Report “Global Digital 2020”, a cura di “We are social” in collaborazione con Hootsuite.

[9] Cfr. P. Norris, Digital Divide: Civic Engagement, Information Poverty, and the Internet, Cambridge University Press, 2001.

[10] L. Sartori, Il divario digitale. Internet e le nuove disuguaglianze sociali, Bologna, 2006, 31 e ss.

[11] L. Nannipieri, La dimensione costituzionale del digital divide. In particolare, gli ostacoli cognitivi alla proiezione dell’individuo nello spazio virtuale, in M. Nisticó, P. Passaglia (a cura di), Internet e Costituzione, Torino, 2014, 189 ss.

[12] The Digital Economy and Society Index (DESI), 2020.

[13] L’Agenda Digitale Europea è una delle iniziative realizzate dalla Commissione europea nell’ambito della strategia Europa 2020 per sviluppare un mercato unico digitale verso una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva del continente.

[14] Link: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/scoreboard/italy.

[15] Un ulteriore conferma sulla diffusione del divario digitale cognitivo italiano è rintracciabile nel Rapporto annuale 2020 pubblicato dall’ISTAT che ha registrato un basso livello di utenti di Internet per fattori culturali, anagrafici, generazionali e territoriali, soprattutto nell’ambito dei nuclei familiari localizzati nel mezzogiorno, in cui «la percentuale di famiglie in cui nessun componente usa internet tocca quasi il 30% al Sud e nei comuni fino a 2.000 abitanti», cfr. Rapporto annuale 2020 ISTAT, Capitolo  Criticità strutturali come possibili leve della ripresa: ambiente, conoscenza, permanente bassa fecondità.

[16] Secondo le previsioni contenute nell’indagine promossa dall’ufficio “Ricerca e Studi” Mediobanca.

[17] Cfr. Commissione europea, “Spring 2020 Economic Forecast: A deep and uneven recession, an uncertain recovery.

[18] Cfr. World Economic Forum, Report “The Future of Jobs 2018”.

[19] Direttiva “accesso” n. 2002/19/CE, Direttiva “autorizzazioni” n. 2002/20/CE, Direttiva “quadro” n. 2002/21/CE, Direttiva “servizio universale” n. 2002/22/CE.

[20] Risoluzione A/HCR/20/L. 13 del 5 luglio 2012 e Risoluzione A/HRC/25/117 del 24 marzo 2014.

[21] Disegno di legge costituzionale n. 2485, Introduzione dell’articolo 21-bis della Costituzione, recante disposizioni volte al riconoscimento del diritto di accesso ad Internet, 6 dicembre 2010.

[22] Proposta di legge costituzionale n. 1136, Introduzione dell’articolo 34-bis della Costituzione, in materia di riconoscimento del diritto sociale di accesso alla rete Internet, 4 settembre 2018.

[23] Disegno di legge costituzionale n. 1561, Introduzione dell’articolo 34-bis della Costituzione, recante disposizioni volte al riconoscimento del diritto di accesso ad Internet, 10 luglio 2014 e Proposta di legge costituzionale n. 2816, Introduzione dell’articolo 34-bis della Costituzione, in materia di riconoscimento del diritto universale di accesso alla rete Internet, 14 gennaio 2015.

[24] Ex multis, si rinvia alle osservazioni di M.R. Allegri, G. d’Ippolito (a cura di), Accesso a Internet e neutralità della rete fra principi costituzionali e regole europee, Roma, 2017; P. Marsocci, Cittadinanza digitale e potenziamento della partecipazione politica attraverso il web: un mito così recente già da sfatare?, in F. Marcelli, P. Marsocci, M. Pietrangelo, La Rete Internet come spazio di partecipazione politica. Una prospettiva giuridica, Napoli, 2015; M. Pietrangelo, Il diritto di accesso ad Internet, Napoli, 2011; P. Marsocci, Lo Spazio di Internet nel costituzionalismo, in Costituzionalismo.it, 2, 2011; E. De Marco, Accesso alla Rete e Uguaglianza Digitale, Milano, 2008.

[25] P. Passaglia, Internet nella Costituzione italiana: considerazioni introduttive, in M. Nisticó, P. Passaglia (a cura di), Internet e Costituzione, Atti del Convegno. Pisa, 21-22 novembre 2013, Torino, 2014.

[26] Cfr. P. Marsocci, Cittadinanza digitale e potenziamento della partecipazione politica attraverso il web, cit., 54.

[27] Cfr. A. Alú, Diritto a Internet in Costituzione? Non ce n’è bisogno, ecco perché, Agendadigitale.eu, 08 maggio 2020.

[28] D. Talia, La società calcolabile e i big data. Algoritmi e persone nel mondo digitale, Soveria Mannelli, 2018.

[29] Cfr. E. Pariser, Il Filtro. Quello che Internet ci nasconde, Milano, 2012.

[30] Cfr. V.M. Schönberger, K.N. Cukier, Big Data. Una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere e già minaccia la nostra libertà, Milano, 2013.

[31] Per un approfondimento sul tema W. Quattrociocchi, A. Scala, C.R. Sunstein, Echo Chambers on Facebook, June, 13, 2016.

[32] Cfr. Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), Rapporto sul consumo di informazione, febbraio 2018, 79.

[33] Sulle implicazioni negative delle informazioni “polarizzate” si rinvia a W. Quattrociocchi, A. Vicini, Liberi di crederci. Informazione, internet e post-verità, Torino, 2018.

[34] Cfr. AGCOM, Osservatorio sulla disinformazione online – Speciale Coronavirus, 1 aprile 2020.

[35] F. Pizzetti, Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e regolazione, Torino, 2018, 334.

[36] S. Rodotá, Il mondo nella rete, cit., 28.

[37] G. d’Ippolito, Il diritto di accesso ad Internet nell’ordinamento italiano e l’art. 2 della Dichiarazione dei diritti in Internet, in L. Abba, A. Alú (a cura di), Il valore della Carta dei Diritti di Internet, Napoli, 2020, 25.

[38] Cfr. S. Rodotá, Il mondo nella rete, cit., 28.

[39] Cfr. S. Rodotá, Trasformazioni del corpo, in Politica del diritto, Riv. trim. di cultura giuridica, Rivistaweb, Il Mulino, 1/2006, 3 e ss.

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