Il “peer-to-peer lending”

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  1. Premessa

Lo scenario economico-finanziario contemporaneo si presenta piuttosto variegato e in continua evoluzione a causa delle sempre più frequenti intuizioni della finanza.

È circa da una decina di anni che si sono affermati fenomeni economici che possiedono le potenzialità di sovvertire l’attuale sistema di approvvigionamento finanziario dell’industria, soprattutto delle piccole e medio imprese.

La rivoluzione digitale ha condotto all’affermazione in ambito finanziario di nuovi operatori che vanno ad affiancarsi a quelli preesistenti. La loro presenza ha reso necessaria una regolamentazione capace di garantire trasparenza ai clienti e parità di trattamento a coloro che già operavano nel settore finanziario, nel rispetto di regole stringenti e ben definite.

Il quadro delineato ha evidenziato una regolamentazione frammentaria e non sempre adeguata ai rapidi mutamenti derivanti dal fenomeno del FinTech[1], dove le Autorità di vigilanza svolgono un ruolo fondamentale, dovendo da un lato, occuparsi delle discipline secondarie, della relativa applicazione e di quelle primarie, dall’altro preservare la stabilità e la sicurezza del sistema finanziario. È così evidente che le Autorità e tutti i regolatori in generale si trovano di fronte a fenomeni inediti, nei confronti dei quali si cerca di adattare modelli di analisi già esistenti. In proposito è interessante notare come ciascuno di questi nuovi fenomeni sia, in realtà, una semplice rivisitazione, seppur in chiave tecnologica, di canali di credito già esistenti.

Pertanto, la spinta è verso un approccio regolatorio intersettoriale, in modo da impedire ad operatori transnazionali, che operano nei loro mercati d’origine in assenza di regole, di entrare nei mercati proponendo prodotti che si inseriscono negli spazi “vuoti” tra i singoli settori disciplinati[2].

  1. I nuovi intermediari: il peer to peer lending

Negli ultimi anni, la capacità attrattiva e di contatto che la rete offre ha agevolato la diffusione di nuovi fenomeni di reperimento delle risorse finanziarie e di conseguenza l’affermazione di nuovi operatori del settore, trasformando sostanzialmente lo scenario dell’intermediazione[3]. In tal senso, l’innovazione tecnologica, nell’ottica della semplificazione, ha reso possibile il superamento dei costi di transazione anche prescindendo dall’intervento degli intermediari tradizionali, sostituendo ad essi la mediazione di piattaforme virtuali.

Un fenomeno emblematico è rappresentato dal crowdfunding, definito come «la raccolta di contributi da parte di molti individui (crowd=folla) per raggiungere un obiettivo[4]», effettuata attraverso l’utilizzo di piattaforme virtuali che rappresentano il punto di incontro tra domanda ed offerta di capitale. Uno dei modelli di crowdfunding di maggiore interesse è il lending – based crowdfunding – noto come social lending o peer – to peer lending – dove soggetti privati erogano a imprese o consumatori alla ricerca di finanziamenti una somma di denaro sotto forma di prestito remunerato attraverso il riconoscimento di un tasso di interesse[5].

Si tratta di una soluzione alternativa al tradizionale canale bancario, che consente mediante piattaforme on line – che facilitano l’incontro tra domanda ed offerta, nonché la gestione dell’intera procedura di stipula ed esecuzione del rapporto di finanziamento – di mettere in relazione diretta le parti.

Infatti, partendo dalla categoria dei prestiti personali finalizzati al consumo, alcuni operatori, facendo leva sulle nuove opportunità offerte dalla industria FinTech, hanno sviluppato portali telematici allo scopo di favorire l’accesso al credito a condizioni vantaggiose.

Il termine “peer-to-peer” indica tecnicamente un’architettura di rete paritaria di comunicazione tra diversi computer e dispositivi informatici. L’esempio tipico è la rete di utenti per la condivisione di file, come i software per il file sharing, che consentono lo scambio e il download di diversi contenuti quali, ad esempio, musica, film, software, sistemi operativi.

 Premesso ciò, si può affermare che, nell’ambito dei mercati finanziari, il peer – to –peer lending si basa principalmente sulla possibilità data agli investitori di remunerare il prestito da loro concesso attraverso la corresponsione di tassi di interesse più alti rispetto a quelli praticati dagli intermediari finanziari tradizionali e, allo stesso tempo, accreditare il prestito al richiedente imputando oneri di rimborso più bassi. Tale possibilità deriva dalla mancanza dei costi tipici di una banca tradizionale, operando totalmente in via telematica.

Pertanto, il peer – to –peer lending soddisfa l’interesse dell’investitore ad ottenere una più alta remunerazione del proprio capitale, indipendentemente dalla finalità per la quale tale prestito è stato richiesto e, contemporaneamente, quella dei soggetti finanziati di ricevere erogazioni che una tradizionale banca non avrebbe concesso[6].

Nonostante si tratti di un fenomeno di matrice anglosassone, l’Italia, già nel 2009 contava almeno due operatori del settore, regolarmente iscritti all’albo generale degli intermediari finanziari. Tuttavia la Banca d’Italia, con un provvedimento di sospensione dall’attività, sostenne la violazione, da parte dell’operatore di peer – to – peer lending Zopa (Zone of Possible Agreement), delle norme del Testo Unico Bancario in materia di raccolta del risparmio presso il pubblico[7]. L’ente di vigilanza sostenne la violazione dell’art. 10 del T.U.B. che riserva l’esercizio dell’attività bancaria in via esclusiva alle banche nonché del successivo articolo 11, dove viene definita l’attività di raccolta del risparmio presso il pubblico. Si tratta di attività che, proprio in quanto soggette a riserva di legge, sono escluse dal perimetro operativo degli esercenti servizi di investimento iscritti nell’albo di cui all’articolo 106 T.U.B. Pertanto, la Banca d’Italia decise per la cancellazione dell’operatore dall’elenco generale degli intermediari finanziari.

Dunque, il fenomeno non ha subito ulteriori evoluzioni nel nostro ordinamento fino al recepimento della Direttiva 2007/64/EC (PSD – Payment Service Directive), con il d. lgs. 11 del 2010, che rappresenta un primo tentativo di inquadramento. La Direttiva aveva come scopo quello di armonizzare le pratiche relative ai servizi di pagamento all’interno dei Paesi Membri dell’Unione Europea ed ha incentivato la creazione, nei singoli ordinamenti, di una nuova categoria di operatori, specializzati nell’esecuzione di determinati pagamenti sotto forma elettronica. Il d. lgs. che ha recepito la Direttiva ha apportato modiche al T.U.B., inserendo il titolo V-ter che risponde proprio all’esigenza di regolare l’accesso al mercato dei nuovi prestatori di servizi di pagamento[8].

Infine, con particolare riferimento al tema dei prestatori del servizio, il legislatore ha stabilito che tale attività è circoscritta agli istituti di moneta elettronica e agli istituti di pagamento nonché, quando prestano servizi di pagamento, banche, Poste italiane S.p.a, la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali fuorchè nei casi di esecuzione delle loro funzioni monetarie e, infine, le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali qualora non agiscano nella veste di pubbliche autorità. Sulla base di tali presupposti normativi, è stata ammessa l’operatività di soggetti esercenti attività di peer – to- peer lending riconducendoli agli istituti di pagamento[9].

 

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[1] Per un approfondimento sul tema, Diritto del Fintech, a cura di M. Cian e C. Sandei, CEDAM, 2020; R. Oriani, Opportunità e rischi per l’industria finanziaria nell’era digitale, in Banche Intermediari e Fintech, G. Cassano, F. Di Ciommo, M. Rubino De Ritis (a cura di), Giuffrè 2021; G. Falcone, Tre idee intorno al c.d. “FinTech”, in Diritto Bancario, 272018, p. 3 e ss.

[2] La soluzione scelta dalla Commissione europea è infatti senza dubbio quella di una regolazione cross-settoriale, generale e quindi per principi, con specifiche declinazioni ammesse per i diversi settori (nelle proposte normative del 2020 in materia di mercati digitali: Communications February 19, 2020, from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and social Committee and the Committee of Regions: A European Strategy for Data (Com 2020)66);Shaping Europe’s digital future.

[3] A. Fiorelli, Forme di lending e finanzia alternativa, in Il diritto di Internet nell’era digitale, G. Cassano e S. Previti (a cura di), Milano, 2020, p. 1221 e ss.

[4] M.G. Rosenberg, Crowd sourcing a Better World, in The New York Times, 28 Marzo 2011; A. La Rosa – R. Traina Chiarini, Peer to peer, Linking, Cyberlockers, IPTV, Sistemi di registrazione da remoto, in Il diritto di internet nell’era digitale, G. Cassano e S. Previti (a cura di) Giuffrè, 2020, p. 299 e ss..

[5] Per una disamina sull’argomento si veda E. Capobianco, Il “Peer – to Peer lending”, in FinTech, a cura di F. Fimmanó e G. Falcone, Napoli, 2019, p. 226 ss.

[6] E. Banu, Le piattaforme di peer to peer lending: la nuova frontiera dell’intermediazione creditizia, in FinTech. Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, M.T. Paracampo (a cura di), Torino, 2017, pag. 164.

[7] Per un approfondimento, M. Bofondi, Il lending – based crowdfunding: opportunità e rischi, in Questioni di economia e finanza, Banca d’Italia, n. 375/2017.

[8] Per prestazione di servizio di pagamento, nozione inserita all’articolo 1, comma 1, lett. b) del Decreto, viene intesa l’attività 1) che renda possibile il deposito di contante su un conto di pagamento nonché di tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento (rimesse di denaro, incasso e trasferimento fondi), 2) di esecuzione d’ordini di pagamento e 3) di emissione o gestione di strumenti di pagamento.

[9] R. Catalano, L’adempimento dell’obbligazione con monete elettroniche e virtuali, in Banche Intermediari e Fintech, Nuovi strumenti digitali in ambito finanziario, G. Cassano, F. Di Ciommo e M.R. De Ritis (a cura di), Milano, 2021, p. 357 e ss.

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