Il decreto Romani ed eccesso di delega ex articolo 76 della Costituzione

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Si è discusso molto della possibile contrarietà del  decreto legislativo  n. 44 del 2010 con quanto previsto dalla direttiva 2007/65, che aveva il  compito di recepire e, più in generale, con il quadro normativo e giurisprudenziale proprio dell’ordinamento dell’Unione europea. Poco si è discusso invece su un possibile vizio più “grave” dello stesso ormai famigerato decreto Romani, ovvero l’eventuale suo contrasto con l’art. 76 della Costituzione che fissa i limiti oltre cui non può spingersi la disciplina dettata da un decreto legislativo.

Volendo semplificare, visto che, ai sensi dell’art. 70 della Costituzione, la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, le ipotesi in cui si può deviare da tale principio, vale a dire i casi in cui, ai sensi degli artt. 76 e 77 della Costituzione, l’esercizio della funzione legislativa è affidato al Governo che può adottare, rispettivamente, un decreto legislativo od un decreto legge, sono regolate assai attentamente e rigorosamente dalla Costituzione e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.

Per quanto riguarda specificatamente il nostro caso, vale a dire l’adozione da parte del Governo di un decreto legislativo, la giurisprudenza della Corte costituzionale è abbastanza univoca. Se nel suo provvedimento il governo eccede spazialmente l’ambito di intervento che è stato delineato dalla legge delega, esso non viola soltanto quest’ultima ma anche, attraverso il meccanismo del parametro costituzionale interposto, la disposizione costituzionale (l’art. 76, per l’appunto) che definisce il contenuto obbligatorio della legge di delega e l’obbligo per l’Esecutivo di attenersi ad esso.

Vediamo allora come questo rapporto tra legge delega e decreto legislativo si concretizza a proposito del “nostro” decreto Romani.  L’art. 26 della legge “comunitaria” n. 88 del 2009 attribuisce la delega al governo“esclusivamente” per recepire quanto previsto dalla direttiva 2007/65. Il decreto legislativo n. 44 del 2010 sembra oltrepassare i limiti della delega, quindi macchiarsi del vizio di eccesso di delega, legiferando al di fuori di quanto oggetto di regolazione da parte della direttiva 2007/65, in merito a due profili connessi, uno più generale, l’altro più specifico.

Sotto un profilo più generale, la direttiva 2007/65 non sembra ambire in alcun modo a ricomprendere nel suo ambito di applicazione alcuna regolazione del web (eccetto l’ipotesi molto specifica del webcasting). Il considerando 16 della stessa direttiva, nella sua ultima parte, è molto chiaro nel prevedere l’esclusione di qualsiasi servizio trasmesso sul web, in particolare “i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse” . Il d.lvo n. 44 del 2010 (anche se in misura, fortunatamente, molto minore rispetto alla prima versione che è circolata) dimostra invece “un interessamento” particolare ad internet che non emerge  dalla direttiva.

Sotto un profilo più specifico relativo ai profili di violazione del diritto d’autore, l’unica disposizione rilevante della direttiva 2007/65 è quella che, aggiungendo un nuovo art. 3 quinquies, chiede agli Stati membri di assicurare che i fornitori di servizi media soggetti alla loro giurisdizione non trasmettano opere cinematografiche al di fuori dei periodi concordati con i titolari dei diritti. Unico intento della direttiva è dunque quello di risolvere finalmente l’annosa e specifica questione delle c.d. “finestre di trasmissione” (prevista originariamente dall’art. 7 della direttiva 89/552 che è stato poi novellato dalla direttiva 97/36). L’art. 6 del d.lvo 44/2010 prevede l’aggiunta di un nuovo art. 32 bis (protezione del diritto d’autore) al Testo Unico 177/2005. Art. 32 bis che, al suo secondo comma, lett. a, effettivamente recepisce quanto previsto dal nuovo art. 3 quinques della direttiva, mentre invece alla lettera b dello stesso secondo comma prevede un qualcosa del tutto nuovo e sconnesso dall’opera di recepimento della direttiva (opera che ai sensi della delega ricevuta e prima richiamata è quanto deve limitarsi a fare l’esecutivo adottando il d.lvo). Così come sembra caratterizzarsi per lo stesso vizio di eccesso di delega il comma 3 dell’art. 32 bis, base giuridica dunque viziata del provvedimento che l’AGCOM si accinge ad adottare.

Non si tratta di elucubrazioni dal portato soltanto teorico. Un importante broadcaster  televisivo ha chiesto al suo giudice a quo, nel corso di un processo, di sollevare di fronte alla Consulta una questione di costituzionalità del Decreto romani per un suo supposto eccesso di delega in relazione ad un diverso aspetto innovativo del decreto di recepimento rispetto a quanto previsto dalla direttiva europea, vale a dire con riferimento alla questione della quantificazione, invero asimmetrica, dei c.d. affollamenti pubblicitari. Il giudice a quo sta valutando i presupposti della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, valutazioni necessarie per poter sollevare la stessa questione di fronte alla Corte costituzionale

Se dovesse passare il principio dell’eccesso di delega, tutto quanto previsto dal decreto in più rispetto al portato della direttiva potrebbe essere oggetto di contestazione ed eventuale caducazione, a cominciare dalla disciplina prevista sul copyright.

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