Cosa c’è in un nome? Tra innovazione e certezza del diritto

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Cosa c’è in un nome? Molto, quando si tratta di diritto. La capacità delle norme di resistere al tempo che scorre, adattandosi ai mutamenti della realtà e del contesto tecnologico, è un requisito fondamentale per ciascun ordinamento giuridico – e lo è, a fortiori, in un’epoca come l’attuale, segnata da stravolgimenti repentini delle categorie tradizionali. Tale processo di adattamento pone relativamente meno problemi quando la disciplina di un dato fenomeno faccia riferimento a costruzioni normative suscettibili di fine tuning in via interpretativa, pur sopravvivendo l’esigenza di rispettare la lettera della disposizione; assai meno scontati sono gli esiti laddove il dato giuridico faccia perno su elementi descrittivi della fattispecie.

Una recente decisione statunitense può servire ad illustrare il punto. Chiamata ad esaminare il caso di un uomo resosi colpevole del reato di trasporto di minore con finalità di atti sessuali abusivi, e particolarmente a valutare se il giudice di primo grado avesse correttamente applicato l’aggravante prevista dallo U.S. Sentencing Guidelines Manual § 2G1.3(b)(3) per l’utilizzo di un computer nel facilitare le seguente condotta criminosa, la Corte d’Appello per l’ottavo circuito ha ritenuto che un telefono cellulare integri la definizione di computer contenuta in 18 U.S.C. § 1030(e)(1), ed espressamente richiamata dal Manual.

Vi sono, in effetti, pochi dubbi sul fatto che un telefono cellulare corrisponda alla definizione di un “electronic, magnetic, optical, electrochemical, or other high speed data processing device performing logical, arithmetic, or storage functions”: una formulazione – come osservato da Orin Kerr – sufficientemente ampia da includere “coffeemakers, microwave ovens, watches, telephones, children’s toys, MP3 players, refrigerators, heating and air-conditioning units, radios, alarm clocks, televisions, and DVD players, in addition to more traditional computers like laptops or desktop computers” (“Vagueness Challenges to the Computer Fraud and Abuse Act“, Minn. L. Rev. 94 (5): 1577-8); mentre le sole eccezioni espressamente previste dalla norma riguardano macchine per scrivere, calcolatrici, e simili apparecchi.

A ben vedere, la distinzione tra elementi normativi ed elementi descrittivi sembra scemare con riferimento al caso in discorso. La nozione socialmente condivisa di computer, che ha una valenza – per così dire – naturalistica, viene riscritta ed estesa dalle norme: e si potrebbe sostenere con un ragionevole grado di certezza che, mancando la previsione del Computer Fraud and Abuse Act ed affidandosi unicamente al significato comune di computer, l’aggravante sarebbe risultata inapplicabile. La norma legittima un’operazione linguisticamente spregiudicata: se con Gertrude Stein “una rosa è una rosa è una rosa”, con la Corte d’Appello per l’ottavo circuito, un telefono cellulare è un computer.

Un gran numero di controversie giuridiche si potrebbero riformulare in termini di mere discussioni nominalistiche, e ciò è tanto più vero quanto più il quadro è caratterizzato da una tendenza all’innovazione che introduce costantemente nuovi mezzi per svolgere attività tradizionali o addirittura rende possibili attività prima impraticabili – in mancanza di una disciplina adeguata agli uni e alle altre. La norma qui discussa è un esempio di prudenza – forse persino eccessiva – del legislatore statunitense; e a tal riguardo è significativa un’osservazione, dalla conclusione peraltro opinabile, che il giudice dell’appello propone en passant, quando rileva che la potenza di calcolo dei telefoni cellulari odierni supera nettamente quella dei computer dell’epoca in cui la norma fu introdotta.

Il problema evidenziato può trovare un temperamento in alcuni modesti accorgimenti di tecnica giuridica; un maggior rigore del legislatore nel definire le fattispecie regolate; una maggior attenzione alle condotte rispetto agli elementi descrittivi, che talora aggiungono complessità senza aumentare la determinatezza del dettato normativo; una maggior cautela degli interpreti nel determinare l’ambito d’applicazione delle norme. La portata generale di queste scarne riflessioni assume una particolare pregnanza con riguardo al diritto penale ed alle peculiari esigenze di certezza del diritto rappresentate nei principî di legalità e tassatività. Il rischio è che definizioni lacunose o imprecise possano ledere tali fondamentali istanze di civiltà giuridica.

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