AGCM VS AGCOM – A chi spetta accertare l’abuso di posizione dominante nel settore televisivo?

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1132 del 2012, proposto da:
SOC AUDITEL S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Gennaro Terracciano, dall’Avv. Leopoldo Di Bonito, dall’Avv. Francesco Maria Samperi e dall’Avv. Paola Tarchini, con domicilio eletto presso lo Studio dell’Avv. Gennaro Terracciano sito in Roma, Largo Arenula n. 34;

contro

– l’AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO – ANTITRUST e l’AUTORITA’ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti di

– SOC SKY ITALIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Marco D’Ostuni, dall’Avv. Fabio Cannizzaro e dall’Avv. Marco Zotta, con domicilio eletto presso lo Studio dell’Avv. Marco D’Ostuni sito in Roma, Piazza di Spagna n. 15;

e con l’intervento di

ad opponendum:
– ASSOCIAZIONE CITTADINANZATTIVA ONLUS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Tommaso Pallavicini, con domicilio eletto presso lo Studio dell’Avv. Tommaso Pallavicini sito in Roma, Via Monte Zebio n. 32;

per l’annullamento

– del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato adottato nell’adunanza del 14 dicembre 2011 e notificato in pari data, con il quale è stata riscontrata la sussistenza di tre diversi comportamenti restrittivi della concorrenza consistenti in abusi di posizione dominante adottati dalla società Auditel, in violazione dell’art. 102 del TFUE, ciascuno sanzionato con una pena pecuniaria e precisamente:

– mancata pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto dei canali per singola piattaforma, punito con la sanzione pecuniaria di euro 386.792 (commisurata al periodo di un anno e mezzo dell’infrazione);

– mancata pubblicazione giornaliera della voce “Altre Digitali Terrestri”, punito con la sanzione pecuniaria di euro 388.366 (commisurata al periodo di un anno e mezzo dell’infrazione);

– errata attribuzione dei risultati della rilevazione anche ai non possessori di televisione, punito con la sanzione pecuniaria di euro 1.031.446 (commisurata al periodo di quattro anni dell’infrazione), e con l’intimazione alla cessazione del comportamento entro 90 giorni dalla notifica del provvedimento;

– di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’ Autorita’ Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust, dell’Autorita’ per le Garanzie pelle Comunicazioni e di Soc Sky Italia S.r.l.;

Visto l’atto di intervento ad opponendum spiegato dall’Associazione Cittadinanzattiva Onlus;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 giugno 2012 il Consigliere Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori Avv. Gennaro Terracciano, Avv. Di Bonito Leopoldo, Avv. Francesco Maria Samperi per la parte ricorrente, l’Avv. dello Stato per le resistenti Amministrazioni, l’Avv. Fabio Cannizzaro, l’Avv. Marco D’Ostuni, e l’Avv. Marco Zotta per Sky Italia S.r.l., come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Ripercorre in fatto la società odierna ricorrente lo svolgimento dell’iter procedimentale confluito nell’adozione del provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ritenuto la ricorrenza di tre distinte ipotesi di illecito per abuso di posizione dominante da parte della ricorrente, irrogando alla stessa tre distinte sanzioni, di importo, rispettivamente, di € 386.792, € 388.366 e di € 1.031.443, precisando come tale procedimento sia stato avviato, in data 5 novembre 2009, a seguito di una denuncia presentata all’Autorità da parte di Sky Italia S.r.l., illustrando le difese articolate nel corso del procedimento e le determinazioni dell’Autorità, unitamente alla disamina del quadro normativo di riferimento e dell’ambito del consentito sindacato giurisdizionale in materia.

Deduce quindi parte ricorrente, avverso la gravata delibera, i seguenti motivi di censura:

III) INCOMPETENZA DELL’AGCM – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 102 DEL TFUE (GIA’ ART. 82 DEL TRATTATO CE) – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 3 E DELL’ART. 20 DELLA LEGGE N. 287 DEL 1990 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 6 DELLA LEGGE N. 249 DEL 1997 – ECCESSO DI POTERE.

Alla luce delle contestazioni articolate nella denuncia presentata da Sky dubita parte ricorrente che possa ritenersi, nella fattispecie, la sussistenza della competenza dell’AGCM per affermare la competenza dell’AGCom sulla base delle norme che regolano i compiti ed il funzionamento delle due Autorità, in base alle quali spetta all’AGom la vigilanza e l’intervento su questioni attinenti all’ambito televisivo, alla rilevazione degli indici di ascolto, alla correttezza delle indagini effettuate, alla congruità delle metodologie utilizzate ed all’eventuale manipolazione dei dati.

Anche a voler ritenere preminente, quale oggetto di indagine, la concorrenza e l’abuso di posizione dominante, sostiene parte ricorrente come la competenza sarebbe comunque dell’AGCom ai sensi dell’art. 6, lettera c), n. 8, della legge n. 249 del 1997, in base al quale tale Autorità accerta la sussistenza di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo e adotta i conseguenti provvedimenti, nonché ai sensi dell’art. 20 della legge n. 287 del 1990, che attribuisce all’autorità garante prevista dalla legislazione vigente per i settori della radiodiffusione e dell’editoria l’applicazione delle norme in materia di abuso di posizione dominante, stabilendo altresì al comma 7 che allorché l’abuso di posizione dominante riguarda imprese operanti in settori sottoposti alla vigilanza di più autorità, ciascuna di esse può adottare i provvedimenti di propria competenza.

Non condurrebbe, secondo parte ricorrente, a diverse conclusioni la norma di cui all’art. 6, lettera c) n. 11 della legge n. 249 del 1997 laddove prescrive che l’AGCom esprima il parere obbligatorio sui provvedimenti riguardanti operatori del settore delle comunicazioni predisposti dall’AGCM, riferendosi la stessa ai casi in cui – diversamente dalla fattispecie sanzionata – oggetto di indagine sia esclusivamente una problematica connessa alla violazione delle norme sulla concorrenza e dovendo individuarsi l’Autorità competente sulla base dell’oggetto del conflitto e dell’intervento sulla cui base declinare il principio di specialità.

Ricorda, inoltre, parte ricorrente il potere di regolazione e di vigilanza dell’AGCom nel mercato in cui l’AGCM ha riscontrato l’abuso di posizione dominante, significando di aver tenuto comportamenti aderenti ai contenuti delle delibere di indirizzo dell’AGCom, la quale non ha peraltro ritenuto di dover nominare i propri rappresentanti in seno al Comitato Tecnico.

Lamenta ancora parte ricorrente lo svolgimento di un unico procedimento in luogo di tre distinti procedimenti per ogni singola condotta.

IV) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 102 DEL TFUE (GIA’ ART. 82 DEL TRATTATO CE) – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3, 12 E SS. DELLA LEGGE N. 287 DEL 1990, DEGLI ARTT. 6 E SS. DELLA LEGGE N. 249 DEL 1997 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 3 DELLA LEGGE N. 241 DEL 1990 – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA – DIFETTO DI MOTIVAZIONE.

Denuncia parte ricorrente un generalizzato difetto di motivazione del provvedimento conclusivo, in asserita violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, avuto particolare riguardo alla mancata esternazione delle ragioni in base alle quali l’Autorità ha ritenuto di non condividere le argomentazioni difensive spese da parte ricorrente nel corso del procedimento, così legittimando la formazione del dubbio che le stesse siano state effettivamente considerate ed adeguatamente ponderate.

Il denunciato vizio di difetto di motivazione viene esteso anche al rilievo che l’AGCM ha attribuito al parere dell’AGCom.

V) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 102 DEL TFUE (GIA’ ART. 82 DEL TRATTATO CE) – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA COMUNICAZIONE CE 97/C 372/03 PAR. 10 E DELLA COMUNICAZIONE CE 2009/C 45/02 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 3 DELLA LEGGE N. 241 DEL 1990 – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA – CARENZA DEI PRESUPPOSTI – DIFETTO DI MOTIVAZIONE – ILLOGICITA’ – CONTRADDITTORIETA’ – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’ – SVIAMENTO.

Nel riferire parte ricorrente come le condotte anticoncorrenziali realizzate con abuso di posizione dominante consistano nell’aver ingiustificatamente ostacolato l’adozione di talune innovazioni richieste da Sky, producendo effetti anticoncorrenziali nei mercati della pay tv e dell’offerta all’ingrosso di canali televisivi per avere inciso, la rilevazione dei dati di ascolto con metodi inadeguati, sui comportamenti degli operatori attivi in tali settori, rileva parte ricorrente l’insufficienza del sistema normativo con conseguente necessità per l’Autorità di svolgere indagini accurate attenendosi al caso concreto ed alla peculiare posizione delle imprese oggetto di verifica al fine di non pregiudicare il principio di certezza del diritto e del legittimo affidamento, lamentando come la gravata determinazione sia il frutto di una insufficiente istruttoria.

V.2) SUL MERCATO RILEVANTE.

Condivide parte ricorrente l’individuazione del mercato rilevante effettuata dall’Autorità, riferito al settore della rilevazione degli ascolti televisivi in Italia.

V.3) LA POSIZIONE DOMINANTE DI AUDITEL

V.3.a) L’ANALISI DI TIPO STRUTTURALE ED OGGETTIVA DI AUDITEL IN RELAZIONE ALLA PRESUNTA POSIZIONE DOMINANTE.

Afferma parte ricorrente che pur essendo l’unica azienda che effettua il servizio di rilevazione degli ascolti televisivi in Italia non può ritenersi che la stessa operi in una situazione di monopolio naturale – difficilmente ipotizzabile nel mercato dei servizi – non avendo la stessa mai opposto alcun impedimento all’ingresso in tale mercato da parte di altre imprese, lamentando come l’Autorità non abbia proceduto alla individuazione della situazione di monopolio sulla base degli specifici indici e regole economiche.

Non sarebbe, inoltre, riscontrabile, in capo alla ricorrente una posizione dominante secondo la definizione datane dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, ai sensi della quale la stessa si incentra sull’indipendenza comportamentale del soggetto dominante che gli consente di decidere autonomamente la propria strategia commerciale.

L’Autorità avrebbe condotto un’analisi meramente storica e fattuale al fine di individuare la posizione dominante della ricorrente, omettendo qualsiasi indagine con riferimento all’elemento soggettivo-comportamentale, indispensabile per verificare la sussistenza di una posizione dominante e di un abuso della stessa, per come stabilito nella Comunicazione CE 2009/C 45/02, la quale fornisce parametri specifici e puntuali al riguardo che tengono conto di più fattori contemporaneamente, relativi a determinati tipi di comportamento, la cui valutazione sarebbe stata omessa dall’Autorità.

Afferma, inoltre, parte ricorrente come il fatto di essere l’unica società sul mercato della rilevazione dei dati non possa costituire elemento sufficiente ad assimilarla alla posizione del monopolista con il potere di distorcere la concorrenza, occorrendo l’analisi delle ragioni per le quali non sussistono altre società in tale mercato e l’accertamento circa l’esistenza di barriere all’ingresso nel mercato de quo e le relative cause, del tutto omesso dall’Autorità, precisando al riguardo di non avere mai opposto barriere all’ingresso nel mercato da parte di altre imprese, non potendo la circostanza che per lo svolgimento di tale attività occorrano ingenti investimenti risolversi in una constatazione automatica della posizione dominante della ricorrente.

Contesta quindi parte ricorrente gli elementi sulla cui base l’Autorità ha ritenuto la sussistenza di una posizione dominante, sostenendo l’irrilevanza del dato reputazionale – potendo altre imprese svolgere tale servizio in modo esente dalle critiche rivolte nel tempo alla ricorrente – e sostenendo come non possa ricondursi alla necessità di pervenire ad un dato univoco, condiviso da tutti gli operatori, la sussistenza di un unico operatore, allegando al riguardo la circostanza che in altri Paesi operano due imprese nel mercato de quo e la possibilità di utilizzo di meter portatili.

Sarebbero, inoltre, inesistenti fattori di non contendibilità del mercato, quali barriere giuridico regolatorie o la sussistenza di costi insostenibili – comunque non indicati dall’Autorità che avrebbe omesso una specifica analisi economica e tecnica – significando come la potenza economica di Sky le consentirebbe di concorrere con la ricorrente nel mercato in questione, mentre i risultati ottenuti non si sarebbero potuti realizzare in presenza dei contestati effetti anticoncorrenziali.

L’Autorità avrebbe pertanto dovuto valutare criticamente i fattori relativi alla struttura ed alle dinamiche del mercato, nonché l’esistenza di comportamenti della ricorrente volti ad escludere i concorrenti dai mercati diversi da quello della rilevazione di dati di ascolto in cui è stata ritenuta la sua dominanza, nel rispetto dei principi della certezza del diritto, del legittimo affidamento e dell’assolvimento dell’onere della prova.

V.3.b) L’ANALISI DI TIPO COMPORTAMENTALE O SOGGETTIVA DI AUDITEL IN RELAZIONE ALLA PRESUNTA POSIZIONE DOMINANTE.

Il gravato provvedimento sanzionatorio sarebbe affetto da erroneità nell’applicazione dell’art. 102 TFUE per essere stata omessa la valutazione del dato soggettivo o comportamentale, imposta dalla Comunicazione CE del 2009, potendo il comportamento anticoncorrenziale essere riscontrato solo sulla base di un accertamento di un intento anticompetitivo e di un volontario abuso di una posizione dominante, indagando le ragioni dell’esistenza di tale posizione.

Non avrebbe, inoltre, l’Autorità considerato che Auditel non è responsabile del mancato ingresso nel mercato da parte di altre imprese, né ha mai avuto bisogno di porre in essere pratiche anticoncorrenziali, continuando a sostenere ingenti costi del servizio improntando le proprie strategie ai criteri di efficienza imprenditoriale.

Né la stessa sarebbe in grado di adottare scelte indipendenti stante la pressione dei propri clienti e fornitori e la presenza di un’Autorità di regolazione che interviene in misura incisiva nel settore.

In siffatte situazioni sarebbe, quindi, indispensabile l’accertamento della mala fede dell’operatore al fine di poter qualificare la condotta, altrimenti lecita, come abusiva.

Gli elementi raccolti dall’Autorità non supererebbero, ancora, secondo parte ricorrente, il test del complesso indiziario grave, preciso e concordante, né le conseguenti valutazioni sarebbero coerenti con i canoni di cui alla Comunicazione del 2009, emergendo dalle evidenze istruttorie il superamento del test della spiegazione alternativa lecita stante la sussistenza di oggettive giustificazioni e economiche e giuridiche alla base della posizione rivestita sul mercato e delle decisioni adottate, venendo peraltro in rilievo un mercato regolamentato, con conseguente limitazione del potere di mercato detenuto concretamente dalla ricorrente a fronte delle rilevante pressione e vigilanza dell’Autorità di settore, tali da non consentire al presunto monopolista di agire in maniera significativamente indipendente rispetto ai suoi concorrenti anche potenziali e dei consumatori.

V.4) L’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE.

Nel procedere parte ricorrente alla ricognizione dei principi inerenti il riscontro di un abuso di posizione dominante, avuto particolare riguardo alla necessità di verifica del carattere intenzionale del comportamento, denuncia come l’Autorità non abbia fornito adeguato riscontro e motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi richiesti dalla normativa europea.

V.5) ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE SU MERCATI CONTIGUI.

Al denunciato mancato accertamento della sussistenza della posizione dominante della ricorrente e dell’abuso di tale posizione affianca parte ricorrente la doglianza inerente la mancanza di prova e di motivazione in ordine alla sussistenza di una posizione dominante della ricorrente e del relativo abuso anche nei mercati, collegati e contigui a quello rilevante, della pay e della raccolta pubblicitaria.

Al riguardo, sostiene parte ricorrente che l’Autorità avrebbe dovuto tener conto della particolare situazione di mercato in cui opera, in base alla quale la presunta interazione con i mercati contigui vedrebbe la pressione concorrenziale di altri soggetti tale da escludere la possibilità per la stessa di tenere un comportamento indipendente.

Evidenzia in proposito parte ricorrente i particolari rapporti intercorrenti con i propri fornitori e clienti, che renderebbe non ipotizzabile una collusione a fini distorsivi della concorrenza.

Il mercato in cui opera la ricorrente sarebbe quindi privo di barriere all’entrata e non sarebbe caratterizzato da un equilibrio monopolistico, né sussisterebbe il presupposto soggettivo che consente di qualificare un’impresa come dominante laddove questa non abbia la possibilità di tenere comportamenti indipendenti nei confronti dei concorrenti soprattutto nei mercati collegati, sottoposti alla vigilanza dell’Autorità di settore che, peraltro, non ha ritenuto di nominare propri rappresentanti in seno al Comitato Tecnico di Auditel.

Contesta, inoltre, parte ricorrente il principio in base al quale riveste carattere illecito il comportamento posto in essere dall’incumbent nel mercato dominato che abbia effetti nei mercati contigui, lamentando come l’Autorità non abbia comunque offerto la prova certa e rigorosa della posizione dominante – o quantomeno dell’operatività – della ricorrente nei mercati collegati e dell’intento anticoncorrenziale al fine di rafforzare la propria posizione in tutti i mercati.

VI) CON RIFERIMENTO AI TRE COMPORTAMENTI POSTI IN ESSERE DA AUDITEL IN VIOLAZIONE DELL’ART. 102 TFUE: VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 102 TFUE (GIA’ ART. 82 DEL TRATTATO CE) – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA COMUNICAIZONE CE 97/C 372/03 E COMUNICAZIONE CE 2009/C 45/02 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 3 DELLA LEGGE N. 241 DEL 1990 – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA – CARENZA DEI PRESUPPOSTI – DIFETTO DI MOTIVAZIONE – ILLOGICITA’ – CONTRADDITTORIETA’ – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’ – SVIAMENTO.

VI.1) PREMESSA DI CARATTERE GENERALE.

Afferma parte ricorrente la necessità di un autonomo e separato procedimento a fronte di diverse contestazioni, denunciando l’illegittimità del procedimento unico adottato dall’Autorità.

Afferma, inoltre, parte ricorrente come tutte le proprie attività siano state verificate e certificate innanzitutto dall’AGCOM nonchè dalla Corte di Appello di Milano.

Sky, che ha formulato le segnalazioni all’Autorità, si è inoltre rifiutata di entrare a far parte del Consiglio di Amministrazione di Auditel e, secondo parte ricorrente, non avrebbe la possibilità di sindacare l’attività della ricorrente e le modalità di realizzazione degli scopi societari per i quali è stata istituita, significando di aver sempre accolto le istanze dei soggetti interessati nei limiti delle proprie possibilità e capacità tecniche.

Inoltre, avendo Sky sottoscritto un contratto di adesione al servizio di rilevazione affermando di essere a conoscenza dei limiti della ricerca statistica e della metodologia utilizzata, impegnandosi a rivolgersi al foro di Milano in caso di controversie, denuncia parte ricorrente come le segnalazioni dalla stessa presentate all’AGCM siano espressione di una strategia di mercato volta a danneggiarla.

VI.2) SULLA OMESSA PUBBLICAZIONE GIORNALIERA DEI DATI DI ASCOLTO PER CANALE PER PIATTAFORMA.

Con riferimento alla prima delle condotte sanzionate, considerata abusiva dalla seconda metà del 2009 fino ad ottobre 2010, afferma parte ricorrente la sussistenza di valide ragioni, comprovate nel corso del procedimento ed ingiustificatamente disattese dall’Autorità, che non hanno consentito la pubblicazione giornaliera dei dati prima del 2010, riconducibili a difficoltà tecniche e statistiche.

Evidenzia parte ricorrente di aver già rappresentato tali problematiche nel corso del procedimento, nel dettaglio chiarendo le modalità di rilevazione dei dati statistici, il relativo indicatore di affidabilità (standard error) e la presenza di margini di errore elevati in presenza di bassi livelli di ascolti, che giustificherebbe la scelta di contenere la proliferazione di linee di produzione attraverso l’esclusione della rilevazione dei dati di ascolto per singola piattaforma, tenuto altresì conto che si tratterebbe di una informazione strategicamente non rilevante, essendo il programma televisivo identico qualunque sia il canale di trasmissione, mentre rivestirebbe rilievo unicamente il livello di penetrazione del decoder e lo share di ascolto, pubblicati da Auditel dal febbraio 2007, laddove l’ascolto di ogni canale sulle singole piattaforme non ha valenza strategica, non conducendo a scelte diverse per chi decide i contenuti del canale e per chi deve opporgli una controprogrammazione adeguata, né incidendo sulle scelte degli investitori pubblicitari, basate sull’audience riferita a specifici target e sull’audience complessiva sul target obiettivo, indifferente essendo le modalità di visione del medesimo programma e del dato di audience del programma dettagliato per piattaforma.

Non essendo il dato per piattaforma di alcuna utilità per la valorizzazione dello spazio pubblicitario, la non disponibilità di tale dato non avrebbe quindi potuto falsare la valorizzazione degli spazi sul mercato e non avrebbe cagionato alcun danno.

Non potrebbe conseguentemente annettersi carattere ostruzionistico alla preoccupazione della ricorrente di garantire l’attendibilità e l’affidabilità dei dati di rilevazione, ex lege di rilevante interesse generale ed alla base di decisioni di grande portata economica, a fronte della scarsa attendibilità statistica del dato di ascolto del canale dettagliato per singola piattaforma, dovuta alla scarsa numerosità campionaria, avendo il dato a livello canale uno standard error inferiore a quello del dato suddiviso per piattaforma, e non sussistendo alcuna esigenza per il mercato di disporre di tale dato, che attiene solo alle modalità di trasmissione inidoneo ad incidere su interessi commerciali.

Nel ricondurre la scelta di ritardare la pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto per piattaforma alla necessità di mantenere un elevato livello di qualità generale della propria attività tenendo conto della qualità statistica delle informazioni, riferisce parte ricorrente le evidenze raccolte nel corso della svolta istruttoria, in base alle quali risulta che le principali emittenti televisive hanno espresso posizione negativa circa la valenza strategica della conoscenza dei dati di ascolto per canale e per piattaforma, che costituirebbe una leva negoziale con implicazioni anticompetitive per gli operatori di piattaforma dominanti, quali Sky, valorizzando le dichiarazioni rese da Nielsen TAM e da TIMedia.

Analizza, inoltre, parte ricorrente, il contenuto delle dichiarazioni rese da UPA il 18 aprile 2011, segnalandone la contraddittorietà rispetto a quanto dichiarato nell’agosto 2010 circa le criticità tecniche e statistiche nella misurazione affidabile delle piattaforme, che l’avevano indotta ad esprimere parere sfavorevole alla pubblicazione dei dati di ascolto dei canali per piattaforma, le quali confermerebbero come l’affidabilità del dato sia stato l’unico fattore che ha condizionato la pubblicazione del dato per canale e per piattaforma, raggiunta solo dopo due anni di sperimentazione e di spese, significando come una volta raggiunto il risultato dell’attendibilità della stima il Comitato Tecnico, nella riunione del 13 ottobre 2010, ha ritenuto la possibilità della pubblicazione dei dati per canale e per piattaforma, mentre il CDA ha stabilito di rendere disponibile tale dato su base volontaria nella seduta del 21 ottobre 2010, rendendo operativa tale facoltà per le emittenti dal novembre 2010, successivamente alla scelta di Sky di rendere noti i propri dati.

Analizza, ancora, parte ricorrente, le ulteriori dichiarazioni acquisite dall’Autorità nel corso della svolta istruttoria, concordanti nel senso della necessità di un campione di rilevazione che consenta l’affidabilità del dato per ciascuna piattaforma, della non particolare rilevanza di tale dato e della sufficienza dei dati forniti da Auditel, contestando le dichiarazioni, di tenore diverso, rese da ATDI.

Sottolinea, inoltre, parte ricorrente, come solo in Spagna, Gran Bretagna e Germania i dati di ascolto vengono distinti per piattaforma, a differenza che in tutti gli altri Paesi europei, valorizzando le dichiarazioni rese dal Prof. Marbach circa la non attendibilità dei dati statistici laddove non sorretti da sufficiente numerosità campionaria, affermando come tali elementi confermino la fondatezza delle spiegazioni fornite da Auditel circa le scelte adottate, volte al conseguimento dell’obiettivo di fornire dati veritieri e ragionevolmente attendibili, e la loro rispondenza a esigenze metodologiche, tecnologiche, economiche e giuridiche a fronte della indimostrata rilevanza strategica dei dati per piattaforma per gli operatori.

Invoca parte ricorrente, a sostegno della correttezza delle proprie scelte, le perplessità contenute nel parere reso dall’AGCom circa l’abusività della condotta in relazione alla necessità di adeguamenti tecnici e delle problematiche connesse alla scarsa affidabilità statistica.

Nel rappresentare come l’Autorità non abbia dato conto delle ragioni per le quali ha inteso disattendere le proprie argomentazioni difensive, lamenta la mancanza di riscontri fattuali e documentali alle valutazioni espresse con riferimento agli effetti anticoncorrenziali della condotta, solo astrattamente ipotizzati.

VI.3) SULLA OMESSA PUBBLICAZIONE GIORNALIERA DEI DATI DI ASCOLTO RELATIVI ALLA VOCE “ALTRE DIGITALI TERRESTRI”.

Nell’evidenziare parte ricorrente le ragioni, già illustrate nel corso dell’istruttoria, sottese alla scelta di non pubblicare giornalmente il dato relativo all’ascolto delle altre digitali terrestri, in quanto non sorretto da sufficiente numerosità campionaria ed essendo già il dato mensile affetto da elevata criticità, e nel lamentare la mancata motivazione della loro ritenuta non condivisibilità da parte dell’Autorità, contesta le conclusioni dalla stessa rassegnate in quanto non supportate da sufficiente prova in ordine alla connessione tra gli investimenti pubblicitari e tale informazione ed agli effetti pregiudizievoli conseguenti alla mancata divulgazione della stessa con connessa alterazione delle dinamiche competitive del mercato della raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo.

Afferma parte ricorrente l’irrilevanza per il mercato della raccolta pubblicitaria e degli editori del dato relativo alla ripartizione per piattaforma nonché la criticità connessa alla numerosità campionaria ed alla rappresentatività nel momento del passaggio al digitale, con dati di variabilità statistica molto elevati, significando come Sky non abbia fornito, fino a gennaio 2010, i richiesti dati sugli abbonati per regione, il che ha provocato ritardi nella elaborazione e fornitura delle informazioni sulle altre digitali terrestri, la cui pubblicazione si è resa possibile solo a seguito della disponibilità del dato di Sky, con conseguente erroneità della ritenuta riconducibilità del ritardo della pubblicazione giornaliera di tale dato all’intento di favorire i soci di maggioranza di Auditel.

Rimarca, dunque, parte ricorrente, la sussistenza di un obiettivo ostacolo di natura tecnico statistica alla pubblicazione giornaliera di tale dato – la cui sussistenza non è stata messa in dubbio in seno al Comitato Tecnico di cui fa parte anche Sky – come peraltro sottolineato dall’AGCom, sottolineando come tale ostacolo sia venuto meno a seguito della comunicazione da parte di Sky dei dati riferiti ai suoi abbonati per regione.

VI.4) SULL’ATTRIBUZIONE DEI RISULTATI DELLA RILEVAZIONE DEGLI ASCOLTI TELEVISIVI ANCHE AI NON POSSESSORI DI TELEVISORE.

Rivendica parte ricorrente la correttezza dei chiarimenti forniti nel corso del procedimento a spiegazione della scelta di non escludere dall’espansione dei dati rilevati nel panel le famiglie prive di apparecchi televisivi, ricordando l’intervenuta adozione all’unanimità, da parte del Comitato Tecnico, della regola convenzionale di considerare tutte le famiglie italiane come in possesso di un apparecchio televisivo, preferibile, pur se determinante una sovrastima degli ascolti, alla diversa scelta di decurtare dall’Universo le famiglie prive di televisore, che avrebbe determinato una sottostima degli ascolti, rivelandosi la metodologia comportante un errore per eccesso la più razionale in rapporto agli interessi in gioco.

Ripercorre quindi parte ricorrente i lavori del Comitato volti a studiare l’adozione di un Universo di espansione non comprensivo delle famiglie prive di televisore, tenuto conto dell’obiettivo strategico di Auditel di inclusione di tutti gli ambiti di accesso a contenuti televisivi, di cui alcuni sottostimati, quali gli ascolti via web, ricordando che nella riunione del CDA dell’1 febbraio 2012 si è approvato l’inserimento nel panel di una quota di famiglie senza TV che ha comportato un errore di sottostima degli ascolti anche per Sky, a dimostrazione dell’avvenuta correzione di una distorsione con una distorsione di segno opposto e della ininfluenza di tali dati sui rapporti di forza tra le reti.

Rileva parte ricorrente come l’Autorità non abbia dimostrato l’esistenza di una effettiva volontà di non adottare diverse soluzioni una volta resesi disponibili e la mancanza di giustificazione alla propria condotta a fronte dei possibili effetti negativi discendenti dalla rottura del trend e della compensazione della sovrastima con l’assenza di rilevazione di alcune tipologie di ascolti, irrilevante a fini concorrenziali.

Sostiene parte ricorrente come l’assunto dell’Autorità, secondo cui il criterio adottato da Auditel avrebbe determinato effetti discriminatori a favore dei principali azionisti della società trovi smentita nel primi test effettuati con riferimento al diverso metodo di calcolo, deponendo le evidenze istruttorie raccolte per l’assenza di un abuso di posizione dominante e per il carattere obbligato della precedente scelta, sorretta da una giustificazione obiettiva, condivisa dagli operatori rappresentati in seno al Comitato Tecnico, evidenziando lo scarso rilievo del vizio di rilevazione, compensato da altri ascolti, e la fattiva sperimentazione di una diversa metodologia di rilevazione, con conseguente erroneità delle conclusioni adottate dall’Autorità e della diffida alla rimozione del comportamento ritenuto abusivo.

VII) SULLA PRESUNTA GRAVITA’ DEGLI ABUSI CONTESTATI E SULLA MISURA DELLA SANZIONE PECUNIARIA. VIOLAZIONE DELL’ART. 15 DELLA LEGGE N. 287 DEL 1990 IN RELAZIONE AGLI ARTT. 2 E 23 DEL REGOLAMENTO N. 1 DEL 2003, DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA PER IL CALCOLO DELLE AMMENDE IN ORDINE ALLA QUALIFICAZIONE DELLE CONDOTTE COME “GRAVI” E QUINDI ALLA DETERMINAZIONE DELL’AMMENDA COMMINATA. ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETA’, ILLOGICITA’ E SVIAMENTO. DIFETTO DI SITRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE. VIOLAZIONE DELL’ART. 11 DELLA LEGGE N. 689 DEL 1981 E DELL’ART. 3 DELLA LEGGE N. 241 DEL 1990.

Sostiene parte ricorrente come l’Autorità abbia errato nella valutazione unitaria delle tre condotte, procedendo ad una analisi generalizzata ed unica, laddove avrebbe dovuto esaminare singolarmente ogni comportamento ai fini della formulazione del giudizio di gravità.

Con riferimento al giudizio di gravità delle condotte, sostiene parte ricorrente come lo stesso non risulti adeguatamente motivato né sorretto dalla dimostrazione dei relativi presupposti giuridici, come individuati dalla giurisprudenza.

Evidenzia parte ricorrente, al fine di escludere il carattere di gravità dei propri comportamenti, la propria buona fede, gli sforzi compiuti per trovare idonee soluzioni delle problematiche, l’atteggiamento collaborativo nei confronti di tutti gli operatori interessati, l’esistenza di oggettive difficoltà tecniche nel settore, la vigilanza da parte dell’AGCom.

Le sanzioni irrogate, secondo parte ricorrente, sarebbero inoltre inique e sproporzionate rispetto ai comportamenti ascritti, riportandosi al riguardo all’art. 15 della legge n. 287 del 1990, in base al quale la sanzione viene irrogata solo in caso di infrazioni gravi con scelta motivata, potendosi l’Autorità limitare a diffidare il soggetto dal proseguire nel suo comportamento.

Con riferimento al comportamento relativo alla inclusione nella rilevazione dei non possessori di TV, lamenta parte ricorrente come l’Autorità avrebbe dovuto prima intimarne la cessazione, in quanto misura idonea allo scopo, potendo irrogare la sanzione solo a seguito di inottemperanza alla diffida.

La quantificazione della sanzione non risulterebbe, inoltre, motivata in relazione alla gravità della condotta, non risultando conseguentemente giustificata la sua irrogazione e la misura della stessa in luogo della diffida, ricordando come i limiti ai miglioramenti siano dipesi dalle problematiche tecniche e di affidabilità statistica, e non da mancanza di volontà di Auditel o da intenti anticoncorrenziali in danno di altre imprese.

Nell’evidenziare parte ricorrente il carattere sproporzionato della sanzione per essere la condotta cessata da tempo, denuncia l’erronea individuazione in 4 anni della durata della condotta stessa, significando come il problema non si fosse mai posto sino all’ottobre 2010.

Chiede, quindi, parte ricorrente l’annullamento della gravata delibera e, in via subordinata, delle sue singole parti come riferite alle distinte condotte, o in via ulteriormente subordinata, la riduzione della sanzione.

Si è costituita in resistenza l’intimata Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Si è costituita in giudizio anche la società Sky Italia S.r.l., replicando alle doglianze di parte ricorrente deducendone, con approfondite argomentazioni, l’infondatezza.

Ha spiegato atto di intervento ad opponendum l’Associazione Cittadinanzattiva ONLUS, nel dettaglio argomentando circa la ritenuta infondatezza delle censure ricorsuali.

Con memorie successivamente depositate parte ricorrente ha contro dedotto a quanto ex adverso sostenuto, ulteriormente argomentando.

Anche Sky Italia ha depositato ulteriore memoria a confutazione delle argomentazioni di parte ricorrente.

Alla pubblica udienza del 6 giugno 2012 la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti presenti, trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

Con il ricorso in esame la società odierna ricorrente, operante nel settore della rilevazione dei dati di ascolto in Italia, le cui partecipazioni, sul modello del joint industry committee, sono suddivise tra RAI S.P.A., Mediaset S.P.A., Telecom Italia Media S.P.A., Federazione Radio e Televisioni, Utenti Pubblicità Associati, Assap Servizi S.r.l., Unione Nazionale Imprese di Comunicazione e Federazione Italiana Editori Giornali, ha proposto azione impugnatoria avverso la delibera – meglio descritta in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic hinde Autorità), ha riscontrato la sussistenza di comportamenti restrittivi della concorrenza consistenti in abusi di posizione dominante posti in essere dalla ricorrente, in violazione dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, realizzati mediante tre distinte condotte riferite, rispettivamente, al ritardo nella adozione della decisione di pubblicare quotidianamente i dati di ascolto dei singoli canali suddivisi per piattaforma, nella pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto relativi alla voce ‘Altre Digitali Terrestri’ e nell’attribuzione dei risultati della rilevazione degli ascolti televisivi anche ai non possessori di apparecchio televisivo.

Per ciascuna delle riscontrate violazioni l’Autorità ha comminato alla ricorrente distinte sanzioni amministrative pecuniarie, quantificate, con riferimento al primo comportamento abusivo, nella misura di € 386.792, calcolata per il periodo di un anno e mezzo di durata dell’infrazione, con riferimento al secondo comportamento abusivo, nella misura di € 388.366, calcolata per il periodo di un anno e mezzo di durata dell’infrazione, e con riferimento al terzo comportamento abusivo, nella misura di € 1.031.446, calcolata per il periodo di quattro anni di durata dell’infrazione, applicando alla ricorrente la sanzione amministrativa complessiva di € 1.806.604.

L’impianto ricorsuale, come delineato dalle censure proposte dalla società ricorrente, si snoda attraverso l’articolazione di doglianze volte, innanzitutto, a contestare la competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per affermare quella dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (hic hinde AGCom), lamentando, altresì, parte ricorrente, l’insufficienza delle motivazioni poste a sostegno della mancata positiva valutazione delle proprie giustificazioni rese nel corso del procedimento, nonché l’insufficienza della svolta istruttoria e del corredo probatorio su cui poggiano le conclusioni rassegnate dall’Autorità sia con riguardo alla ritenuta sussistenza di una posizione dominante nel mercato di riferimento, che con riguardo all’abuso della stessa e dei relativi effetti nei mercati contigui.

Quanto alla posizione rivestita nel mercato di riferimento, ne contesta parte ricorrente il carattere dominante, lamentando il mancato svolgimento, da parte dell’Autorità, di un’indagine di tipo soggettivo e comportamentale e di un compiuto accertamento della situazione del mercato, procedendo altresì al puntuale esame delle condotte sanzionate al fine di dimostrare la sussistenza di ragioni obiettive – connesse a problematiche di tipo tecnologico e di affidabilità statistica – che le avrebbero determinate e giustificate, con conseguente illegittimità ed erroneità delle valutazioni espresse dall’Autorità, la quale, peraltro, avrebbe dovuto instaurare tre distinti procedimenti per ciascuna delle condotte contestate, e non esaminarle nell’ambito di un unico procedimento.

In via subordinata, si duole parte ricorrente dell’avvenuta irrogazione di sanzioni pecuniarie amministrative – una per ciascuna condotta – lamentandone l’iniquità ed il carattere sproporzionato e contestando il formulato giudizio di gravità delle infrazioni.

Poste tali brevi precisazioni in ordine all’oggetto della controversia in esame, come delimitato dalle censure ricorsuali proposte, ritiene il Collegio, nella gradata elaborazione logica delle questioni sollevate, di dover seguire, nell’ordine di trattazione, quello suggerito dalle prospettazioni di parte ricorrente, affrontando – e con ciò rinviando – la ricognizione del contenuto della gravata delibera contestualmente alla disamina delle censure proposte, nei limiti in cui la stessa si riveli funzionale alla loro compiuta comprensione.

1 – Sulla base di tale approccio metodologico, viene pertanto innanzitutto in rilievo l’eccepito difetto di competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a favore di quella dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, da parte ricorrente individuata – sulla base della ricognizione della disciplina normativa di riferimento e dei previsti ambiti di intervento, facendo applicazione del principio di specialità – quale Autorità tra le cui attribuzioni rientrerebbe l’accertamento e l’eventuale adozione di misure sanzionatorie per le ipotesi di abuso di posizione dominante da parte degli operatori del settore televisivo e della rilevazione degli indici di ascolto, avuto riguardo alla correttezza delle indagini effettuate, alla congruità delle metodologie utilizzate ed all’eventuale manipolazione dei dati delle rilevazioni degli ascolti televisivi.

La questione coinvolge la problematica di carattere più generale del riparto di competenze tra l’Autorità Antitrust e le altre autorità indipendenti laddove vengano in rilievo settori regolamentati, quale quello in esame, sottoposti alla vigilanza di queste ultime, e la presenza di diverse normative disciplinanti fattispecie omogenee o contigue, problematica da declinare sulla base delle due possibili opzioni interpretative riconducibili, rispettivamente, al criterio della complementarietà tra la normativa generale e quella di settore, o al criterio della specialità del complesso normativo di settore, come tale prevalente su quello generale di cui l’Antitrust è attributaria.

L’actio finium regundorum tra due autorità amministrative indipendenti e la individuazione di quale sia quella titolare di attribuzioni in una materia che appaia essere di spettanza di entrambe, in presenza di due distinti complessi normativi di riferimento, posto che le leggi vigenti non contemplano strumenti generali di risoluzione anticipata dei conflitti di competenza, positivi o negativi, anche in ragione dell’istituzione progressiva delle varie autorità, va risolta in via interpretativa tenuto conto della necessità di evitare duplicazioni di interventi, in violazione del ne bis in idem, e di salvaguardare il principio di certezza del diritto ed il principio di legalità dell’azione pubblica, quand’anche sui generis, che va messo in relazione al principio generale di libertà, non essendo tollerabile la reiterazione del medesimo intervento autoritativo di attuazione del diritto oggettivo da parte di figure pubbliche diverse.

Il che risulta coerente con l’origine delle autorità amministrative indipendenti, incentrata sull’intrinseca autonomia del settore di riferimento e la limitazione dell’intervento pubblico alle sole attività, imparziali, di garanzia e regolazione del mercato, laddove la duplicazione dell’intervento – oltre a contraddire i presupposti della funzione di vigilanza e di regolazione – sarebbe causa di incoerenze, quando non di turbative, rispetto alla naturale autodeterminazione dei soggetti del mercato.

Allo stato della legislazione, il solo dispositivo generale di verifica delle competenze delle autorità amministrative indipendenti è quello, postumo, del giudizio amministrativo, che assume la funzione sostanziale di intervento regolatore, stante la sporadicità delle previsioni che impongono un coordinamento procedimentale – quale la previsione dell’acquisizione del parere di altra autorità – tra più autorità quando sia immaginabile un loro concorso di competenze.

Avuto riguardo alla fattispecie in esame, la concorrenza di competenze e la possibilità di duplicazione di interventi da parte dell’Autorità Antitrust e da parte dell’AGCom, con conseguente violazione del principio di certezza del diritto e del ne bis in idem, viene da parte ricorrente evocata attraverso il richiamo all’attribuzione, a quest’ultima Autorità, del potere di regolazione e di vigilanza in materia televisiva, ivi compresi il settore della rilevazione degli ascolti e le ipotesi di abuso di posizione dominante, traendo dall’esistenza di una specifica disciplina di settore il carattere di prevalenza della stessa su quella generale attribuita all’Antitrust.

L’operazione interpretativa, cui è chiamato il Collegio, di individuazione dell’Autorità competente all’accertamento e all’eventuale irrogazione di sanzioni in materia di abuso di posizione dominante nel mercato della rilevazione degli indici di ascolto televisivi, deve prendere le mosse dalla ricognizione delle norme che, nel delineare le attribuzioni delle due Autorità in astratto competenti, possano entrare in potenziale conflitto stante la loro sovrapponiblità in quanto regolanti fattispecie analoghe.

In tale direzione viene innanzitutto in rilievo l’art. 1, comma 6, lettera c), n. 8, della legge n. 249 del 1997, il quale stabilisce che il Consiglio dell’AGCom “accerta la effettiva sussistenza di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo e comunque vietate ai sensi della presente legge e adotta i conseguenti provvedimenti”, mentre il comma 6, lettera b), n.11 del medesimo articolo prevede che l’AGCom “cura le rilevazioni degli indici di ascolto e di diffusione dei diversi mezzi di comunicazione; vigila sulla correttezza delle indagini sugli indici di ascolto e di diffusione dei diversi mezzi di comunicazione rilevati da altri soggetti, effettuando verifiche sulla congruità delle metodologie utilizzate e riscontri sulla veridicità dei dati pubblicati, nonché sui monitoraggi delle trasmissioni televisive e sull’operato delle imprese che svolgono le indagini” con possibilità di effettuazione delle rilevazioni necessarie laddove la rilevazione degli indici di ascolto non risponda a criteri universalistici del campionamento rispetto alla popolazione o ai mezzi interessati.

Se le attribuzioni così conferite all’AGCom possono condurre ad ipotizzare la riconducibilità della fattispecie in esame all’ambito applicativo di cui alle citate norme, per come sostenuto da parte ricorrente, trattasi di opzione ermeneutica che valorizza, isolandolo, il solo dato riferito alla inerenza per materia – ovvero quella delle telecomunicazioni, della sussistenza di posizioni dominanti in tale ambito e della rilevazione degli indici di ascolto in materia televisiva – laddove occorre invece verificare l’identità delle finalità sottese alla disciplina generale in materia di tutela della concorrenza e a quella di regolazione al fine di verificare la sussistenza di un’ipotesi di concorso apparente di norme, che si realizza quando una medesima condotta solo apparentemente è riconducibile a diverse fattispecie amministrative, mentre in realtà integra un unico illecito.

In linea generale il concorso apparente di norme deve essere risolto attraverso il criterio della specialità, che costituisce principio generale dell’ordinamento immanente all’obiettivo di razionalità dello stesso, prioritario per risolvere in sede applicativa i casi contraddittori e di duplicazione di fattispecie, sia sostanziali che procedurali, volto alla individuazione della normativa applicabile e della prevalenza della inerente strumentazione di intervento, che conduce all’applicazione della disposizione di natura speciale sul presupposto che le norme medesime prendano in considerazione lo stesso fatto, così impedendo l’irrogazione, per la medesima condotta valutata sotto il medesimo profilo, di due sanzioni aventi medesima natura (pecuniaria), l’una comminata dall’organo con competenza speciale di settore e l’altra dall’organo con competenza generale (l’Autorità garante della concorrenza e del mercato) a fronte di un duplice apparato normativo per la cura del medesimo interesse.

Orbene, avuto riguardo alla fisionomia delle condotte sanzionate con la gravata delibera ed alla disciplina che costituisce il parametro di riferimento per il formulato giudizio di loro illiceità, non può affermarsi la sussistenza di una sovrapponibilità di normative disciplinanti una medesima fattispecie valutata sotto il medesimo profilo, sul presupposto che le norme medesime prendano in considerazione lo stesso fatto, essendo la disciplina antitrust – alla cui applicazione è chiamata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – volta a garantire la tutela della concorrenza e dei principi del libero mercato, laddove le norme, sopra richiamate, attributarie all’AGCom della competenza in materia radiotelevisiva, ivi compresa quella della rilevazione dei dati di ascolto ed in materia di posizioni dominanti in tale settore, sono funzionali al perseguimento di diverse finalità tra cui, segnatamente, quella della garanzia e della tutela del pluralismo informativo.

Deve, pertanto, ritenersi che i compiti attribuiti all’AGCom in tema di definizione dei mercati rilevanti e delle posizioni dominanti nel settore delle telecomunicazioni non hanno fatto venir meno la generale competenza antitrust spettante all’AGCM, assumendo le valutazioni dell’Autorità di settore, in quanto si riferiscono alla disciplina ed alle caratteristiche del settore regolato, una valenza diversa rispetto a quelle attinenti l’applicazione delle norme in materia di tutela della concorrenza.

La competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato coesiste, quindi, con la competenza dell’Autorità di vigilanza preposta allo specifico settore delle telecomunicazioni in ragione della differente finalità delle funzioni svolte dai due Istituti, essendo l’attività dell’Autorità antitrust indirizzata alla protezione degli interessi concorrenziali delle imprese, mentre l’attività di vigilanza svolta dall’AGCom sul sistema delle comunicazioni è finalizzata ad assicurare il pluralismo dei sistemi di informazione, favorendo anche la concorrenza nel settore, affiancandosi le relative disposizioni a quelle previste da altri comparti dell’ordinamento in materia di concorrenza, con la conseguenza che, nello svolgimento delle proprie attività, i professionisti devono adeguare i propri comportamenti all’insieme di queste discipline come un complesso regolamentare integrato e curare il rispetto delle diverse regolamentazioni, adottando le misure necessarie, in ragione della coesistenza di diverse discipline e competenze, aventi finalità complementari.

Sotto un profilo più generale, di tipo sistematico, va rilevato che, non essendovi coincidenza tra l’ambito e le finalità di tutela apprestati dalla disciplina speciale di settore e quelli sottesi alla legge n. 287 del 1990, la disciplina dettata da quest’ultima si aggiunge alle tutele derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione, non potendo affermarsi la recessività dell’applicabilità della disciplina dettata a tutela della concorrenza e del mercato rispetto alle discipline di settore, le quali, se prevalgono per gli aspetti specifici ivi disciplinati, vanno coordinate e completate con le norme dettate a tutela della concorrenza, posto che, a fronte delle diverse finalità perseguite, la disciplina di settore e quella a tutela della concorrenza concorrono a delineare il quadro normativo di riferimento in relazione agli obblighi dei professionisti ed agli strumenti di tutela in materia di condotte illecite, non essendo configurabile una completa sovrapponibilità di ambiti in conseguente rapporto di esclusione – per prevalenza – l’uno con l’altro in virtù del criterio di specialità.

Le discipline speciali di settore si pongono, quindi, in rapporto di complementarietà e non di alternatività rispetto alla normativa generale in materia di tutela della concorrenza, in ragione della diversità degli interessi pubblici sottostanti istituzionalmente tutelati dalle Amministrazioni rispettivamente competenti, non potendosi quindi configurare un’ipotesi di conflitto tra distinti apparati normativi, perseguendo le relative norme diverse e complementari finalità.

In tale prospettiva, essendo l’attività dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato volta alla protezione della concorrenza, la normativa di carattere generale non pregiudica l’applicazione della disciplina, comunitaria e nazionale, dettata con specifico riferimento a determinati settori, ma coesiste con essa.

Ne consegue che la presenza di un compiuto e completo apparato normativo regolante un determinato settore non esclude la contemporanea applicazione della disciplina dettata in materia di tutela della concorrenza, la quale non riveste natura residuale se non nei casi in cui sussista una disciplina speciale di settore che, oltre a regolare puntualmente e compiutamente il contenuto degli obblighi comportamentali, definisca anche i poteri ispettivi, inibitori e sanzionatori dell’autorità settoriale.

Deve, conseguentemente, affermarsi l’applicabilità delle regole dettate a tutela della concorrenza anche nei mercati regolamentati, conservando l’AGCM il potere di accertare condotte anticoncorrenziali anche a fronte della conformità delle condotte alla disciplina di settore, la quale risponde ad esigenze e finalità diverse da quella della tutela della concorrenza, con conseguente non esaustività delle relative prescrizioni rispetto ai canoni della concorrenza, non potendo ritenersi la disciplina di settore specificamente volta al perseguimento ed alla garanzia della concorrenza, e assistita dai necessari poteri di enforcement e sanzionatori aventi tale specifica e non surrogabile finalità, a fronte dei differenti scopi delle discipline regolatorie di settore.

Le illustrate considerazioni hanno trovato conferma nelle conclusioni rassegnate nell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 11 dell’11 maggio 2012, rese nel senso della competenza dell’Antitrust a valutare autonomamente la sussistenza di ipotesi di abuso di posizione dominante o di intese restrittive della concorrenza pur a fronte della riconosciuta prevalenza, in materia di pratiche commerciali scorrette, dell’applicazione della disciplina dettata dal Codice delle comunicazioni elettroniche e dai provvedimenti attuativi e integrativi adottati dall’AGCom sulla disciplina dettata dal Codice del Consumo in ragione del principio di specialità.

L’evidenziata esigenza di coerenza tra la regolamentazione, a monte, dei mercati e delle posizioni dominanti nel settore delle telecomunicazioni, e l’accertamento, a valle, degli abusi che costituiscono violazione della regolamentazione, e di coordinamento per evitare sovrapposizioni e rischio di bis in idem, deve quindi essere risolta riconoscendo la competenza dell’Autorità antitrust in materia, venendo in rilievo un parallelismo tra le competenze proprie delle due Autorità, ciascuna chiamata a perseguire obiettivi differenti, ancorchè convergenti (Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 aprile 2011 n. 2438), non potendo ritenersi che le attribuzioni dell’AGCom, che opera quale Autorità di regolamentazione del settore delle telecomunicazioni, abbiano scalfito la competenza generale dell’AGCM in tema di vigilanza antitrust.

Giova, al riguardo, rilevare che già a livello comunitario, le linee direttrici della Commissione europea (2002/C 165/03) avvertono che le indicazioni che vengono fornite alle Autorità nazionali di regolamentazione per la definizione dei mercati rilevanti e delle significative posizioni di mercato, non pregiudicano l’applicazione delle norme relative alla concorrenza da parte degli organi nazionali competenti.

Con riferimento all’ordinamento italiano, deve evidenziarsi, quale canone ermeneutico fondamentale al fine di delineare i rapporti tra disciplina di settore e quella dettata a tutela della concorrenza, l’intervenuta abrogazione – ad opera dell’art. 1, comma 6, lett. c), n. 9, della legge n. 249 del 1997 – dell’art. 20, comma 1, della legge n. 287 del 1990, che sottraeva all’AGCM la competenza antitrust nei confronti delle imprese operanti nei settori della radiodiffusione e dell’editoria, per attribuirla all’allora Garante per la radiodiffusione e l’editoria, successivamente AGCom.

Analogamente è stato abrogato l’art. 20, comma 2, della legge n. 287 del 1990 che attribuiva la competenza in materia di antitrust all’Autorità di vigilanza competenti nel settore del credito.

Decisivo rilievo assume, inoltre, la disposizione dettata al comma 04 del citato art. 20 – aggiunto dall’art. 2 del D.Lgs. 29 dicembre 2006, n. 303 – ai sensi del quale “Nel caso in cui l’intesa, l’abuso di posizione dominante o la concentrazione riguardino imprese operanti in settori sottoposti alla vigilanza di più autorità, ciascuna di esse può adottare i provvedimenti di propria competenza”

Da tale quadro normativo, si evince che la competenza antitrust spetta all’AGCM, la quale, anche con riferimento a imprese operanti in settori regolamentati, quale quello delle comunicazioni elettroniche, è chiamata ad applicare l’art. 3 della legge n. 287 del 1990 nelle ipotesi di abuso di posizione dominante nonché l’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea in virtù della sua efficacia diretta.

Il descritto assetto delle rispettive competenze dell’AGCom e dell’Autorità antitrust è stato confermato dal codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (TUSMAR), ai sensi del quale l’AGCom opera come Autorità di regolamentazione, le cui competenze non elidono quelle antitrust dell’AGCM.

Viene in rilievo, al riguardo, l’art. 8, del D.Lgs. n. 259 del 2003, il quale stabilisce il principio di cooperazione tra le due Autorità, che adottano, anche ricorrendo a ‘specifiche intese’, disposizioni sulle ‘procedure di consultazione e di cooperazione reciproca nelle materie di interesse comune’, mentre l’art. 98, comma 11, attribuisce all’AGCom la competenza sanzionatoria in caso di violazione dei propri provvedimenti con cui si stabiliscono gli obblighi delle imprese aventi significativo potere di mercato.

Ora, secondo l’art. 17, del D.Lgs. n. 259 del 2003, per significativo potere di mercato si intende, in conformità al diritto comunitario, il godimento di una posizione equivalente ad una posizione dominante, e dunque di una forza economica tale da consentire alle imprese di comportarsi in misura notevole in modo indipendente da concorrenti, clienti, consumatori.

Gli artt. 18 e ss., del D.Lgs. n. 259 del 2003 attribuiscono all’AGCom la competenza a definire i mercati rilevanti (art. 18) e ad accertare se le imprese godono di un significativo potere di mercato (art. 19), con la conseguente imposizione, in caso affermativo, di obblighi di regolamentazione (se il mercato non sia effettivamente concorrenziale) (artt. 46, 47, 48, 49, 50, 66, 67, 68, 69, D.Lgs. n. 259 del 2003).

Inoltre, l’art. 43, comma 2, del TUSMAR attribuisce all’AGCom il compito di verificare che non si costituiscano, nel sistema integrato delle comunicazioni e dei mercati che lo compongono, posizioni lesive del pluralismo ai sensi dell’art. 5 del TUSMAR, per come peraltro confermato dalla stessa AGCom con Delibera n. 555/10/CONS, laddove si afferma che l’esigenza di proteggere il pluralismo è ciò che ha spinto il legislatore a dettare una disciplina di settore che si affianca a quella generale di cui alla legge n. 287 del 1990 e che offre una tutela rafforzata contro le posizioni dominanti rispetto a quella tipica del diritto della concorrenza.

E’ di tutta evidenza che l’art. 98, comma 11, del D.Lgs. n. 259 del 2003, attribuisce all’AGCom la competenza a sanzionare la violazione degli obblighi di regolamentazione da essa impartiti con i propri provvedimenti, adottati ai sensi dei citati articoli, ma lascia integra la competenza dell’AGCM ad accertare l’abuso di posizione dominante realizzato attraverso una delle condotte di cui all’art. 3 della legge n. 287 del 1990, delineando la disciplina di settore un assetto regolamentare volto, anche ma non solo, ad impedire che si realizzino violazioni alle norme sulla concorrenza ed essendo il relativo apparato sanzionatorio predisposto per le ipotesi di mancata ottemperanza alle relative prescrizioni, le quali non esauriscono tuttavia gli obblighi comportamentali idonei a preservare la libera concorrenza, potendo un comportamento conforme alla disciplina di settore essere lesivo dei principi alla cui tutela è finalizzata la legge n. 287 del 1990.

Nella non sovrapponibilità tra la disciplina generale in materia di concorrenza e le discipline di settore quanto a finalità perseguite, risiedono le ragioni per cui comportamenti aderenti ai contenuti delle delibere di indirizzo dell’AGCom – come avviene nella fattispecie in esame – possono integrare ipotesi di violazione dell’art. 102 TFUE, non offrendo la disciplina di settore una esaustiva e compiuta copertura della tutela della concorrenza.

Sotto il profilo ricostruttivo, deve, ancora, ricordarsi che l’ordinamento prevede specifiche forme di coordinamento procedimentale tra le autorità laddove sia immaginabile un loro concorso, dovendo al riguardo richiamarsi, oltre al citato comma 04 dell’art. 20 della legge n. 287 del 1990, anche l’art. 1, comma 6, lett. c), n. 11), il quale stabilisce che l’AGCom esprime parere obbligatorio sui provvedimenti dell’AGCM riguardanti operatori del settore delle comunicazioni.

Il principio di cooperazione tra le due Autorità (art. 8, del D.Lgs. n. 259 del 2003), la perdurante regola sul ‘parere’ espressamente qualificato come ‘obbligatorio’ dell’AGCom sui provvedimenti dell’AGCM (art. 1, comma 6, lett. c), n. 11, della legge n. 249 del 1997), la istituzionale competenza dell’AGCom ad accertare quali sono le imprese aventi significativo potere di mercato e a dettare le prescrizioni vincolanti per garantire una effettiva e sostenibile concorrenza nel mercato delle comunicazioni ed il pluralismo dei mezzi di informazione, l’esigenza che non si verifichino bis in idem o difformi valutazioni, sono tutti elementi che conducono a ritenere la sussistenza di competenze parallele aventi finalità diverse da esercitarsi secondo il paradigma procedimentale del coordinamento in un’ottica di leale collaborazione (anche, se del caso, con lo strumento tipico dell’intesa), e con il fine ultimo e comune di garantire il corretto funzionamento del mercato alla cui vigilanza sono preposte.

Alla luce delle suesposte considerazioni devono, dunque, disattendersi le argomentazioni spese da parte ricorrente al fine di eccepire il difetto di competenza dell’Autorità antitrust, non potendo annettersi alle previste attribuzioni dell’AGCom in materia di abusi di posizione dominante e di rilevazione degli indici di ascolto televisivi esaustiva valenza ai fini antitrust, la cui tutela è incardinata in capo all’AGCM in tutte le ipotesi di violazione dell’art. 3 della legge n. 287 del 1990 e dell’art. 102 TFUE (già art. 82 del Trattato CE).

Inoltre, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, viene in rilievo, nella fattispecie in esame, una problematica inerente la violazione delle norme sulla concorrenza – e non già una fattispecie inerente la valutazione della conformità delle condotte sanzionate alla regolazione di settore – con conseguente non persuasività della suggerita irrilevanza, ai fini della individuazione dell’Autorità competente, dell’art. 1, comma 6, lettera c) n. 11 della legge n. 249 del 1997 laddove prescrive che l’AGCom esprima il parere obbligatorio sui provvedimenti riguardanti operatori del settore delle comunicazioni predisposti dall’AGCM.

La ratio di tale previsione va, infatti, ricondotta all’esigenza di coordinamento tra Autorità laddove siano contemporaneamente coinvolti ambiti di rispettiva competenza sulla base di attribuzioni volte alla tutela di diverse finalità, essendo in tale prospettiva il parere dell’AGCom previsto come obbligatorio ma non vincolante e, pertanto, secondo i consueti criteri circa il rapporto tra parere e provvedimento finale, l’AGCM se ne può discostare solo con congrua e puntuale motivazione, e ciò in ragione delle specifiche competenze dell’AGCom, del dovere di cooperazione tra le due Autorità normativamente imposto e del principio che richiede per gli operatori del mercato che le regole siano certe e conoscibili ex ante.

Coerentemente, quindi, con l’assetto delle competenze e dei compiti attribuiti all’Autorità nazionale di regolamentazione in tema di definizione dei mercati rilevanti e delle posizioni dominanti nel settore delle telecomunicazioni, che non hanno fatto venire meno la generale competenza antitrust spettante all’AGCM, quest’ultima deve acquisire il parere della prima, che è obbligatorio e non vincolante, ma dalle cui risultanze l’AGCM può discostarsi con adeguata motivazione (Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 marzo 2006 n. 1271, le cui statuizioni sono fatte salve dalla citata Adunanza Plenaria n. 11 del 2012).

Quanto alla rilevanza del parere dell’Autorità di regolamentazione nell’ambito del procedimento antitrust, deve ritenersi che le valutazioni dell’Autorità di settore assumono una valenza diversa a seconda che si riferiscano alla disciplina ed alle caratteristiche del settore regolato rispetto a quelle attinenti l’applicazione delle norme in materia di tutela della concorrenza. In entrambi i casi l’Autorità antitrust dovrà motivare il discostamento dal parere dell’autorità di settore, ma nella prima ipotesi la motivazione dovrà essere particolarmente esauriente a differenza della seconda, in cui le valutazioni attengono direttamente alle competenze attribuite al garante della concorrenza (Cons. Stato, Sez. VI, Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 marzo 2006 n. 1271; 23 aprile 2002, n. 2199; 2 marzo 2001, n. 1187; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 7 aprile 2008 n. 2902).

Quanto alla competenza dell’Autorità antitrust, la cui sussistenza va affermata sulla base delle considerazioni sopra illustrate, non è inoltre priva di rilievo la circostanza che l’AGCom, coinvolta nel procedimento attraverso la richiesta del prescritto parere, non abbia in alcun modo rivendicato la propria competenza con riferimento alle fattispecie oggetto di indagine.

Per le ragioni dianzi esposte, la censura di incompetenza dell’AGCM deve essere rigettata.

2 – Tra le questioni di carattere generale e procedimentale sollevate da parte ricorrente viene in rilievo la denunciata unicità del procedimento, seguito dalla resistente Autorità, per l’accertamento della sussistenza di tre distinte condotte illecite realizzate mediante abuso di posizione dominante, laddove, sostiene parte ricorrente, avrebbero dovuto essere instaurati distinti procedimenti per ogni singola ipotesi di infrazione.

La censura non merita favorevole esame, essendo immanente al principio di buon andamento dell’azione amministrativa, che si declina nei principi di efficienza, economicità e di concentrazione dei mezzi giuridici, lo svolgimento di un unico procedimento istruttorio volto all’accertamento di fatti tra loro connessi, alternativamente o cumulativamente, sulla base di criteri diversi, quali l’elemento soggettivo o quello oggettivo.

Ne discende la piena legittimità dell’operato dell’Autorità che ha condotto un unico procedimento, avviato sulla base della segnalazione presentata da Sky Italia S.r.l., ed esteso oggettivamente nel corso dello stesso, riferito a distinte condotte poste in essere dal medesimo soggetto, accomunate dalla medesima valenza anticoncorrenziale realizzata attraverso l’abuso di posizione dominante da parte della società ricorrente.

Lo svolgimento di un unico procedimento istruttorio non risulta, peraltro aver pregiudicato la specificità delle valutazioni riferite ad ogni singola condotta, autonomamente accertata e valutata alla luce delle risultanze istruttorie anche ai fini della determinazione della sanzione da irrogare.

Inoltre, avuto riguardo alla valenza sostanziale che devono rivestire eventuali vizi procedurali al fine di poter agli stessi annettere efficacia viziante del conclusivo provvedimento, deve rilevarsi come parte ricorrente non abbia minimamente indicato quali ripercussioni abbia avuto lo svolgimento di un unico procedimento in termini di garanzia delle proprie prerogative difensive o partecipative, né ha allegato quali negative conseguenze siano discese da tale opzione procedimentale che, peraltro, risponde a regole generali.

3 – Con riferimento all’ulteriore profilo di censura con cui parte ricorrente denuncia un generalizzato difetto di motivazione del provvedimento conclusivo, in asserita violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, avuto particolare riguardo alla mancata esternazione delle ragioni in base alle quali l’Autorità ha ritenuto di non condividere le argomentazioni difensive spese nel corso del procedimento, le ragioni della sua infondatezza risiedono nella regola generale in base alla quale non sussiste un obbligo, per l’Autorità procedente, di diffondersi in un’analitica confutazione delle argomentazioni delle parti, essendo sufficiente, al fine di ritenere integrata la pienezza del contraddittorio e garantite le prerogative difensive delle parti, che le loro argomentazioni difensive siano state prese in esame ed adeguatamente considerate, senza necessità che alle stesse siano opposte diffuse controdeduzioni (in senso conforme: TAR Lazio, Roma, Sez. I, 17 novembre 2011 n. 8944).

Inoltre, la lettura della gravata delibera consente di rilevare come le difese articolate da parte ricorrente nel corso del procedimento – sintetizzate nella sezione IV – siano state prese in esame dall’Autorità e disattese in occasione della formulazione delle valutazioni in ordine alle condotte contestate, cosicchè nessun concreto fondamento può annettersi al paventato dubbio, manifestato dalla società ricorrente, circa l’omessa ponderazione, da parte dell’Autorità, delle argomentazioni dalla stessa addotte a giustificazione delle proprie condotte.

4 – Merita, parimenti, di essere negativamente delibato il denunciato difetto di motivazione circa l’essersi l’Autorità discostata dal parere espresso dall’AGCom, reso nel senso della possibile assenza del carattere abusivo in ordine alle condotte riguardanti la mancata pubblicazione giornaliera dei dati dei singoli canali suddivisi per piattaforma e la mancata pubblicazione quotidiana dei dati relativi alla voce ‘Altre Digitali Terrestri’.

L’Autorità procedente ha, difatti, puntualmente preso in esame le considerazioni espresse dall’AGCom circa la possibile imputabilità dei comportamenti a problemi di attendibilità statistica dei dati e alla necessità dei dati sul numero di abbonati Sky, confutando le relative argomentazioni con puntuali e diffuse controdeduzioni volte a motivatamente disattendere le valutazioni espresse dall’Autorità di regolazione.

Inoltre, per come già dianzi illustrato, le valutazioni strettamente inerenti la sussistenza di profili di infrazione al divieto di abuso dominante sono di competenza dell’Autorità antitrust, la quale può motivatamente discostarsi – come avvenuto nella fattispecie in esame – dalle valutazioni espresse dall’AGCom, dovendo la motivazione essere particolarmente esauriente laddove le valutazioni attengano alla disciplina ed alle caratteristiche del settore regolato, che assumono diversa valenza rispetto a quelle riferite all’applicazione delle regole poste a tutela della concorrenza.

Fermo l’assolvimento, da parte dell’Autorità procedente, dell’onere di motivare le ragioni in base alle quali ha ritenuto di non condividere le valutazioni dell’AGCom circa la possibile insuscettibilità delle due indicate condotte a configurare un abuso illecito sotto il profilo antitrust, va ribadito come tali valutazioni rientrino più propriamente nella sfera di attribuzione dell’Autorità antitrust, la quale può giungere a diverse conclusioni, rispetto all’Autorità di regolazione, sulla base di autonome valutazioni.

5 – Nel condividere parte ricorrente l’individuazione del mercato rilevante effettuata dall’Autorità, riferito al settore della rilevazione degli ascolti televisivi in Italia, contesta di detenere su tale mercato una posizione di monopolio o una posizione dominante sull’assunto di non avere mai opposto alcun impedimento all’ingresso in tale mercato da parte di altre imprese, di non poter decidere in modo indipendente ed autonomo la propria strategia commerciale, lamentando come l’Autorità avrebbe condotto un’analisi meramente storica e fattuale al fine di individuare la posizione dominante della ricorrente, omettendo qualsiasi indagine con riferimento all’elemento soggettivo-comportamentale, per come asseritamente stabilito nella Comunicazione CE 2009/C 45/02.

La prospettazione di parte ricorrente non merita favorevole esame.

Con considerazioni condivise anche dall’AGCom nel proprio parere del 22 novembre 2011, l’Autorità ha ritenuto la sussistenza di una posizione dominante detenuta dalla società ricorrente nel mercato italiano della rilevazione dell’ascolto televisivo in ragione del suo sostanziale monopolio su tale mercato sin dalla data della sua costituzione, nel 1986, al fine di fornire un sistema unico di informazioni sull’ascolto dei programmi televisivi, evidenziando come la stessa struttura del mercato si caratterizzi per un equilibrio monopolistico in ragione dell’esigenza di avere a disposizione dati univoci e condivisi da tutti gli operatori affinché gli stessi possano essere utilizzati dalle imprese attive nel mercato della raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo, nel mercato della pay tv e nel mercato dell’offerta all’ingrosso di canali televisivi, mercati questi ultimi contigui a quello rilevante.

Accanto alla rilevata esigenza che vengano forniti dati relativi agli ascolti televisivi univoci e condivisi, che rappresenta un requisito imprescindibile per le imprese attive nei diversi mercati del settore televisivo, sulla cui base la società ricorrente è stata riconosciuta, sin dalla sua costituzione, dai diversi attori del settore televisivo – la cui partecipazione caratterizza il modello organizzativo assunto dalla società – come l’unico soggetto cui è deputata la rilevazione e la diffusione di dati di audience attendibili e condivisi, l’Autorità ha ricondotto la sussistenza della posizione dominante della società ricorrente nel mercato della rilevazione degli ascolti televisivi anche alla presenza di rilevanti barriere all’ingresso – che renderebbero ragione dell’assetto monopolistico del mercato – connesse agli ingenti investimenti necessari per lo svolgimento dell’attività di rilevazione (quali l’installazione delle apparecchiature elettroniche finalizzate alla registrazione dei dati, la gestione del panel, la rilevazione e l’elaborazione dei dati attraverso complesse procedure statistiche) ed agli effetti reputazionali di Auditel, connessi alle modalità di costituzione e di operatività della stessa società, che sarebbero difficilmente riproducibili in altri soggetti, il che renderebbe improbabile che nel medio-termine un nuovo operatore possa entrare nel mercato ed essere in grado di diffondere dati di audience altrettanto univoci e condivisi e, pertanto, sostituibili a quelli prodotti da Auditel.

L’analisi condotta dall’Autorità ai fini del riscontro di una posizione dominante detenuta dalla società ricorrente risulta immune dalle proposte censure.

Al riguardo, deve rilevarsi come correttamente l’analisi circa la sussistenza di una posizione dominante è stata condotta dall’Autorità tenuto conto del contesto fattuale e strutturale di riferimento, conformemente a quanto stabilito nella Comunicazione della Commissione — Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 82 del trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti – 2009/C 45/02.

Premesso che a livello comunitario la posizione dominante è definita come una situazione di potere economico grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare il persistere di una concorrenza effettiva sul mercato in questione e di agire in maniera significativamente indipendente rispetto ai suoi concorrenti, ai suoi clienti e ai consumatori, correlandosi il concetto di indipendenza al grado di pressione concorrenziale esercitata sull’impresa, stabilisce la citata Comunicazione che la valutazione della posizione dominante deve tenere conto della struttura concorrenziale del mercato, precisando come le quote di mercato forniscono una prima indicazione utile sulla struttura del mercato e sulla relativa importanza delle varie imprese in esso operanti ed individuando nella consistenza della quota di mercato detenuta e nel relativo periodo di tempo in cui è detenuta un importante indicatore dell’esistenza di una posizione dominante.

Stante, quindi, la rilevanza, per l’accertamento di una posizione dominante, ai sensi della citata Comunicazione della Commissione, del potere di mercato dell’impresa, che deve essere significativo (Corte di Giustizia, sentenza del 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffmann-La Roche c. Commissione), l’analisi circa la sussistenza del carattere di dominanza di un’impresa deve essere condotta alla stregua dell’esame strutturale del mercato rilevante, con conseguente correttezza delle valutazioni espresse in proposito dall’Autorità la quale, partendo dal dato di fatto della detenzione, da parte di Auditel, di una posizione monopolistica sul mercato della rilevazione degli ascolti televisivi, essendo la stessa l’unica società che, dalla data di sua costituzione, viene riconosciuta come deputata alla rilevazione ed alla diffusione dei dati di ascolto televisivi, i quali sono considerati come univoci e condivisi da tutti gli operatori, ha riscontrato in capo alla stessa una posizione dominante, affiancando all’analisi di tipo storico fattuale anche la valutazione prospettica e dinamica circa la possibile evoluzione del mercato, così ravvisando la sussistenza di rilevanti barriere all’ingresso determinate dalla necessità di ingenti investimenti per lo svolgimento di tale attività e dalla non facile replicabilità di tale attività stante la necessità di diffusione di dati univoci e condivisi, imprescindibili per poter essere efficacemente utilizzati dagli operatori, e stante la reputazione vantata dalla società ricorrente – da sempre riconosciuta dagli operatori del settore come soggetto unico cui è deputata la rilevazione e diffusione di dati di audience attendibili e condivisi – difficilmente riproducibile da parte di altri soggetti quantomeno nel breve-medio termine.

In proposito, l’Autorità ha altresì evidenziato – sulla base delle risultanze emergenti dall’Indagine conoscitiva sul settore televisivo deliberata il 16 novembre 2004 – come la produzione da parte di altre imprese di indagini sui dati di ascolto televisivi fondate su altri sistemi di rilevazione non assicurerebbero la medesima affidabilità e completezza dell’indagine Auditel, la quale prevede la partecipazione al progetto della maggior parte dei soggetti operanti nei diversi ambiti di attività interessati dalla rilevazione dell’audience televisiva, i quali condividono, attraverso la partecipazione agli organi della società, i complessi aspetti tecnici della rilevazione e dell’elaborazione dei dati, nonché le diverse fasi di verifica e di controllo dei risultati ottenuti.

L’analisi della dominanza della società ricorrente nel mercato rilevante è stata quindi condotta dall’Autorità sulla base dell’esame di molteplici fattori, in coerente e corretta applicazione della disciplina comunitaria, come declinata anche a livello giurisprudenziale, e delle indicazioni di cui alla citata Comunicazione della Commissione, dovendo essere presa in considerazione la posizione sul mercato in relazione alla struttura dello stesso, tenuto conto che la detenzione di quote di mercato elevate per un periodo sufficientemente lungo è il principale indice per verificare la sussistenza di una posizione dominante (Corte di Giustizia CE, sentenza 3 luglio 1001, causa C-62/86, Akzo Chemie BC c. Commissione; Tribunale I grado, causa T.228/97, Irish Sugar c. Commissione; causa T-340/03, France Telecom), alla stregua della ormai consolidata nozione di posizione dominante (Consiglio Stato, Sez. VI, 14 marzo 2000 n. 1348; 20 dicembre 2010 n. 9306; Corte di Giustizia CE, sentenza 14 febbraio 1978, causa C-27/76, United Brands; 13 febbraio 1979, causa C-85/76, Hoffmann – La Roche).

Deve, conseguentemente, ritenersi destituita di fondamento la censura con cui parte ricorrente lamenta la mancata valutazione da parte dell’Autorità, ai fini del riscontro della sussistenza di una posizione dominante, dell’elemento comportamentale, e ciò in quanto l’analisi del comportamento non attiene alla fase dell’accertamento di una posizione dominante sul mercato, ma a quella, successiva, della verifica della sussistenza di ipotesi di abuso, dovendo al riguardo rilevarsi come la detenzione di una posizione dominante non sia di per sé illegale – come peraltro espressamente stabilito dalla Comunicazione della Commissione 2009/C 45/02 al punto 1 – e costituisca il presupposto per verificare la sussistenza di ipotesi di abuso di tale posizione, in violazione della regola della ‘speciale responsabilità’, che impone all’impresa che detiene una posizione dominante di non adottare comportamenti che ostacolino una concorrenza priva di distorsioni nel mercato comune, vietando l’art. 82 del Trattato CE lo sfruttamento abusivo della posizione dominante.

Nella determinazione di abusi di posizione dominante l’analisi deve, pertanto, svilupparsi verso due diverse direzioni, ovvero l’accertamento della sussistenza di una posizione dominante, che si configura come l’aspetto oggettivo della definizione, e l’abuso di tale posizione, che integra l’aspetto soggettivo della nozione, in quanto legato al comportamento dell’impresa dominante.

La doglianza di parte ricorrente che invoca l’analisi comportamentale al fine del riscontro della sussistenza di una posizione dominante incorre quindi in un errore metodologico, essendo siffatta analisi propria della verifica della sussistenza di abusi di tale posizione, laddove la posizione dominante ha valenza oggettiva e deve essere riscontrata sulla base dei fattori che caratterizzano il mercato.

In tale prospettiva e sulla base delle corrette modalità sulla cui base procedere all’analisi della sussistenza di una posizione dominante sul mercato rilevante, priva di rilievo risulta essere la circostanza, evidenziata da parte ricorrente, circa la propria estraneità rispetto all’apposizione di barriere all’ingresso sul mercato da parte di altre imprese, prescindendo l’analisi strutturale del mercato dall’individuazione dell’eventuale imputabilità delle relative cause, che assumono rilievo laddove integranti ipotesi di abuso di posizione dominante, essendo la ricognizione della posizione dominante basata su elementi di fatto in quanto trattasi di nozione oggettiva, potendo gli elementi che concorrono a determinarla essere né leciti né illeciti, ma semplici fattori che incidono su una certa situazione di mercato.

Al riguardo, è utile ricordare come alla base del divieto di abusi di posizione dominante vi sia un’asimmetria in base alla quale alcuni comportamenti sono vietati alle imprese in posizione dominante ma consentiti alle altre, asimmetria il cui fondamento economico è quello di limitare l’espansione delle posizioni dominanti, incentivando il mercato a raggiungere una struttura più concorrenziale.

Non sussiste, quindi, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, alcuna necessità di un’analisi delle ragioni per le quali non sussistano altre società nel mercato della rilevazione dei dati di ascolto o delle cause dell’esistenza di barriere all’ingresso nel mercato de quo, essendo sufficiente il mero riscontro obiettivo di una situazione di dominanza nel mercato, dovendo peraltro al riguardo rilevarsi come l’Autorità abbia compiutamente dato conto, con valutazioni pienamente condivisibili e non utilmente confutate da parte ricorrente, dei fattori che caratterizzano in senso monopolistico la posizione detenuta dalla ricorrente, dando altresì conto delle cause di tale assetto del mercato.

Deve, pertanto, ritenersi l’irrilevanza dell’invocata assenza di responsabilità della ricorrente in ordine alla propria posizione dominante, la quale assumerebbe rilievo ai diversi fini dell’accertamento dell’abuso di tale posizione nell’ambito della valutazione di tipo comportamentale.

Non sono, inoltre, idonee a scalfire la ricostruzione della posizione dominante della società ricorrente, effettuata dall’Autorità, le obiezioni di parte ricorrente circa l’insufficienza della necessità di ingenti investimenti ad ostacolare l’ingresso nel mercato da parte di altre imprese e del dato reputazionale, trattandosi di fattori obiettivi di sicura rilevanza in termini di analisi del mercato idonei a sorreggere la ritenuta posizione di dominanza e la formulata prognosi circa i possibili sviluppi del mercato e dovendo, comunque, la posizione dominante essere riscontrata sulla base dei fattori obiettivi che caratterizzano il mercato.

La posizione di dominanza della ricorrente non risulta inoltre scalfita dalla circostanza, dedotta da parte ricorrente, di non essere in grado di adottare scelte indipendenti stante la pressione dei propri clienti e fornitori e la presenza di un’Autorità di regolazione che interviene in misura incisiva nel settore.

L’infondatezza di tali argomentazioni emergono appieno se solo si consideri l’assenza di pressioni concorrenziali, stante la posizione di sostanziale monopolio e soggiacendo la ricorrente alle sole regole di funzionamento societario proprie della struttura azionaria, e l’irrilevanza, ai fini della sussistenza di una posizione dominante, dell’attività di regolazione esercitata dall’AGCom nel settore, non potendo escludersi posizioni di monopolio o di dominanza in settori regolamentati.

Peraltro, è utile ricordare come la stessa AGCom, nel proprio parere del 22 novembre 2011, ha condiviso la ricostruzione dell’AGCM circa l’esistenza della posizione dominante dell’Auditel nel mercato rilevante, affermando espressamente come la stessa operi in una situazione di sostanziale monopolio in quanto unico soggetto cui è affidata la rilevazione e la diffusione di dati, univoci e condivisi, relativi agli ascolti televisivi.

Non può, quindi, condividersi quanto affermato da parte ricorrente circa l’assenza di un potere significativamente indipendente in ragione dell’esistenza di concorrenti – allo stato solo potenziali – e della vigilanza dell’Autorità di settore, le cui prescrizioni, per quanto dianzi illustrato, non sono tali da elidere possibili condotte anticoncorrenziali e potendo condotte conformi alla disciplina regolatoria integrare ipotesi di illecito antitrust.

Né la sussistenza di mercati regolamentati è incompatibile con una loro strutturazione in senso monopolistico o con situazioni di dominanza delle imprese, che possono avere origine multifattoriale su cui la regolazione può non essere inidonea ad incidere.

6 – Con ulteriori censure rubricate come afferenti la riscontrata posizione dominante detenuta nel mercato (e non, più correttamente, il suo abuso), successivamente replicate, lamenta parte ricorrente il mancato accertamento, da parte dell’Autorità, dell’esistenza di un intento anticompetitivo e di un volontario abuso di una posizione dominante realizzato con mala fede, che soli consentirebbero di qualificare una condotta, altrimenti lecita, come abusiva.

Al riguardo, osserva il Collegio come, sulla base della consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale, al fine di ritenere integrata un’ipotesi di violazione della speciale responsabilità gravante sull’impresa dominante, non sia necessaria la verifica della sussistenza della mala fede, essendo la nozione di abuso di carattere oggettivo che, come tale, prescinde dall’accertamento della sussistenza di un intento anticoncorrenziale (Tribunale I grado, sez. Sesta ampliata, causa T-321/05, 1 luglio 2010, AstraZeneca AB and AstraZeneca plc v. Commission of the European Communitie; Tribunale I grado, causa T-301/04, Clearstream Banking AG-Clearstream Internationalv. Commission; Corte di Giustizia Europea, sentenza 3 luglio 1991, causa n. C-62/86, AKZO Chemie BV v Commission of the European Communities citata; sentenza 7 ottobre 1999, causa n. T-228/97, Irish Sugar plc v Commission of the European Communities; 9 novembre 1983, causa n. 322/81, NV Nederlandsche Banden Industrie Michelin v Commission of the European Communities), dal momento che l’abuso riguarda i comportamenti dell’impresa in posizione dominante atti ad influire sulla struttura di un mercato che hanno l’effetto di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si impernia la concorrenza normale tra prodotti o servizi, lo sviluppo della concorrenza.

Ne consegue che la dimostrazione della natura volontaria del comportamento e della malafede dell’impresa in posizione dominante non è necessaria per individuare un abuso di posizione dominante.

Per la sussistenza dell’illecito è, dunque, sufficiente la presenza del carattere abusivo dei comportamenti, e non anche l’accertamento dell’intenzionalità della condotta o della mala fede, venendo in rilievo, in proposito, sotto un profilo ricostruttivo di ordine generale, l’art. 3 della legge n. 689 del 1981, ai sensi del quale “Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.

Nella parte in cui tale norma attribuisce rilievo alla coscienza e volontà della azione o omissione, sia essa dolosa o colposa, postula una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, la colpa dovendosi ritenersi positivamente dimostrata se la condotta rilevante ai fini della sanzione integra violazione di precise disposizioni normative.

Il richiedere per la responsabilità nell’illecito amministrativo che la condotta attiva od omissiva rivesta i caratteri della coscienza e volontarietà, e sia perlomeno colposa, pone quindi una presunzione “iuris tantum” di colpa in chi ponga in essere o manchi di impedire un fatto vietato, dal che consegue che è legittima l’irrogazione della sanzione in assenza di prove atte a superare detta presunzione mediante la dimostrazione della propria estraneità al fatto o dell’impossibilità di evitarlo (Cassazione Civile, Sez. V, 25 maggio 2001 n. 7143; Sez. I, 9 maggio 2003 n. 7065; Sez. Lav., 23 agosto 2003 n. 12391; Sez. II, 13 marzo 2006 n. 5426; 11 giugno 2007 n. 13610; Sez. V, 30 ottobre 2009 n. 23019), nella specie mancante.

Il principio posto dalla citata norma, secondo cui per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva sia essa dolosa o colposa, deve quindi essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa. Nell’ambito di tale esigenza probatoria, il dolo e la colpa, quali aspetti della volontà che sorregge il comportamento illecito, non sono esclusi dall’eventuale buona fede, intesa come errore sulla liceità del fatto, assumendo tale esimente rilievo solo in presenza di elementi positivi idonei ad ingenerare, nell’autore della violazione, il convincimento della liceità del suo operato per avere egli tenuto una condotta il più possibile conforme al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso.

Quanto alle ipotesi di abuso di posizione dominante, essendo la nozione di abuso di carattere oggettivo, la violazione della speciale responsabilità gravante sull’impresa in ragione della sua dominanza prescinde dall’accertamento di un intento anticompetitivo, essendo sufficiente a fondare il giudizio di abusività la verifica su un piano obiettivo di una condotta illecita, non rilevando l’intento e la relativa prova della consapevolezza di ledere da parte dell’autore della condotta (Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 aprile 2011 n. 2438; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 14 luglio 2010 n. 25434).

7 – Sotto altro profilo, contesta parte ricorrente le valutazioni espresse dall’Autorità con riferimento all’incidenza dei comportamenti abusivi contestati – consistenti nell’aver ostacolato l’adozione di alcune innovazioni nelle modalità di rilevazione e di diffusione dei dati di ascolto – nei mercati contigui della raccolta pubblicitaria, della pay tv e del mercato all’ingrosso di canali televisivi, denunciando al riguardo l’insussistenza, o comunque il mancato accertamento di una posizione dominante in tali mercati.

La censura non ha pregio.

L’Autorità ha correttamente individuato – sulla base di un modus procedendi immune dalle proposte censure – una posizione dominante della ricorrente nel mercato della rilevazione dei dati di ascolto televisivi, analizzando gli effetti dei comportamenti abusivi dalla stessa posti in essere nei mercati contigui, giungendo a ritenere come gli stessi siano stati idonei ad alterare le dinamiche competitive in mercati connessi a quello in cui si esplica la dominanza, e segnatamente quelli della raccolta pubblicitaria, della pay tv e del mercato all’ingrosso di canali televisivi.

Le argomentazioni di parte ricorrente, volte ad avvalorare la necessità di una posizione dominante nei mercati contigui in cui i comportamenti abusivi hanno prodotto effetti conoscono le ragioni della loro infondatezza nei consolidati principi, affermati dalla giurisprudenza comunitaria e da quella nazionale, in base ai quali in caso di mercati integrati, o comunque collegati, l’illiceità di un comportamento tenuto nel mercato ‘a monte’ non può essere esclusa per il solo fatto della mancanza di una posizione dominante in quello ‘a valle’, potendo la posizione di forza connessa alla posizione dominante nel mercato a monte essere sfruttata per esercitare pressioni anticoncorrenziali nei mercati collegati, estendendo la dominanza anche in tali mercati (Corte di Giustizia, sentenza 17 febbraio 2011, causa C-52/09, TeliaSonera; sentenza 6 marzo 1974, Commercial Solvents, causa 6-7/73; 3 ottobre 1988, CBEM; 3 luglio 1991, Akzo citata; 1 aprile 1993, BPB Industries & British Gypsum; Consiglio Stato, Sez. VI, 20 aprile 2011 n. 2438; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 7 aprile 2008 n. 2900).

Non è, pertanto, richiesto il requisito della doppia dominanza affinchè determinati comportamenti tenuti da un’impresa dominante nel mercato rilevante siano qualificati abusivi laddove gli stessi siano suscettibili di causare pregiudizi anticoncorrenziali in mercati contigui in cui la stessa non riveste simile posizione, estendendosi la portata della speciale responsabilità delle imprese dominanti a tutti i comportamenti resi possibili da tale dominanza che siano idonei ad incidere negativamente sullo sviluppo della concorrenza anche in altri mercati, trovando essi il proprio disvalore proprio nella circostanza di essere posti in essere da un’impresa in posizione dominante ed in abuso di tale posizione.

L’art. 102 TFUE è, difatti, applicabile indipendentemente dal fatto che una pratica illegittima da parte di un’impresa in posizione dominante pregiudichi o meno la concorrenza su un mercato diverso da quello in cui l’impresa detiene una posizione dominante, dal momento che un’impresa che detiene una posizione dominante in un mercato e che, in virtù della stessa, può adottare comportamenti aventi effetti anticoncorrenziali su altri mercati, si trova in una posizione equiparabile alla detenzione di una posizione dominante anche in questi ultimi, potendosi quindi configurare un comportamento abusivo di tale impresa in mercati distinti a valle di quello rilevante senza che si debba dimostrare che la stessa si trovi in posizione dominante ai fini dell’applicazione delle norme sul trattato (Corte di Giustizia, 14 novembre 1996, Causa C-333/94P, Tetra Pak International SA v. Commissione).

Correttamente, quindi, l’Autorità ha ritenuto la censurabilità dei comportamenti tenuti dalla società ricorrente sulla base degli effetti prodotti in mercati contigui rispetto a quello in cui la stessa riveste una posizione dominante, stante il divieto per le imprese che detengono una posizione dominante di porre in essere qualsiasi comportamento atto a ridurre la concorrenza o ad ostacolarne lo sviluppo anche in mercati diversi rispetto a quello in cui l’impresa detiene una posizione dominante e pone in essere l’abuso contestato (Tribunale di I Grado, sentenza 12 dicembre 2000, T-128/98, Aéroports de Paris v. Commissione).

L’indifferenza, ai fini della configurabilità di un abuso di posizione dominante, della posizione rivestita dalla società ricorrente nei mercati contigui rende irrilevante la circostanza, rappresentata da parte ricorrente, circa la presenza, in tali mercati, di pressioni concorrenziali da parte di altri soggetti, tali da escludere la possibilità per la stessa di tenere un comportamento indipendente.

Il carattere abusivo dei comportamenti va ricondotto alla violazione degli obblighi connessi alla speciale responsabilità ricadente sull’impresa che detiene una posizione dominante, posizione che consente all’impresa di assumere decisioni autonome e indipendenti – a fronte dell’assenza o della ridotta presenza di concorrenti nel mercato rilevante – idonee ad incidere, stante la relativa interazione, anche su mercati collegati, prescindendo tale idoneità dalla presenza di concorrenti in tali mercati.

Gli effetti nei mercati a valle sono difatti determinati dalla posizione dominante dell’impresa nel mercato a monte, i cui comportamenti non sono in alcun modo condizionati dalla concorrenza esistente nei mercati a valle.

Il che trova conferma alla luce delle concrete dinamiche e degli effetti prodotti dalle condotte realizzate dalla ricorrente diffusamente illustrati nella gravata delibera.

Con specifico riferimento alla mancata pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto suddivisi per piattaforma, la sua idoneità ad alterare le dinamiche competitive del mercato della raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo poggia sulla considerazione che la stessa ha privato gli operatori attivi in tale mercato, sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda, di informazioni rilevanti per la corretta valorizzazione degli spazi pubblicitari alla luce della significativa differenziazione del contesto esistente nelle diverse piattaforme trasmissive, laddove un’esatta ponderazione degli investimenti pubblicitari, nonché una composizione ottimale dei palinsesti deve poter tenere conto dell’identificazione dei diversi ascoltatori e delle diverse possibilità di ascolto che caratterizzano le differenti piattaforme.

Tale condotta, inoltre, ha prodotto effetti distorsivi della concorrenza nei mercati della pay tv e dell’offerta all’ingrosso di canali televisivi in quanto non ha consentito alle imprese in essi operanti di svolgere approfondite analisi dei comportamenti di ascolto sulle diverse piattaforme, in tal modo ostacolando l’individuazione delle potenzialità di crescita degli editori di programmi digitali e la proposizione di nuove offerte televisive associate anche alla eventuale diffusione su piattaforme diverse, mentre la diffusione di dati sugli ascolti realizzati dai canali sulle singole piattaforme avrebbe consentito una maggiore trasparenza nella fase della negoziazione dei contratti per la concessione in licenza di canali televisivi tra editori e gestori delle piattaforme trasmissive, idonea a consentire una maggiore efficienza nella definizione delle strategie di mercato degli operatori interessati.

La mancata disponibilità di informazioni accurate sugli ascolti giornalieri delle emittenti provenienti dalle diverse piattaforme e sugli ascolti delle emittenti trasmesse sul digitale terrestre non ha, inoltre, consentito di rendere sufficientemente trasparenti le dinamiche competitive che si svolgevano nel settore televisivo in un periodo caratterizzato da profonde trasformazioni, quali la digitalizzazione delle frequenze, la nascita di numerosi nuovi canali televisivi, nonché la modifica sostanziale delle abitudini di consumo televisivo da parte dei cittadini.

Sotto il profilo fenomenologico, con congrue e condivisibili valutazioni, l’Autorità ha ulteriormente rilevato che l’assenza di dati suddivisi per piattaforma non ha reso sufficientemente evidente secondo quali modalità le abitudini degli spettatori si stavano evolvendo in forza dello spegnimento del segnale analogico, laddove la possibilità di monitorare l’andamento dell’ascolto dei canali trasmessi su più piattaforme suddiviso per ciascuna di esse avrebbe consentito agli investitori pubblicitari ed agli editori di canali di svolgere analisi approfondite sul comportamento del telespettatore a seconda della piattaforma e sulla velocità di crescita della medesima piattaforma rispetto alla sua penetrazione, verificando l’impatto dello spegnimento dell’analogico sui dati di ascolto dei canali trasmessi sulle altre piattaforme ed in particolare sul satellite e sul digitale terrestre.

Quanto alla condotta riferita alla diffusione dei dati di ascolto con cadenza soltanto mensile della voce ‘Altre Digitali Terrestri’, la stessa ha privato il mercato del bagaglio informativo necessario per compiere efficaci scelte competitive, anche di transizione al digitale terrestre.

Con riferimento alla condotta inerente l’attribuzione dei risultati della rilevazione degli ascolti televisivi anche ai ‘non possessori di televisore’, la stessa è stata ritenuta idonea ad alterare le dinamiche competitive nei connessi mercati della raccolta pubblicitaria e dell’offerta di canali e programmi televisivi a pagamento, stante l’assenza di informazioni veritiere e corrette sui comportamenti televisivi della popolazione al fine della definizione delle strategie commerciali ed essendo suscettibile di produrre effetti discriminatori tra gli operatori in ragione della riferibilità dell’incremento artificiale dei dati di ascolto a solo una parte delle emittenti, beneficiando in particolare le emittenti caratterizzate da maggiore audience, quali quelle afferenti ai principali azionisti della società, producendo un vantaggio competitivo a loro favore in termini di attrazione degli investimenti pubblicitari e creando distorsioni, attraverso una valorizzazione discriminatoria delle performance connesse alle diverse piattaforme trasmissive, sia con riferimento alla fase dell’acquisizione all’ingrosso di canali televisivi, sia in relazione alla predisposizione di un’offerta competitiva di servizi televisivi a pagamento.

L’interazione tra la posizione dominante della società ricorrente ed i mercati contigui è quindi attestata dagli effetti conseguenti alle condotte dalla stessa poste in essere nel mercato rilevante, come compiutamente analizzati dall’Autorità sulla base delle concrete dinamiche di tali mercati e delle obiettive potenzialità anticoncorrenziali delle condotte sanzionate, idonee ad incidere nei mercati collegati della raccolta pubblicitaria, della pay tv e del commercio all’ingrosso di canali per effetto delle modalità di rilevazione e di diffusione dei dati di ascolto, non adeguate rispetto alle esigenze di tali mercati ed idonee ad alterarne le dinamiche competitive.

8 – Con riferimento alle condotte sanzionate, afferma parte ricorrente, sotto un profilo generale, la correttezza dei propri comportamenti in quanto costantemente controllati e verificati dall’AGCom.

Sul punto è sufficiente riportarsi a quanto dianzi già illustrato con riferimento ai rapporti tra regolazioni di settore e disciplina antitrust, in base ai quali non può escludersi che condotte conformi alla disciplina di settore rivestano carattere anticoncorrenziale, il cui accertamento è rimesso all’AGCM, laddove l’Autorità di regolazione è chiamata a monitorare e garantire l’applicazione della disciplina di propria competenza.

Le delibere dell’AGCom richiamate da parte ricorrente a sostegno dell’asserita certificazione della propria attività, con le quali la stessa è stata ritenuta conforme alla disciplina di settore, non possono quindi rivestire alcuna idoneità al fine di escludere la sussistenza di profili anticoncorrenziali, stante la diversa finalità perseguita dall’Autorità di regolazione e non attenendo tali delibere alle specifiche condotte sanzionate né alla loro rilevanza anticoncorrenziale, dovendo al riguardo ricordarsi la sussistenza di competenze parallele tra le due Autorità.

Quanto alla censura con cui parte ricorrente ripropone le argomentazioni volte a sostenere la necessità dell’accertamento della mala fede nonché l’illegittimità dello svolgimento di un unico procedimento, le ragioni della loro infondatezza sono già state in precedenza illustrate, potendo il Collegio rinviare alle considerazioni espresse al riguardo.

9 – Con riferimento alla prima delle condotte sanzionate, inerente la mancata pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto suddivisi per piattaforma, protrattasi dalla seconda metà del 2009 fino ad ottobre 2010, contesta parte ricorrente, sotto vari profili, le valutazioni effettuate dall’Autorità affermando, in primo luogo, la sussistenza di valide ragioni, riconducibili a difficoltà tecniche e statistiche, che non avrebbero consentito la pubblicazione giornaliera dei dati prima del 2010.

La disamina dei profili di doglianza sollevati con riferimento al giudizio di illiceità della prima delle condotte sanzionate impone di procedere preliminarmente ad una breve descrizione della stessa e delle valutazioni espresse dall’Autorità per poi verificarne la tenuta alla luce delle censure ricorsuali proposte.

In tale direzione, va ricordato che la richiesta di pubblicazione dei dati di ascolto su base giornaliera per singola piattaforma è stata avanzata da Sky Italia S.r.l. – sulla base della cui denuncia ha preso avvio il procedimento confluito nell’adozione della gravata delibera – in data 4 aprile 2008.

Il Consiglio di Amministrazione di Auditel, nella riunione del 22 ottobre 2008, ha raggiunto un sostanziale accordo in ordine alla pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto per piattaforma, dando mandato al Comitato Tecnico di svolgere ulteriori approfondimenti tecnici.

Le difficoltà tecniche connesse all’impossibilità per i meter (ovvero gli apparecchi elettronici che registrano i dati di ascolto nel panel) di distinguere la piattaforma da cui viene fruito il canale televisivo in caso di apparecchi con incorporato il decoder digitale, sono state definitivamente superate a partire dal 1° giugno 2009, a seguito delle modifiche apportate ai meter utilizzati che hanno consentito a tali strumenti di intercettare il segnale del telecomando ed identificare la sorgente del segnale e, quindi, la piattaforma dalla quale viene trasmesso.

In data 25 settembre 2009 il Comitato Tecnico ha preso atto della disponibilità di Sky di fornire i dati dei propri abbonati per regione, alla stessa richiesti per stimare l’evoluzione degli ascolti per piattaforma.

Il Consiglio di Amministrazione ha approvato il 31 marzo 2010 la pubblicazione dei dati per piattaforma con cadenza mensile solo per i canali che ne facessero richiesta, mentre in data 21 ottobre 2010 ha deliberato la pubblicazione giornaliera di tali dati sempre su richiesta delle singole emittenti.

Posta tale breve ricostruzione cronologica degli avvenimenti di maggiore importanza ai fini che qui interessano, deve rilevarsi che l’Autorità ha ritenuto che l’opposizione di Auditel alla pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto giornaliero non sia riconducibile alla sussistenza di oggettivi motivi ostativi di natura tecnica e statistica, quanto ad un interesse contrastante espresso dai principali azionisti.

Ed invero, per come puntualmente riferito nella parte dedicata alle risultanze istruttorie della gravata delibera, Rai e Mediaset (azionisti di Auditel) hanno espresso parere contrario alla pubblicazione giornaliera di tali dati nel corso della riunione del 4 aprile 2008, motivando, la prima, la propria contrarietà con l’impossibilità di distinguere la fonte della trasmissione del canale e mostrandosi favorevole alla sola pubblicazione mensile di tali dati nella riunione del Comitato Tecnico del 20 giugno 2008.

La Rai ha manifestato nuovamente la propria contrarietà alla pubblicazione giornaliera dei dati per piattaforma nuovamente nell’ambito del Comitato Tecnico del 18 giugno 2008 – successivamente quindi, alla risoluzione del problema dei meter – ribadendola nel corso della riunione del Comitato del 25 settembre 2009 sulla base di difficoltà di stima delle piattaforme.

Nel corso della riunione del Comitato Tecnico del 19 gennaio 2010 sia Mediaset che Rai hanno espresso parere contrario a detta pubblicazione.

Ciò posto, la verifica in ordine al carattere illecito, per abuso di posizione dominante, della resistenza opposta da Auditel all’introduzione dell’innovazione relativa alla pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto suddivisi per piattaforma, transita attraverso la disamina della sussistenza di ragioni, di tipo obiettivo, idonee ad integrare valide giustificazioni di tale condotta, che consentano di ritenere positivamente superato il test della spiegazione alternativa lecita.

Le argomentazioni con cui parte ricorrente tende ad affermare la liceità della propria condotta si snodano attraverso la rappresentazione della sussistenza di motivi ostativi all’introduzione di detta modifica connessi a problematiche di tipo tecnico e di affidabilità statistica, evidenziando altresì la scarsa rilevanza commerciale del dato giornaliero per piattaforma, assumendo su tale base l’insussistenza di valide ragioni per rendere pubblici tali dati.

Trattasi di argomentazioni che costituiscono la riproposizione delle difese svolte da parte ricorrente nel corso del procedimento, puntualmente esaminate dall’Autorità e dalla stessa disattese sulla base di considerazioni che il Collegio ritiene di dover condividere.

Avuto riguardo alla rilevanza commerciale e strategica di tali dati, osserva il Collegio come l’Autorità abbia svolto una puntuale istruttoria sul punto, chiedendo a numerosi operatori attivi nei diversi settori della televisione e della pubblicità elementi informativi circa l’effettiva valenza strategica della pubblicazione dei dati di ascolto dei singoli canali per ciascuna piattaforma, emergendo, su 24 soggetti interpellati, 16 posizioni a sostegno della significativa valenza strategica di tali dati, 4 posizioni negative – tra cui le due principali emittenti televisive – e 4 posizioni contrarie.

Prescindendo dal puntuale esame delle posizioni manifestate dai soggetti interpellati, osserva il Collegio come la circostanza, valorizzata da parte ricorrente, che le principali emittenti – maggiori azioniste di Auditel – abbiano espresso una posizione negativa in ordine alla rilevanza strategica dei dati giornalieri di ascolto per piattaforma non è idonea a sminuire il rilievo da annettersi alle considerazioni espresse dalla maggioranza dei soggetti interpellati, tenuto in debito conto gli interessi di cui sono portatori e ricordando come alle emittenti RAI e Mediaset siano riferibili interessi contrastanti con quelli di Sky, che ha sollecitato l’adozione dell’innovazione in esame (al riguardo essendo utile ricordare come TIMedia abbia sottolineato l’utilità del dato per piattaforma soprattutto per gli operatori di piattaforma dominante).

Né la disamina condotta da parte ricorrente in ordine alle dichiarazioni rese dai soggetti interpellati – al fine di evidenziare l’assenza di valenza strategica dei dati o la contraddittorietà di tali dichiarazioni – appare di significativa utilità, trattandosi di analisi parziale che, nel valorizzare singoli elementi, omette la più complessiva considerazione del quadro informativo che è emerso dall’indagine svolta dall’Autorità.

Sulla base di tale quadro informativo, la rilevanza strategica della pubblicazione giornaliera dei dati dei canali per piattaforma emerge con evidenza, senza che la stessa possa incrinata dall’adozione di posizioni – comunque minoritarie – contrarie e dovendo la stessa poggiare su obiettivi elementi caratterizzanti il mercato di riferimento.

Condivisibile appare pertanto la valorizzazione, operata dall’Autorità sulla base delle informazioni acquisite, dei cambiamenti intervenuti nel settore televisivo e delle modifiche nel consumo del digitale analogico, terrestre e satellitare, a fronte della progressiva perdita di share dei canali generalisti, con conseguente emersione dell’esigenza, particolarmente per le emittenti presenti contemporaneamente su più piattaforme, di analizzare in maniera segmentata i diversi pubblici che accedono ai contenuti televisivi attraverso le varie piattaforme, dato questo che incide sulle scelte di investimento degli editori e sulla composizione dei palinsesti in ragione della significativa differenziazione del contesto competitivo all’interno delle diverse piattaforme, trattandosi di dato peraltro utile a valutare la performance di un canale rispetto all’audience complessiva della piattaforma consentendo scelte editoriali di sfruttamento dei programmi televisivi più mirate attraverso l’analisi del comportamento dello spettatore a seconda della piattaforma.

Correttamente, inoltre, l’Autorità ha ritenuto la rilevanza strategica del dato giornaliero per piattaforma anche con riferimento agli investimenti pubblicitari (pur segnalandosi al riguardo talune opinioni contrarie), i quali possono essere più efficacemente calibrati – e ciò già sulla base di comuni nozioni – in relazione alla identificazione del pubblico riferito alle diverse piattaforme, così condizionando le strategie di investimento pubblicitario, oltre che garantire la trasparenza nei rapporti tra editori ed investitori pubblicitari.

Il dato riferito al canale per singola piattaforma consentirebbe, inoltre, di verificare il successo della piattaforma ed il suo gradimento, nonché le potenzialità commerciali associate ad un’eventuale ulteriore diffusione su piattaforme diverse e di ingresso in nuove piattaforme, rivestendo, ancora, rilevanza strategica con riferimento alle negoziazioni degli editori dei canali per la distribuzione presso le diverse piattaforme, incidendo sui corrispettivi di licenza versati dai distributori alle emittenti.

Il Collegio ritiene condivisibili le valutazioni espresse dall’Autorità in ordine alla rilevanza strategica della pubblicazione del dato dei canali per singole piattaforme, né parte ricorrente ha invero offerto convincenti elementi che risultino idonei ad incrinare siffatte valutazioni, non potendo ritenersi tale il selettivo stralcio di talune delle dichiarazioni acquisite dall’Autorità, rese nel senso della non rilevanza di tale dato, o della sufficienza delle modalità attuali di diffusione delle rilevazioni o della preoccupazione per l’attendibilità statistica del dato.

Non merita, quindi, favorevole esame l’assunto di parte ricorrente secondo cui il dato per piattaforma non sarebbe di alcuna utilità commerciale e la sua mancanza non avrebbe cagionato alcun danno né avrebbe falsato la valorizzazione degli spazi sul mercato, dovendo al riguardo rilevarsi, per come peraltro affermato dalla stessa AGCom nel proprio parere, che la condotta risulta idonea ad incidere sulle dinamiche concorrenziali dei mercati della raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo, dell’offerta di servizi televisivi a pagamento e dell’offerta all’ingrosso di canali televisivi, e che la maggioranza dei soggetti interpellati dall’AGCM si è espressa nel senso dell’importanza strategica di tale informazione segmentata per piattaforma sia per gli investitori pubblicitari che per gli editori, dando puntualmente atto, l’Autorità, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, della presenza di posizioni contrarie – tra cui quella di Rai e di Mediaset, che, come dianzi illustrato, hanno manifestato la propria contrarietà all’introduzione di tale innovazione in seno agli organi societari di Auditel, stante il loro plausibile interesse contrario a favorire lo sviluppo della concorrenza e a conservare la propria posizione – e formulando autonome valutazioni sulla base delle evidenze acquisite.

Deve, pertanto, ritenersi che il dato riferito al pubblico che accede ai contenuti televisivi attraverso le diverse piattaforme rivesta un ruolo di estrema rilevanza a seguito del processo di digitalizzazione e dell’aumento del numero dei canali digitali, sia per ottimizzare la composizione dei palinsesti dei singoli canali, sia per valutare la performance di un canale rispetto all’audience complessiva della piattaforma.

La disponibilità di tale dato di ascolto, ripartito per piattaforma, consentirebbe inoltre di ponderare in modo più preciso gli investimenti di marketing e di pianificare meglio le campagne pubblicitarie, cambiando, a seconda della piattaforma di visione, il contesto di ascolto e le alternative di visione dello spettatore, consentendo altresì alle emittenti di valutare l’opportunità di diffusione dei canali su piattaforme diverse, nonché di acquisire piena consapevolezza del proprio valore commerciale nella negoziazione dei costi che devono essere corrisposti da ciascuna piattaforma agli editori.

Le illustrate valutazioni circa la rilevanza strategica del dato di ascolto giornaliero dei canali riferito alle singole piattaforme, espresse dall’Autorità nell’esercizio di una discrezionalità di tipo tecnico valutativo che attinge alla struttura del mercato ed alle interazioni tra la diffusione di tali dati e le scelte commerciali degli operatori dei settori coinvolti, risultano, pertanto, in quanto adottate in esito ad una compiuta e puntuale istruttoria e sorrette da adeguate e congrue motivazioni, immuni dalle proposte censure.

Il che rende ininfluente la circostanza, rappresentata da parte ricorrente ed evidenziata dalla stessa Autorità nella gravata delibera, che tra i Paesi europei solo la Spagna, la Gran Bretagna e la Germania effettuino rilevazioni dei dati di ascolto dei canali differenziati per piattaforma.

La disamina delle questioni sollevate da parte ricorrente con riferimento alla condotta relativa alla diffusione dei dati di ascolto giornalieri per piattaforma deve, a questo punto, indirizzarsi alla verifica della sussistenza delle ragioni giustificatrici del comportamento sanzionato, invocate da parte ricorrente al fine di elidere il carattere di abusività dello stesso.

In tale direzione, va innanzitutto precisato che, per come dianzi illustrato, le difficoltà di tipo tecnologico connesse alle modalità di individuazione della fonte di ascolto del canale, riferite alle caratteristiche del meter in uso, risultano essere state definitivamente superate a far data dall’1 giugno 2009, allorquando è stato allestito un sistema di rilevazione della fonte trasmissiva attraverso il telecomando, costituendo, pertanto, tali difficoltà, una giustificazione della condotta della società ricorrente solo per il periodo antecedente la predetta data.

Quanto al profilo inerente la scarsa affidabilità statistica del dato di ascolto dei canali suddivisi giornalmente per piattaforma, osserva il Collegio, condividendo sul punto quanto espresso dall’Autorità, che – pur dandosi atto della indubbia sussistenza di bassi livelli di precisione delle rilevazione in ragione dell’intervallo di confidenza della stima, che tende ad aumentare in presenza di ascolti bassi, con innalzamento dello standard error e significativa diminuzione del livello di precisione della ricerca – che la ridotta attendibilità statistica del dato non ha comunque costituito un ostacolo per l’Auditel alla pubblicazione di diverse tipologie di dati non sorretti da sufficiente numerosità campionaria, come quelli riferiti ad alcune fasce orarie, a specifici target o a emittenti poco seguite, non potendo quindi tale profilo costituire una valida giustificazione per opporsi alla pubblicazione del dato giornaliero per singola piattaforma.

Né risultano condivisibili le argomentazioni di parte ricorrente volte a sostenere l’inopportunità della diffusione di dati affetti da un elevato margine di errore in assenza di una effettiva necessità, risiedendo tale necessità nella sopra evidenziata rilevanza strategica di tali informazioni, e potendo tale informazione essere accompagnata da una specifica avvertenza circa l’effettiva affidabilità del dato.

E’, peraltro, la stessa AGCom, per come rilevato dall’AGCM nella gravata delibera, che con delibera n. 55/07/CSP, ha raccomandato ad Auditel di fornire agli utenti dei dati di ascolto dei canali satellitari (o di analoghe stime riferite a piccole audience) una informazione adeguata sull’errore campionario e sulla numerosità del campione sulla base del quale sono state elaborate le stime, e ciò nella considerazione dell’elevato grado di variabilità della stima degli ascolti relativi ai singoli canali satellitari in ragione del loro ascolto parcellizzato, essendo il coefficiente di variazione di una stima inversamente proporzionale all’ampiezza della stima stessa.

Pertanto, essendo – nell’ambito dei servizi offerti da Auditel – già forniti dati non sorretti da sufficiente numerosità campionaria e caratterizzati da scarsa attendibilità statistica, non sono riscontrabili valide ragioni per non procedere alla pubblicazione del dato giornaliero per piattaforma caratterizzato dalla evidenziata analoga scarsità campionaria e non adeguata attendibilità statistica, considerato altresì che la suddivisione dei dati di ascolto televisivi per piattaforma non appare pregiudicare in alcun modo il dato di ascolto totale relativo al singolo canale, in quanto il dato disaggregato degli ascolti del singolo canale per singola piattaforma costituirebbe soltanto un dato ulteriore – peraltro già nella disponibilità di Auditel – rispetto al dato di base che rimarrebbe comunque quello complessivo.

Deve, pertanto, ritenersi che la pubblicazione di dati attestati su livelli non statisticamente accettabili – quali quelli riferiti agli ascolti dei canali suddivisi per piattaforma – risulti pienamente superabile attraverso l’adeguatezza delle informazioni che li accompagnano, così come avviene per la divulgazione di altri dati affetti da analoga scarsa attendibilità statistica, non potendo assumere rilievo, alla luce dei profili evidenziati, la preoccupazione, manifestata dalla ricorrente, di garantire la qualità generale dei propri servizi avuto riguardo all’affidabilità statistica delle informazioni, la quale non ha impedito l’offerta di servizi caratterizzati da scarsa numerosità campionaria e da ridotta attendibilità statistica.

Non può, inoltre, annettersi valenza giustificativa della condotta sanzionata alla circostanza, invocata dalla società ricorrente, relativa al ritardo con cui la società Sky ha fornito i dati riferiti ai propri abbonati su base regionale, dovendo al riguardo rilevarsi come tale informazione non rivesta carattere di necessarietà rispetto alla pubblicazione dei dati suddivisi per piattaforma, per come peraltro affermato dalla società Nielsen TAM – che si occupa della gestione dei meter e della loro manutenzione per conto di Auditel, nonché della raccolta, elaborazione e distribuzione dei dati – secondo la quale tali dati sarebbero stati utili al complesso dell’indagine Auditel per migliorare la rappresentatività del campione su base regionale e per meglio valutare gli effetti del progressivo passaggio alla trasmissione digitale, precisando, una volta risolto il problema dei meter nel 2009, che l’ostacolo ancora sussistente alla pubblicazione dei dati per piattaforma era connesso alla limitata diffusione del digitale terrestre e alla conseguente scarsa affidabilità statistica delle stime sui dati di ascolto, senza menzionare la necessità di disporre di informazioni sul numero di abbonati Sky a livello regionale.

Deve, inoltre, rilevarsi che già da settembre 2008 la ricorrente pubblicava il dato relativo al totale degli ascolti realizzati da ciascuna piattaforma sia a livello nazionale che regionale, così confermandosi l’insussistenza di un vincolo di necessarietà tra i dati degli abbonati Sky – e non, stranamente, di quelli di Mediaset – e la decisione di pubblicare, quantomeno su base nazionale, i dati di audience suddivisi per piattaforma, potendo tali dati ritenersi semplicemente utili ai fini di una migliore misurazione dell’ascolto sul digitale terrestre.

Non può peraltro omettersi di rilevare che a seguito della decisione di Sky di rendere disponibili i dati dei propri abbonati a decorrere da settembre 2009, la ricorrente non ha provveduto, se non dal mese di ottobre 2010, alla pubblicazione dei dati per piattaforma.

Consegue, da quanto sopra illustrato, come le criticità tecniche e statistiche nella misurazione affidabile degli ascolti delle singole piattaforme, addotte da parte ricorrente a giustificazione del proprio comportamento, non siano idonee ad integrare i requisiti del test della spiegazione alternativa della condotta, apparendo tali giustificazioni o insussistenti o in contrasto con le risultanze istruttorie acquisite nel corso del procedimento, risultando peraltro contraddette alla luce dell’esame dell’attività svolta da Auditel in ambiti di rilevazione caratterizzati da analoga scarsa affidabilità statistica.

Deve, inoltre, rilevarsi che l’argomento della scarsa numerosità campionaria non è sostenibile con riguardo alla consistenza degli ascolti realizzati dalle principali emittenti televisive, per i quali – come rilevato dalla stessa Auditel – non si pone un problema di significatività statistica.

A fronte, inoltre, della significativa rilevanza strategica e commerciale dei dati in questione – riconosciuta dalla stessa AGCom nel proprio parere “alla luce dei cambiamenti che stanno attualmente interessando il settore televisivo” – correttamente il comportamento della ricorrente, che ha ritardato, in assenza di obiettive giustificazioni, la pubblicazione dei dati di ascolto dei canali suddivisi per piattaforma, è stato giudicato dall’Autorità come abusivo, per non aver consentito una corretta valorizzazione delle diverse piattaforme di trasmissione, in tal modo pregiudicando le potenzialità di crescita delle medesime piattaforme e lo sviluppo di nuove offerte televisive.

Il carattere illecito del comportamento di Auditel, volto a rallentare l’adeguamento delle modalità di rilevazione e di rappresentazione degli ascolti televisivi all’evoluzione del settore, è stato inoltre ritenuto dall’Autorità, con argomentazioni congruamente motivate e prive di vizi logici, idoneo ad alterare le dinamiche competitive del mercato della raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo venendo in rilievo informazioni rilevanti per la corretta valorizzazione degli spazi pubblicitari alla luce della significativa differenziazione del contesto esistente nelle diverse piattaforme trasmissive, dovendo un’esatta ponderazione degli investimenti pubblicitari e una composizione ottimale dei palinsesti poter tenere conto dell’identificazione dei diversi ascoltatori e delle diverse possibilità di ascolto che caratterizzano le differenti piattaforme.

Analoghi effetti distorsivi della concorrenza sono ravvisabili nell’ambito dei mercati della pay tv e dell’offerta all’ingrosso di canali televisivi per non avere la mancata diffusione dei dati per piattaforme consentito alle imprese in essi operanti di analizzare i comportamenti di ascolto sulle diverse piattaforme, in tal modo ostacolando l’individuazione delle potenzialità di crescita degli editori di programmi digitali e la proposizione di nuove offerte televisive associate anche alla eventuale diffusione su piattaforme diverse.

Con riferimento alle perplessità contenute nel parere reso dall’AGCOM circa l’abusività della condotta in relazione alla necessità di adeguamenti tecnici e delle problematiche connesse alla scarsa affidabilità statistica dei dati, invocate da parte ricorrente a sostegno della correttezza delle proprie scelte in ordine alla tempistica relativa alla pubblicazione dei dati giornalieri per piattaforma, non può il Collegio che ribadire quanto già dianzi illustrato in ordine alle specifiche e distinte competenze delle due Autorità e delle rispettive attribuzioni, spettando all’AGCM la valutazione in ordine a profili di possibile violazione dell’art. 102 TFUE, laddove l’AGCom esprime, al riguardo, un parere obbligatorio ma non vincolante dalle cui conclusioni l’AGCM si è discostata con diffuse e persuasive argomentazioni immuni dalle proposte censure.

Quanto al profilo di doglianza con cui parte ricorrente lamenta il carattere meramente ipotetico della ricostruzione dell’Autorità in ordine all’abusività della condotta, giova ricordare che affinchè una pratica sia qualificabile come abusiva, ai sensi dell’art. 102 TFUE, l’effetto anticoncorrenziale sul mercato non deve essere necessariamente concreto, essendo sufficiente che l’effetto anticoncorrenziale rivesta carattere potenziale e, in quanto tale, sia astrattamente idoneo a incidere negativamente sulle dinamiche di mercato (Corte giustizia CE, I, 17 febbraio 2011 , causa C-52/092, TeliaSonera Sverige AB), discendendo dalla posizione dominante una “speciale responsabilità”, per cui l’impresa che la detiene non può ridurre o eliminare il grado di concorrenza ancora esistente sul mercato rilevante o su quelli contigui con comportamenti “escludenti”, essendo consentiti solo gli atti di tutela degli interessi commerciali dell’impresa dominante, ma non anche un comportamento che abbia lo scopo di rafforzare la posizione dominante e di farne abuso (Consiglio Stato, Sez. VI, 20 dicembre 2010 , n. 9306).

10 – Con riferimento alla diversa condotta sanzionata, riferita alla omessa pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto relativi alla voce “Altre Digitali Terrestri”, propone parte ricorrente censure sostanzialmente analoghe a quelle sollevate con riferimento al ritardo nella pubblicazione dei dati giornalieri per piattaforma, volte a dimostrare l’irrilevanza commerciale e strategica di tali dati nonché la sussistenza di giustificazioni tecniche e statistiche alla loro mancata pubblicazione, che ne eliderebbero il carattere abusivo.

Afferma, difatti, al riguardo, parte ricorrente, come la pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto relativi alle ‘Altre Digitali Terrestri’ sarebbe stata caratterizzata da dati non sorretti da sufficiente numerosità campionaria e come il relativo dato mensile fosse già affetto da elevate criticità, precisando come tale pubblicazione si sia resa possibile dal febbraio 2010, successivamente alla decisione di Sky di mettere a disposizione i propri dati.

Trattasi di argomentazioni che costituiscono riproposizione delle difese svolte da parte ricorrente in ambito procedimentale, puntualmente esaminate dall’Autorità e disattese sulla base di articolate motivazioni che pienamente danno conto delle ragioni della loro non condivisibilità.

Quanto ai rischi connessi alle ridotte numerosità campionarie ed alle relative negative ricadute in termini di attendibilità statistica del dato, la loro insuscettibilità ad assumere valenza di cause obiettive di giustificazione della mancata pubblicazione di tale dato, anch’essa oggetto di espressa richiesta da parte di Sky, deve essere ricondotta alla circostanza che Auditel già effettuava la pubblicazione di rilevazioni sorrette da analoga scarsa numerosità campionaria – riferite, a titolo esemplificativo, a fasce orarie di minore ascolto o a emittenti minori – non costituendo quindi la pretesa ad un elevato livello di attendibilità statistica della rilevazione un criterio costante adottato da Auditel che possa rendere plausibile la giustificazione addotta a sostegno della mancata pubblicazione dei dati relativi alla voce ‘Altre Digitali Terrestri’, affetti dalle medesime criticità che tuttavia non hanno determinato ostacoli alla pubblicazione di diverse tipologie di dati parimenti basati su scarsa numerosità campionaria e rappresentatività.

Trattasi, inoltre, di criticità superabile – così come quella relativa alla pubblicazione dei dati di ascolto dei canali per piattaforma – attraverso l’adeguata informativa circa l’errore campionario e la numerosità campionaria sulla cui base sono effettuate le stime, che consentono ai fruitori della rilevazione di avere contezza dei limiti della stessa, senza pregiudizio quindi per la reputazione della ricorrente e per la complessiva qualità dei servizi offerti, rendendo recessive valutazioni inerenti la non opportunità di diffondere dati affetti da un levato margine di errore a fronte dell’utilità per il mercato di avere la disponibilità di tali dati.

Sotto tale profilo, va difatti rilevato, per come evidenziato dall’Autorità con argomentazioni aderenti all’analisi del mercato e delle relative dinamiche, che la diffusione solo mensile dei dati di ascolto per la voce ‘Altre Digitali Terrestri’ ha privato il mercato del bagaglio informativo necessario per compiere efficaci scelte competitive, anche di transizione al digitale terreste, a fronte delle profonde trasformazioni nel settore televisivo e delle relative dinamiche competitive, caratterizzate dalla digitalizzazione delle frequenze, dalla nascita di nuovi canali televisivi e dalla modifica delle abitudini di consumo televisivo, incidendo negativamente sulla trasparenza delle dinamiche competitive in atto.

La mancata pubblicazione dei dati giornalieri di ascolto delle ‘Altre Digitali Terrestri’, così come quelli riferiti alle singole piattaforme, ha inciso sulle dinamiche competitive del mercato della raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo e dell’offerta di canali televisivi, essendo la corretta valorizzazione degli spazi pubblicitari strettamente connessa alla disponibilità di dati volti a rispecchiare i comportamenti televisivi degli spettatori ed essendo le dinamiche commerciali nel settore televisivo e lo sviluppo di nuove offerte televisive, nonché le relative potenzialità di crescita e di investimento, necessariamente influenzate dalla conoscenza dei dati di rappresentazione degli ascolti coerenti con l’evoluzione del settore, cui l’attività di rilevazione e rappresentazione dei dati deve adeguarsi al fine di offrire al mercato tutti gli elementi utili per meglio definire le strategie commerciali da parte degli operatori interessati anche sulla base della rappresentazione, attraverso tali dati, delle potenzialità delle piattaforme come canali di distribuzione.

Il rilievo della pubblicazione giornaliera dei dati relativi alla voce ‘Altre Digitali Terrestri’ è invero strettamente connesso con la rappresentazione delle potenzialità di tali piattaforme nell’ambito del complessivo contesto competitivo, essendo la sua mancanza idonea a limitare la possibilità di crescita delle emittenti attraverso la divulgazione dei dati di incremento, con conseguente vantaggio per le piattaforme tradizionali attraverso il mascheramento della erosione dei propri ascolti a fronte della crescita competitiva acquisita dalle varie piattaforme, ivi comprese quelle satellitari, avendo pertanto la diffusione dei dati di ascolto in questione con cadenza solo mensile privato il mercato di informazioni necessarie per compiere scelte commerciali competitive anche in relazione alla transizione al digitale terrestre, alla luce delle profonde trasformazioni intervenute nel settore televisivo.

Non risulta, inoltre, condivisibile la ricostruzione di parte ricorrente che imputa le ragioni della mancata pubblicazione del dato giornaliero riferito alla voce ‘Altre Digitali Terrestri’ alla mancata disponibilità delle informazioni circa gli abbonati Sky su base regionale, potendosi al riguardo fare rinvio a quanto già dianzi illustrato con riferimento all’incidenza di tale informazione sulla rilevazione dei dati in questione, peraltro solo genericamente affermata da parte ricorrente e che non trova conferma alla luce delle risultanze istruttorie, dovendo ulteriormente rilevarsi come la ricorrente avrebbe potuto autonomamente effettuare le necessarie stime ed abbia comunque ritardato la pubblicazione del dato anche a seguito della disponibilità dei dati di Sky manifestata alla fine del 2009.

Peraltro è la stessa ricorrente che annette alle informazioni sui dati regionali di Sky – dalla società Nilesen TAM ritenute utili ai soli fini della pubblicazione giornaliera dei dati per piattaforma – valenza di facilitazione in ordine alle stime, con ciò implicitamente ammettendo la non necessarietà degli stessi.

Non può, inoltre, sottacersi come in seno al Comitato Tecnico del 14 maggio 2008 le posizioni contrarie alla pubblicazione giornaliera del dato riferito alla voce ‘Altre Digitali Terrestri’ siano riconducibili a possibili rischi di affidabilità statistica (LA7, UPA, FIEG,FRT, AERANTI) – superabili alla luce delle considerazioni dianzi espresse – mentre Mediaset ha espresso una posizione contraria stante la sovrapposizione del dato con l’offerta Mediaset, ed in particolare con l’offerta Premium, il che avrebbe comportato la divulgazione dei dati dei propri canali alla quale non era interessata, rendendo pubblico il dato di ascolto dell’offerta Mediaset Premium.

Nessuna posizione negativa circa l’utilità del dato è quindi emersa in seno al Comitato Tecnico.

Solo nella riunione del 19 gennaio 2010 il Comitato Tecnico ha approvato tale pubblicazione giornaliera e solo dopo che Mediaset ha manifestato una posizione favorevole stante la decisione di pubblicare il dato giornaliero di alcuni canali Premium, potendo quindi ragionevolmente ricondursi la decisione della pubblicazione del dato in questione al venir meno dell’opposizione di Mediaset, azionista di Auditel, stante la mancanza di ulteriori spiegazioni alternative – non allegate né comprovate da parte ricorrente – che abbiano reso possibile solo in tale momento la pubblicazione del dato, connesse agli invocati ostacoli tecnici e criticità statistiche, e potendo rinvenire la ragione della mancata pubblicazione su base giornaliera di tale dato alla sussistenza di un interesse contrastante espresso da uno dei principali azionisti della società ricorrente.

L’assenza di obiettive e comprovate ragioni giustificative della condotta riconducibili ad ostacoli di natura tecnico statistica, la specifica responsabilità gravante sul soggetto che detiene una posizione dominante nel mercato, la rilevanza strategica del dato – come peraltro riconosciuto in seno al Comitato Tecnico di Auditel, registrandosi la solo apposizione di Mediaset – l’accertamento dei potenziali effetti distorsivi della concorrenza nei mercati contigui riconducibili alla condotta sanzionata, conducono a ritenere integrata la sanzionata ipotesi di illecito per abuso di posizione dominante, il cui accertamento prescinde dalla puntuale verifica in ordine al concreto prodursi di effetti anticoncorrenziali, essendo sufficiente che la condotta rivesta idoneità lesiva dell’interesse protetto dallo specifico divieto di cui all’art. 102 TFUE, non gravando sull’Autorità alcun onere di fornire una puntuale prova in ordine alla connessione tra il comportamento abusivo ed i conseguenti effetti pregiudizievoli conseguenti alla mancata divulgazione dei dati ritenuti rilevanti per il mercato, venendo in rilievo una fattispecie illecita caratterizzata da un’anticipata soglia di tutela e di reazione ordinamentale volta ad impedire la realizzazione di condotte potenzialmente pregiudizievoli della concorrenza.

Quanto alle perplessità manifestate dall’AGCom, nel proprio parere – non vincolante – circa il carattere abusivo della condotta in ragione della scarsa affidabilità statistica dei dati e della necessarietà dei dati sul numero di abbonati di Sky a livello regionale, prodotti alla fine del 2009, osserva il Collegio come l’AGCM abbia puntualmente esaminato tali profili e se ne sia discostata sulla base di approfondite argomentazioni che, nel trovare conferma nelle risultanze istruttorie, risultano pienamente plausibili, non potendo la rilevata scarsa numerosità campionaria rappresentare un fattore realmente ostativo alla diffusione dei dati stante la presenza di altre rilevazioni parimenti sorrette da scarsa numerosità campionaria – quali quelle riferite ad alcune fasce orarie, a specifici target, ad emittenti poco seguite – emergendo quindi l’irragionevolezza del diverso trattamento riservato al fenomeno della scarsa rappresentatività campionaria laddove riferito alla diffusione dei dati per le altre digitali terrestri, analogamente a quelli per piattaforma.

Inoltre, è la stessa AGCom che nella delibera n. 55/07/CSP246, in caso di stime riferite a “piccole audience”, non scoraggia la pubblicazione del dato, ma la prevede con la raccomandazione ad Auditel di fornire “una informazione adeguata sull’”errore campionario” e sulla numerosità del campione sulla base del quale sono state elaborate le stime”.

Quanto al rilievo dell’AGCom circa la possibile imputabilità delle condotte (riferite alla pubblicazione giornaliera per piattaforma e per la voce ‘Altre Digitali Terrestri’) alla indisponibilità di dati sugli abbonati Sky relativi alle singole regioni, l’Autorità ha correttamente replicato allegando l’assenza di un vincolo di necessarietà, come emergente dalle dichiarazioni della Nielsen TAM le quali fanno riferimento, una volta risolto il problema dei meter nel 2009, unicamente all’ostacolo alla pubblicazione dei dati per piattaforma connesso alla limitata diffusione del digitale terrestre e alla conseguente scarsa affidabilità statistica delle stime sui dati di ascolto, senza menzionare la necessità di disporre delle informazioni sul numero di abbonati Sky a livello regionale.

Né per la pubblicazione giornaliera della voce ‘Altre Digitali Terrestri’, può ritenersi essere stata dirimente la disponibilità dei dati regionali – che Sky ha fornito alla fine del 2009 – ma il venir meno dell’opposizione in tal senso manifestata dal rappresentante di Mediaset, e ciò a ulteriore conferma dell’assenza del vincolo di necessarietà di tali dati.

11 – Con riferimento alla condotta relativa all’attribuzione dei risultati della rilevazione degli ascolti televisivi anche ai non possessori di televisore, il carattere abusivo della stessa è stato dall’Autorità ricondotto al ritardo con cui la ricorrente ha affrontato il problema connesso all’errore metodologico di rilevazione dei dati di ascolto derivante dal fatto che, nella fase di espansione dei dati rilevati nel panel volta a rapportare gli ascolti alla totalità dei cittadini residenti in Italia, vengono incluse anche le famiglie che vivono in abitazioni prive di apparecchi televisivi, con conseguente sovrastima del livello degli ascolti registrato.

La verifica in ordine alla illiceità della condotta tenuta dalla ricorrente transita necessariamente attraverso la ricostruzione cronologica degli avvenimenti che dia conto del momento in cui la stessa ha acquisito consapevolezza della problematica connessa alla sovrastima degli ascolti e dei comportamenti adottati al fine di trovare adeguate soluzioni volte ad elidere le relative criticità.

In tale direzione deve precisarsi che, come puntualmente riferito nella gravata delibera, con una comunicazione inviata nel mese di gennaio 2008 al Direttore di Auditel, il Prof. Giorgio Marbach ha suggerito di attuare in modo sollecito alcuni miglioramenti alla stima dei dati di audience, volti a correggere i problemi di espansione dei dati campionari ai cittadini privi di televisore, segnalando la necessità di escludere dall’espansione i nuclei privi di televisore, stimando questi ultimi dalle indagini Miultiscopo Istat.

Nel Comitato Tecnico di Auditel del 16 gennaio 2008 l’ IPSOS – di cui Auditel si avvale per condurre la Ricerca di Base attraverso interviste mensili alle famiglie che costituiscono il campione rappresentativo della popolazione italiana, c.d. panel, utilizzato per la rilevazione degli indici di ascolto televisivi – ha osservato, in merito all’indebita espansione dei dati di ascolto alla popolazione che comprende anche le famiglie prive di televisore, l’assenza di criticità dal punto di vista tecnico per l’adozione di un correttivo, ferma la necessità di talune precisazioni e condivisione di alcuni principi di fondo relativi ai dati da utilizzare per escludere dagli Universi di riferimento del panel il numero di famiglie senza televisione, e per stabilire il loro profilo in termini di tutti i parametri di ponderazione necessari.

Nel corso del Comitato Tecnico del 7 marzo 2008 Auditel ha deliberato di “svolgere ed esaminare alcune prove di produzione con Universo di riferimento relativo ai soli possessori di tv.”.

L’impegno della società ricorrente in ordine alla problematica della sovrastima degli ascolti televisivi connessa all’espansione dei dati a tutta la popolazione, ivi comprese le famiglie prive di tv, conosce a questo punto una totale stasi, tornando la questione all’attenzione del Comitato Tecnico soltanto dopo circa tre anni, nella riunione del 14 dicembre 2010, nell’ambito della quale IPSOS ha illustrato una presentazione sul tema “Profilo dei non possessori”, dalla quale si evince che sul totale famiglie essi rappresentano una quota del 2,6%, mentre la società Nielsen TAM ha suggerito di inserire nel panel famiglie che non posseggono il televisore previe opportune verifiche tecniche.

Nella successiva riunione del Comitato Tecnico del 18 gennaio 2011 sono state ulteriormente affrontate le problematiche inerenti l’introduzioni di un campione di famiglie senza tv.

Emerge, dalla illustrata ricostruzione, che la società ricorrente ha acquisito piena consapevolezza della problematica inerente la sovrastima dei dati di ascolto conseguente alla inclusione, in fase di espansione dei dati rilevati nel panel, anche alle famiglie senza tv, sin dal gennaio 2008 e che dopo un primo tentativo di affrontare la tematica e di trovare idonee soluzioni, la questione non è stata più trattata, per circa tre anni, fino alla riunione del 14 dicembre 2010.

A fronte di tale inerzia, ed alla luce del successivo comportamento di Auditel, tenuto altresì conto della avvenuta prospettazione di possibili soluzioni per correggere le criticità connesse alla sovrastima degli ascolti, rivestono valenza recessiva le invocate ed indubbie problematiche relative alle difficoltà nella soluzione del problema, non avendo comunque la ricorrente adottato un atteggiamento fattivo in ordine alla soluzione delle stesse approfondendone la relativa trattazione.

Merita di essere sottolineato come l’IPSOS e la Nielsen TAM, nonchè lo stesso Prof. Marbach, avessero già prospettato talune possibili soluzioni la cui disamina avrebbe certamente richiesto un più incisivo e sollecito impegno da parte della ricorrente al fine di verificarne la percorribilità e di correggere l’errore nella produzione dei dati di ascolto.

Inoltre, la quota di famiglie non in possesso di tv risultava essere oggetto di stima da parte dell’IPSOS ed individuata nel 2,6% (verbale di riunione del 14 dicembre 2010), mentre sulla base dell’indagine Multiscopo ISTAT emerge un numero significativo di non possessori di televisore, cosicchè le preoccupazioni della ricorrente in ordine all’eventuale errore di sottostima degli ascolti stante la mancata rilevazione degli ascolti provenienti da fonti di accesso a contenuti televisivi non rilevate non meritano condivisione.

Pur dovendosi dare atto delle difficoltà nella corretta individuazione degli ascolti a fronte del fenomeno dell’evasione dal pagamento del canone RAI e della mancata rilevazione degli ascolti televisivi realizzati fuori casa e attraverso il personal computer, l’argomentazione di parte ricorrente secondo cui eliminare dalla fase di espansione dei dati di ascolto le famiglie di non possessori di televisore comporterebbe la correzione di un errore di lieve entità, e allo stesso tempo comporterebbe la commissione di un errore, di segno opposto, di sottostima degli ascolti effettivi, non appare idonea a giustificare l’inerzia nella ricerca di una soluzione, dovendo al riguardo rilevarsi che viene in rilievo una indubbia sovrastima degli ascolti – di cui la ricorrente era pienamente consapevole – idonea a creare una forte distorsione nell’attribuzione degli ascolti televisivi, che avviene solo a favore delle emittenti che non sono trasmesse sulla piattaforma satellitare, dal momento che per gli ascolti della piattaforma satellitare a pagamento la procedura di espansione si fonda sui dati certi relativi al numero di abbonati e, pertanto, relativi unicamente a soggetti dotati di televisore.

Trattasi di distorsione che non appare possa essere compensata dalla sottostima degli ascolti televisivi realizzati fuori casa e attraverso il personal computer, che non vengono rilevati, a fronte degli effetti discriminatori conseguenti alla sovrastima dei dati di audience di tutti i canali rilevati, ad eccezione di quelli trasmessi sulla piattaforma satellitare a pagamento, a vantaggio delle emittenti generaliste di proprietà dei maggiori azionisti di Auditel i cui dati di ascolto vengono artificialmente incrementati.

Alla luce del descritto quadro, nessun rilievo può tributarsi alla circostanza, richiamata da parte ricorrente, dell’intervenuta adozione all’unanimità, da parte del Comitato Tecnico, della regola convenzionale di considerare tutte le famiglie italiane come in possesso di un apparecchio televisivo in quanto preferibile, pur se determinante una sovrastima degli ascolti, alla diversa scelta di decurtare dall’Universo le famiglie prive di televisore, che avrebbe determinato una sottostima degli ascolti, a fronte della precisa consapevolezza, da parte di Auditel, dell’errore nella stima e delle distorsioni dalla stessa conseguenti.

Né la circostanza, allegata da parte ricorrente, circa la sottostima degli ascolti che sarebbe derivata anche per Sky a seguito dell’approvazione, nella riunione del CDA dell’1 febbraio 2012, dell’inserimento nel panel di una quota di famiglie senza TV, è idonea a dimostrare, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, la non influenza di tali dati sui rapporti di forza tra le reti, tenuto conto dell’indubbio vantaggio competitivo arrecato ad alcune emittenti per effetto dell’attribuzione di dati di ascolto ingiustificatamente falsati.

Neppure la paventata rottura del trend può ritenersi idonea a giustificare la condotta della ricorrente essendo stati proposti, al riguardo, precisi correttivi quale la previsione di un periodo di produzione parallela delle due tipologie di dati ottenuti secondo la tradizionale metodologia e quelli corretti attraverso l’esclusione dall’espansione delle famiglie prive di tv.

Giova ulteriormente rilevare come l’AGCom, nel proprio parere, si sia espressa nel senso della condivisione del giudizio reso dall’AGCM, rilevando che, pur a fronte delle problematiche di non semplice soluzione sul piano statistico metodologico, anche in ragione dell’assenza di dati ufficiali circa i non possessori di tv, Auditel fosse a conoscenza dell’errore metodologico sin dal gennaio 2008 senza tuttavia porre in essere alcuna significativa iniziativa volta a correggerlo, con l’effetto di sovrastimare l’audience di tutti i canali ad eccezione di quelli trasmessi su piattaforma a pagamento satellitare di Sky, la cui rilevazione statistica, utilizzando dati relativi al numero di abbonati, include unicamente i possessori di televisore.

L’AGCom ha, altresì, rilevato la sussistenza di effetti discriminatori a vantaggio delle emittenti generaliste, di proprietà dei principali azionisti di Auditel, idonei ad alterare le dinamiche competitive dei mercati.

Deve, conseguentemente ritenersi la correttezza delle valutazione espresse dall’Autorità con riferimento al carattere abusivo della condotta, tenuto conto della sua idoneità ad alterare le dinamiche competitive nei connessi mercati della raccolta pubblicitaria e dell’offerta di canali e programmi televisivi a pagamento, in quanto lo svolgimento di ogni attività e la definizione delle strategie commerciali nell’ambito di tali mercati presuppone che gli operatori abbiano a disposizione informazioni veritiere e corrette sui comportamenti televisivi della popolazione.

L’attribuzione di ascolti ingiustificatamente falsati solo nei confronti di alcune emittenti deve difatti ritenersi idonea a produrre un vantaggio competitivo in termini di capacità di attrarre investimenti pubblicitari e a produrre distorsioni sia con riferimento alla fase dell’acquisizione all’ingrosso di canali televisivi, sia in relazione alla predisposizione di un’offerta competitiva di servizi televisivi a pagamento in ragione della valorizzazione discriminatoria delle performance connesse alle diverse piattaforme trasmissive è idonea a.

12 – Con un diverso ordine di censure contesta parte ricorrente il giudizio di gravità delle condotte formulato dall’Autorità lamentando, innanzitutto, l’avvenuta valutazione unitaria, sotto tale profilo, delle condotte sanzionate, laddove le stesse avrebbero dovuto essere esaminate separatamente.

Le ragioni dell’infondatezza della doglianza risiedono nella considerazione che, come chiaramente emergente dalla lettura della gravata delibera, l’Autorità ha proceduto ad una valutazione specifica della gravità delle condotte singolarmente considerate.

Ed infatti, con riferimento alla condotta relativa alla mancata pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto dei singoli canali suddivisi per piattaforma ed alla mancata pubblicazione giornaliera dei dati riferiti alla voce “Altre Digitale Terrestri”, il formulato giudizio di gravità si basa sul rilievo della loro suscettibilità ad ostacolare lo sviluppo di nuove offerte da parte delle emittenti già operanti e di non favorire nuovi ingressi nel mercato, in tal modo avvantaggiando le maggiori emittenti generaliste, edite dai principali azionisti della società Auditel, tradizionalmente veicolate attraverso la piattaforma analogica ed ora in fase di passaggio al digitale terrestre, in tal modo non consentendo di cogliere appieno l’impatto delle profonde trasformazioni che stanno interessando il settore televisivo sulle performance relative delle diverse piattaforme.

Quanto alla condotta relativa alla errata attribuzione dei dati di ascolto anche ai non possessori di televisore, la gravità della stessa è stata ricondotta alla sua idoneità, in ragione della sovrastima della performance solo di una parte dei canali, ed in maggior proporzione quella dei canali più seguiti, a produrre effetti di natura discriminatoria e pregiudizievole nei confronti degli operatori attivi nei mercati della raccolta pubblicitaria su mezzo televisivo, dell’offerta dei servizi televisivi a pagamento e dell’offerta all’ingrosso di canali televisivi, il cui corretto funzionamento non può prescindere da una valutazione veritiera dell’audience televisiva.

Gli abusi contestati sono stati, quindi, ritenuti integrare, in quanto posti in essere da un’impresa in posizione dominante nel mercato della rilevazione degli ascolti televisivi in Italia, fattispecie di abuso suscettibili di causare un pregiudizio significativo alle dinamiche competitive dei mercati della raccolta pubblicitaria su mezzo televisivo, dell’offerta dei servizi televisivi a pagamento e dell’offerta all’ingrosso di canali televisivi, rientrando conseguentemente nell’ambito di applicazione dell’articolo 102 del TFUE in quanto idonei a limitare gli scambi tra Stati membri.

Sulla base di tali valutazioni i comportamenti contestati ad Auditel, accomunati dalla produzione di dati di ascolto televisivi non adeguati all’evoluzione del settore televisivo, sono stati quindi ritenuti integrare violazioni gravi della disciplina posta a tutela della concorrenza in esito ad autonome valutazioni riferite a ciascuna condotta, con argomentazioni coerenti con la ricostruzione delle fattispecie contenuta nella gravata delibera e con le risultanze della svolta istruttoria, evidenziando per ciascuna delle condotte l’oggettiva attitudine a produrre effetti anticoncorrenziali e la loro riconducibilità ad ipotesi di abuso di posizione dominante qualificabili come gravi.

Il giudizio di gravità formulato dall’Autorità risulta inoltre sorretto, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, da idonea e congrua motivazione, che dà pienamente conto dei relativi presupposti, dovendo la gravità dell’infrazione essere ricondotta alla idoneità della stessa ad alterare la concorrenza, per come accertato dall’Autorità con valutazioni immuni dalle proposte censure, tenuto conto della speciale responsabilità gravante su chi detiene posizioni dominanti nel mercato.

Quanto al richiamo di parte ricorrente alla propria buona fede, come ancorata alla sua sottoposizione al potere di vigilanza dell’AGCom, che avrebbe autorizzato i propri comportamenti, ed alla sussistenza di obiettivi ostacoli tecnici all’adozione delle innovazioni di cui alle contestate condotte, osserva il Collegio come l’AGCom non abbia mai adottato uno specifico atto regolatore che abbia espressamente autorizzato le condotte, non potendo quindi trovare applicazione i principi, invocati da parte ricorrente, secondo cui l’autorizzazione da parte dell’Autorità di vigilanza deve essere valutata al fine di escludere il carattere doloso della condotta e la gravità di essa, essendosi, nella fattispecie, l’attività dell’Autorità regolatoria limitata alla vigilanza cui la stessa è preposta senza peraltro poter estendere le proprie valutazioni, come in precedenza illustrato, ai profili antitrust, non potendo quindi il monitoraggio della propria attività effettuato dall’AGCom valere quale certificazione o autorizzazione della condotta.

Ricordato, inoltre, come la nozione di abuso rivesta carattere oggettivo, non essendo quindi necessaria la verifica in ordine all’elemento soggettivo, la buona fede invocata da parte ricorrente non può, inoltre, trovare valido fondamento negli ostacoli di natura tecnica evidenziati da parte ricorrente dal momento che gli stessi, per come dianzi illustrato, non sono idonei ad integrare una valida ed oggettiva giustificazione delle condotte.

Le difficoltà tecniche incontrate dalla ricorrente nell’adeguamento dei sistemi di rilevazione degli ascolti sono state, peraltro, adeguatamente considerate dall’Autorità riscontrando il carattere di illiceità delle condotte dal momento in cui tali difficoltà devono ritenersi superate, con conseguente loro incidenza sul momento iniziale dell’infrazione relativa alla pubblicazione giornaliera dei dati per piattaforma, che non risulta, invece, sorretta da adeguata giustificazione una volta venuti meno i problemi tecnici rilevanti.

13 – Con riferimento all’irrogazione delle sanzioni pecuniarie, ne lamenta parte ricorrente l’illegittimità in quanto l’Autorità avrebbe dovuto limitarsi a diffidare il soggetto dal proseguire nel suo comportamento, potendo irrogare la sanzione solo in caso di inottemperanza.

La censura è priva di pregio giuridico.

Dispone l’art. 15 della legge n. 287 del 1990 che l’Autorità “Nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione, dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, determinando i termini entro i quali l’impresa deve procedere al pagamento della sanzione”.

L’irrogazione di una sanzione pecuniaria è, quindi, espressamente prevista come dovuta dalla citata norma una volta accertata la gravità della condotta.

Costituendo la gravità dell’infrazione il presupposto per l’irrogazione della sanzione, una volta che la stessa sia stata accertata non residua in capo all’Autorità alcun potere discrezionale in ordine all’an, ma solo con riferimento al quantum della sanzione.

La misura della diffida, disgiunta dalla sanzione pecuniaria, potrà quindi essere applicata unicamente nei casi di infrazione non grave.

Negli altri casi, la diffida a proseguire nella condotta si affianca all’irrogazione della sanzione pecuniaria.

Risulta, quindi, erronea la prospettazione di parte ricorrente secondo cui la sanzione pecuniaria potrebbe essere inflitta solo a seguito dell’inottemperanza alla diffida, contrastando tale tesi con il chiaro tenore della citata norma e con l’autonoma finalità deterrente e punitiva della sanzione.

Con riferimento all’ordine, impartito alla società ricorrente, di astenersi nel futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto delle infrazioni sanzionate, anch’esso trova la propria fonte nella previsione di cui all’art. 15 della legge n. 287 del 1990, ai sensi del quale l’Autorità, laddove ravvisi infrazioni all’art. 3, fissa alle imprese e agli enti interessati il termine per l’eliminazione delle infrazioni stesse.

Con riferimento, invece, all’ordine di comunicare all’Autorità le misure adottate per la cessazione dell’infrazione consistente nell’attribuzione dei risultati della rilevazione anche ai non possessori di televisione, trattasi di misura coercitiva giustificata dalla persistenza della condotta alla data di adozione del provvedimento, cui legittimamente si affianca l’irrogazione della sanzione pecuniaria stante la rilevata gravità della condotta e la ricordata autonoma finalità punitiva e deterrente della sanzione.

14- Con riferimento alla quantificazione delle sanzioni irrogate, ne lamenta parte ricorrente il carattere sproporzionato.

Al riguardo, giova preliminarmente richiamare il quadro normativo di riferimento in materia di sanzioni per violazioni alla normativa antitrust, nonché i criteri sulla cui base l’Autorità ha stabilito di procedere alla determinazione delle sanzioni da comminare.

In tale direzione, va precisato che ai sensi del già citato art. 15 della legge n. 287 del 1990, per i casi di infrazioni gravi, l’Autorità, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione, dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida.

L’art. 31 della citata legge n. 287 del 1990, dispone che per le sanzioni amministrative pecuniarie si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, il cui art. 11 – dedicato ai criteri per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie – stabilisce che “Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.

Quanto alla metodologia di calcolo della sanzione, una volta accertata la gravità e la durata dell’infrazione, viene in rilievo la Comunicazione della Commissione 2006/C 210/02 “Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, par. 2, lettera a), del regolamento CE n. 1/2003” – cui l’Autorità, nell’esercizio del proprio potere discrezionale nella determinazione dei criteri sanzionatori, ha fatto espressamente rinvio – che reca parametri aventi valore orientativo per il calcolo delle sanzioni negli illeciti antitrust.

Per quanto di interesse per la presente controversia, il metodo individuato nella predetta Comunicazione per la fissazione delle ammende si compone di due fasi, una volta alla determinazione dell’importo base e l’altra volta ad adeguare tale importo base verso il basso se ricorrono circostanze attenuanti, o verso l’altro in caso di circostanze aggravanti.

Quanto all’importo base dell’ammenda, lo stesso viene fissato in riferimento al valore delle vendite dei beni o servizi ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno dello Spazio economico europeo, avuto riguardo, tendenzialmente, alle vendite realizzate dall’impresa nell’ultimo anno intero in cui questa ha partecipato all’infrazione.

L’importo di base dell’ammenda viene commisurato sulla base di una proporzione – fino al 30% – del valore delle vendite come sopra definito, determinata in funzione del grado di gravità dell’infrazione – da valutarsi caso per caso e qualificando come tra i più gravi gli accordi orizzontali di fissazione dei prezzi – moltiplicata per il numero di anni dell’infrazione.

L’individuazione della percentuale nell’ambito della forcella fino al 30% va condotta tenendo conto di una serie di fattori, quali la natura dell’infrazione, la quota di mercato, l’estensione geografica dell’infrazione.

Gli illustrati criteri orientativi sono stati fissati tenendo fermo l’ampio margine discrezionale della Commissione nell’irrogazione delle ammende, allo scopo di assicurare la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni in materia di applicazione delle ammende, significando come le stesse debbano avere il necessario e sufficiente carattere dissuasivo allo scopo, da un lato, di sanzionare le imprese responsabili dell’infrazione (scopo dissuasivo specifico) e, dall’altro, di dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare in comportamenti illeciti (scopo dissuasivo generale).

A tali obiettivi risponde la fissazione di un appropriato importo base delle ammende, da stabilirsi, a tal fine, in riferimento al valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione ed alla durata dell’infrazione, alla quale va tributato un ruolo significativo nella determinazione dell’importo dell’ammenda per il suo inevitabile impatto sulle conseguenze potenziali dell’infrazione sul mercato, dovendo pertanto l’ammenda riflettere anche il numero di anni durante i quali l’impresa ha partecipato all’infrazione.

La combinazione della durata e del valore delle vendite a cui l’infrazione si riferisce viene, pertanto, considerata un parametro adeguato per esprimere l’importanza economica dell’infrazione nonché il peso relativo di ciascuna impresa che vi ha partecipato, fornendo il riferimento a tali fattori una adeguata indicazione dell’ordine di grandezza dell’ammenda, pur non dovendo intendersi come base di un metodo di calcolo automatico e aritmetico.

Con riferimento alla fattispecie in esame l’Autorità ha stabilito, con riferimento all’infrazione relativa alla mancata pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto dei canali per piattaforma, l’importo base della sanzione nella misura di 386.792 euro, calcolato per il periodo di un anno e mezzo di durata dell’infrazione; con riferimento all’infrazione relativa alla mancata pubblicazione giornaliera dei dati di ascolto per la voce ‘Altre Digitali Terrestri’ l’importo base della sanzione è stato fissato nella misura di 388.366 euro, calcolato per il periodo di un anno e mezzo di durata dell’infrazione, mentre per l’infrazione relativa alla attribuzione dei risultati della rilevazione anche ai non possessori di televisione l’importo base della sanzione è stato fissato nella misura di 1.031.446 euro, calcolato per il periodo di quattro anni di durata della violazione.

La determinazione dei predetti importi base risulta commisurata a circa l’1,5% del fatturato realizzato dalla ricorrente nell’ultimo esercizio, ed attestata quindi su livelli piuttosto bassi rispetto al massimo previsto dall’art. 15 della legge n. 287 del 1990 nel 10% e rispetto ai valori indicati negli Orientamenti della Commissione, non potendo quindi aderirsi alla prospettazione di parte ricorrente che ne lamenta il carattere sproporzionato rispetto alla natura ed alla gravità delle infrazioni.

Inoltre, va ricordato che il rispetto del richiamato principio di proporzionalità deve assicurare l’idoneità del rapporto tra il mezzo adoperato e l’obiettivo perseguito, anche al fine di operare una ponderazione armonizzata e bilanciata fra i vari interessi che vengono in rilievo nell’ambito dell’attività sanzionatoria, con la conseguenza che lo stesso va verificato sulla base di una valutazione che tenga conto degli elementi caratterizzanti la fattispecie, avuto particolare riguardo alla gravità della stessa.

Orbene, una volta verificata la gravità delle condotte, è difficilmente immaginabile, oltre che non dimostrato, che una percentuale così bassa adottata per la determinazione dell’importo base – a fronte delle forcelle previste nella citate fonti normative – possa costituire una misura sproporzionata o non adeguata rispetto alle infrazioni accertate, poste in essere da un’impresa che detiene una posizione dominante sul mercato, tenuto conto della speciale responsabilità gravante sulla stessa e considerata la parametrazione dell’importo base al fatturato realizzato.

Con riferimento, infine, alla doglianza con cui parte ricorrente lamenta l’erronea individuazione in 4 anni della durata della condotta relativa all’attribuzione dei dati di ascolto ai non possessori di televisione, significando in proposito come il problema non si fosse mai posto sino all’ottobre 2010, rileva il Collegio che, per come puntualmente indicato nella gravata delibera e già in precedenza riferito, la consapevolezza della sovrastima dei dati di ascolto per effetto di tale modalità di rilevazione deve essere ricondotta al mese di gennaio 2008, allorquando è stata inviata al Direttore di Auditel una comunicazione del Prof. Marbach con cui si segnalava l’esigenza di correggere i dati di espansione.

15- In conclusione, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, il ricorso in esame, stante al rilevata infondatezza delle censure con lo stesso proposte deve essere rigettato.

16 – Le spese possono essere compensate nei confronti dell’interventore ad opponendum, mentre seguono la soccombenza nei confronti delle altre parti e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

Roma – Sezione Prima

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 1132/2012 R.G., come in epigrafe proposto, così statuisce:

– lo rigetta.

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 2.000 a favore delle resistenti Amministrazioni, unitamente difese, e in € 2.000 a favore di Sky Italia S.r.l., compensandole nei confronti dell’interventore ad opponendum.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2012 con l’intervento dei magistrati:

Calogero Piscitello, Presidente

Roberto Politi, Consigliere

Elena Stanizzi, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/06/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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