Tar Lazio 2/3/2012 – Equo compenso – riproduzione per uso personale – dispositivi digitali

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2655 del 2010, proposto da:
Soc Apple Sales International , Soc Attiva Spa, rappresentati e difesi dall’avv. Raffaele Mirigliani, con domicilio eletto presso Raffaele Mirigliani in Roma, via della Frezza, 59;

contro

Ministero Per i Beni e Le Attivita’ Culturali, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Siae, rappresentato e difeso dagli avv. Alessandra Amendola, Maurizio Mandel, Mario Sanino, Mario Siragusa, con domicilio eletto presso Maurizio Mandel in Roma, v.le della Letteratura, 30;

e con l’intervento di

ad opponendum:
Anica, rappresentato e difeso dagli avv. Mario Gallavotti, Luigi Medugno, con domicilio eletto presso Mario Gallavotti in Roma, via Po, 9; Imaie, rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Marraffa, con domicilio eletto presso Roberto Marraffa in Roma, via Brofferio, 6; Apt, rappresentato e difeso dagli avv. Bruno Della Ragione, Antonino Strano, con domicilio eletto presso Bruno Della Ragione in Roma, via Luigi Settembrini, 30;

per l’annullamento

del decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 30 dicembre 2009, nonchè del connesso allegato tecnico pubblicato sulla G.U. del 6 marzo 2010, sul sito del Ministero in data 14 gennaio 2010, contenente la determinazione del compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero Per i Beni e Le Attivita’ Culturali e di Siae;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 luglio 2011 il dott. Stefania Santoleri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il provvedimento impugnato disciplina il cosiddetto “equo compenso” che, a fronte della riproduzione privata per uso personale di opere dell’ingegno deve essere corrisposto agli autori delle stesse opere, tramite la Società Italiana Autori ed Editori (S.I.A.E.).

In via di principio, il diritto d’autore implica il diritto esclusivo di riproduzione di un’opera (art. 13 L. 14/4/41 n. 633 relativa alla “Protezione del diritto di autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”), il che comporta che la riproduzione di un’opera protetta dal diritto d’autore può essere riprodotta solo previa autorizzazione dell’autore stesso o dei suoi aventi causa, se del caso previo versamento di un corrispettivo.

La regola generale è soggetta ad una serie di limitazioni, finalizzate all’equo contemperamento degli interessi economici dell’autore e quello pubblico alla diffusione ed uso delle opere dell’ingegno.

Con riferimento specifico alle opere che possono essere riprodotte su supporti audio e video (come le opere cinematografiche ed i brani musicali), la legislazione nazionale prevede l’eccezione per la cosiddetta “copia privata”, realizzata direttamente dall’utente per uso personale, e quindi senza alcuna finalità commerciale o a scopo di lucro.

In questo caso, la legge non prevede il pagamento di un corrispettivo all’autore per la riproduzione dell’opera protetta, ma il solo pagamento di un “compenso” finalizzato ad indennizzare lo stesso autore per il pregiudizio comunque subito per effetto della riproduzione non autorizzata di copie della sua opera.

Il compenso per copia privata è stato introdotto con la legge 5 febbraio 1992 n. 93.

Con la direttiva 2001/29/CE del 22 maggio 2001, il Legislatore comunitario ha dettato alcune disposizioni “sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”.

I “considerando” nono, decimo, trentunesimo, trentaduesimo, trentacinquesimo, trentottesimo e trentanovesimo della direttiva così recitano:

“9) Ogni armonizzazione del diritto d’autore e dei diritti connessi dovrebbe prendere le mosse da un alto livello di protezione, dal momento che tali diritti sono essenziali per la creazione intellettuale. La loro protezione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo della creatività nell’interesse di autori, interpreti o esecutori, produttori e consumatori, nonché della cultura, dell’industria e del pubblico in generale. Si è pertanto riconosciuto che la proprietà intellettuale costituisce parte integrante del diritto di proprietà.

(10) Per continuare la loro attività creativa e artistica, gli autori e gli interpreti o esecutori debbono ricevere un adeguato compenso per l’utilizzo delle loro opere, come pure i produttori per poter finanziare tale creazione. (…).

(31) Deve essere garantito un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi delle varie categorie di titolari nonché tra quelli dei vari titolari e quelli degli utenti dei materiali protetti.(…).

(32) La presente direttiva fornisce un elenco esaustivo delle eccezioni e limitazioni al diritto di riproduzione e al diritto di comunicazione al pubblico. Talune eccezioni o limitazioni si applicano, se del caso, solo al diritto di riproduzione. Tale elenco tiene debito conto delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri e mira, allo stesso tempo, a garantire il funzionamento del mercato interno. Gli Stati membri dovrebbero arrivare ad applicare in modo coerente tali eccezioni e limitazioni e ciò dovrebbe essere valutato al momento del riesame futuro della legislazione di attuazione.

(35) In taluni casi di eccezioni o limitazioni i titolari di diritti dovrebbero ricevere un equo compenso affinché siano adeguatamente indennizzati per l’uso delle loro opere o dei materiali protetti. Nel determinare la forma, le modalità e l’eventuale entità di detto equo compenso si dovrebbe tener conto delle peculiarità di ciascun caso. Nel valutare tali peculiarità, un valido criterio sarebbe quello dell’eventuale pregiudizio subito dai titolari dei diritti e derivante dall’atto in questione. Se i titolari dei diritti hanno già ricevuto un pagamento in altra forma, per esempio nell’ambito di un diritto di licenza, ciò non può comportare un pagamento specifico o a parte. Il livello dell’equo compenso deve tener pienamente conto della misura in cui ci si avvale delle misure tecnologiche di protezione contemplate dalla presente direttiva. In talune situazioni, allorché il danno per il titolare dei diritti sarebbe minimo, non può sussistere alcun obbligo di pagamento.

(38) Si dovrebbe consentire agli Stati membri di prevedere un’eccezione o una limitazione al diritto di riproduzione per taluni tipi di riproduzione di materiale sonoro, visivo e audiovisivo ad uso privato con un equo compenso. Si potrebbe prevedere in questo contesto l’introduzione o il mantenimento di sistemi di remunerazione per indennizzare i titolari dei diritti del pregiudizio subito.

(39) All’atto dell’applicazione dell’eccezione o della limitazione relativa alla copia privata, gli Stati membri dovrebbero tenere in debito conto gli sviluppi tecnologici ed economici, in particolare in ordine alla riproduzione digitale a fini privati ed ai sistemi di remunerazione, quando siano disponibili misure tecnologiche di protezione efficaci. Tali eccezioni o limitazioni non dovrebbero ostacolare né l’uso di misure tecnologiche, né la loro esecuzione in presenza di atti di elusione della legislazione.

La direttiva, dopo aver elencato i diritti correlati al diritto di autore (art. 2 diritto di riproduzione, art. 3 diritto di comunicazione, art. 4 diritto di distribuzione), stabilisce con riferimento alle eccezioni o limitazioni al diritto di autore che “Gli Stati membri hanno la facoltà di disporre eccezioni o limitazioni al diritto di riproduzione di cui all’articolo 2 per quanto riguarda: ….le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali a condizione che i titolari dei diritti ricevano un equo compenso che tenga conto dell’applicazione o meno delle misure tecnologiche di cui all’articolo 6 all’opera o agli altri materiali interessati (art. 5, comma 2, lett. b).

La direttiva comunitaria n. 2001/09 è stata recepita in sede nazionale con l’emanazione del D.Lgs. 30 aprile 2003 n. 68 che novellato la L. n. 633/41 che disciplina il diritto di autore.

Stabilisce l’art. 71-sexies, comma 1, che: “È consentita la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali, nel rispetto delle misure tecnologiche di cui all’articolo 102-quater”.

L’art. 71-septies così dispone: “1. Gli autori ed i produttori di fonogrammi, nonché i produttori originari di opere audiovisive, gli artisti interpreti ed esecutori ed i produttori di videogrammi, e i loro aventi causa, hanno diritto ad un compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi di cui all’articolo 71-sexies. Detto compenso è costituito, per gli apparecchi esclusivamente destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi, da una quota del prezzo pagato dall’acquirente finale al rivenditore, che per gli apparecchi polifunzionali è calcolata sul prezzo di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione, ovvero, qualora ciò non fosse possibile, da un importo fisso per apparecchio. Per i supporti di registrazione audio e video, quali supporti analogici, supporti digitali, memorie fisse o trasferibili destinate alla registrazione di fonogrammi o videogrammi, il compenso è costituito da una somma commisurata alla capacità di registrazione resa dai medesimi supporti. Per i sistemi di videoregistrazione da remoto il compenso di cui al presente comma è dovuto dal soggetto che presta il servizio ed è commisurato alla remunerazione ottenuta per la prestazione del servizio stesso.

Pertanto, per quanto concerne l’individuazione degli apparati e supporti soggetti all’applicazione del compenso in questione e alla quantificazione del compenso stesso, l’art. 71 septies, comma 1 della L. 633/41 distingue tra le seguenti categorie di apparecchi:

a) gli apparecchi “esclusivamente destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi”: per questi il compenso per la riproduzione di copie è commisurato ad una quota del prezzo pagato dall’acquirente finale;

b) gli apparecchi “polifunzionali”, per i quali il compenso è calcolato sul prezzo di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione, ovvero, qualora tale criterio non risulti applicabile, da un importo fisso per apparecchio;

c) i “supporti di registrazione audio e video, quali supporti analogici, supporti digitali, memorie fisse o trasferibili destinate alla registrazione di fonogrammi o videogrammi” soggetti all’applicazione di un compenso pari a una somma commisurata alla capacità di registrazione dei medesimi supporti;

d) i “sistemi di videoregistrazione da remoto”, soggetti a un compenso commisurato alla remunerazione ottenuta per la prestazione del servizio (tali sistemi sono stati esclusi dalle misure introdotte con il decreto impugnato).

Il secondo comma dell’art. 71 septies della L. n. 633/41 prevede che : “Il compenso di cui al comma 1 è determinato, nel rispetto della normativa comunitaria e comunque tenendo conto dei diritti di riproduzione, con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare entro il 31 dicembre 2009 sentito il comitato di cui all’articolo 190 e le associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei produttori degli apparecchi e dei supporti di cui al comma 1. Per la determinazione del compenso si tiene conto dell’apposizione o meno delle misure tecnologiche di cui all’articolo 102-quater, nonché della diversa incidenza della copia digitale rispetto alla copia analogica. Il decreto è sottoposto ad aggiornamento triennale”.

Il successivo comma 3 prevede poi che “Il compenso è dovuto da chi fabbrica o importa nel territorio dello Stato allo scopo di trarne profitto gli apparecchi e i supporti indicati nel comma 1. I predetti soggetti devono presentare alla Società italiana degli autori ed editori (SIAE), ogni tre mesi, una dichiarazione dalla quale risultino le cessioni effettuate e i compensi dovuti, che devono essere contestualmente corrisposti. In caso di mancata corresponsione del compenso, è responsabile in solido per il pagamento il distributore degli apparecchi o dei supporti di registrazione”.

Infine il comma 4 stabilisce che: “La violazione degli obblighi di cui al comma 3 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del compenso dovuto, nonché, nei casi più gravi o di recidiva, con la sospensione della licenza o autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale o industriale da quindici giorni a tre mesi ovvero con la revoca della licenza o autorizzazione stessa”.

Fino all’introduzione del decreto di cui al comma 2 dell’art. 71 septies della L. n. 633/41, ha trovato applicazione il regime transitorio di cui all’art. 39 del D.Lgs. n. 68/03 che ha fissato la misura del compenso per copia privata fino all’emanazione del decreto ivi previsto.

Con il decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 30/12/09 impugnato con il presente ricorso, il compenso viene completamente rideterminato e così fissato per quanto rileva nel presente ricorso distinguendo tra le diverse categorie di apparecchi e supporti soggetti a prelievo:

i) apparecchi idonei alla registrazione analogica o digitale, audio e video e masterizzatori di supporti. A tali apparecchi è applicato un compenso pari al 5% del prezzo; per i masterizzatori inseriti in apparecchi polifunzionali il compenso è invece pari al 5% del prezzo commerciale di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti (art. 2, comma 1, lett. n) dell’Allegato tecnico al decreto);

ii) apparecchi polifunzionali idonei alla registrazione analogica o digitale audio e video con funzioni ulteriori rispetto a quella di registrazione. Per questi il compenso è del 5% del prezzo commerciale di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione (art. 2, comma 1, lett. n-bis dell’Allegato Tecnico);

iii) memorie o hard disk integrati in un apparecchio multimediale audio e video portatile o altri dispositivi analoghi per i quali il compenso è commisurato alla capacità di memoria e va da un minimo di € 3,22 (fino ad un Gb di memoria) ad un massimo di € 28,98 (per memorie superiori a 250 Gb) (art. 2, comma 1, lett. r dell’Allegato Tecnico);

iv) memorie o hard disk integrati in un lettore portatile Mp3 e analoghi o altro apparecchio Hi-Fi, per i quali il compenso è commisurato alla capacità di memoria e va da un minimo di € 0,64 (fino a 128 Mb di memoria) ad un massimo di € 9,66 (per memorie superiori a 15 Gb) (art. 2, comma 1, lett. s dell’Allegato Tecnico);

v) memoria o hard disk integrato in altri dispositivi non inclusi nelle precedenti lettere con funzioni di registrazione e riproduzione di contenuti audio e video: il compenso è commisurato alla capacità di memoria e va da un minino di € 0,64 (per memorie fino a 256 Mb a € 14,49 per memorie fino a 400 Gb) (categoria residuale di cui all’art. 2, comma 1, lett. x dell’Allegato Tecnico).

La società Apple Sales International (ASI) è la società del gruppo Apple che gestisce la distribuzione sul mercato europeo dei prodotti Apple, ivi compreso l’IPod, e che amministra il sito Apple Store, negozio virtuale in cui è possibile acquistare i prodotti Apple. La società Attiva, invece, è uno dei principali distributori nazionali di prodotti hardware, software e di elettronica di consumo, e per quanto concerne i prodotti Apple, li acquista da ASI, li importa in Italia e li rivende.

Il decreto impugnato arreca loro un immediato pregiudizio in quanto aumenta notevolmente il compenso per copia privata spettante per gli apparecchi da loro commercializzati o importati (in particolare quelli di cui alle lett. r, s e x dell’Allegato Tecnico) considerando i lettori portatili Mp3, ed in generale tutti gli apparecchi multimediali dotati di memoria integrata, come supporti, quantificando il compenso spettante non più sulla base di una quota del prezzo, bensì in ragione della capacità di memoria. Hanno altresì interesse ad impugnare il decreto anche con riferimento alle disposizione di cui alle lett. n) e n bis) dell’Allegato Tecnico nell’ipotesi di annullamento del decreto con riferimento alle lett. r), s) e x).

Avverso detto provvedimento le ricorrenti deducono i seguenti motivi di impugnazione:

___1. Violazione di legge, vizio di forma.

Sostengono le ricorrenti che il provvedimento impugnato avrebbe natura normativa: non sarebbe un atto generale e non avrebbe carattere meramente applicativo della legge, introducendo disposizioni innovative rispetto alla normativa di rango primario.

Sarebbe stato adottato senza l’acquisizione del parere del Consiglio di Stato e non sarebbe stato sottoposto al visto e alla registrazione da parte della Corte dei Conti.

____2. Violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.

Il compenso – così come strutturato nel decreto – finirebbe per avere il carattere di una prestazione patrimoniale imposta, caratterizzata dalla coattività della prestazione.

Sarebbe quindi violato l’art. 23 Cost. mancando la previsione legislativa.

L’art. 71 septies, infatti, non definirebbe compiutamente i criteri del potere amministrativo (soggetti passivi, presupposto, misura del prelievo).

___ 3. Violazione di norme comunitarie e violazione di legge, eccesso di potere, violazione del principio di ragionevolezza, difetto di istruttoria, carenza di sufficiente motivazione.

3.1. Violazione di norme comunitarie e comunque violazione di legge.

Sostengono le ricorrenti che il compenso per copia privata riguarderebbe le sole copie realizzate legittimamente da una persona privata e non le cosiddette copie pirata, realizzate eludendo le misure tecniche di protezione o scaricate attraverso programmi Peer-to-Peer, rientrando quest’ultime nell’ambito della pirateria e soggette quindi a sanzioni penali, civili e amministrative.

Ritengono quindi le ricorrenti che per stabilire il compenso l’Amministrazione avrebbe dovuto tener conto dell’effettivo pregiudizio arrecato ai titolari del diritto di autore per la realizzazione della copia privata accertando:

quanta parte dei prodotti di ciascuna categoria sottoposta al pagamento del compenso è destinata all’utilizzo personale delle persone fisiche;

come vengano utilizzati i prodotti dai possessori;

tra le diverse tipologie di utilizzazione, quali implichino la riproduzione di opere protette;

tra le attività di riproduzione, quale sia l’effettiva rilevanza della copia privata, depurata dalla copia pirata e da quella che ha già scontato il pagamento del corrispettivo, tenuto anche conto delle misure tecniche di protezione.

Solo dopo questo approfondimento istruttorio l’Amministrazione avrebbe potuto valutare ragionevolmente l’entità del concreto pregiudizio subito dai titolari dei diritti sulle opere protette.

Sostengono le ricorrenti che l’istruttoria svolta dall’Amministrazione sarebbe stata incongrua, e che lo studio svolto dalla società G.P.F., diretto a conoscere le abitudini dei consumatori italiani in tema di riproduzione privata, non sarebbe stato idoneo a valutare l’effettivo pregiudizio derivante dall’utilizzazione delle varie categorie di prodotti. Le valutazione della G.P.F., infatti, sarebbero generali e non differenziate per ciascuna tipologia di prodotto; inoltre larga parte delle opere detenute e riprodotte rientrerebbero nella copia pirata e non sarebbero assoggettabili al compenso.

Il decreto, quindi, violerebbe sia la normativa nazionale che quella comunitaria.

Chiedono poi le ricorrenti di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione interpretativa relativa all’art. 5 comma 2 lett. b) della direttiva indicata nel ricorso.

___3.2. Eccesso di potere. Violazione del principio di ragionevolezza. Difetto di istruttoria.

Il provvedimento impugnato sarebbe carente nell’istruttoria e violerebbe il principio di ragionevolezza in quanto, il compenso sarebbe stato fissato senza prima accertare adeguatamente il pregiudizio arrecato, del quale costituisce il ristoro.

Nel caso di specie, l’istruttoria sarebbe del tutto carente con conseguente illegittimità del decreto che stabilisce l’entità del compenso. Peraltro il criterio della capacità di registrazione sarebbe stato contestato dalle associazioni di categoria ma sarebbe stato ugualmente acquisito nel decreto senza alcuna motivazione.

___5. Violazione di legge ed eccesso di potere. Violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza. Violazione del principio di uguaglianza e non discriminazione.

5.1.Violazione di legge.

Lamentano le ricorrenti che in base all’art. 1, lett. f) e all’art. 2 lett. r), s) e x) dell’Allegato tecnico gli apparecchi destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi sono stati ricondotti a “supporti”, in violazione della legge che aveva distinto tra apparecchi monofunzionali e polifunzionali; peraltro per i supporti polifunzionali il decreto non prevede alcuna riduzione del compenso legata alla polifunzionalità.

5.2. Eccesso di potere. Arbitrarietà e illogicità nell’identificazione delle categorie di riferimento. Indeterminatezza. Violazione del principio di certezza del diritto.

Il decreto ha creato tre categorie di memorie installate su apparecchi audio, quelli delle lettere r), s) e x) senza spiegare in cosa si differenzino tra loro, prevedendo, però, compensi molti diversi per le varie categorie demandando la qualificazione alla stessa SIAE.

5.3. Violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza. Illogicità. Carenza di istruttoria e di motivazione.

Sostengono le ricorrenti che il sistema adottato per stabilire il compenso per la copia privata sarebbe del tutto illogico ed irragionevole. Il decreto – nell’ambito della categoria r) – assoggetta al medesimo compenso gli apparecchi dotati solo della funzione di registrazione audio e video e gli apparecchi invece dotati di funzioni ulteriori (polifunzionali).

5.4. Violazione dei principi di uguaglianza e non discriminazione.

Il diverso compenso finisce con il penalizzare gli apparecchi più evoluti che avendo funzioni ulteriori – del tutto estranee alla riproduzione delle opere dell’ingegno – presentano una capacità di memoria maggiore e dunque sono tenuti a corrispondere un maggiore compenso.

In conclusione, le ricorrenti insistono per l’accoglimento del ricorso.

Si è costituito in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali che ha puntualmente replicato sulle censure svolte e ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

Si è costituita in giudizio anche la S.IA.E. che dopo aver puntualmente replicato sulle censure proposte, ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

Hanno spiegato intervento ad opponendum l’IMAIE e l’A.P.T. chiedendo la reiezione del ricorso.

L’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediale – A.N.I.C.A. – ha proposto intervento ad opponendum e ricorso incidentale avverso il decreto impugnato, nella parte in cui ha pregiudicato i propri interessi, essendo stata ridotta l’entità dell’equo compenso rispetto a quello elaborato dalla Commissione speciale incaricata dell’istruttoria senza che il Ministero abbia fornito un’adeguata motivazione sul punto.

In prossimità dell’udienza di discussione tutte le parti hanno depositato memorie e memorie di replica insistendo nelle già precisate conclusioni.

All’udienza pubblica del 12 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente il Collegio ritiene di dover esaminare l’ eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, eccepito dalla SIAE, nelle proprie memorie.

Secondo la SIAE, il ricorso, ancorché costruito come impugnazione del provvedimento ministeriale, mira in realtà ad ottenere una pronuncia di accertamento della insussistenza del diritto al compenso, pronuncia di competenza del giudice ordinario.

L’eccezione è infondata.

L’odierna controversia ha ad oggetto l’impugnativa di un atto amministrativo ad effetti generali, adottato nell’esercizio di un potere discrezionale, ancorché di natura tecnica, con il quale, dando attuazione alla normativa primaria (art. 71 septies della L. 633/41), è stata determinata l’entità del compenso per copia privata per ciascuna delle singole tipologie di apparecchi e supporti per i quali deve essere erogato.

Non si tratta dunque, come vorrebbe la difesa della SIAE, di una controversia tra la SIAE ed un soggetto obbligato avente ad oggetto l’accertamento della sussistenza o meno, in concreto, del diritto soggettivo alla corresponsione del compenso per copia privata, bensì della impugnativa, per motivi di legittimità, del provvedimento, ad effetti generali, che ha determinato tale compenso, il che è sufficiente a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo in base all’art. 7 comma 1 del c.p.a.

E’ noto che la Suprema Corte di Cassazione è monolitica nell’affermare che ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non tanto la prospettazione compiuta dalle parti, quanto il petitum sostanziale, che va identificato soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (ex multis da ultimo Cass. Sez. Unite, 11 ottobre 2011, n. 20902).

Nel caso di specie, proprio in applicazione di tale principio, il petitum sostanziale può essere identificato appunto nella richiesta di annullamento di un provvedimento amministrativo, e le situazioni soggettive dei ricorrenti non possono che essere qualificate come interessi legittimi.

Sussiste quindi la giurisdizione del giudice amministrativo.

La SIAE ha eccepito anche l’inammissibilità del ricorso sostenendo che il provvedimento impugnato costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile unicamente per manifesta illogicità, di insufficiente motivazione o di errori fattuali, mentre tali censure non sarebbero state prospettate.

L’eccezione è infondata.

La giurisprudenza amministrativa afferma che la discrezionalità tecnica è sindacabile in sede di legittimità nei limiti del corretto esercizio dei poteri affidati all’Amministrazione sotto il profilo della completezza dell’istruttoria, della sussistenza dei presupposti del provvedere, dell’osservanza di criteri di proporzionalità e ragionevolezza, ovvero quando risulti che il risultato raggiunto dall’Amministrazione, a prescindere dalla sua fisiologica opinabilità, si colloca comunque al di fuori dei quei limiti di naturale elasticità sottesi al concetto giuridico indeterminato che l’Amministrazione è chiamata ad applicare, risultando così, in tutto o in parte inattendibile (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. Giurisd,. 10 Giugno 2011, n. 418 ).

Nel caso in esame, sono state appunto denunciati nel ricorso vizi di istruttoria, di illogicità, errori fattuali ed in genere censure di violazione della legge nazionale e di quella comunitaria, che sono perfettamente conoscibili dal giudice amministrativo, in quanto rientranti nell’ambito di cognizione che gli è riservato in sede di giurisdizione di legittimità, senza alcun travalicamento nel merito amministrativo.

L’eccezione pertanto, in relazione a questi aspetti, non può essere accolta.

Sempre in via preliminare, deve essere esaminata l’ammissibilità degli atti di intervento proposti in giudizio dall’IMAIE, dell’A.P.T. e dall’ANICA, e con specifico riferimento a quest’ultima, deve essere valutata l’ammissibilità del ricorso incidentale proposto.

Ritiene il Collegio ammissibili gli atti di intervento ad opponendum, in quanto i soggetti intervenienti dispongono di un evidente interesse contrario all’annullamento dell’atto (essendo l’IMAIE l’Istituto deputato alla tutela dei diritti degli artisti e degli interpreti esecutori, e dunque dei soggetti che beneficiano del compenso per copia privata, e l’ANICA l’associazione confindustriale maggiormente rappresentativa dell’industria cinematografica, che tutela gli interessi degli operatori del settore, e l’A.P.T. è l’Associazione che rappresenta i produttori televisivi e che riceve dalla SIAE i compensi per copia privata per ripartirli tra gli aventi diritto).

L’ANICA, però, oltre ad aver proposto l’atto di intervento ad opponendum, ha proposto anche il ricorso incidentale avverso il decreto impugnato il via principale dalle odierne ricorrenti, contestando – in sostanza – la riduzione degli importi spettanti a titolo di compenso per la copia privata.

Ritiene il Collegio di doversi pronunciare sul ricorso incidentale dopo la disamina di quello principale.

Ancora in via preliminare occorre dare conto della natura giuridica dell’atto impugnato anche al fine di fugare ogni dubbio in merito alla legittimità formale del D.M. oggetto del ricorso.

Circa la distinzione tra atto avente natura regolamentare e mero atto amministrativo generale, la Corte Suprema di Cassazione afferma che a differenza degli atti e provvedimenti amministrativi generali – che sono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono rivolti alla cura concreta d’interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili – i regolamenti sono espressione di una potestà normativa attribuita all’amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri della generalità e dell’astrattezza (Cass. sez. un. 28.11.1994, n. 10124; Cassazione civile, sez. III, 22 febbraio 2000, n. 1972; Cassazione civile sez. III, 5 marzo 2007, n. 5062 ).

Il Consiglio di Stato, in termini non dissimili, sostiene che gli atti di natura regolamentare, in quanto espressione della potestà attribuita all’amministrazione di incidere, integrandola ed arricchendola, su una precedente disciplina legislativa, innovano l’ordinamento giuridico con precetti aventi i caratteri della generalità ed astrattezza, a differenza degli atti e provvedimenti amministrativi generali che sono espressione di una semplice potestà amministrativa di natura gestionale e sono rivolti alla cura concreta d’interessi pubblici, seppure a destinatari indeterminati (Consiglio St. Atti norm., 11 luglio 2005, n. 911).

L’applicazione alle singole fattispecie concrete di tali principi non è agevole, tuttavia le considerazioni che si sono svolte sopra circa la completezza della disciplina dettata dalle norme di legge, e in particolare dall’art. 71 septies, depongono nel senso che nessun capacità di innovazione possa attribuirsi al decreto impugnato.

A ciò si aggiunga che esso ha essenzialmente la funzione di quantificare l’importo del compenso per copia privata, in applicazione di criteri determinati dalla legge e nell’esercizio di poteri di discrezionalità tecnica, per ciascuna delle singole tipologie di apparecchi e supporti per i quali deve essere erogato. Si tratta dunque sostanzialmente di un provvedimento assimilabile ai provvedimenti tariffari, i quali – secondo la giurisprudenza amministrativa – non costituiscono, almeno nella prevalenza dei casi, espressione di una potestà amministrativa regolamentare ma sono invece riconducibili alla categoria degli atti generali perché, pur rivolgendosi ad una categoria indeterminata di destinatari, non determinano alcuna rilevante innovazione dell’ordinamento giuridico, già conseguita nei suoi elementi sostanziali dalla norma primaria che li preveda (Consiglio St. Atti norm., 19 febbraio 2007, n. 584).

Anche dal punto di vista procedimentale o formale, vi sono elementi indicativi della natura non regolamentare del decreto in questione.

In primo luogo, il procedimento di approvazione è disciplinato dal comma 2 dell’art. 71 septies in modo del tutto diverso da quanto prevede l’art. 17 della l. 400/1988. Detta norma infatti demanda al Ministero il compito di determinare il compenso con apposito decreto da emanarsi entro il 31 dicembre 2009 – tenendo conto sia della normativa comunitaria che dei diritti di riproduzione – dopo aver acquisito in sede istruttoria i pareri sia del comitato di cui all’art. 190 (Comitato consultivo permanente per il Diritto di Autore) che delle associazioni maggiormente rappresentative dei produttori degli apparecchi e dei supporti. Sarebbe dunque illogico sostenere, in contrasto con il procedimento espressamente delineato dal legislatore, l’applicazione del modulo procedurale di cui all’art. 17 l. 400/1988.

Inoltre, come ha sottolineato la difesa della SIAE, il procedimento di cui all’art. 71 septies, comma 2, è modellato appunto secondo lo schema tipico di quello degli atti non normativi e di determinazione delle tariffe, prevedendo un’ampia partecipazione degli interessati.

Risulta peraltro che il Ministero, nello svolgimento dell’istruttoria propedeutica all’adozione del decreto, abbia commissionato delle indagini di mercato e abbia effettuato una ricognizione della situazione normativa ed economica dei diritti di copia privata dei principali Paesi europei. E’ stata inoltre istituita in seno al Comitato consultivo permanente per il diritto di autore un’apposita Commissione speciale per l’istruttoria del parere, che ha effettuato circa 30 audizioni di soggetti appartenenti ai comparti interessati.

In conclusione, sia dal punto di vista sostanziale che da quello procedurale, il quadro normativo è nel senso che il provvedimento impugnato debba essere qualificato come atto generale, di natura non regolamentare, assimilabile a quelli di determinazione di prezzi o tariffe, adottati dall’amministrazione esclusivamente facendo uso dei propri poteri di discrezionalità tecnica, nella mera attuazione del precetto legislativo.

Il primo motivo di gravame deve essere quindi respinto.

Sempre in via preliminare deve essere esaminato il secondo motivo di ricorso, con il quale lamentano le ricorrenti la violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.

Secondo le ricorrenti, infatti, con il decreto impugnato, il Ministero avrebbe distorto la nozione di equo compenso sino a farle assumere la natura di prestazione patrimoniale imposta coattivamente estendendo illegittimamente l’applicazione della disciplina dell’equo compenso in maniera generalizzata e del tutto sganciata dal presupposto stesso di ogni diritto all’indennizzo (e, cioè, la lesione della posizione giuridica del titolare del diritto di riproduzione, nel caso di specie rappresentata dallo sfruttamento della facoltà di copia privata), con conseguente violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. non essendo tali categorie riconducibili all’ambito di applicazione dell’art. 71 septies.

In ogni caso, qualora il fondamento del potere potesse ravvisarsi nella norma primaria, l’art. 71 septies della L. 633/41 sarebbe costituzionalmente illegittimo poiché consente l’imposizione di una prestazione patrimoniale senza definire in modo puntuale i criteri del potere amministrativo.

Sostiene di contro la SIAE nella sua memoria che l’importo dovuto ai sensi dell’art. 71 septies deve invece essere qualificato come mera prestazione sinallagmatica, posto che esso non sarebbe altro che la corresponsione agli aventi diritto di una quota astrattamente remuneratoria della possibilità di utilizzo (mediante l’effettuazione di registrazioni, sia pure mediante copia privata) di opere tutelate dalla legge sul diritto di autore.

Non si applicherebbe quindi l’art. 23 Cost. ovvero, quand’anche volesse ritenersi applicabile al caso di specie la riserva di legge prevista per le prestazioni patrimoniali imposte, essendo essa una riserva relativa, non vi sarebbe comunque violazione del citato art. 23 Cost.

La doglianza non è fondata.

La nozione di “prestazione patrimoniale imposta” di cui all’art. 23 Cost. è stata interpretata dalla giurisprudenza costituzionale in senso ampio.

Essa infatti, sin dalle prime pronunce rese dalla Corte, è stata ricondotta non solo alle prestazioni di natura tributaria ma anche quelle di natura non tributaria e aventi funzione di corrispettivo, quando, per i caratteri e il regime giuridico dell’attività resa, sia pure su richiesta del privato, a fronte della prestazione patrimoniale, è apparso prevalente l’elemento dell’imposizione legale (cfr. ad es. sentenze n. 55 del 1963, n. 72 del 1969, n. 127 del 1988, n. 236 del 1994, n. 215 del 1998 e da ultimo C.Cost. 435 del 2001).

In particolare, con la sentenza n. 72/1969 è stata riconosciuta l’applicazione dei principi di cui all’art. 23 Cost. alle tariffe telefoniche, all’epoca gestite in forma monopolistica, e attinenti ad un servizio pubblico essenziale.

In tale pronuncia si è, così, affermato che il fatto che il servizio fosse richiesto dal privato non impedisce di affermare il carattere “imposto” del corrispettivo.

Natura di prestazione imposta è stata poi riconosciuta anche al pagamento del diritto di approdo da parte dell’utente di beni del demanio marittimo (Corte Costituzionale, 2 febbraio 1988, n. 127 ) e al canone dovuto per l’estrazione di materiale sabbioso dal greto dei fiumi, trattandosi di canone per un’utilizzazione di beni demaniali che, pur avendo a base un negozio fra la p.a. ed il privato, è imposto autoritativamente, per la fruizione di un bene pubblico. (Corte Costituzionale, 10 giugno 1994, n. 236).

La Corte ha inoltre affermato che anche le tariffe (che vengono inserite di diritto, in base alla disposizione impugnata, nei contratti di assicurazione per la responsabilità civile dei veicoli e dei natanti, la cui stipula è obbligatoria, ai sensi dell’art. 1 della medesima legge, per ogni possessore di veicolo a motore che intenda farlo circolare) costituiscono “prestazione patrimoniale imposta” ai sensi dell’art. 23 Cost., tenuto conto che la determinazione da parte del C.I.P delle tariffe medesime costituisce atto formale autoritativo incidente sull’autonomia privata dell’utente, in riferimento ad un negozio (contratto di assicurazione) obbligatorio ex lege per il soddisfacimento di un rilevante bisogno di vita, qual è la libertà di circolazione mediante l’utilizzazione di veicoli (Corte Costituzionale, 19 giugno 1998, n. 215).

Infine, si è ammesso il sindacato per violazione dell’art. 23 Cost. in relazione alle tariffe dei c.d. diritti sanitari dovuti alle aziende sanitarie per le prestazioni, gli accertamenti e le indagini effettuate per conto e nell’interesse di terzi richiedenti (Corte Costituzionale, 28 dicembre 2001, n. 435).

In questa ultima sentenza, in particolare, la Corte, discostandosi da alcuni precedenti in materia, ha specificato che non è necessario, per ritenere la prestazione in esame “imposta”, far ricorso ad elementi di non facile definizione, come il carattere di “servizio essenziale” ai bisogni della vita, rivestito dall’attività del soggetto cui la prestazione patrimoniale è dovuta (cfr. Corte Costituzionale, n. 72/1969, n. 127/1988, n. 215/1998), dovendo invece unicamente focalizzarsi l’attenzione sul profilo della “imposizione legale” della prestazione, ancorché essa possa avere una funzione corrispettiva di altra controprestazione.

La Corte ha invece escluso che potesse qualificarsi come prestazione patrimoniale imposta da parte dell’ente proprietario della strada il pagamento di una tariffa per la sosta del veicolo, il quale è configurabile piuttosto come corrispettivo, commisurato ai tempi e ai luoghi della sosta, di un’utilizzazione particolare della strada, rimessa ad una scelta dell’utente non priva di alternative, che non come un tributo o una prestazione patrimoniale imposta. (Corte costituzionale, 29 gennaio 2005, n. 66).

Dall’esame della casistica giurisprudenziale sopra esaminata e in particolare dell’ultima sentenza citata può dirsi che, nella giurisprudenza costituzionale, si parla di “prestazione imposta” non solo quando la fonte della prestazione è di tipo autoritativo, ma anche quando vi sono profili autoritativi nella regolamentazione delle contrapposte prestazioni ed, in particolare, quando il corrispettivo è fissato unilateralmente dall’ente pubblico e il privato può solo decidere se richiedere o meno la prestazione ma non può ricorrere al libero mercato per soddisfare in modo diverso la sua esigenza. In questo senso, dunque, la prestazione è imposta, giacché l’unico modo che ha il privato per sottrarvisi è rinunciare alla controprestazione da lui desiderata.

Estremamente significativa, a questo proposito, appare la sentenza da ultimo menzionata 29 gennaio 2005, n. 66 nella quale la Corte ha escluso che potesse qualificarsi come prestazione patrimoniale imposta da parte dell’ente proprietario della strada il pagamento di una tariffa per la sosta del veicolo, il quale è configurabile piuttosto come corrispettivo di un’utilizzazione particolare della strada, rimessa ad una scelta dell’utente non priva di alternative.

Sostiene la SIAE che se è vero che la Corte costituzionale ha effettivamente ampliato la nozione di prestazione patrimoniale imposta, lo ha fatto però solo in fattispecie nelle quali il profilo dell’imposizione legale si rivelava prevalente rispetto alla funzione di corrispettivo su base sinallagmatica, circostanza che non si ravviserebbe nel caso di specie. A questo proposito, la SIAE ha richiamato la citata sentenza Corte Costituzionale n. 435/2001, concernente le tariffe dei c.d. diritti sanitari dovuti alle aziende sanitarie per le prestazioni, gli accertamenti e le indagini effettuate per conto e nell’interesse di terzi richiedenti, nella quale appunto la Corte ha fatto riferimento alla “prevalenza” della imposizione legale nonostante la funzione di corrispettivo della prestazione imposta.

Osserva tuttavia il Collegio che proprio la lettura di tale sentenza offre invece spunti in senso contrario a quanto sostenuto dalla SIAE e a conferma di quanto si è sopra sostenuto. Essa infatti precisa che la prestazione, pur avendo una funzione sinallagmatica per lo svolgimento di un’attività (nel caso di specie da parte dell’azienda sanitaria), non si configura quale corrispettivo stabilito (e sia pure prestabilito) sulla base di una contrattazione tra l’azienda e il terzo richiedente, il quale liberamente si avvalga, in regime di mercato, di un servizio da quella reso; ma trova il suo fondamento in una imposizione legale, che grava sui terzi interessati all’attività dell’amministrazione prevista per legge ai fini del compimento di procedimenti che li riguardano, e che perciò viene da essi richiesta (cfr. le ipotesi di cui alle sentenze n. 507 del 1988, n. 90 del 1994, n. 180 del 1996).

Così ricostruito il quadro della giurisprudenza costituzionale, dunque, non può che giungersi alla conclusione che il pagamento dell’equo compenso per copia privata, pur avendo una chiara funzione sinallagmatica e indennitaria dell’utilizzo (quanto meno potenziale) di opere tutelate dal diritto di autore, deve farsi rientrare nel novero delle prestazioni imposte, giacché la determinazione sia dell’an che del quantum è effettuata in via autoritativa e non vi è alcuna possibilità per i soggetti obbligati di sottrarsi al pagamento di tale prestazione fruendo di altre alternative.

In questo senso, dunque, il profilo della imposizione è – per usare le parole della Corte – “prevalente”.

Tuttavia, come più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale, e riconosciuto dalle stesse ricorrenti, il principio costituzionale in discorso non pone una riserva di legge assoluta, ma relativa, limitandosi a porre al legislatore l’obbligo di determinare preventivamente sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (cfr.: C. Cost., 26.10.2007 n. 350, n. 190 del 2007; n. 125 e n. 105 del 2005; n. 323 e n. 7 del 2001; n. 157 del 1996; n. 507 del 1988); pertanto, il principio non esige che la prestazione sia imposta “per legge”, ma “in base alla legge”, cosicché è anche ammissibile il rinvio a provvedimenti amministrativi diretti a determinare elementi o presupposti della prestazione, purché risultino assicurate, mediante previsione di adeguati parametri, le garanzie in grado di escludere un uso arbitrario della discrezionalità amministrativa (cfr.: Cass. civ., 18.10.2006 n. 22322).

In particolare, la Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare ripetutamente che la riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione è soddisfatta purché la legge (anche regionale: sentenze n. 64 del 1965, n. 148 del 1979, n. 180 del 1996, n. 269 del 1997) stabilisca gli elementi fondamentali dell’imposizione, anche se demanda a fonti secondarie o al potere dell’amministrazione la specificazione e l’integrazione di tale disciplina.

E’ dunque sufficiente, per rispettare la riserva di legge, che idonei criteri e limiti, di natura oggettiva o tecnica, atti a vincolare la determinazione quantitativa dell’imposizione, si desumano dall’insieme della disciplina considerata (cfr. sentenze C.Cost. n. 72 del 1969, n. 507 del 1988, 435 del 2001).

A ciò si aggiunga che – sempre secondo la Corte costituzionale – un ulteriore elemento garantistico al fine di delimitare la discrezionalità della p.a. e di escludere la violazione dell’art. 23 Cost. è costituito dalla previsione di un modulo procedimentale (Corte costituzionale, 19 giugno 1998 , n. 215).

Tanto premesso, occorre verificare se l’art. 71 septies della L. 633/1941 contenga delle indicazioni sufficientemente stringenti per poter ritenere rispettato l’art. 23 Cost.

Ritiene il Collegio che gli artt. 71 sexies, septies e octies della L. n. 633/41, come novellata dal D.Lgs. n. 68/03, disciplinano compiutamente la materia, consentendo la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi apparecchio o supporto effettuato da una persona fisica per uso senza scopi di lucro, prevedendo – come contropartita – l’erogazione di un compenso diretto ad indennizzare il titolare del diritto di autore da parte di coloro i quali fabbricano o importano nel territorio dello Stato gli apparecchi o i supporti per trarne profitto.

In sostanza, dunque, tutta la disciplina della materia è contenuta nel testo di legge (indicando la legge stessa la nozione di riproduzione privata per uso personale che dà diritto all’erogazione del compenso, l’identificazione dei soggetti beneficiari del compenso e di quelli tenuti al pagamento, l’indicazione degli apparecchi e dei supporti per i quali è dovuto il compenso, la distinzione tra apparecchi esclusivamente destinati alla riproduzione e tra quelli cosiddetti polifunzionali ed il diverso criterio per la quantificazione del compenso, la distinzione tra i diversi tipi di supporti, distinguendo ai fini della commisurazione del compenso tra supporti analogici, digitali, memorie fisse o trasferibili).

Il decreto ministeriale si limita, dunque, a dare puntuale attuazione – stabilendo le singole tariffe – alle disposizioni legislative.

Inoltre, va rilevato che l’art. 71 septies, comma 2, L. n. 633/1941 ha previsto un articolato procedimento di approvazione del decreto ministeriale che deve determinare il compenso per copia privata, che prevede: il parere del comitato consultivo permanente sul diritto di autore di cui all’articolo 190 e la consultazione delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei produttori degli apparecchi e dei supporti di cui al comma 1.

La censura deve essere pertanto respinta.

Prima di passare alla disamina delle questioni afferenti il merito del ricorso, ritiene il Collegio opportuno ricostruire il quadro storico e normativo all’interno del quale viene ad inserirsi il provvedimento oggetto del ricorso.

La rivoluzione digitale ha rimosso ogni barriera tra l’originale dell’opera e le sue duplicazioni, rendendo possibile la riproduzione gratuita delle opere dell’ingegno (in particolare, quelle musicali, cinematografiche ed audiovisive) ed ha comportato una vera e propria crisi nel settore, determinando una notevolissima diminuzione dei proventi spettanti ai titolari delle opere dell’ingegno (nell’anno 2011, ad esempio, si è registrata una flessione del 50% nella vendita dei supporti fonografici, cfr. grafico prodotto in giudizio dalla SIAE pag. 3 memoria del 12/7/11).

La crisi del settore ha indotto il Legislatore sia comunitario che nazionale – in sede di recepimento della direttiva – ad adottare le misure necessarie per poter garantire la remunerazione dei titolari delle opere dell’ingegno prevedendo un compenso a carico di chi – avendo tratto beneficio dalla rivoluzione digitale, atteso che la possibilità di riproduzione per uso privato delle opere coperte da diritto di autore ha sicuramente incentivato la vendita degli apparecchi e dei supporti idonei alla duplicazione – è in grado di ripercuotere sull’utente finale (effettivo beneficiario) il relativo onere, trasformando, in pratica, il produttore o l’importatore di un prodotto avente capacità di riproduzione in una sorta di debitore indiretto.

L’introduzione di questo sistema ha consentito di porre rimedio agli effetti della rivoluzione digitale. In tale ambito il legislatore ha previsto il pagamento di un “equo compenso”.

Ai fini della determinazione di tale equo compenso è stato previsto il criterio del pregiudizio subito dall’autore; dai “considerando” trentacinquesimo e trentottesimo della direttiva 2001/29 emerge, infatti, che l’“equo compenso” è volto ad indennizzare “adeguatamente” gli autori per l’uso delle loro opere protette effettuato senza autorizzazione.

Al fine di determinare l’entità di tale compenso, occorre tener conto, quale «criterio utile», dell’«eventuale pregiudizio» subito dall’autore per effetto dell’atto di riproduzione di cui trattasi, ove un «danno (…) minimo» non può tuttavia far sorgere alcun obbligo di pagamento.

L’eccezione per l’uso di copia privata deve quindi poter implicare un sistema volto a «indennizzare i titolari di diritti del pregiudizio subìto».

Dalle disposizioni richiamate emerge che la configurazione e l’entità dell’equo compenso devono risultare connesse al danno derivante per l’autore dalla riproduzione della sua opera protetta effettuata senza autorizzazione per fini privati.

In tale prospettiva, l’equo compenso deve essere considerato quale contropartita del pregiudizio subito dall’autore.

Il termine «indennizzare» di cui ai ‘considerando’ trentacinquesimo e trentottesimo della direttiva 2001/29 traduce la volontà del legislatore dell’Unione di istituire un sistema particolare di compensazione la cui attuazione scaturisce dall’esistenza, a detrimento dei titolari dei diritti, di un pregiudizio, il quale fa sorgere, in linea di principio, l’obbligo di «indennizzare» questi ultimi.

Ne consegue che l’equo compenso deve essere necessariamente calcolato sulla base del criterio del pregiudizio causato agli autori delle opere protette per effetto dell’introduzione dell’eccezione per copia privata.

Per quanto attiene, ancora, alla questione dei soggetti interessati dal «giusto equilibrio», il trentunesimo ‘considerando’ della direttiva 2001/29 prevede di garantire un «giusto equilibrio» tra i diritti e gli interessi degli autori, beneficiari dell’equo compenso, da un lato, e quelli degli utenti dei materiali protetti, dall’altro.

Orbene, la realizzazione di una copia da parte di una persona fisica che agisca a titolo privato deve essere considerata quale atto idoneo a causare un pregiudizio per l’autore dell’opera interessata.

Ne consegue che il soggetto che ha causato il pregiudizio al titolare esclusivo del diritto di riproduzione è quello che realizza, a fini di uso privato, tale riproduzione di un’opera protetta senza chiedere la previa autorizzazione al relativo titolare. Incombe quindi, in linea di principio, al soggetto medesimo risarcire il danno connesso con tale riproduzione, finanziando il compenso che sarà corrisposto al titolare.

Ciò premesso, tenuto conto delle difficoltà pratiche per individuare gli utenti privati nonché per obbligarli a indennizzare i titolari dei diritti del pregiudizio loro procurato nonché in considerazione del fatto che il pregiudizio che può derivare da ogni utilizzazione privata, singolarmente considerata, può risultare minimo senza quindi far sorgere un obbligo di pagamento, come affermato nell’ultimo periodo del trentacinquesimo ‘considerando’ della direttiva 2001/29, è consentito agli Stati membri istituire, ai fini del finanziamento dell’equo compenso, un «prelievo per copia privata» a carico non dei soggetti privati interessati, bensì di coloro che dispongono di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione digitale e che, quindi, conseguentemente, di diritto o di fatto, mettono tali apparecchiature a disposizione dei soggetti privati ovvero rendono loro un servizio di riproduzione. Nell’ambito di un siffatto sistema, il versamento del compenso per le copie private incombe quindi a tali soggetti.

Certamente, in un siffatto sistema, i soggetti debitori del finanziamento dell’equo compenso non risultano essere gli utenti degli oggetti protetti, contrariamente a quanto sembra postulare il trentunesimo ‘considerando’ della direttiva 2001/29.

Si deve tuttavia rilevare che, da un lato, l’attività dei debitori di tale finanziamento, vale a dire la messa a disposizione degli utenti privati di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione, ovvero il servizio di riproduzione da essi prestato, costituisce la premessa di fatto necessaria affinché persone fisiche possano ottenere copie private. Dall’altro, nulla impedisce che tali debitori ripercuotano l’importo del prelievo per copie private sul prezzo della messa a disposizione di tali apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione ovvero sul prezzo del servizio di riproduzione da essi reso.

In tal senso, l’onere del prelievo incomberà in definitiva sull’utente privato che pagherà tale prezzo. Ciò premesso, l’utente privato a favore del quale vengano messi a disposizione dispositivi, apparecchiature e supporti di riproduzione digitale ovvero che si avvalga di un servizio di riproduzione deve essere considerato, in realtà, quale «debitore indiretto» dell’equo compenso.

Conseguentemente, tale sistema, considerato che consente ai debitori di ripercuotere il costo del prelievo sugli utenti privati e che, conseguentemente, questi ultimi assumeranno l’onere del prelievo per le copie private, deve essere considerato conforme al «giusto equilibrio» da realizzare tra gli interessi degli autori e quelli degli utenti degli oggetti protetti.

I principi esposti risultano acquisiti dalla giurisprudenza comunitaria.

In particolare, la Corte di Giustizia nella sentenza “Padawan” (sent. della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 21/10/10 nella causa C-467/08) ha chiarito innanzitutto che la nozione di equo compenso di cui all’art. 5 comma 2 lett. b) della direttiva 2001/29 costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che deve essere interpretata in modo uniforme in tutti gli Stati membri che hanno introdotto l’eccezione per copia privata.

La sentenza contiene alcune statuizioni particolarmente importanti:

– l’equo compenso deve essere commisurato al pregiudizio causato agli autori per effetto dell’introduzione dell’eccezione per copia privata (secondo i Considerando da 35 a 38 il compenso deve indennizzare adeguatamente gli autori per l’uso delle loro opere protette effettuato senza autorizzazione);

– la realizzazione della copia privata costituisce atto idoneo ad arrecare un pregiudizio per il titolare del diritto di autore;

– il compenso dovrebbe essere pagato da chi arreca il danno, e cioè dal soggetto che realizza, a fini di uso privato, la riproduzione di un’opera protetta senza chiedere l’autorizzazione;

– la difficoltà di individuazione degli utenti privati ed il minimo pregiudizio da loro arrecato, ove considerati individualmente, consente agli Stati membri di istituire un prelievo per copia privata a carico di coloro che dispongono di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione e che – di diritto o di fatto – mettono tali apparecchiature a disposizione dei soggetti privati ovvero rendono un servizio di riproduzione; la messa a disposizione degli utenti privati di apparecchiature idonee alla riproduzione costituisce la premessa di fatto affinché le persone fisiche possano ottenere copie private; i debitori del finanziamento potranno ripercuotere il costo del prelievo sugli utenti privati, perseguendosi in questo modo il giusto equilibrio;

– il sistema di finanziamento dell’equo compenso così strutturato presuppone che le apparecchiature, i dispositivi ed i supporti di riproduzione possano essere utilizzati per la realizzazione di copie private potendo, quindi, causare un pregiudizio all’autore dell’opera protetta;

– non è necessario che le apparecchiature abbiano in concreto arrecato il pregiudizio essendo sufficiente la loro potenzialità di riproduzione, potendo presumersi che le persone fisiche, disponendo di apparecchi idonei alla riproduzione, ne possano usufruire arrecando quindi un pregiudizio agli autori;

– la semplice capacità di tali apparecchiature e di tali dispositivi di realizzare copie è sufficiente a giustificare l’applicazione del prelievo per copie private (il 35° Considerando della direttiva menziona, infatti, come criterio utile alla determinazione dell’equo compenso, quello del pregiudizio eventuale, che ricorre nella semplice messa a disposizione della persona fisica di apparecchiature idonee alla riproduzione per scopi privati);

– il compenso spetta per gli apparecchi, i dispositivi o i supporti messi a disposizione dei soli utenti privati e destinati ad un uso personale e non professionale.

Svolte queste brevi premesse, è possibile passare ad esaminare le restanti censure.

Con il terzo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano – in estrema sintesi – il vizio di difetto di istruttoria, in quanto il compenso – destinato a indennizzare il pregiudizio -, sarebbe stato fissato senza accertare previamente in modo corretto l’entità del pregiudizio stesso.

Ritiene il Collegio che la censura non possa essere condivisa.

Così come evidenziato dalla documentazione depositata in atti e, in particolare, dalla Relazione illustrativa al D.M. impugnato, l’Amministrazione ha svolto una approfondita istruttoria in merito alla determinazione del quantum dell’equo compenso, anche per il tramite del parere del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore e la consultazione dei rappresentanti delle associazioni dei titolari dei diritti e i rappresentanti delle associazioni dei produttori di supporti e apparecchi nonché dei consumatori, rappresentati dal Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti [si veda la Relazione illustrativa alle pagg. 4-5 “Nel corso dell’audizione del 10 dicembre 2009, svoltasi presso la sede del Ministero per i beni e le attività culturali, in particolare, i rappresentanti delle associazioni intervenute hanno ribadito le posizioni espresse già nel corso delle audizioni svolte dal Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore, nel periodo giugno/settembre 2009. Nello specifico, i titolari dei diritti (percettori del compenso) hanno evidenziato la necessità di adottare, quanto prima, il decreto ministeriale di determinazione del compenso per ‘copia privata’ anche alla luce del fatto che, a causa del protrarsi del regime transitorio introdotto dal decreto legislativo n. 68 del 2003, l’industria culturale del nostro Paese è stata costretta a subire, per circa cinque anni, un notevole pregiudizio economico. I rappresentanti delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei produttori di supporti e di apparecchi hanno espresso una posizione di segno opposto, specie con riferimento all’inclusione tra gli apparati soggetti all’equo compenso di telefoni cellulari, di decoder, di computer e game console, ritenuti apparecchi non specificamente dedicati alla registrazione e memorizzazione di contenuti. Tali associazioni hanno, inoltre, criticato la proposta di adozione del criterio della capacità di memoria dei supporti per la determinazione del compenso (in quanto criterio ritenuto meno efficace rispetto a quello della percentuale sul prezzo di vendita) e hanno segnalato la necessità di escludere dal pagamento del compenso per copia privata prodotti ed apparecchi di uso strettamente professionale (cd. business use) da parte di privati e della Pubblica Amministrazione. Preoccupazione è stata espressa da tutte le imprese produttrici di supporti e apparecchi incisi dal compenso per copia privata per l’andamento economico del mercato e per la rilevante perdita di fatturato delle industrie del settore. Analoghe considerazioni sono state espresse dal rappresentante del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti, unitamente alla preoccupazione che tale compenso possa gravare indirettamente sui consumatori. Sulla base degli elementi informativi acquisiti nel corso dell’audizione del 10 dicembre 2009 e del parere reso dal Comitato permanente per il diritto d’autore in data 15 ottobre 2009, il Ministero per i beni e le attività culturali ha inteso, con il presente decreto, provvedere alla rideterminazione delle tariffe del compenso per copia privata, sulla base dei criteri dettati dalla legge e dell’esigenza di interesse pubblico di assicurare un equilibrato contemperamento tra le opposte esigenze rappresentate dagli esponenti delle categorie interessate, tenendo dunque conto, in particolare: 1) dell’apposizione, sulle opere protette dal diritto d’autore, delle misure tecnologiche di protezione di cui all’art. 102-quater della legge n. 633/1941; 2) della diversa incidenza della copia digitale rispetto alla copia analogica; 3) del confronto tra il sistema normativo-tariffario italiano e quelli dei principali Paesi e mercati europei ed, in particolare, di Francia, Germania, Spagna; 4) della capacità di memoria dei supporti di registrazione audio e video, che costituisce lo strumento di parametrazione del compenso più diffuso nei Paesi di area Euro; 5) della circostanza che il compenso in questione deve remunerare solo la successiva copia privata di un’opera e non la prima fissazione di contenuti, per i quali è stato corrisposto il diritto esclusivo di riproduzione; 6) del livello di utilizzo del prodotto da parte del consumatore finale per la copia privata di opere protette, sulla base degli studi commissionati dalla SIAE alle società G.P.F. e G.F.K.; 7) dell’onere che grava sul prezzo finale dei prodotti incisi in ragione della applicazione del compenso per ‘copia privata’; 8) più in generale, della necessità di realizzare un equo contemperamento di tutti gli interessi coinvolti e rappresentati dagli operatori dei settori interessati ed auditi”].

Dalla documentazione depositata emerge come l’istruttoria eseguita dall’Amministrazione sia stata più che approfondita essendo state acquisite autorevoli indagini di mercato, analisi economiche ed indagini comparative delle diverse normative vigenti in altri paesi dell’Unione (analisi di mercato svolte dalla società G.P.F. e G.F.K., dati pubblicati dalla società olandese Thuiskopie e relative ai compensi fissati in diversi paesi europei, analisi economica svolta dalla società Econlaw per conto del GESAC – Groupement Europeen des Societes d’auteurs et compositeurs); al procedimento hanno partecipato tutti le categorie interessate dal provvedimento, ivi comprese quelle incise dal provvedimento, e la fissazione del compenso è avvenuta dopo un’adeguata ponderazione degli opposti interessi, tant’è vero che l’importo finale è risultato di molto ridotto rispetto a quello proposto in origine dalla Commissione speciale istituita dal Comitato Consultivo Permanente per il diritto d’autore.

Più specificatamente, risulta dalla documentazione prodotta in giudizio che in sede istruttoria la società incaricata dello svolgimento delle indagini di mercato, ha acquisito anche le informazioni – ritenute dalle ricorrenti necessarie per la fissazione del compenso per le singole categorie di prodotti – relative alle abitudini dei consumatori italiani in materia di riproduzione delle opere dell’ingegno protette, tenendo conto anche della singola tipologia di apparecchio o supporto del quale si avvalgono per la riproduzione (cfr. studio G.P.F. depositato in giudizio sia dalle ricorrenti che dalla SIAE), mentre la società G.F.K. ha provveduto alla rilevazione dei dati di vendita dei prodotti idonei alla riproduzione privata sia in termini quantitativi che economici.

Inoltre, occorre considerare che sebbene il prelievo sia correlato al pregiudizio derivante dalla riproduzione, nondimeno l’individuazione del pregiudizio non può che essere prognostica, trattandosi di pregiudizio potenziale, in quanto non è possibile stabilire con certezza l’entità dell’effettivo danno derivante dalla copia privata, ed inoltre il pregiudizio per poter essere remunerato, non deve essere certo, ma meramente eventuale, e quindi derivante dalla sola messa a disposizione degli utenti finali di prodotti in grado di consentire la riproduzione delle opere protette (cfr. sentenza “Padawan” in precedenza richiamata).

Ne consegue che, tenuto conto di quanto chiaramente espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’istruttoria eseguita dall’Amministrazione appare più che adeguata ai fini della commisurazione del compenso.

Ne consegue l’infondatezza della proposta censura.

La reiezione del motivo di impugnazione consente di respingere anche la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non sussistendo dubbi sull’interpretazione della disciplina comunitaria, dopo la pubblicazione della sentenza “Padawan” (del 21 ottobre 2010 nel procedimento C-467/08).

Con l’ultimo motivo di impugnazione censurano specificatamente le ricorrenti la commisurazione del compenso.

Sostengono in estrema sintesi:

– che in base all’art. 1, lett. f) e all’art. 2 lett. r), s) e x) dell’Allegato tecnico gli apparecchi destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi sono stati ricondotti a “supporti” non tenendosi quindi conto della polifunzionalità prevista dalla legge per i soli apparecchi;

— che non sarebbe chiara la differenza tra le tre categorie previste dalle lett. r), s) e x), categorie per le quali sarebbero previsti compensi molto diversi tra loro;

— che nella lettera r) rientrerebbero apparecchi di sola riproduzione di audio e video ed apparecchi polifunzionali;

— che gli apparecchi più evoluti – perché in grado di svolgere molteplici funzioni – disporrebbero di una memoria maggiore e sarebbero quindi penalizzati, sebbene l’ampiezza della memoria dipenda dalla possibile utilizzazione per funzioni che nulla hanno a che fare con la riproduzione delle opere dell’ingegno.

Le censure sono infondate.

La legge sottopone a prelievo sia gli apparecchi che i supporti, e quindi i lettori Mp3 e Mp4 possono essere legittimamente ricondotti nell’ambito di quest’ultima categoria, tenuto conto della loro primaria finalità di registrazione.

Occorre infatti considerare, che i lettori Mp3 vengono essenzialmente utilizzati per la registrazione di audiogrammi e dunque vengono usati dagli utenti privati proprio per la riproduzione di files musicali.

La commisurazione del compenso alla capacità di registrazione della memoria fissa contenuta nel prodotto non appare quindi illogica.

Più complessa è invece la questione con riferimento ai prodotti più evoluti caratterizzati dalla polifunzionalità, quali sono ad esempio i prodotti Apple denominati “Ipod Touch”, che consentono non soltanto la riproduzione di audiogrammi, ma anche di videogrammi, e che presentano tutta una serie di funzioni diverse non direttamente connesse alla riproduzione di opere protette dal diritto di autore (macchina fotografica, videocamera, e così via); detti apparecchi dispongono di una capacità di memoria molto più alta e dunque sono assoggettati – in definitiva – ad un compenso più elevato, sebbene l’ampiezza della memoria dipenda anche dalla possibilità della fruizione di funzioni che nulla hanno a che vedere con la copia privata.

Secondo i ricorrenti, proprio per la loro polifunzionalità, non avrebbero potuto essere ricondotti alla categoria dei supporti, in quanto la legge non distingue tra supporti dedicati esclusivamente alla riproduzione e non (e dunque monofunzionali e plurifunzionali) così come avviene per gli apparecchi, con la conseguenza dell’omessa valutazione della loro polifunzionalità ai fini della corretta determinazione del contributo.

La tesi delle ricorrenti, assai suggestiva, non può essere accolta.

Anche i prodotti più evoluti come i lettori Mp4 possono essere legittimamente ricondotti alla categoria di supporti presentandone tutte le caratteristiche (si tratta infatti di prodotti utilizzati dagli utenti privati proprio per la duplicazione di files musicali o video, dotati di un’ampia memoria necessaria per la riproduzione) che vengono nella gran parte dei casi utilizzati in modo assolutamente prevalente per la riproduzione di audio e videogrammi.

Ne consegue che la loro qualificazione come supporti non appare in contrasto con la legge, atteso che l’art. 71 septies si riferisce sia alle memorie fisse che a quelle trasferibili, e dunque anche a quelle contenute stabilmente negli apparecchi di registrazione o memorizzazione, come correttamente rilevato nella Relazione illustrativa al decreto; inoltre già in precedenza il Legislatore aveva classificato detti prodotti (all’epoca i soli prodotti esistenti, e quindi gli Mp3) come supporti (art. 39 del D.Lgs. 68/03).

Peraltro, nella maggior parte dei paesi europei detti apparecchi vengono considerati come supporti ai fini della determinazione del compenso per copia privata.

Si tratta quindi di verificare se – effettivamente – la classificazione come supporti abbia comportato l’omessa considerazione della loro polifunzionalità ai fini della concreta commisurazione del prelievo.

E’ necessario a questo punto distinguere tra le tre categorie indicate nell’Allegato tecnico del decreto con le lett. r), s) e x), categorie secondo le ricorrenti non chiaramente distinguibili.

La lett. r) si riferisce alla “memoria o Hard Disk integrato in un apparecchio multimediale audio e video portatile o altri dispositivi analoghi”; la lett. s) riguarda invece la “memoria o Hard Disk integrato in un lettore portatile Mp3 e analoghi o altro apparecchio Hi Fi”; la lett. x) infine si riferisce ad una “memoria o Hard Disk integrato in altri dispositivi non inclusi nelle precedenti lettere con funzioni di registrazione e riproduzione di contenuti audio e video”.

La categoria di cui alla lett. x) è residuale e riguarda i prodotti non ancora in commercio, come chiarito dall’Amministrazione.

La categoria relativa alla lett. s) si riferisce ai lettori Mp3 e prodotti similari idonei alla registrazione e memorizzazione dei soli audiogrammi, mentre la categoria di cui alla lett. r) si riferisce, per l’appunto, ai prodotti più evoluti idonei alla riproduzione di files audio e video, categoria nella quale rientra chiaramente il prodotto Apple denominato Ipod Touch.

Secondo le ricorrenti la commisurazione del compenso in modo diverso per le varie categorie sarebbe del tutto illogica ed irrazionale, non essendovi differenza – ai fini del ristoro per il pregiudizio arrecato ai titolari dei diritti di autore – nella duplicazione di files vocali o di files video.

Ritiene invece il Collegio che proprio la differenza nella commisurazione del compenso per le due categorie consenta di superare la questione relativa alla cosiddetta “polifunzionalità”.

Se si confrontano in concreto le tariffe applicate ci si rende conto che per gli apparecchi Mp3 destinati in modo prioritario (quasi esclusivo) alla riproduzione, il compenso è più elevato rispetto a quello previsto per gli apparecchi più evoluti che sono caratterizzati da una pluralità di funzioni, alcune delle quali del tutto estranee alla copia privata.

Per detti apparecchi, caratterizzati da una capacità di memoria assai più elevata, il compenso non soltanto è più basso rispetto a quello previsto per i dispositivi di cui alla lett. s) (tranne che per gli apparecchi con memoria minima assimilabili quindi a quelli meno evoluti), ma aumenta in modo inversamente proporzionale con l’aumentare della capacità di memoria: in questo modo il decreto riesce a tener conto non soltanto della parziale notoria inutilizzazione delle memorie più ampie, ma anche dell’utilizzazione della memoria per funzioni estranee alla riproduzione di opere protette. Identico ragionamento può essere svolto con riferimento ai supporti non ancora esistenti sul mercato, che potrebbero avere ulteriori funzioni rispetto a quelle presenti negli apparecchi multimediali oggi in commercio (quelli di cui alla lett. x) dell’Allegato tecnico), per i quali sono stati previsti, infatti, – a parità di memoria con riferimento alla categoria r) dell’Allegato tecnico – compensi più bassi.

In sostanza, se si confrontano le tariffe previste per le due categorie relative ai prodotti oggi in commercio, ci si rende conto che a parità di memoria, un Ipod Nano (rientrante nella categoria di cui alla lett. s) dell’Allegato tecnico in quanto idoneo a riprodurre soltanto audiogrammi) è sottoposto ad un prelievo maggiore di un IPod Touch (che rientra nella categoria di cui alla lett. r) dell’Allegato tecnico); (ad es. per l’IPod Nano con 8 Gb di memoria è previsto un compenso di € 6,44, mentre per quello di 16 Gb è previsto un compenso di € 9,66, mentre per pari memorie in caso di IPod Touch gli importi sono fissati in €4,51 ed € 5,15); (lo stesso in caso di IPod Shuffle dotato di memoria di 2Gb per il quale è prevista la tariffa di €5,15 laddove nel caso di altro prodotto rientrante nella categoria di cui alla lett. r) l’importo sarebbe stato di € 3,86).

La ricorrente sostiene anche che la commisurazione del compenso in modo identico in caso di apparecchi in grado di effettuare riproduzioni audio e video, ed apparecchi dotati di ulteriori funzioni come i moderni IPod Touch sarebbe illogica, rientrando entrambi nell’ambito della stessa categoria (lett. r ) dell’Allegato Tecnico), non essendovi alcuna differenza tra riproduzione di audiogrammi e di videogrammi per le finalità del decreto (compensazione per la riproduzione di opere coperte da diritto di autore).

Ritiene il Collegio che le società ricorrenti non abbiano interesse a dedurre la censura, tenuto conto che – proprio per l’assimilazione di dette categorie di prodotti a quelli più evoluti dotati anche di funzionalità ulteriori rispetto a quelle di riproduzione – gli apparecchi dotati di capacità di riproduzione audio e video beneficiano di un compenso più basso rispetto alla pari capacità di memoria per prodotti riconducibili alla categoria di cui alla lett. s) (relativa ai riproduttori di soli audiogrammi).

In ogni caso, per quanto concerne più specificatamente i lettori audio e video dotati di memorie più ampie (quali gli IPod Classic, dotati di memorie pari a 160 Gb, in grado di riprodurre 40.000 canzoni, 200 ore di video secondo quanto pubblicizzato dalla stessa Apple nel proprio sito Apple store), ritiene il Collegio che l’importo del compenso (€16,10) – se commisurato alla enorme capacità di duplicazione delle opere protette – appare del tutto equo e proporzionato all’effettivo pregiudizio cagionato dall’utilizzo del materiale protetto.

Ritiene dunque il Collegio, che al di là delle classificazioni – supporto o apparecchio -, la concreta commisurazione del compenso sia stata effettuata in seguito ad un’approfondita istruttoria che ha tenuto conto di tutti gli aspetti, ivi compreso quello della polifunzionalità degli apparecchi più evoluti, con conseguente infondatezza delle proposte censure di violazione di legge e di eccesso di potere sotto tutti i diversi aspetti dedotti.

In conclusione, per i suesposti motivi,il ricorso principale deve essere respinto perché infondato.

La reiezione del ricorso principale comporta la declaratoria di improcedibilità del ricorso incidentale per difetto di interesse.

Ad ogni buon conto, il ricorso incidentale dovrebbe ritenersi comunque inammissibile.

L’ANICA per contestare la commisurazione del compenso avrebbe dovuto provvedere ad impugnare direttamente ed autonomamente il decreto, ove ritenuto lesivo dei propri interessi: il ricorso incidentale, infatti, presenta natura difensiva e conservativa e non può essere utilizzato per ottenere l’annullamento del decreto (cfr. Cons. Stato Sez. V 14/4/08 n. 1600; T.A.R. Campania Sez. I 1/3/2010 n. 1207).

Il ricorso incidentale, infatti, è deputato a svolgere la funzione di paralizzare la possibilità di accoglimento del ricorso principale, introducendo una ragione ostativa all’accoglimento delle censure dedotte (Cons.St., V, 14 aprile 2008, n. 1600) e, quindi, lo strumento incidentale “funziona” come un’eccezione: secondo l’opinione prevalente, invero, il ricorso incidentale, pur essendo formalmente un’autonoma azione di impugnazione, da un punto di vista sostanziale consiste in un’eccezione in senso tecnico in quanto mira a paralizzare l’azione principale e a neutralizzare gli effetti derivanti da un eventuale accoglimento del ricorso principale, in questo caso con l’obiettivo appunto di “ribaltare” la pronuncia in modo favorevole ad esso ricorrente incidentale e così lasciare – che è il punto fondamentale controverso – immutato il medesimo assetto di interessi garantito dal provvedimento oggetto di impugnazione (Cons. St., sez. IV, 21/4/2009, n. 2435).

Pertanto è inammissibile l’introduzione in via incidentale di una domanda diretta ad ampliare la materia del contendere, domanda che il soggetto interessato avrebbe avuto l’onere di proporre mediante un rituale ricorso autonomo.

Quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

così dispone:

respinge il ricorso principale e dichiara improcedibile il ricorso incidentale.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 12 luglio e 24 novembre 2011 nonchè 2 febbraio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Angelo Scafuri, Presidente

Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore

Floriana Rizzetto, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 02/03/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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