Unione europea e Ungheria : verso un nuovo caso «Haider» ?

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L’Ungheria pone a rischio i valori dell’Unione ?

“Il cambiamento che oggi abbiamo democraticamente determinato é comparabile solo a quelli che prima accompagnavano le rivoluzioni.(..) Gli Ungheresi hanno oggi dimostrato che bisogna credere alla democrazia.(…) Gli Ungheresi si sono oggi sbarazzati di un sistema di oligarchi abituati ad abusare le loro potere (…) Il nuovo governo sarà (tuttavia) modesto e umile..”.

Era solo il 25 aprile 2010 e queste frasi di Viktor Orban che festeggiavano i risultati delle elezioni che avevano attribuito al suo partito Fidesz più dei due terzi dei seggi in Parlamento risuonano oggi in modo ben diverso cosi’ come le previsioni di quanti vedevano in quella clamorosa vittoria elettorale l’occasione per la moneta ungherese di risollevarsi dalla crisi dalla quale il Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea l’avevano a fatica salvata nel 2008.
Ora non solo le relazioni tra UE e IMF sembrano avere raggiunto il loro punto più basso (a giudicare dalla recente interruzione dei negoziati con le autorità monetarie ungheresi) ma preoccupazioni anche maggiori stanno emergendo a livello europeo quanto alla compatibilità di diverse iniziative del Governo Orban con la protezione dei diritti fondamentali e il rispetto dei principi democratici.
Cosi’ il Presidente del Gruppo Liberale al Parlamento europeo Verohfstadt ha recentemente dichiarato che l’Ungheria non sembra più rispettare i “valori” che aveva sottoscritto al momento dell’adesione all’Unione europea, (« valori » che il Trattato di Lisbona ha reso ancora più espliciti (1); da cio’, secondo Verohfstadt la necessità di debba attivare la procedura di « allerta » prevista dall’art. 7 par. 1 del Trattato UE (2).

E’ solo il caso di ricordare che questa procedura che puo’ essere avviata anche dallo stesso Parlamento europeo , é intesa a verificare se « .. esista un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori » fondanti dell’Unione europea ed, in caso affermativo, a permettere al Consiglio di indirizzare raccomandazioni formali al Paese che sta smarrendo la « retta via » cosi da permettergli di ritornare nei ranghi.
Non si tratta quindi di una « opzione nucleare » come molti vorrebbero far credere quanti la confondono con la procedura prevista dal secondo comma dello stesso articolo 7 che puo’ portare all’adozione di sanzioni politicamente pesanti come la sospensione del diritto di voto di un paese membro, ma questo solo quando il Consiglio abbia constatato « …l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori » su cui si fonda l’Unione europea.

Eppure già il solo fatto di avere evocato il ricorso alla procedura « di allerta » ha già portato i gruppi politici del Parlamento europeo a schierarsi come già avvenuto in circostanze precedenti; il che renderà problematico l’avvio formale della procedura (3). Bisognerà quindi seguire il dibattito in aula e i lavori della commissione parlamentare competente (4) se questa sarà autorizzata dalla Conferenza dei Presidenti dei gruppi politici ad avviare la procedura, ma al di là dell’esito che sarà dato alla proposta del Presidente Verohfstadt, almeno per un osservatore esterno, non sono poche le ragioni di preoccupazione (e forse anche per molti cittadini ungheresi) che emergono dalle recenti iniziative ungheresi.

Tutelare il pluralismo in Ungheria (ma anche nel resto dell’Unione)

Il primo problema é quello della tutela del pluralismo e della libertà di espressione alla luce della recente normativa ungherese in materia. Già durante i lavori preparatori erano state sollevate forti riserve quanto ai poteri eccessivi riconosciuti al Garante a tutela di una informazione “equilibrata”, al carattere eccessivo delle multe per le emittenti operanti sul territorio ungherese, cosi come in materia di obblighi di registrazione e richieste di autorizzazione per i service providers o in materia di tutela della privacy. Questi ed altri aspetti erano stati discussi in presenza del Ministro ungherese dalla commissione parlamentare del Parlamento europeo ed in quella occasione la Commissaria Kroes si era impegnata ad ottenere dal governo ungherese le modifiche al progetto di legge all’esame del Parlamento nazionale.

Questo effettivamente avvenne, ma in taluni casi in misura solo formale, tanto che in fase di attuazione la legge è stata impugnata di fronte alla Corte Costituzionale Ungherese che il 19 dicembre scorso ne ha dichiarato la parziale illegittimità in particolare per le norme che imponevano ai giornalisti di rivelare le loro fonti. La Corte ha anche richesto che entro il 31 maggio 2012 sia abolita la figura del Garante, sia rimosso l’obbligo per la stampa di “rispettare la dignità umana” (almeno secondo la concezione definita dalla legge ungherese), e che le sue norme siano riscritte in un senso comaptibile con il rispetto della privacy.
Oltre al quadro normativo occorrerà anche verificare se la prassi seguita dalle autorità Ungheresi nei confronti delle emittenti che danno voce alle forze di opposizione sarà compatibile con gli standards europei che richiede che il rilascio delle licenze avvenga nel rispetto di procedure oggettive, trasparenti proporzionate e, soprattutto, non discriminatorie.

E’ evidente che questo tipo di problemi non si pone solo nel paese magiaro ed a buon ragione il Parlamento europeo ha colto l’occasione del caso ungherese per rimettere in agenda la questione più ampia della protezione del pluralismo in Europa cosi’ da pervenire a definire degli standard di riferimento per gli Stati membri in modo da evitare il ripetersi di questi « incidenti”.

Il tema del pluralismo dei media era già stato sollevato dall’assemblea di Strasburgo in particolare con una risoluzione del 2004 quando prendendo spunto da una sentenza della Corte Costituzionale italiana che denunciava i rischi per il pluralismo in Italia il Parlamento europeo aveva sollecitato la riforma del sistema radiotelevisivo richesta dalla Corte (tradottasi poi nella Riforma Gasparri), aveva preso in considerazione anche la situazione negli altri 14 Stati membri e aveva sollecitato la Commissione a definire un quadro di riferimento in materia di pluralismo dei media nell’Unione europea.

Tuttavia l’esecutivo di Bruxelles si é mosse con estrema prudenza vuoi per ragioni istituzionali (visto anche lo scarso entusiasmo da parte degli stati membri in Consiglio e la strenua resistenza di una forte minoranza parlamentare rappresentata dal PPE) vuoi per ragioni giuridiche (difficoltà di trovare di trovare a quel tempo una base giuridica specifica nei trattati sulla quale costruire un intervento normativo).

Certo, rispetto al 2004 almeno sul piano giuridico la situazione é cambiata in quanto il pluralismo é citato ormai esplicitamente nei “valori” dell’Unione ed é ripreso dall’articolo 11 della Carta che é ormai vincolante alla stregua dei Trattati e deve quindi essere presa in considerazione dal legislatore europeo quale che sia la materia nella quale deve intervenire. Sarebbe quindi ora teoricamente possibile definire una strategia legislativa europea che permetta all’Unione di intervenire con misure vincolanti che proteggano il pluralismo anche attraverso una combinazione di basi giuridiche collegate fra loro specie quando il media cui ci si riferisce é per sua natura transnazionale (basti pensare al fenomeno di internet).

Per queste o per altre ragioni, il caso ungherese sembra avere finalmente risvegliato l’interesse della Commissione che ha deciso di costituire un gruppo di lavoro di più commissari e di rilanciare i lavori di una una road-map in materia di pluralismo che prevede tra l’altro la messa in opera di un sistema di monitoraggio su base europea ed ha recentemente chiesto all’Istituto Universitario europeo di Firenze di procedere a una valutazione oggettiva della situazione negli Stati membri(5).

La riforma costituzionale ungherese nel contesto dello spazio pubblico dell’Unione

Il secondo, forse ancor più grave, problema é rappresentato dalla revisione costituzionale adottata dal Parlamento ungherese e che contiene numerosi elementi di ambigua portata non solo nel testo costituzionale ma anche nella trentina di leggi quadro che dovrebbero metterlo in opera.
I primi dubbi sulla compatibilità della nuova Costituzione Ungherese sono venuti questa volta dalla commissione giuridica dell’assemblea del Consiglio d’Europa che ha chiesto a un’organismo di rinomati costituzionalisti (la « Commissione di Venezia ») una analisi del progetto di testo. Da questa analisi () che é stata presentata anche al Parlamento europeo sono emerse diverse riserve e sospensioni del giudizio in attesa dell’adozione delle leggi quadro da parte del Parlamento Ungherese. Nelle sue conclusioni la Commissione di Venezia ha criticato
– il ricorso a leggi quadro (Cardinal laws) da adottare alla maggioranza dei due terzi e cio’ per evitare di “cementificare” politiche in campo culturale, religioso, morale socio-economico o anche solo finanziario;
– la limitazione dei poteri della Corte Costituzionale in materia fiscale e di bilancio poteri ormai attribuiti a un Consiglio di Bilancio con rischi potenziali per il rispetto del principio democratico;
– il carattere relativamente generico delle norme relative all’ordine giudiziario che dovrebbe trovare la propria autonomia protetta a livello costituzionale;
– l’incompatibilità con gli standard internzionali e la giursprudenza europea delle norme in materia di reclusione a vita ;
– le formulazioni relativamente generiche e la debolezza del quadro di protezione a livello costituzionale dei diritti fondamentali.
La Commissione di Venezia non ha inoltre perso l’occasione di criticare i riferimenti nel preambolo della Costituzione, alla protezione delle minoranze ungheresi al di fuori del territorio nazionale in quanto possibile elemento di tensione nelle relazioni fra-stati (tema sul quale si era già pronunciata nel 2001 in occasione di una diatriba Hungaro-Romena relativa sullo stesso argomento).

Questi ha a fine 2011 adottato le leggi quadro e la loro versione inglese é stata inviata anche ai servizi della Commissione che stanno ora esaminando la loro compatibilità con il diritto europeo.
Sul finire del 2011 infatti sia la Vice Presidente della Commissione Reding aveva chiesto conto delle norme che riducevano drasticamente l’età del pensionamento dei giudici e di quelle che limitavano l’indipendenza dell’autorità nazionale per la protezione dei dati, sia il Presidente Barroso aveva cercato di ottenere la revisione delle norme che limitavano l’autonomia della Banca Centrale Ungherese (e cio’ in contrasto con l’articolo 130 del Trattato (TFUE).
Le prime valutazioni dovrebbero già essere annunciate nel corso del dibattito al Parlamento europeo della settimana prossima e non é neppure da escludere che la questione sia nuovamente dibattuta dall’assemblea del Consiglio d’Europa e che questa rilanci l’esame della leggi quadro da parte della Commissione di Venezia.

La procedura di allerta di cui all’art. 7 par.1 come strumento per il rafforzamento dello spazio pubblico comune ?

A questo punto é interessante notare la diversità di approccio seguita rispettivamente dalla Commissione e dal Parlamento a fronte della questione ungherese.

Mentre il Parlamento europeo, come é logico, tende a privilegiare il dibattito politico-istituzionale che gli offre la possibilità di prendere posizioni pubbliche in materia (si veda la risoluzione del 10 marzo 2011 in materia di pluralismo dei media in Ungheria) la Commissione preferisce non avventurarsi tra gli scogli del dibattito politico e quindi anche delle procedure previste dall’art. 7 del Trattato di cui pure ha riconosciuto l’utilità (e perfino evocato l’esistenza in occasione del dibattito sui voli della Cia sul sul continente europeo).

Alle procedure politico istituzionali l’esecutivo di Bruxelles preferisce l’approccio diplomatico e, quando inevitabile, quello pre-giurisdizionale cosi’ da poter in ultima istanza contare sull’intervento della Corte di Giustizia. In coerenza con questo approccio la Commissione si concentra sull’esame di casi specifici di cattiva attuazione/non attuazione di norme di diritto derivato europeo e solo in rarissimi casi con riferimento diretto a norme del Trattato o della stessa Carta (come si prospetta per la questione relativa all’autonomia della Banca Centrale Ungherese in ossequio all’art. 130 del TFUE).

Cosi’ facendo pero’ la Commissione evita di irritare gli Stati membri ma priva in definitiva i cittadini di quegli stati membri della tutela indiretta e complementare che loro deriva dallo status di cittadini di una Unione europea fondata su valori che il loro stato mette a rischio.
Si puo’ ben capire che la ritrosia dell’esecutivo di Bruxelles deriva dalla difficoltà di mettere in causa la legittimità dell’azione di un Governo democraticamente eletto anche quando l’intervento esterno sia come nella procedura di “allerta” di “moral suasion” sotto forma di una o più raccomandazioni del Consiglio.
Probabilmente l’esecutivo di Bruxelles teme che cosi’ facendo l’Unione venga accusata di ingerenza negli affari interni e di violazione dell’obbligo di rispettare l’ «identità nazionale insita nella (loro) struttura fondamentale, politica e costituzionale” degli Stati Membri come sancito dall’art. 4 del TUE (6). Una simile paura sembra comunque eccessiva specie in una Unione europea che per definizione opera in un quadro di svranità condivisa e nel rispetto dei valori comuni ripresi dall’art 2 che perderebbero ogni credibilità se potessero essere posti a repentaglio con il pretesto della difesa dell’identità nazionale.

A trattenere la Commissione vi potrebbero anche essere ragioni di « realismo politico » secondo le quali il semplice annuncio della procedura di allerta determinerebbe una chiusura difensiva dello Stato in questione e quindi anziché favorire irrigidirebbe le rispettive posizioni allontanando l’obiettivo che si afferma di volere conseguire.

A sostegno di questa tesi la Commissione puo’ ricordare il rapporto dei Saggi che aveva posto fine l’8 ottobre 2000 al caso Haider e che aveva proprio dichiarato « controproducente » l’iniziativa presa alcuni mesi prima dagli altri 14 stati membri. Questi avevano unilateralmente « ostracizzato il quindicesimo stato membro per il timore che il neo-Ministro Haider di cui erano state rese note alcune dichiarazioni di tenore xenofobo e razzista potesse bloccare i lavori su delle proposte legislative in materia di non-discriminazione per la cui adozione era richiesta ‘l’unanimità.

Anche questi argomenti non sembrano pero’ reggere all’esame dei fatti. Certo il periodo di « ostracismo » non fu politicamente una passeggiata (soprattutto per le autorità austriache) ma, guarda caso, rese possibile l’adozione in tempo di record (con il voto austriaco) delle prime due Direttiva in materia di lotta alle discriminazioni (Direttiva 2000/43 e Direttiva 2000/78 favori’ probabilmente il lavoro della Convenzione incaricata della redazione della Carta dei diritti fondamentali (con la partecipazione convinta della delegazione austriaca) e, last but not least, a livello nazionale una perdità di popolarità del partito di Haider e la sua uscita dal governo.

Cio’ detto é probabilmente una buona cosa che la Commissione lasci al Parlamento europeo la responsabilità del ricorso a questo tipo di procedura proprio perché il suo senso ultimo é il rafforzamento di uno spazio politico comune dove dovrebbe essere normale aiutarsi reciprocamente e non dovrebbe essere considerato un delitto di lesa maestà essere richiamati all’ordine dai compagni di strada.
Questo già avviene del resto senza drammi (anche se con qualche tensione) nell’ambito della cooperazione di Schengen della lotta al terrorismo e ben presto in misura ancora maggiore e permanente in materia economica e monetaria. Sotto questo profilo non sarebbe facilmente comprensibile che ai valori mobiliari fossero trattati più seriamente di come vengono trattati i valori della democrazia, della libertà di espressione e della dignità della persona.

La costruzione di una vera comunità politica fra i cittadini europei (visto che anche i cittadini ungheresi sono tali) dovrebbe quindi realizzarsi oltre che nel Parlamento nazionale anche nel Parlamento europeo la cui legittimità deriva dal voto diretto di tutti i cittadini che, secondo l’art. 9 del Trattato, devono beneficiare di uguale attenzione da parte di tutte le istituzioni dell’Unione.Cio’ detto é evidente che per avere successo la procedura di allerta deve svolgersi nel rispetto reciproco e non trasformarsi in un occasione di scontro al solo fine della visibilità politica. Se questo avvenisse non solo si perderebbe di vista l’obbiettivo ma di toglerebbe credibilità alla comunità di valori cui si afferma di ispirarsi.

NOTE
(1) Trattato sull’Unione : Articolo 2 (in corsivo le inserzioni apportate dal Trattato di Lisbona)
L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

(2) TUE Articolo 7
(ex articolo 7 del TUE)
1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura.
Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.
2. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.
3. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.
Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.
4. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.
5. Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

(3) Il ricorso all’articolo 7 paragrafo 1 del Trattato é stato evocato anche in occasione dei lavori parlamentari sull’esistenza della rete Echelon (2000), dei voli della CIA sul territorio europeo (due iniziative convertite pero’ in due iniziative parlamentari sotto forma di due commissioni parlamentai temporanee) e in occasione dell’indagine sul rispetto del pluralismo in Europa e in particolare in Italia (convertita in una relazione di iniziativa adottata sempre nel 2004).
Il Parlamento europeo ha fatto riferimento all’art. 7 del Trattato anche in altre risoluzioni che censuravano il comportamento violento della polizia al G8 di Genova nel 2001, comportamenti omofobi o razzisti o gravemente discriminatori (es nel caso della popolazione ROM) da parte di membri dei Governi degli stati membri senza tuttavia avviare la procedura ordinaria per la difficoltà già citata di riunire i due terzi dei voti.

(4) Ai sensi dell’allegato VII del Regolamento interno del Parlamento europeo la commissione per le Libertà civili (LIBE) é competente per la procedura di “allerta” (art.7 p.1) mentre la commissione per gli affari costituzionali (AFCO) è competente in caso di sanzioni che possano privare lo stato membro del diritto di voto. Ai sensi del Trattato il Parlamento europeo puo’ prendere l’iniziativa solo nel caso della procedura di allerta e deve comunque votare con la maggiornaza dei due terzi che rappresentino almeno la maggioranza più uno dei membri.

(5)Taken from http://www.neurope.eu/article/commission-serious-about-media-pluralism: “The European Commission is establishing a Centre for Media Pluralism and Media Freedom in Florence with a €600,000 grant to the European University Institute’s (EUI) Robert Schuman Centre for Advanced Studies. Starting in December 2011, the centre will develop new ideas on how to ensure a highly diverse and free media, and work to enhance the quality of the reflection on media pluralism in Europe.(…) The Centre will carry out four specific activities: theoretical and applied research (working paper series, policy studies, observatory on media pluralism), debates, education and training activities (academic seminars, summer school) and dissemination of results and outcomes.”

(6) TUE Articolo 4
1. In conformità dell’articolo 5, qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.
2. L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro.
3. In virtù del principio di leale cooperazione, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati.
Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione.
Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione.

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