Non vi rubo l’anima, mi confronto con il registro delle opposizioni.

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Fabrizio Pilotto è un imprenditore veneto, con una storia interessante. Inizia molto giovane a lavorare per la rivista “Quattroruote”, poi nel 1992 fonda la sua azienda, la “Edipro”,  con la quale inizia a pubblicare periodici di free press e riviste per le amministrazioni locali (da segnalare anche la guida ai produttori italiani di oreficeria e gioielleria, distribuita all’estero).

Impegnato in politica con il Partito Radicale – durante la campagna elettorale del 1999 dette vita al più grande mailing nazionale per la Lista Bonino con 20 milioni di lettere invitate in 2 settimane – è stato candidato alla Camera per i Radicali nel 2001.

MediaLaws ha voluto chiedergli una breve opinione sul delicato tema del telemarketing. Per una volta, non sentiamo il parere dei giuristi, ma di quelli che fanno business.

Di seguito, quello che ci ha detto.

“Sono vent’anni che rompo le scatole”. Potrei definirmi così ma sarebbe un giudizio superficiale. Mi spiego: da circa venti anni sono amministratore di una società di direct marketing; è la comunicazione che prevede l’uso di un nome, cognome, indirizzo e numero telefonico. Non c’è un italiano che non abbiamo contattato per i nostri clienti fra mailing postale e telemarketing. Fino al 1996 per l’uso di questi dati non erano previste particolari regole. Ma non parlerei di anarchia, solo di disordine della libertà. Nel ’96 la legislazione ha sancito il diritto alla privacy ed è stata istituita l’autorità del Garante per tutelare questo diritto. È stato un passaggio delicato. Prima della legge sulla privacy si poteva contattare chiunque fosse presente nei pubblici registri (elenchi del telefono, liste elettorali ecc.) e dopo la legge, per una deformazione italica, c’è stato il rischio che si creasse in nome di un nuovo diritto un nuovo proibizionismo. C’ è stato un momento in cui non si poteva contattare nessuno, bisognava avere prima il consenso ma gli utenti non sapevano come darlo (o non sapevano che ci fosse la possibilità di darlo. Ora i dati presenti in un registro pubblico (telefonico) possono essere utilizzati e se un utente non vuole essere contattato può iscriversi al registro delle opposizioni. Modello anglosassone, un passo avanti! Per tutti gli altri dati, e-mail, cellulari, ecc.. serve un consenso esplicito.

Noi profiliamo i dati per scopi non malevoli ma commerciali. Costituiamo un insieme di dati a cui attribuiamo una predisposizione all’acquisto di certiprodotti o servizi. Il motivo è semplice; comunicare solo a chi possa essere interessato. Significa comunicare al meglio, far bene il proprio mestiere e questa non è manipolazione.

Secondo me il problema è altrove: è più pericoloso uno Stato che ti controlla, la pubblica amministrazione troppo invadente, le telecamere delle città che ti fissano e la riduzione dell’utilizzo del contante nei negozi e luoghi pubblici. (Il che significa rendere tracciabile anche il più insignificante acquisto) Per quanto riguarda la rete forse qui il diritto alla riservatezza è più importante che in altri luoghi. C’è una sorta di corto circuito umano e culturale, perché le persone si espongono consapevolmente, amano esibirsi ed esibire la propria vita privata, le proprie emozioni e i propri affetti. I dati online sono molto intimi e noi dobbiamo fare tutto il possibile per proteggerli. Ma prima di tutto qui le persone possono esprimere liberamente le proprie aspirazioni più profonde e magari riuscire arealizzarle: sembra “schizofrenia” ma è qualcosa di diverso che merita di essere compreso e tutelato.

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