Non sempre l’erba del vicino è più verde. A proposito della Delibera AGCom e sui modelli di notice and take-down nel diritto d’autore

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C’è grande agitazione in questi giorni per l’imminente pubblicazione della delibera dell’AGCom sugli strumenti di enforcement del diritto d’autore, annunciata per il prossimo 6 luglio (anche se si vocifera di un possibile slittamento).

Parte della dottrina è dell’avviso che alcune delle disposizioni che l’Autorità si appresta ad approvare siano incostituzionali e che, in generale, il provvedimento presenti più di una criticità. Allo stesso modo, il “popolo della rete” – espressione un po’ orrenda con la quale si è soliti riassumere bloggers e opinion makers delle questioni di internet – ha paventato un rischio di censura e si prepara a scendere in piazza.

Alla folla in protesta si è unito, da ultimo, anche il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, che, in una lettera alla Stampa (dove già avevano scritto sia Juan Carlos De Martin sia il presidente Calabrò), ha criticato i “troppi paletti alla fruizione delle informazioni e dei contenuti” che circolano in Rete.

Sulla sponda opposta, altra autorevolissima dottrina ha affermato che tali voci sarebbero eccessive, atteso che la nostra carta costituzionale proteggerebbe il diritto d’autore; altri ancora, in un recente convegno, hanno lamentato che gli strumenti di tutela del diritto d’autore esistenti non rispondano efficacemente ad una presunta emergenza del settore.

A nostro avviso, però, la verità è forse nel mezzo. È certo che la radicalizzazione delle opposte visioni non sta giovando al dibattito.

Una conferma di tale effetto è rappresentato dalle reazioni – forse eccessive e sicuramente connaturate da scarso fair play – che i Commissari dell’AGCom hanno riservato alle voci più critiche.

Probabilmente, sarebbe stato più opportuno provare a dialogare con maggiore serenità, senza evocare, da un lato, i mostri della pirateria, né, dall’altro lato, lo spettro della censura.

Quanto ai primi, ritengo che non sia seriamente in discussione – né mi sembra sia stata discussa – la tutela costituzionale del diritto d’autore. La lista degli articoli della Costituzione che, seppur indirettamente, riguardano il diritto d’autore è lunga: art. 2, sulla tutela della personalità dell’uomo; art. 4, sul progresso materiale o spirituale della società; art. 9, sulla promozione dello sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica; art. 21, sulla libertà di espressione; art. 33, sulla libertà dell’arte e della scienza; e, infine, seppur limitatamente ai diritti patrimoniali d’autore, art. 35, che tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Se non bastasse, si potrebbe poi ricordare che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 riconosce – oltre al diritto di proprietà – anche il diritto di ogni individuo “alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia l’autore” (art. 17). Similmente, a livello comunitario, la Carta europea dei diritti fondamentali, all’art. 17, nel riconoscere il diritto di proprietà sui beni acquistati legalmente, espressamente ammette, nel secondo paragrafo, che la “proprietà intellettuale è protetta”. Last but not least, la Corte di Giustizia, nella sentenza Laserdisken, ha incluso il diritto d’autore tra i diritti fondamentali.

In definitiva, discutere dell’inesistenza di una tutela costituzionale del diritto d’autore rischia di apparire esercizio piuttosto ozioso.

Piuttosto, occorrerebbe considerare il bilanciamento tra le diverse posizioni giuridiche e la complessa convivenza delle norme sul diritto d’autore con quelle in materia di tutela dei dati personali. Della questione se ne sono occupati diffusamente sia la Corte di Giustizia nel caso Promusicae, sia i tribunali nazionali (incluso il Garante per la protezione dei dati personali) nei casi Peppermint e Fapav.

Tale profilo, però, mi sembra che riguardi solo tangenzialmente la delibera dell’AGCom: nihil sub sole novi, quindi. Tuttavia, il problema del bilanciamento tra privacy e diritto d’autore c’è e non mi sembra sia stato opportunamente risolto.

Forse semplicisticamente, deve forse ammettersi che il diritto d’autore vada tutelato, ma che la tutela del diritto d’autore non può agire come un caterpillar, distruggendo qualsiasi altra posizione giuridica tutelata. Ripeto: il problema c’è, ma non lo si supera col muro contro muro.

Ritornando alla delibera AGCom, non mi sembra che giovi molto riproporre i dati sul calo dei mercati delle opere protette e sui danni che la pirateria starebbe arrecando all’intero sistema economico. Si tratta di affermazioni spesso dettate da sensazionalismo, che, altrettanto spesso, non rispecchiano i reali dati.

Un esempio è dato dal mercato cinematografico: per anni abbiamo assistito, prima dell’inizio delle proiezioni, ad una pubblicità “terroristica”, nella quale si tentava di dimostrare che duplicare illecitamente un film equivarrebbe a rubare. Dopo qualche anno scopriamo, grazie a statistiche fornite dagli stessi titolari dei diritti d’autore, che il mercato cinematografico è in crescita e che i maggiori frequentatori dei cinema sarebbero proprio i “pirati”.

Né di grande ausilio sono i dati del mercato della musica. Un mercato che, più di ogni altro tra quelli interessati dal diritto d’autore, è stato profondamente sconvolto dall’avvento di internet: non solo per il peer-to-peer (fenomeno peraltro in forte calo), ma per le modalità di fruizione delle opere discografiche. Un mercato, però, che è stato lentissimo nel recepire le novità e che ha continuato a ragionare secondo vecchi stereotipi: il lancio post-sanremese del disco in un mondo in cui i più giovani sono cresciuti con le playlist. Le barricate contro la pirateria mentre i più avveduti offrivano il proprio disco al prezzo deciso dagli acquirenti (Radiohead, che appena qualche mese dopo hanno lanciato una versione differente con bonus tracks e contenuti aggiuntivi) ovvero consentivano ai propri fan di comporre a loro piacimento il disco, facendo scegliere una dozzina di brani all’interno di una quarantina in offerta (Kaiser Chiefs).

Una discussione seria, non dettata da logiche strumentali e dalla necessità di difendere aprioristicamente e oltranzisticamente determinati interessi dovrebbe considerare questi aspetti e non innalzare steccati verso un mondo che, inevitabilmente e con buona pace delle case discografiche, è cambiato.

Se ci affacciamo sull’altra barricata, notiamo però dei toni non meno drastici. Il demone della censura, troppo spesso evocato, suscita l’attenzione del grande pubblico. Ma forse è eccessivo per il caso di specie: la censura è un tema serio, che andrebbe evocato con parsimonia. Il rischio, altrimenti, è di non riconoscere la censura nel momento in cui davvero si presenta.

Certo, è difficile negare che la risposta dell’AGCom alle consultazioni succedutesi nei mesi scorsi sia stata modesta, quasi che tali consultazioni non fossero mai esistite. Si è partiti con un’idea e con un modello di procedura e la si è portata avanti ad oltranza, senza ripensamenti. Tanto valeva non scomodare gli stakeholders e procedere sotto silenzio, senza neanche dare l’impressione di aver avviato un dibattito democratico.

Eppure le criticità della delibera sono numerose ed alcune, a mio modestissimo avviso, piuttosto evidenti, come già segnalato dagli osservatori più attenti e puntuali.

Innanzi tutto, il ruolo anomalo dell’AGCom, che è al tempo stesso legislatore e giudice: un offuscamento pericoloso della tradizionale ripartizione dei poteri, fondamento di tutti gli Stati democratici.

Ma non voglio scadere negli slogan, già ampiamente urlati dai guru di internet che si sono scoperti giuristi dell’ultim’ora, e preferirei parlare di aspetti più concreti.

È stato anche osservato che il procedimento previsto dalla delibera sarebbe poco rispettoso del diritto di difesa (ancora una volta un diritto costituzionalmente riconosciuto!) prevedendo un provvedimento preso inaudita altera parte ed assegnando solo cinque giorni ai destinatari del provvedimento stesso per proporre delle difese. La lettura degli artt. 41, 42 e 48 degli accordi Trips dovrebbero suggerire un repentino ripensamento almeno di questo punto.

In questo senso, mi sembra che vi sia un’altra questione, della quale poco si discute. Si parla molto di pirateria e di siti pirati (da ultimo l’ordinanza del tribunale di Roma nel caso Yahoo). Ma come si fa a decidere che si tratti davvero di pirati? È necessario un accertamento, compiuto da un’autorità giudiziaria, altrimenti si scade in una presunzione di colpevolezza, come mi sembra faccia la delibera AGCom.

Né mi sembra trascurabile un’ulteriore obiezione: il giudice chiamato a decidere sui reclami proposti contro i provvedimenti dell’AGCom è il TAR. Ossia un tribunale che non ha mai avuto alcuna competenza in materia di diritto d’autore: forse qualcuno ha dimenticato che, da quasi un decennio, esistono delle sezioni specializzate in materia di proprietà intellettuali? Non sarebbe stato opportuno coinvolgerle almeno in sede di reclamo?

Per quanto gli ideatori della delibera lo neghino, è evidente l’influenza giocata dalla famigerata legge francese Hadopi 2: una legge censurata inizialmente dal Conseil Constitutionnel, ma fortemente voluta dal presidente Sarkozy e dal suo consigliere Olivennes, capo della FNAC e finanziatore della campagna elettorale dello stesso Sarkozy. La legge, a meno di due anni dalla sua entrata in vigore, sta disattendendo le aspettative dei suoi fautori e si pensa già ad una sua modifica. Siamo davvero sicuri di voler prendere come parametro un modello giuridico che si sta rivelando del tutto inefficiente?

Non sarebbe allora stato preferibile riprendere – come forse già avrebbe dovuta fare la direttiva n. 31/2000 sul commercio elettronico – il modello di notice and take-down del Digital Millennium Copyright Act statunitense?

Stupisce, invero, che tale modello sia stato chiamato in causa da pochi, per lo più non giuristi. Ma come funzione effettivamente il notice and take-down nel diritto d’autore americano?

Nell’ordinamento statunitense, la notification è una comunicazione che il soggetto, che dichiara di vantare un diritto su di un’opera o un contenuto diffusi in internet, deve inviare agli ISP al fine di ottenere la rimozione del materiale o il blocco dell’accesso. La notification è un atto formale, che deve contenere i seguenti requisiti, dettagliatamente descritti nel § 512 (c)(3)(A): la sottoscrizione, fisica o elettronica, del soggetto che promuove l’istanza; l’identificazione dell’opera sulla quale il promotore dell’istanza vanta (o, almeno, dichiara di vantare) uno o più diritti esclusivi, violati dalla diffusione in Rete; l’identificazione del materiale diffuso che viola questi diritti e di cui si chiede la rimozione o il blocco dell’accesso; un indirizzo, un numero di telefono e, se disponibile, un e-mail, che consentano di contattare il soggetto che ha promosso l’istanza; una dichiarazione resa da quest’ultimo, nella quale si attesta che la complaining party ritiene, in buona fede, che la diffusione del materiale non sia autorizzata dal titolare del diritto (d’autore o connesso), da un suo agent o dalla legge; una dichiarazione nella quale si attesta che la notificazione è completa e che il soggetto che la propone agisce per conto del titolare del diritto violato.

Il DMCA prevede anche la possibilità che tutti i requisiti elencati non sussistano: in questo caso, laddove siano individuabili almeno gli elementi minimi, il prestatore intermediario dovrà rivolgersi al soggetto che ha presentato l’istanza e chiedergli di completarla.

A questo punto, il destinatario dell’istanza (ossia l’ISP) deve attivare la procedura di take down. Prima di rimuovere o disabilitare l’accesso al materiale, però, è necessario avvisare il gestore del sito nel quale è commesso il presunto illecito; quest’ultimo, se ritiene che la diffusione sia lecita e non leda alcun diritto di terzi, può a sua volta inviare una counter-notification, che deve contenere gli stessi requisiti formali della notification. L’ISP, in ogni caso, non è responsabile in caso di misrepresentation o qualora rimuova, in buona fede, contenuti ritenuti illeciti.

Il modello statunitense – sebbene non sia esente da criticità – appare una soluzione efficiente, dal momento che contempera le esigenze dei titolari dei diritti d’autore e connessi e quelle degli intermediari di internet, evitando, al contempo, che si determini un chilling effect o un restringimento dei diritti fondamentali degli utenti (come avviene in Francia, con la possibilità di vietare l’accesso alla rete internet agli autori degli illeciti). Né è un caso che le disposizioni del DMCA siano state riprese, con risultati molto convincenti, da alcune multinazionali (penso, in primo luogo, a YouTube).

Non sarebbe stato meglio “copiare” (come avrebbe già dovuto fare la direttiva n. 31 del 2000 sul commercio elettronico) un sistema che ha dato degli ottimi risultati, invece di crearne maldestramente uno nazionale?

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9 Comments

  1. Un paio di osservazioni.
    1 – In realtà la delibera agcom si rifà espressamente alla procedura di notice and take down usa, e lo dicono pure (best practices americane), prendendo interamente la prima parte ma non la seconda che da noi è meramente eventuale.
    2 – il modello usa non è recepibile in italia perchè da loro non esiste l’obbligo dell’azione penale, per cui in presenza di un reato si possono comunque mettere d’accordo. Da noi esiste, e le violazioni del copyright sono sostanzialmente tutti reati.
    3 – sarebbe interessante vedere da dove ha ricavato che il sistema usa ha dato buoni risultati. Dappertutto io ho letto il contrario. Se ci fornisce un dato, un rapporto, un link, una pezza d’appoggio alla sua affermazione, così che possiamo verificare il dato.

  2. Pingback: La notte della Rete per un’alba serena : Movimento ScambioEtico

  3. Pingback: La censura in Rete sarà servita da AGCom : Movimento ScambioEtico

  4. Giovanni Maria Riccio on

    Caro Sig. Neri,
    grazie innanzi tutto per le Sue osservazioni.
    Provo a risponderLe:
    1 – In effetti, ha ragione Lei. Marco Pierani l’ha, però, definita un notice and take down all’amatriciana e probabilmente ha ragione. A mio modesto avviso, il termine dei 5 giorni ed il mancato coinvolgimento del presunto autore dell’illecito costituiscono un vulnus alla procedura che l’AGCom si appresta a licenziare e una distanza significativa dal DMCA.
    2 – Qualche anno di frequentazione del diritto comparato, dovrebbe avermi insegnato (almeno questo) che i trapianti di norme vanno pensati con attenzione. Non a caso scrivo “copiare” tra virgolette. E non a caso sono spaventato dall’approccio di alcuni non giuristi. Se un cuore funziona in una scimmia, non è detto che funzioni in un uomo. Lo stesso vale per le norme giuridiche. Quindi i fattori da considerare sono tanti, giuridici ed extragiuridici, e non ho certo avuto la presunzione di tratteggiare, in due paginette, il modo in cui avrebbe dovuto comportarsi l’Autorità nel prendere a modello la legislazione nordamerticana. Mi sono limitato a dare un consiglio, provando a dare linfa al dibattito. Quanto alla Sua osservazione, anche in questo caso ha ragione (per quanto non vi sia un’esatta coincidenza, nell’ambito del diritto d’autore, tra Stati Uniti ed Italia tra condotte punite penalmente e quelle punite solo in sede civile). Ad ogni modo, non mi sembra che quanto Lei dice sia del tutto pertinente nel contesto che ci interessa. La natura penale – e l’obbligatorietà dell’azione – non riguardano l’intervento dell’AGCom, che, per fortuna, non è dotata di poteri di accertamento in sede penale. A mio modesto avviso, siamo al cospetto di una procedura di natura amministrativa, non di un accertamento di un illecito penale.
    3 – Vede, il mondo è bello anche perché varie sono le opinioni. E, in effetti, non tutti sono contenti del DMCA. Potrei dirLe che, nella mia esperienza professionale, mi sono imbattuto spesso sia nelle procedure del DMCA sia in quelle del CDA (Communications Decency Act). Ne ho ricavato l’impressione che le prime funzionino abbastanza bene; nel secondo caso, invece, ho dovuto costatare che, in caso di diffamazione, il CDA mette in condizione gli ISPs – che facilmente potrebbero risalire all’identità degli autori degli illeciti – di non far nulla. Capisco, però, che questa non è una “pezza d’appoggio”. Le consiglio, allora, la lettura di un articolo di Reichman, Samuelson e Dinwoodie (tutti colleghi ben più autorevoli di me), nel quale, sebbene si parli di alcuni aspetti controversi del DMCA – del resto mi sembra di dirlo a mia volta nel mio articoletto – si promuove sostanzialmente l’originario impianto normativo. L’articolo, del 1997, è disponibile qui: http://people.ischool.berkeley.edu/~pam/papers/reversenoticebtljfinal.pdf
    Molti cordiali saluti e ancora grazie per le Sue osservazioni.
    GMR

  5. Giovanni Maria Riccio on

    Caro Sig. Neri,
    innanzi tutto grazie per le Sue osservazioni.
    Provo a risponderLe.
    1 – Credo che Lei abbia ragione. Tuttavia, quello dell’AGCom è un notice and take-down un po’ all’amatriciana, come ha scritto Marco Pierani. L’assenza di una counter notification mi sembra sia un vulnus alla possibilità di replica dei presunti autori degli illeciti (convitati di pietra dell’intera procedura) e rappresenta una differenza importante rispetto al DMCA. Per non parlare del lasso temporale assegnato agli ISP.
    2 – Anche in questo caso Lei ha ragione (sebbene non via sia perfetta coincidenza, nella comparazione del diritto d’autore italiano e statunitense, tra materia penale e civile), ma il rilievo non mi sembra del tutto pertinente con la procedura di cui discutiamo. Quella dell’AGCom è una procedura amministrativa, l’Autorità non ha, per fortuna, poteri di accertamento dei reati. Peraltro, l’essere un comparatista mi ha insegnato – almeno questo – che i trapianti giuridici richiedono cautela. E, per questo motivo, suggerivo di “copiare” (tra virgolette) il notice and take-down del DMCA, consapevole del fatto che tutte l’imitazione giuridica richiede che si consideri il contesto – giuridico ed extragiuridio – nel quale si va ad innestare la norma. Il cuore che funziona in una scimmia, non è detto che funzioni anche in un uomo. Lo stesso vale con le norme giuridiche.
    3 – La vita è bella anche perché le opinioni sono varie. Potrei dirLe che, nella mia esperienza professionale, mi sono imbattuto sovente sia nelle procedure del DMCA sia in richieste di rimozione in caso di diffamazione. Come certamente saprà, in questo secondo caso il Communications Decency Act (CDA) consente che gli ISPs non comunichino al soggetto che presenta un’istanza l’identità dell’autore dell’illecito. Tutto questo non avviene, invece, nel caso di violazione del copyright. Però capisco che i miei trascorsi professionali non siano delle adeguate “pezze d’appoggio”. Le consiglio, allora, la lettura di un articolo di Greame Dinwoodie, Pamela Samuelson e Jerome Reichmann (colleghi senz’altro più autorevoli di me) nel quale si approva il meccanismo legislativo, ma si propongono anche dei possibili emendamenti (del resto anche io, a mia volta, avevo sottolineato che il sistema presentava alcuni difetti). L’articolo lo trova qua: http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1007817
    Molti cordiali saluti e ancora grazie per aver scritto.
    GMR

  6. Grazie della risposta, mi permetto una brevissima replica, approfittando della sua cortesia.

    2- L’autorità non ha poteri di accertamento di reati, però è obbligata a redigere verbale da inviare alla magistratura (art. 182 ter L. 633/1941), con le ovvie conseguenze!

    3- non volevo mettere in dubbio la sua competenza, ma trattandosi di materia molto controversa mi pareva utile un riferimento a studi sul punto. Io personalmente ho letto vari studi che mettono in dubbio che dal notice and take down siano usciti buoni risultati. Ad esemprio il documento della Electronic Frontier Foundation:
    http://www.eff.org/wp/unintended-consequences-under-dmca

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