Net Neutrality e “tariffe zero”: la convergenza delle esigenze democratiche e di mercato (Commento a CGUE, cause riunite C‑807/18 e C‑39/19, 15 settembre 2020)

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  1. Introduzione: ancora sullo zero rating

Con la sentenza in esame per la prima volta la Grande sezione della Corte di giustizia si è pronunciata sull’art. 3 del regolamento (UE) 2015/2120 (di seguito “Regolamento”) con riferimento ai principi della neutralità della Rete (Net Neutrality[1]) e dell’accesso a Internet[2]. Nello specifico, analizzando la querelle sorta fra la Telenor Magyarország Zrt. e l’ufficio nazionale dei media e delle comunicazioni ungherese (Nemzeti Média- és Hírközlési Hatóság Elnöke), la Corte si è soffermata sulla pratica del c.d. “zero rating” confermando quegli orientamenti e interpretazioni secondo cui le tariffe “zero rating” integrerebbero una pratica ammissibile solo in presenza di determinate condizioni motivate da esigenze tecniche e mai commerciali[3]. Diversamente, lo zero rating si porrebbe in contrasto col principio di neutralità della rete[4]. Sebbene molti interpreti e istituzioni si fossero già orientati per ritenere le pratiche di zero rating tendenzialmente contrarie al principio di neutralità della rete, l’esito della sentenza non era scontato in quanto tale pratica non è né menzionata né disciplinata in modo chiaro dall’art. 3 del Regolamento[5], sebbene risulti implicitamente subordinata al generale obbligo di non limitare, in maniera sostanziale, il diritto di scelta degli utenti[6].

Per zero rating si intende quella pratica di c.d. traffic management che si sostanzia in offerte e pratiche commerciali dirette a non computare il traffico generato da (o verso) particolari servizi o applicazioni (c.d. “zero-rated”) ai fini del raggiungimento delle soglie di consumo nelle offerte che prevedono l’imposizione di un “data cap” (ossia il massimo di connessione dati disponibile)[7]. La conseguenza di tali offerte è che l’utente potrà utilizzare solo alcuni servizi senza il timore di consumare dati utili per la navigazione e, quindi, tendenzialmente sarà portato a preferire l’utilizzo di questi servizi laddove l’utilizzo di altri, oltre a incidere sul consumo globale di dati disponibili, sarà possibile soltanto finché non si esaurisce il numero di “giga” a disposizione dell’utente.

Se questa è la pratica dello zero rating “pura e semplice”, quella analizzata dalla Corte prevede in realtà qualche elemento in più. Anticipando qui la questione, la pratica di zero rating posta in essere da Telenor su cui si è concentrata l’analisi della Corte consisteva nel vendere agli utenti un piano tariffario che gli riconosceva il diritto di utilizzare senza restrizioni un determinato volume di dati senza che da tale volume venisse detratto l’utilizzo di talune applicazioni e di taluni servizi specifici soggetti a “tariffa zero” e, una volta esaurito tale volume di dati, gli stessi avrebbero comunque potuto continuare a utilizzare senza restrizioni solo tali applicazioni e servizi specifici mentre qualsiasi altra applicazione o servizio disponibile sarebbe andato incontro a misure di blocco o di rallentamento del traffico[8]. Tale pratica è stata giudicata contraria al principio di neutralità della rete di cui all’art. 3 del Regolamento 2015/2120 in quanto limitativa dei diritti degli utenti finali (in contrasto con l’art. 3, par. 2) e basata su esigenze di carattere esclusivamente commerciale (in contrasto con l’art. 3, par. 3).

Già a una prima analisi risulta evidente come la neutralità della Rete, in generale, e la pratica dello zero rating, nello specifico, costituiscono il punto di contatto di più esigenze e interessi non sempre allineati: il diritto degli utenti ad accedere ai servizi offerti da Internet senza subire restrizioni ingiustificate, la libertà d’impresa che, come dice l’art. 41 Cost., non può però svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, infine l’interesse del mercato a una concorrenza libera e non falsata da accordi tra soggetti che già detengono un certo potere economico[9]. Se questo bilanciamento è complesso già in astratto, nel caso concreto la particolare pratica analizzata ha portato la Corte a valorizzare più l’aspetto della tutela dei diritti degli utenti finali che le pratiche commerciali, salvaguardando insieme alla concorrenza anche le conseguenze democratiche connesse alla Net Neutrality.

 

  1. La sentenza: lo zero rating nel contesto del Regolamento

Nell’affrontare la questione in esame, la Corte illustra dapprima le norme contenute nei vari paragrafi dell’art. 3 del Regolamento 2015/2120. Il paragrafo 2 di tale articolo stabilisce che gli accordi conclusi tra i fornitori di servizi di accesso a Internet e gli utenti, come anche le pratiche commerciali adottate da tali fornitori, non devono limitare l’esercizio dei diritti riconosciuti agli utenti finali dal paragrafo 1 dello stesso articolo. Tali prerogative degli utenti finali possono essere riassunte nel diritto di usufruire degli innumerevoli servizi online a cui si può accedere tramite Internet.

A sua volta, il paragrafo 3 prevede anzitutto che i fornitori di servizi di accesso a Internet trattino tutto il traffico dati allo stesso modo, senza discriminazioni, restrizioni o interferenze e a prescindere, in particolare, dalle applicazioni o dai servizi utilizzati (secondo il principio della la Net Neutrality). Successivamente il disposto in esame afferma che non è comunque impedito ai fornitori di servizi di accesso a Internet attuare misure di gestione ragionevole del traffico, precisando che, per essere considerate ragionevoli, tali misure devono essere trasparenti, non discriminatorie e proporzionate, nonché basarsi non su considerazioni di ordine commerciale, ma su requisiti di qualità tecnica del servizio. I fornitori di servizi di accesso a Internet non devono comunque bloccare, rallentare, alterare, limitare, interferire con, degradare o discriminare tra applicazioni, categorie di applicazioni, servizi o specifiche categorie di servizi, salvo che ciò non sia necessario, per un periodo di tempo determinato, o per conformarsi ad atti legislativi o per preservare l’integrità e la sicurezza della rete, dei servizi prestati tramite quest’ultima, nonché delle apparecchiature terminali degli utenti finali, oppure per prevenire una congestione della rete o mitigarne gli effetti.

In ogni caso, le uniche misure di gestione del traffico dati ammesse dalla norma sono quelle basate su «requisiti di qualità tecnica del servizio obiettivamente diversi di specifiche categorie di traffico» e non devono basarsi su «considerazioni di ordine commerciale»[10].

Ricostruita la norma principale del Regolamento, la Corte rileva che spetta alle autorità nazionali di regolamentazione determinare, caso per caso, se le pratiche di un determinato fornitore di servizi di accesso a Internet rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 del Regolamento con riferimento o al paragrafo 2, o 3 o di entrambe le disposizioni in via cumulativa e se siano compatibili con lo stesso[11]. Sicché, l’autorità nazionale di regolamentazione dovrà valutare l’integrazione delle condizioni previste dai paragrafi 2 e 3 dell’art. 3 e se le pratiche poste in essere dal fornitore siano idonee a limitare i diritti previsti dal suo paragrafo 1. Tuttavia, qualora l’autorità nazionale ritenga che la condotta di un determinato fornitore di servizi di accesso a Internet sia, complessivamente, incompatibile con l’articolo 3, paragrafo 3, del Regolamento, essa potrà astenersi dal determinare se tale condotta sia anche incompatibile con l’articolo 3, paragrafo 2, di detto Regolamento[12].

Come si avrà modo di evidenziare con più minuzia, nel caso di specie la pratica commerciale nel suo complesso, secondo la Corte, risulta incompatibile sia con il paragrafo 2 dell’art. 3, in combinato disposto con l’art. 1, in quanto “detti pacchetti, detti accordi e dette misure di blocco o di rallentamento limitano l’esercizio dei diritti degli utenti finali”, sia con il paragrafo 3 del medesimo articolo in quanto le suddette misure di blocco o di rallentamento risultano basate su condizioni di ordine commerciale e non tecnico come richiesto dalla norma[13]. Pertanto, come anche previsto dalle linee guida del Berec[14], l’incompatibilità dello zero rating con il Regolamento è conseguenza non solo del fatto che il fornitore di servizi di accesso a Internet abbia concluso accordi con gli utenti finali ai sensi dei quali il traffico consumato da alcune applicazioni non contribuisce a ridurre il volume di dati disponibile per la navigazione, ma anche del fatto che una volta esaurito tale volume di dati ogni altra applicazione o servizio diverso da quelli “zero rated” sarà oggetto di misure di blocco o rallentamento del traffico. Principio che in Italia era stato già ribadito dall’AgCom[15] per la quale le offerte zero-rated possono essere commercializzate a condizione che venga garantito, al raggiungimento del limite generale di traffico previsto dall’offerta, lo stesso trattamento a tutte le tipologie di traffico effettuato[16].

Quello che però in questa sede preme sottolineare è come questa forma di violazione della neutralità della Rete sia, per la Corte, rilevante dal punto di vista soprattutto della lesione dei diritti degli utenti finali.

 

  1. Mercato e democrazia alla base della Net Neutrality: la coincidenza degli opposti?

All’esito di tale veloce sintesi della sentenza si desume come il regolamento 2015/2120 sia stato interpretato partendo dalla volontà di tutelare il mercato unico e la concorrenza ma con l’obiettivo di assicurare anche una certa connotazione “egualitaria” dell’accesso a Internet, imponendo di «garantire un trattamento equo e non discriminatorio del traffico nella fornitura di servizi di accesso a Internet e tutelare i relativi diritti degli utenti finali. Esso mira a tutelare gli utenti finali e a garantire al contempo il funzionamento ininterrotto dell’ecosistema di Internet quale volano per l’innovazione». (Considerando 1, Regolamento). Questo appare evidente nelle parole dell’Avv. Gen. M. Campos Sánchez-Bordona: «il legislatore dell’Unione ha assunto la decisione politica di introdurre norme comuni che garantiscano l’“apertura di Internet” in tutti gli Stati membri evitando, tra l’altro, che gli utenti finali “riscontr[ino]blocchi o rallentamenti di applicazioni o servizi specifici dovuti alle pratiche di gestione del traffico”»[17] (enfasi aggiunta).

La dicotomia fra tutela del mercato e garanzia del più ampio accesso a Internet e ai suoi servizi ha trovato una sua importante esplicazione nella sentenza in esame che, tra i numerosi profili astrattamente coinvolti dal principio di neutralità della Rete, da quelli antitrust alla tutela degli utenti finali (vd. infra), sceglie di rafforzare soprattutto l’idea della garanzia di un Internet aperto e neutrale quale diritto degli utenti finali, in chiara contrapposizione al sistema statunitense dove invece la neutralità della Rete appare sotto stress[18]. Le conseguenze democratiche di un Internet aperto ed egualitario, soprattutto nella possibilità di diffondere e ricevere contenuti, è ormai tema abbastanza pacifico, ma forse per questo o per l’approccio ancora marcatamente economicistica della Corte di Giustizia non se ne trova espresso ed esplicito riferimento nella sentenza. In questo scenario, di rilievo risulta, tuttavia, sicuramente la necessità, ben percepita dal legislatore dell’Unione Europea, di evitare forme di limitazione ex ante nella diffusione di contenuti e nella loro fruizione da parte degli utenti finali, ossia forme di limitazione a livello di traffico e di accesso alla stessa rete Internet[19]. In questo senso il Considerando 6 del Regolamento è chiarissimo nel ritenere che «[g]li utenti finali dovrebbero avere il diritto di accedere a informazioni e contenuti e di diffonderli, nonché di utilizzare e fornire applicazioni e servizi senza discriminazioni, tramite il loro servizio di accesso a Internet». Inoltre se, nel contesto del Regolamento, al consumatore/utente è consentito contrattare bilateralmente regimi di velocità di traffico e anche scelte content-based, rispetto alle app a cui preferisce accedere, questa autonomia privata è esclusa in «situazioni in cui la scelta degli utenti finali è significativamente limitata nella pratica» (Considerando 7, Reg). La ragione di questa impostazione è certo legata alla asimmetria fra consumatore/utente e fornitore di servizi di traffico, ma anche sottesa a chiare finalità di antitrust e financo a istanze democratiche. Il controllo delle situazioni in cui è compresso e compromesso il diritto degli utenti finali (e quindi non solo del consumatore) al pluralismo informativo – perché di questo si tratta, in termini democratici – o al mercato libero senza eccessive barriere di ingresso o accordi che possano falsare la concorrenza – in termini economicistici – è rimesso alle autorità nazionali (art. 5, Reg. n. 2015/2120) che sono tenute a valutare se «accordi o pratiche commerciali potrebbero compromettere l’essenza dei diritti degli utenti finali» (Considerando 7, Reg.).

Quello che il sistema della Net Neutrality europea impone è dunque una vera è propria neutralità dei fornitori di servizio di traffico rispetto alle app e quindi ai contenuti: i fornitori dell’infrastruttura di Internet – o meglio i gatekeepers del traffico Internet – non possono discriminare un tipo di traffico Internet (quello di determinate app e servizi) rispetto ad altri. In questo senso trasmigra nel regolamento il principio di proporzionalità europeo, ove si ritiene che eventuali “discriminazioni” (parla di differenziazioni l’Avv. Gen. quando siano legittime) legate a ragioni tecniche debbano essere «trasparenti, non discriminatorie e proporzionate e non dovrebbero fondarsi su considerazioni di ordine commerciale» (Considerando 9, Reg. n. 2015/2020). La conseguenza di tali principi è chiaramente enunciata dal Considerando 11 (e trasposta nell’art. 3 par. 3 Reg.) che evidenzia un numero tassativo di casi in cui sia possibile porre in essere una discriminazione fra «specifici contenuti, applicazioni o servizi o loro specifiche categorie»[20]. Come già evidenziato, per contenuti “specifici” è poi possibile un rallentamento/blocco/limitazione/alterazione solo in ragione di: a) atti normativi e decisioni giudiziali; b) integrità e sicurezza della rete; c) gestire o prevenire congestioni della rete. Riecheggiano in questa dinamica le parole dell’art. 41 della Costituzione nella parte in cui ammette che l’iniziativa economica privata sia limitata quando in contrasto con l’utilità sociale o per tutelare valori come la libertà e dignità umana.

Rispetto a questo panorama normativo, la Corte ha così censurato la possibilità di garantire un regime preferenziale per determinati servizi di contenuto (app o servizi) predeterminato dal gestore di traffico mediante l’opzione “zero traffico”, in quanto lesiva dei diritti degli utenti finali e dell’apertura di Internet.

La questione di pregiudizialità[21] sollevata dal giudice magiaro riguardava l’interpretazione dell’art. 3 del Regolamento in relazione alla intricata interferenza fra autonomia privata del singolo utente e pratica commerciale di carattere generale: nel caso in esame sembra infatti potersi individuare un’offerta al pubblico che non consentisse variazioni dell’opzione “traffico zero” predeterminata, escludendo che essa potesse essere contrattata e variata in relazione alle app predilette dal singolo utente, in linea con la classica dinamica asimmetrica che spesso sottende la condizione del consumatore. In secondo luogo, i limiti dell’autonomia privata erano legati, nell’interpretazione del giudice ungherese, alla valutazione delle pratiche commerciali e del loro impatto sulla dinamica della net neutrality.

Come già detto nell’introduzione, rispetto all’applicazione dei diversi commi dell’art. 3 del Regolamento, la Corte sembra evidenziare come il combinato disposto dei paragrafi 2 e 3 dell’art. 3 del Regolamento[22] debba essere valutato in relazione alle attività commerciali poste in essere dai prestatori di servizi di rete da parte delle autorità nazionali, in prima istanza, scegliendo se partire dal comma 2 o dal 3 o leggendoli cumulativamente[23].Attraverso un uso imponente dei considerando del regolamento, la Corte enuncia la golden rule attraverso la quale si può limitare l’autonomia privata: «al considerando 7 del regolamento 2015/2120, tali accordi concretizzano la libertà di cui dispone ogni utente finale di scegliere i servizi tramite i quali intende esercitare i diritti garantiti da tale Regolamento, in funzione delle loro caratteristiche. Questo stesso considerando aggiunge tuttavia che siffatti accordi non devono limitare l’esercizio dei diritti degli utenti finali né, pertanto, permettere di eludere le disposizioni di detto regolamento che proteggono l’accesso a un’Internet aperta»[24]. In questo senso benché la suddetta motivazione abbia chiare implicazioni democratiche, in tema di pluralismo e accesso ai contenuti di tipo neutrale, la Corte focalizza maggiormente la sua attenzione sulla dimensione di mercato di questo Regolamento, rilevando per esempio come questa disciplina tuteli anche i professionisti – utenti finali[25] – che utilizzino altre app escluse dal servizio “zero traffico” e che potrebbero subire un nocumento nel vedersi precludere l’interazione con determinati consumatori e verrebbero incentivati a trasmigrare sulle app che godono di questo regime di favor.

In generale dunque l’analisi delle misure sviluppate dagli operatori di mercato deve essere scrutinata case by case al fine di determinare se nel singolo caso «gli accordi e le pratiche commerciali di tale fornitore determinino, in virtù della loro “portata”, situazioni in cui la scelta degli utenti finali è significativamente limitata, tenendo conto, in particolare, delle rispettive posizioni sul mercato dei fornitori di servizi di accesso a Internet e dei fornitori di contenuti, applicazioni e servizi interessati»[26]. Quindi, la valutazione dell’opzione “zero traffico” del caso di specie va effettuata alla luce del numero di accordi, alle loro conseguenze sulle app e sugli utenti, insomma valutando economicisticamente, anche in termini di concorrenza e antitrust, quale sia l’impatto sul mercato di tali accordi e pratiche[27].

Effettuate tutte queste valutazioni – che risultano il vero rationale della decisione – la Corte in due righe inquadra il caso in esame come inerente discriminazioni non tecniche, e quindi commerciali, e non rientranti nelle tre ipotesi di limitazione contenutistica consentite dal paragrafo 3 dell’art. 3 del Regolamento (norme; sicurezza; congestione)[28]. La conclusione – contenuta nel paragrafo 54 della sentenza – è solo una diretta conseguenza di quanto espresso dalla Corte: le offerte zero traffico come formulate dalle società ungheresi in causa sono incompatibili con i paragrafi 2 e 3 dell’art. 3 del Regolamento 2015/2120.

 

  1. (Prime) Osservazioni conclusive: la Corte tra tutela dell’utente e del mercato

La sentenza in commento, la prima sul tema della neutralità della Rete, risulta suscettibile di diversi approfondimenti al fine di valorizzare i vari profili affrontati dalla stessa, anche sulla scorta dei numerosi interessi coinvolti.

Il primo elemento che appare necessario evidenziare è come la concezione di regolamentazione del mercato di matrice unionale in tema di Net Neutrality – e quindi i limiti all’autonomia privata in sede contrattuale – sia funzionale alla tutela dei diritti online, a partire da quello di accedere in modo uguale agli innumerevoli contenuti e servizi offerti dalla Rete – irrimediabilmente connessi alla net neutrality e a una logica che escluda scelte content-based da parte dei fornitori di servizio di rete. Quello che, tuttavia, è opportuno rilevare è una certa prudenza della Corte a farsi giudice costituzionale, preferendo usare l’argomento della tutela del mercato rispetto a quello della garanzia dei diritti (politici, informativi, etc), in linea con la volontà non esplicitata (nascosta in piena di vista) del Regolamento di garantire attraverso la net neutrality il pluralismo.

Il secondo elemento è che la pronuncia, con i caveat visti nell’introduzione, acquisisce importanza non solo perché chiarisce che lo zero rating è una pratica suscettibile di violare il principio di neutralità della rete di cui all’art. 3 del Regolamento, ma anche perché, nel confermare gli orientamenti del Berec[29], non limita ma anzi riconosce la competenza e la piena discrezionalità delle autorità nazionali di regolamentazione in materia che da “convitati di pietra”[30] diventano così i veri “custodi” della neutralità della Rete.

 

 

[1] L’uso di tale dizione deriva da un saggio di T. Wu, Network Neutrality, Broadband Discrimination, in Journal of Telecommunications and High Technology Law, 2, 2003.

[2] L. Belli, C. Mardsen, European net neutrality, at last?, on MediaLaws, October 12, 2016 e M. Orofino, La declinazione della net-neutrality nel Regolamento europeo 2015/2120. Un primo passo per garantire un’Internet aperta?, in Federalismi.it, 2, 2016. Per considerazioni generali sull’accesso a Internet anche in rapporto al principio di neutralità della Rete si rimanda a M.R. Allegri, G. d’Ippolito (a cura di), Accesso a Internet e neutralità della rete fra principi costituzionali e regole europee, Roma, 2017 e al simposio sull’accesso a Internet sul sito di MediaLaws.

[3] Cfr. Body of European Regulators for Electronic Communications (BEREC), Guidelines on the Implementation by National Regulators of European Net Neutrality Rules, 30.08.2016 e L. Woods, Net Neutrality: New EU Regulatory Guidelines, in EU Law Analysis, 14 June 2016.

[4] Ex multis cfr. G. De Minico, “Net neutrality” come diritto fondamentale di chi verrà, in Costituzionalismo.it, 1, 2016, pp. 28 e ss. e F. Donati, Net Neutrality e zero rating nel nuovo assetto delle comunicazioni elettroniche, in T.E. Frosini, O. Pollicino, E. Apa, M. Bassini (a cura di), Diritti e libertà in Internet, Le Monnier, Firenze, 2017. La neutralità della Rete, come assenza di discriminazioni e obbligo dell’equo trattamento di tutto il traffico dati, è stata anche definita dall’art. 4 della Dichiarazione dei diritti in Internet come: «il diritto che i dati trasmessi e ricevuti in Internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone». Sulla Dichiarazione dei diritti in Internet si vedano: A. Alù, L. Abba (a cura di), Il valore della Carta dei Diritti in Internet, Napoli, 2020; A. Masera, G. Scorza (prefazione di S. Rodotà), Internet, i nostri diritti, Roma-Bari, 2016; G. De Minico, Towards an Internet Bill of Rights, in Federalismi.it, 2016; M. Bassini, O. Pollicino, Verso un Internet Bill of Rights, Roma, 2015; A. Morelli, I diritti e la Rete. Notazioni sulla bozza di Dichiarazione dei diritti in Internet, in Federalismi.it, 1/2015; S. Rodotà, Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli, Roma-Bari, 2014.

[5] I. Genna, Illecite le offerte telefoniche “zero-rating”, secondo la Corte di Giustizia Ue: ecco le conseguenze della sentenza, su AgendaDigitale, 17 settembre 2020.

[6] Sulla genesi in UE della normativa in materia di net neutrlaity e le origini dello zero rating, si veda: I. Genna, Breve storia del dibattito sulla net neutrality in Europa, in M.R. Allegri, G. d’Ippolito (a cura di), op.cit., 151-158.

[7] Nelle già citate linee guida il Berec, al § 40, ha definito lo zero rating nel seguente modo: «This is where an ISP applies a price of zero to the data traffic associated with a particular application or category of applications (and the data does not count towards any data cap in place on the IAS)». Si veda anche la Delibera n. 123/17/CONS dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni recante “Diffida alla società Wind Tre s.p.a. (già H3G s.p.a. e Wind Telecomunicazioni s.p.a.) in relazione alla corretta applicazione del regolamento (Ue) n. 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta”, p. 4, nonché la pagina dedicata sul sito Internet dell’AgCom, Zero rating e traffic management.

[8] La causa in oggetto riguardava infatti due pratiche commerciali (offerte di navigazione) con cui alcune società ungheresi garantivano a traffico dati esaurito una “tariffa zero” solo per alcune specifiche app, segnatamente Facebook, Facebook Messenger, Instagram, Twitter, Viber e Whatsapp per la prima offerta, e Apple Music, Deezer, Spotify e Tidal e sei servizi radiofonici per la seconda offerta. In questo senso, ai sottoscrittori di tali offerte era, dunque, consentito di mantenere l’utilizzo di un numero predeterminato di app anche nel caso di esaurimento del traffico dati ordinario, determinando una scelta preferenziale (parla di app privilegiate, l’avvocato Generale) per l’utilizzo di queste app rispetto ad altre app e servizi. Queste due offerte commerciali erano pertanto sospettate di incompatibilità con il Regolamento. CGUE, cause riunite C-807/18 e C-39/19, 15 settembre 2020, par. 18 ss. Per maggiori specifiche del servizio si vedano anche i paragrafi 10-18 delle Conclusioni Avv. Gen., cause riunite C-807/18 e C-39/19, 4 marzo 2020.

[9] A.M. Gambino, Tutela degli utenti versus libertà degli operatori, in M.R. Allegri, G. d’Ippolito (a cura di), op.cit., 146 ss: «il tema oggi è proprio questo. Quando mi si chiede di affrontare in pochi minuti il tema della tutela degli utenti contrapposta alla libertà degli operatori, certamente confermo che la libertà degli operatori non sempre collima con una tutela effettiva degli utenti. […] Forse dovremmo invertire i termini e parlare piuttosto di libertà degli utenti e tutela degli operatori».

[10] CGUE, cause riunite C-807/18 e C-39/19, 15 settembre 2020, par. 48.

[11] Proprio dall’autorità di regolamentazione ungherese (Nemzeti Média-és Hírközlési Hatóság) è originata la questione poi sottoposta alla Corte di giustizia. In Italia, invece, l’AgCom, nel contestare la violazione dell’art. 3 del Regolamento per alcune pratiche di zero rating, si è posta il problema della compatibilità con il medesimo articolo della prioritarizzazione di contenuti offerti tramite piattaforme appartenenti allo stesso fornitore di accesso ad Internet, ossia piattaforme “proprietarie” che realizzano quindi un’integrazione verticale. AgCom, Delibera n. 123/17/CONS – Diffida alla società Wind Tre s.p.a. (già H3G s.p.a. e Wind Telecomunicazioni s.p.a.) in relazione alla corretta applicazione del regolamento (Ue) n. 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta, 5.

[12] CGUE, cause riunite C-807/18 e C-39/19, 15 settembre 2020, par. 28.

[13] CGUE, cause riunite C-807/18 e C-39/19, 15 settembre 2020, par. 54.

[14] BEREC, op.cit., par. 41: «A zero-rating offer where all applications are blocked (or slowed down) once the data cap is reached except for the zero-rated application(s) would infringe Article 3(3) first (and third) subparagraph (see paragraph 55)».

[15] Analogo a quello della Corte di Giustizia era infatti il caso esaminato dall’AgCom in cui pure le offerte di zero rating determinavano, all’esaurimento del bundle dati, una diversità di trattamento tra il traffico “general purpose”, che risulta bloccato o rallentato, e il traffico verso le applicazioni zero-rated, che continua senza blocchi o rallentamenti. AgCom, Delibera n. 123/17/CONS – Diffida alla società Wind Tre s.p.a. (già H3G s.p.a. e Wind Telecomunicazioni s.p.a.) in relazione alla corretta applicazione del regolamento (Ue) n. 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta.

[16] A. Nicita, La neutralità della rete tra prospettive regolatorie e dilemmi irrisolti, in M.R. Allegri, G. d’Ippolito (a cura di), op.cit., 141: «L’unico divieto esplicito rinvenibile nelle linee guida del BEREC è quello più strettamente connesso al principio di non discriminazione del traffico, per il quale se l’ammontare di banda acquistata all’interno del forfait mobile viene esaurito, tutto il traffico deve interrompersi, compreso quello zero-rated».

[17] Conclusioni Avv. Gen., Cause riunite C-807/18 e C-39/19, 4 marzo 2020, par. 1

[18] Sull’approccio della FCC nell’era Trump rispetto alla Net Neutrality si veda: P. Damiani, The open Internet vs. net neutrality and the free Internet, in federalismi.it, 8, 2019 e N. Pisciavino, Net neutrality cancellata dalla Federal Communications Commission: quale futuro per Internet?, in www.dpceonline.it, 23 gennaio 2018. La questione aveva anche causato notevoli frizioni nelle dinamiche federali: si pensi alla legge SB 822 firmata dal Governatore della California Jerry Brown nel 2018. La partita della Net Neutrality sembra poi oggi riaprirsi con la nuova presidenza Biden, come evidenziato da fonti giornalistiche: T. Romm, Pressure builds on Biden, Democrats to revive net neutrality rules, in washingtonpost.com, 27 gennaio 2021.

[19] «Il quadro normativo esistente mira a promuovere la capacità degli utenti finali di accedere a informazioni e distribuirle, o di eseguire applicazioni e servizi di loro scelta. Tuttavia, un numero elevato di utenti finali riscontra blocchi o rallentamenti di applicazioni o servizi specifici dovuti alle pratiche di gestione del traffico» (Considerando 3, Reg. n. 2015/2020).

[20] «Qualsiasi pratica di gestione del traffico che ecceda le suddette misure di gestione ragionevole del traffico bloccando, rallentando, alterando, limitando, interferendo con, degradando o discriminando tra specifici contenuti, applicazioni o servizi o loro specifiche categorie dovrebbe essere vietata, fatte salve le eccezioni giustificate e definite di cui al presente regolamento. Tali eccezioni dovrebbero essere soggette a un’interpretazione rigorosa e a requisiti di proporzionalità. Dato l’impatto negativo che hanno sulla scelta dell’utente finale e sull’innovazione le misure di blocco o altre misure restrittive non rientranti nel novero delle eccezioni giustificate, è opportuno proteggere specifici contenuti, applicazioni e servizi e loro specifiche categorie». Considerando 11, Reg. n. 2015/2020.

[21] Si tratta in realtà di quattro questioni pregiudiziali. Si rimanda al testo della sentenza: CGUE, cause riunite C-807/18 e C-39/19, 15 settembre 2020, par. 22 e ss.

[22] Si veda però l’ampia disamina dell’Avvocato generale: Conclusioni Avv. Gen., Cause riunite C-807/18 e C-39/19, 4 marzo 2020, par. 58 e ss.

[23] CGUE, cause riunite C-807/18 e C-39/19, 15 settembre 2020, par. 28.

[24] CGUE, cause riunite C-807/18 e C-39/19, 15 settembre 2020, par. 33.

[25] Come peraltro già sottolineato dall’Avv. Gen: «Sebbene la terminologia possa sembrare fuorviante, la persona che si collega a Internet mediante i propri dispositivi, fissi o mobili, e chi fornisce i contenuti e le applicazioni sono “utenti finali” ai sensi della direttiva 2002/21 (e, per derivazione, del regolamento 2015/2120), in quanto accedono a Internet allo stesso modo: vuoi per procurarsi informazioni e contenuti di determinati fornitori, vuoi, nel caso di questi ultimi, affinché le loro applicazioni nonché i loro servizi e contenuti siano accessibili al pubblico». Conclusioni Avv. Gen., Cause riunite C-807/18 e C-39/19, 4 marzo 2020, par 34.

[26] CGUE, cause riunite C-807/18 e C-39/19, 15 settembre 2020, par 41.

[27] CGUE, cause riunite C-807/18 e C-39/19, 15 settembre 2020, par. 44 e ss.

[28] «Di conseguenza, tali misure risultano basate non su requisiti di qualità tecnica del servizio obiettivamente diversi di specifiche categorie di traffico, ma su considerazioni di ordine commerciale. Dall’altro lato, non risulta da alcun elemento del fascicolo che dette misure rientrino in una delle tre eccezioni tassativamente elencate all’articolo 3, paragrafo 3, terzo comma, del regolamento 2015/2120.» (par 53 e 54). In questo senso è naturalmente scartata, come già faceva l’Avvocato Generale, la posizione dei ricorrenti: «La separazione tra i paragrafi 2 e 3 dell’articolo 3 del regolamento 2015/2120 non riguarda la distinzione tra accordi (paragrafo 2), da un lato, e misure unilaterali (paragrafo 3), dall’altro, come sostenuto dalla Telenor, né la differenza tra condizioni commerciali (paragrafo 2) e condizioni tecniche(paragrafo 3), dato che il paragrafo 2 si riferisce sia alle une che alle altre». Conclusioni Avv. Gen., Cause riunite C-807/18 e C-39/19, 4 marzo 2020, par 63.

[29] BEREC, op.cit.

[30] A.M. Gambino, op.cit., 144.

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