Tra diritto all’oblio e libertà di informazione: la sussistenza dell’interesse pubblico alla diffusione di una notizia

Corte di Cassazione, sez. I civile, 20 marzo 2018, n. 6919

Il diritto all’oblio può subire una compressione a favore del diritto di cronaca solo qualora quest’ultimo sia esercitato in presenza di specifici e determinati presupposti che vanno, così, ad aggiungersi, per il suo lecito esplicarsi, alle condizioni previste dal decalogo del giornalista: il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine;  l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese.

 

SOMMARIO: 1. Premessa. Il caso. – 2. Il contesto. Cenni. – 3. La rilevanza del caso pratico nel bilanciamento tra oblio e libertà di informazione. Tra giurisprudenza civile e penale. –  3.1. Notorietà delle persone coinvolte e sussistenza di un interesse pubblico alla divulgazione; – 3.2. Tra giurisprudenza civile e penale. Diverse prospettive di bilanciamento.

 

1.Premessa. Il caso.

Quali sono i casi in cui un soggetto può pretendere che una notizia, per quanto in passato legittimamente diffusa, non resti indeterminatamente esposta alla possibilità di nuova divulgazione? In che termini può ritenersi sussistente l’interesse pubblico a che vicende proprie di una persona siano oggetto di (ri)pubblicazione, comprimendo, così, il diritto all’oblio del singolo in favore dell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di cronaca e critica?

Sono questi i temi al centro dell’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. I civile, 6 dicembre 2017[1], n. 6919 riguardante la nuova diffusione, a distanza di cinque anni dalla prima, di un servizio televisivo in cui veniva mostrata la reazione di un noto cantante che, raggiunto dalla troupe di un programma Rai fuori da un ristorante, rifiutava in modo secco e perentorio di rilasciare un’intervista. Tale episodio veniva così riproposto all’attenzione del pubblico – all’insaputa dell’artista – al solo fine di collocarlo all’interno di una classifica dei «personaggi più antipatici e scorbutici del mondo dello spettacolo».

Nel caso in esame, la Corte ritiene che un episodio del genere costituisca «un fatto del tutto inidoneo ad aprire un dibattito di pubblico interesse e – men che mai – rispond[a]quelle ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica o di interesse scientifico o didattico, che sole possono giustificare una nuova diffusione della vicenda da parte di una trasmissione televisiva. […] Il pregiudizio all’identità personale dell’artista, scaturente dalla violazione del diritto all’oblio, risulta pertanto del tutto evidente».

L’ordinanza in commento sembra così confermare un tendenza che vede la giurisprudenza civile e quella penale, pur partendo imprescindibilmente entrambe dall’analisi del caso concreto e della sua rilevanza pubblica, bilanciare in modo differente i diversi principi in gioco: libertà di manifestazione del pensiero, un lato, diritto all’oblio e diritti della personalità alla cui tutela il primo è funzionalmente volto, dall’altro.

 

2.La definizione del contesto. Cenni.

Il diritto all’oblio[2], quale «giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni arrecati dalla reiterata pubblicazione di una notizia, pur legittimamente divulgata in passato»[3], sorge e si affina nell’ambito di un rapporto di reciproca limitazione tra i diritti della personalità[4] – e, tra questi, quello all’identità personale[5], all’onore, alla reputazione[6] e alla riservatezza, sempre più intesa quale specificazione del diritto all’autodeterminazione informativa[7] – e la libertà di manifestazione del pensiero[8].

Quest’ultima, per il tema che qui interessa, viene in considerazione nella sua declinazione di cronaca[9] e critica[10] giornalistica, le quali, come noto, perché possano lecitamente esplicarsi devono rispettare tre condizioni: 1) la verità dei fatti narrati; 2) la forma civile dell’esposizione degli stessi e della loro valutazione; 3) la sussistenza di un pubblico interesse alla conoscenza della notizia[11].

Sono requisiti, quelli indicati, strettamente connessi[12] e in composizione variabile a seconda che si eserciti un diritto di cronaca o di critica. Se nel primo caso è la verità dei fatti ad assumere carattere determinante, nella critica, invece, i limiti scriminanti si rinvengono primariamente nella rilevanza sociale dell’argomento trattato e nella correttezza delle espressioni adoperate: tale diritto, infatti, si differenzia essenzialmente da quello di cronaca in quanto si concretizza «nell’espressione di un giudizio e, più in generale, di un’opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva»[13] e asettica, ma che ha, per sua natura, carattere congetturale[14]. Pertanto, purché il nucleo e il profilo dei fatti pubblicati non sia strumentalmente travisato e manipolato[15], la critica, per non presentare profili di illiceità, deve limitarsi a non trascendere in attacchi e aggressioni personali diretti a colpire sul piano morale la figura del soggetto interessato[16]; la continenza dell’espressione, in questo senso, è valutata con riferimento alla forma e alle modalità comunicative utilizzate. Mai in relazione al contenuto: essa, pertanto, «non può essere evocata come strumento oggettivo di selezione degli argomenti sui quali fondare la comunicazione dell’opinione, selezione che, invece, spetta esclusivamente al titolare del diritto di critica»[17].

Rispetto alle tre condizioni così individuate, è sulla pertinenza che incide il diritto all’oblio: la ripubblicazione di una notizia, invero, non deve solo rispondere a un’esigenza di pubblico interesse, ma altresì a una sua (nuova o persistente) attualità[18].

Appare evidente, dal quadro così sinteticamente delineato, che non sia possibile astrarre una regola che consenta di definire, una volta per tutte, le situazioni in cui la libertà di manifestazione del pensiero o il diritto all’oblio siano destinati a prevalere. Tutti i diritti in gioco, infatti, mostrano una struttura dinamica e flessibile, adattabile a realtà diverse e destinata a mutare a seconda della notorietà del personaggio, delle caratteristiche dei fatti in relazione ai quali quest’ultimo invoca di essere dimenticato e del modo di intendere la loro rilevanza pubblica[19]. Nulla toglie, però, che, guardando alle pronunce susseguitesi in questi ambiti, siano riscontrabili alcune tendenze, tutte confermate dall’ordinanza in commento.

 

3.La rilevanza del caso pratico nel bilanciamento tra oblio e libertà di informazione. Tra giurisprudenza civile e penale.      

La Corte di Cassazione, dopo aver ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento osserva che, affinché possa valutarsi una compressione del diritto all’oblio in favore di quello di cronaca, il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia a un dibattito di pubblico interesse può inferirsi solo dalla necessità di garantire – anche a distanza di molto tempo – «ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui». In tali casi, invero, l’interesse della collettività a conoscere «questi fatti è immanente nella preminente rilevanza del personaggio e/o degli accadimenti che lo riguardano, e come tale si protrae nel tempo, o si riaccende quando un evento […] rende di viva attualità quelle vicende risalenti».

Il diritto all’informazione, al contrario, non può prevalere se, come nel caso da cui l’ordinanza trae origine, la diffusione di una notizia risponde solo a un mero interesse divulgativo, economico e commerciale del soggetto che ne dispone la pubblicazione.

Dall’iter argomentativo seguito dalla Corte sembrano così emergere due aspetti: in primo luogo, come detto, si ribadisce che sono solo le peculiarità del singolo caso concreto e lo scopo informativo che si propone chi rivendica il diritto di diffondere una notizia a definire la sussistenza di un pubblico interesse alla sua pubblicazione; in secondo luogo, poi, si conferma una tendenza che vede nella giurisprudenza civile una maggiore attenzione a forme di tutela del diritto all’oblio rispetto a quella penale, più orientata a garantire effettività ai diritti di cronaca e di critica.

 

3.1 Notorietà delle persone coinvolte e sussistenza di un interesse pubblico alla divulgazione.

In un’epoca in cui la legge generale e astratta non trova più giustificazione integralmente in se stessa e non è più in grado di risolvere le tensioni e le imperfezioni che si riscontrano in ogni società attraverso un sistema di garanzie stabili e definitive[20], la tutela degli interessi coinvolti è rimessa all’interpretazione giuridica che, nel suo essere mossa da finalità essenzialmente pratiche, è chiamata a una regolamentazione delle diverse fattispecie il più adeguata possibile alle aspettative che la dinamica dei diversi rapporti sociali richiede[21].

È solo a partire dal singolo caso, pertanto, che è possibile definire quando possa configurarsi un effettivo interesse pubblico alla conoscenza di certe notizie[22], quando esso possa essere considerato attuale e in che termini, sulla sua sussistenza, possa incidere la notorietà[23] di chi invoca la tutela del proprio diritto all’oblio: invero, quanto a quest’ultimo aspetto, più la vita di una persona è strettamente connessa a quella del contesto sociale di appartenenza, più l’interesse a che la notizia che la riguarda possa far parte della memoria collettiva[24] diventa rilevante, fino a prevalere rispetto alla protezione della riservatezza[25].

Nell’ordinanza in commento la Corte di Cassazione esclude che nella fattispecie in esame possa prevalere la libertà di informazione rispetto all’oblio, proprio perché la riproposizione in televisione, a distanza di cinque anni, del rifiuto di rilasciare un’intervista da parte del cantante, in alcun modo può costituire un rilevante interesse per la collettività.

Si segna, in questo modo, una netta distanza tra la vicenda sottoposta all’attenzione della Corte e altri episodi, alla base di pronunce da quest’ultima richiamate, fondati su fatti criminali, connessi a interessi economici o politici preminenti o volti alla «salvaguardia dell’ordine pubblico o della sicurezza delle persone»; rispetto a essi, afferma la Corte, l’interesse pubblico a conoscerli – anche a distanza di molto tempo – è immanente.

Se scopo informativo, contenuto della notizia e notorietà dei personaggi coinvolti sono i fattori che devono orientare l’opera dei giudici, a partire dall’ordinanza in commento emerge – e si conferma – l’individuazione di alcune condizioni la cui sussistenza consente di indirizzare l’esito ermeneutico nel senso, a seconda dei casi, della prevalenza della libertà di informazione o del diritto all’oblio.

Interessanti spunti, utili per definire il quadro entro cui l’ordinanza si muove, sono offerti dalle Linee guida relative alla corretta applicazione della sentenza Google Spain, adottate il 26 novembre 2014 dal Gruppo di lavoro Articolo 29. In tale documento si stabilisce, infatti, che il diritto all’oblio non è invocabile qualora le notizie di cui non si vuole una nuova divulgazione riguardino persone caratterizzate da un ruolo pubblico e si riferiscano «ai reati più gravi»[26].

Pronunce successive, tanto interne quanto provenienti da organi di giurisdizione internazionali, avallano questa impostazione (talvolta estendendone la portata anche oltre il presupposto della gravità del fatto criminoso): ad esempio, è negato il diritto all’oblio rispetto a fatti collegati a episodi di terrorismo, risalenti al 1975 e riconducibili a soggetti che nell’attualità, lungi dall’adottare un profilo di riservatezza, scelgono consapevolmente di svolgere attività pubblica in ambito politico-sociale[27] o in relazione a vicende che, pur risalenti al 1997, riguardano la commissione di reati gravi e rispondono all’esigenza, da considerarsi preminente, di descrivere in modo analitico le origini del fenomeno mafioso[28]; ancora, il diritto di cronaca è ritenuto prevalente anche nel caso in cui il nominativo di una persona che sia tornata a ricoprire incarichi pubblici o di rilevante interesse economico dopo essere stata coinvolta in procedimenti penali, compaia nuovamente, anche non necessariamente in veste di indagato, nell’ambito di inchieste giudiziarie relative a reati analoghi[29].

Coerente, in tal senso, è, poi, la sentenza pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Fuschsmann c. Germania[30]. Si conferma, in questo caso, che il mantenimento nel tempo o la riproposizione di una notizia che associ un soggetto a un contesto criminale costituisce, nei limiti del rispetto di alcuni criteri precisamente individuati[31], un legittimo esercizio della libertà di espressione.

Questi stessi principi, in ultimo, sono fatti propri anche dal Garante della Privacy che, proprio nella connessione tra rilevanza penale dei fatti rispetto ai quali si invoca l’oblio e ruolo pubblico rivestito dalle persone coinvolte, individua l’impossibilità di tutelare il diritto degli interessati a essere dimenticati[32].

Nulla di tutto ciò riguarda la vicenda da cui trae origine l’ordinanza in commento: pertanto, nell’interpretare il contenuto della notizia e nel considerare lo scopo meramente divulgativo e di intrattenimento della sua diffusione, la Corte esclude la sua rilevanza pubblica e garantisce tutela al diritto all’oblio del personaggio coinvolto.

 

3.2. Tra giurisprudenza civile e penale. Diverse prospettive di bilanciamento.

Nell’accordare tutela al diritto a essere dimenticato – e quindi all’identità personale e alla riservatezza – del cantante interessato dalla vicenda, la Cassazione conferma, altresì, come la giurisprudenza civile e quella penale, con riferimento a questi temi, sembrino aver trovato punti di equilibrio differenti.

La prima, infatti, nel suo essere la sede nel cui ambito il diritto all’oblio ha trovato le prime forme di riconoscimento, tende a valorizzare maggiormente i diritti del singolo alla riservatezza, al controllo sui propri dati e all’identità personale.

Interpretando gli artt. 7 e 11 del d.lgs 196/2003, invero, essa è andata progressivamente a orientare le proprie pronunce partendo da un assunto preliminare: ciascuno può pretendere che le informazioni che lo riguardano siano trattate in modo conforme ai criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza allo scopo, esattezza e coerenza con la propria attuale ed effettiva identità personale o morale [33]. Sono criteri, quelli indicati, espressione di principi generali di «solidarietà sociale» dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità[34]. In tal senso, pur in presenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti divulgati, della loro corrispondenza al vero e di una forma civile di esposizione degli stessi, dal momento che «al soggetto cui i dati pertengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio», non può determinarsi un’automatica compressione di quest’ultimo per il sol fatto della sussistenza di condizioni che renderebbero legittimo l’esercizio dei diritti di cronaca e critica: anche in questi casi è, invero, necessario effettuare una valutazione di proporzionalità, da compiersi in relazione al concreto atteggiarsi dei diritti in contrapposizione[35], tra la libertà di informazione e la lesione che il diritto ad essere dimenticati subirebbe dal lecito esercizio della prima.

L’attenzione che si può rinvenire in sede civile nei confronti dei diritti della personalità – se pur diversamente orientata in funzione del caso concreto e delle sue caratteristiche -, appare molto più lieve se si guarda alle sentenze pronunciate in sede penale: la giurisprudenza penale, invero, nel ribadire che la libertà di espressione deve essere la regola e la sua limitazione una circoscritta eccezione[36], tende generalmente a far sì che, valutata la sussistenza dei requisiti[37] che consentono di configurare le esimenti della cronaca e della critica e appurata l’esistenza di un interesse pubblico –  persistente o rivitalizzato[38] – alla conoscenza della notizia, possa ritenersi «giustificata la violazione di quell’aspetto della dignità – riservatezza che è definito diritto all’oblio»[39]. Una notizia dotata di utilità sociale, quindi, perde rilevanza penale, ancorchè sia capace di ledere l’altrui reputazione, e rende legittimo l’esercizio della libertà di informazione.

Il diritto a essere dimenticati, in conclusione, sembra ribadire la Corte di Cassazione, si muove sul sottile filo che lega la tutela dei diritti della personalità, il diritto di cronaca e la memoria collettiva, all’interno di un panorama informativo che risulta influenzato da continue trasformazioni; trovare il giusto bilanciamento tra queste diverse esigenze è un compito particolarmente complesso che incide sul modo di intendere la democratica evoluzione delle moderne società che, da un lato, fanno del pluralismo delle informazioni e della conoscenza critica il loro pilastro fondamentale e, dall’altro, non possono prescindere dalla tutela della personalità del singolo nelle sue diverse espressioni.

 

 

[1] Pubblicata in data 20 marzo 2018.

[2] In dottrina, sul diritto all’oblio si vedano ex multiis E. Gabrielli (a cura di), Il diritto all’oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997, Napoli, 1999; T.A.Auletta, Diritto alla riservatezza e “droit à l’oubli”, in G. Alpa – M. Bessone – L. Boneschi – G. Caiazza (a cura di), L’informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983, 127 ss.; A. Masaracchia, Diritto alla riservatezza e “droit à l’oublii”, in Giurisprudenza costituzionale, 1997, 3018 ss.; G. Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in Rivista di diritto civile, 1990, 801 ss.; M. R. Morelli, Oblio (diritto all’), in Enciclopedia del diritto., Agg., VI, Milano, 2002; M. Mezzanotte, Il diritto all’oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Napoli, 2009; A. Mantelero, Il diritto all’oblio dalla carte stampata a Internet in F. Pizzetti (a cura di), Il caso del diritto all’oblio, Torino, 2013, 145; in giurisprudenza si segnalano: Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259, in Giurisprudenza italiana, 1985, 762; Cass. civ., sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro italiano, 1998, 123 e nel merito Trib. Roma 27 novembre 1996, in Giustizia Civile, 1997, 1979 ss. e Trib. Roma, ord. 27 novembre 1996, in Diritto d’autore, 1997, 372 ss.

[3] Cass. civ., sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679.

[4]. Cfr ex multiis A. De Cupis, I diritti della personalità, Milano, 1959; D. Messinetti, Personalità (diritti della), in Enciclopedia del diritto, Milano, Vol. XXXIII, 1983, 355; P. Rescigno, Personalità (diritti della), in Enciclopedia Giuridica, Roma, Vol. XIII, 1990; F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1997; M. Ricca Barberis, Diritti della personalità e loro estensione, Modena, 1956; E. Capizzano, I diritti tipici della personalità, Napoli, 1972; P. Perlingieri, Informazione, libertà di stampa e dignità della persona, in Rassegna di Diritto Civile, 1986, 624.

[5] Formula sintetica per contraddistinguere il «soggetto da un punto di vista globale nella molteplicità delle sue specifiche caratteristiche e manifestazioni […] e per esprimere la concreta ed effettiva personalità individuale [dello stesso]quale si è venuta solidificando […] nella vita di relazione». Cass. civ., sez. I, 22 giugno 1985, n. 3769.

[6] V. Zeno-Zencovich, Onore e reputazione nel sistema del diritto civile, Napoli, 1985, 343. Cfr. anche V. Zeno-Zencovich, Onore, reputazione e identità personale, in G. Alpa – M. Bessone (a cura di), La responsabilità civile, Torino, 1987; G. Santini, Onore (diritto civile), in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1965, XI, 685 ss.

[7] F. Pizzetti, Il prisma del diritto all’oblio, cit. 30. Il diritto alla riservatezza inizia ad essere declinato anche in termini di potere di controllo sui propri dati personali che devono rispecchiare esattamente l’identità attuale dell’interessato (c.d. autodeterminazione informativa). Precursore di qualsiasi disciplina nazionale è l’art. 8, par. 1, della CEDU. Cfr. CEDU, Gaskin c. Regno Unito, ric. 10454/83 (1989); Z. c. Finlandia, ric. 22009/9325 (1997); Sidabras c. Lithuania, ric. 59330/00 (2004).

[8] Nei suoi collegamenti con i diritti della personalità, ex multiis e senza alcuna pretesa di esaustività. C. Chiola, Manifestazione del pensiero (libertà di), in Enciclopedia giuridica, Roma, XIX, 1990; P. Perlingieri, Informazione, libertà di stampa e dignità della persona, in Rassegna di diritto civile, 3, 1986, 624 ss.; L. Rossi Carleo, Il diritto all’informazione nei suoi aspetti privatistici, in Rassegna di diritto civile, 2, 1984, 129 ss.; A. Pace – M. Manetti, Art. 21: la libertà di manifestazione del proprio pensiero, in G. Branca – A. Pizzorusso, Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 2006; P. Barile – S. Grassi, Informazione (libertà di), in Novissimo Digesto Italiano, Torino, Appendice, IV, 1983, 196 ss.; P. Barile , Libertà di manifestazione del pensiero, in Enciclopedia del diritto, Milano, XXIV, 1974, 424 ss.; A. Loiodice, Informazione (diritto alla), in Enciclopedia del diritto, Milano XXI, 1971, 472 ss.; P. Ceretti, Pensiero (libertà di), in Novissimo Digesto italiano, Torino, XXII, 1965, 865 ss.; V. Crisafulli, Problematica della libertà di informazione, in Il Politico, 1964, 285 ss.; S. Fois, Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, Milano, 1957; F. Carnelutti, Diritto alla vita privata. Contributo alla teoria della libertà di stampa, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1953, 3 ss.

[9] Il diritto di cronaca ha trovato un primo riscontro giurisprudenziale nei primi anni Sessanta come causa di giustificazione ex art. 51 c.p. dei reati contro l’onore e la reputazione. Cfr. Cass. pen., sez. V, 5 marzo 1960, n. 103, in Giustizia Penale, 1961, II, 103 ss. e, in dottrina, A. Pace – F. Petrangeli, Cronaca e critica (diritto di), in Enciclopedia del diritto, Milano, 1991, 306 ss.

[10] Cfr. A. Pace – F. Petrangeli , Cronaca e critica (diritto di), cit., 303 ss.; M. Pelissero, Diritto di critica e verità dei fatti, in Rivista italiana di diritto penale, 1992, 1227 ss.; E. Vincenti , Esercizio del diritto di critica e diffamazione a mezzo stampa, in Giurisprudenza di merito, 1990, II, 120 ss.; A. Nappi, Ingiuria e diffamazione, in Enciclopedia giuridica, Roma, 1989, XVII, 8; cfr. anche Cass. pen., sez. V, 18 febbraio 2004, n. 11920 e Cass. pen., sez. un., 30 maggio 2001, n. 37140, Cass. pen., sez. V, 6 novembre 2001, n. 13685; Cass. pen., sez. V, 8 febbraio 2000, n. 3477.

[11] Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259. In dottrina, cfr. S. Pugliatti, Conoscenza e diritto, in Enciclopedia del diritto, Milano, IX, 1961, 45 ss.; A. Falzea, I fatti di conoscenza, in Aa.Vv., Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, Milano, 1978, I, 533 ss.; G. Catalisano, Il ruolo del diritto di cronaca e di critica nell’attività giornalistica: profili di diritto dell’informazione, Milano 2013, 18.

[12] Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2005, n. 2271 e Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 2004, n. 23366; cfr., inoltre, Cass. civ., sez. III, 29 agosto 1990, n. 8963.

[13] Cass. pen., sez. V, 2 luglio 2004, n. 2247. Cfr. anche Cass. pen., sez. V, 16 dicembre 1998, n. 935 Cass. pen., sez. V, 14 aprile 2000, n. 7499; Cass. pen., sez. V, 26 settembre 2016, n. 25518.

[14] Cass. pen., sez. V, 28 ottobre 2010, n. 4938.

[15] Cass. pen., sez. V, 6 febbraio 2007, n. 11662.

[16] Cass. pen., sez. V, 6 novembre 2001, n. 13685. Cfr. anche G. Ballarini, Profili giuridici dell’informazione. Cronaca, critica e satira, in Giustizia Civile, Milano, 2007, 422.

[17] Cass. pen., sez. V, 9 marzo 2015, n. 18170; Cass. pen., sez. V, 15 luglio 2010, n. 36602.

[18] Cass. civ., sez. I, 9 aprile 1998, n. 3679. Quanto a tale ultimo aspetto, pur nelle differenze riscontrabili, in relazione all’esito del bilanciamento tra i principi in gioco fra giurisprudenza civile e penale, risulta particolarmente chiara una pronuncia della Cass. pen., sez. V, 24 novembre 2009, n. 45051, che sottolinea come attualità della notizia e attualità dell’interesse pubblico costituiscano risvolti diversi «di una delle condizioni alle quali è subordinato l’esercizio del diritto di cronaca o di critica» e che, sostanziando il presidio costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero, possono giustificare il sacrificio dei diritti della personalità: se, però, il decorso del tempo incide sul carattere attuale del fatto storicamente determinato, non necessariamente influenza anche la rilevanza pubblica della notizia che, al contrario, può persistere o, venuta meno per un certo periodo, può riattualizzarsi, imponendo un contemperamento con il diritto all’oblio nel frattempo maturato.

[19] Cass. pen., sez. un., 30 maggio 2001, n. 37140. G. Ballarini, Profili giuridici dell’informazione. Cronaca, critica e satira, cit. 417.

[20] P. Prodi, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna, 2000, 12.

[21] G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2009, 189.

[22] Cass. civ., sez. I, 27 maggio 1975, n. 2129. Era già stata la pretura di Roma, con sentenza del 25 gennaio 1979 in Il Foro italiano, 1975, 1155 ss., a individuare i criteri applicati dalla giurisprudenza nell’ammettere la legittimità di molte rievocazioni storiche: notorietà e attenzione della collettività per le vicende nel periodo in cui queste sono accadute, interesse storico a esse correlato, attualità dell’interesse generale al riesame dei fatti.

[23] Afferma la Corte, in Cass. pen., sez. V, 6 ottobre 2015, n. 6911, che la trasmissione, da parte di un giornalista che abbia assunto la posizione di terzo osservatore, di dichiarazioni, espresse da un personaggio noto, lesive della reputazione di un’altra persona nota, è lecita proprio in considerazione della notorietà degli individui coinvolti; ancora, Cass. pen., sez. V, 26 settembre 2014, n. 48712, Cfr. anche CEDU, Mengi c. Turchia, ric. 13471/05 (2013). Importanti, poi, sono le Linee Guida adottate il 26 novembre 2014 relative all’attuazione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea Google Spain c. Google in tema di diritto all’oblio che sanciscono la «prevalenza dell’interesse generale del pubblico ad avere accesso alle informazioni quando l’interessato esercita un ruolo pubblico, anche per effetto della professione svolta e dell’albo professionale a cui è iscritto».

[24] A. Mantelero, Il diritto all’oblio dalla carta stampata a Internet, in F. Pizzetti (a cura di), Il caso del diritto all’oblio, Torino, 2013, 150.

[25] A. Pace – M. Manetti, Art. 21. La libertà di manifestazione del proprio pensiero. Onore e reputazione, cit. 280 ss.; P. Nuvolone, Cronaca (libertà di), in Enciclopedia del diritto, Roma, IV, 424 ss.; in giurisprudenza, cfr. Cass. pen., sez. V, 26 giugno 2003, n. 27778; Cass. pen., sez. V, 2 aprile 2004, n. 15595.

[26] «As a rule, DPAs are more likely to consider the de-listing of search results relating to relatively minor offences that happened a long time ago, whilst being less likely to consider the de-listing of results relating to more serious ones that happened more recently. However, these issues call for careful consideration and will be handled on a case-by-case basis».

[27] Trib. Milano, 18 giugno 2015, n. 7610.

[28] Trib. Torino, 14 luglio 2015, n. 4977.

[29] Trib. Milano, 19 agosto 2014, n.10258. Si veda, in ultimo, anche Cass. civ., sez. I, 3 agosto 2017, n. 38747.

[30] CEDU, Fuchsmann c. Germania, ric. 71233/2013 (2017). La vicenda trae origine dal caso di un uomo d’affari ucraino, Boris Fuchsmann, residente in Germania, amministratore di società televisive, su cui il New York Times, nel 2001, aveva pubblicato un articolo riguardante il suo coinvolgimento in attività di corruzione finalizzate proprio a ottenere licenze televisive in Ucraina. Con sentenza emessa nell’ottobre scorso, la Quinta Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo rigetta il ricorso di un cittadino tedesco, proposto sulla base dell’art. 8 CEDU; l’uomo sosteneva che il rifiuto di oscurare un articolo online lesivo della sua reputazione violasse il suo diritto al rispetto per la vita privata.

[31] La Corte richiama espressamente i criteri sanciti in recenti decisioni: CEDU, Couderc e altri c. Francia, ric. 40457/2007 (2015); CEDU, Axel Springer AG c. Germania, ric. 39954/2008 (2012); Von Hannover c. Germania, ric. 40660/2008 (2012).

[32] Provvedimento del 6 ottobre 2016 [doc. web: 5690378] in cui si afferma che nonostante i fatti oggetto di cronaca risalgano al 2006, sussiste il preponderante interesse pubblico al reperimento di notizie relative a reati particolarmente gravi, quali quelli commessi dal ricorrente a danno della sanità regionale, atteso anche l’attuale interesse dei mezzi di comunicazione di massa e dell’opinione pubblica verso tutti i reati contro la pubblica amministrazione; provvedimento del Garante Privacy n. 4988654 del 31 marzo 2016 in cui si è negato il diritto all’oblio per un ex- terrorista: «nonostante il decorso del tempo dall’accadimento dei fatti, sussiste il preponderante interesse pubblico al reperimento di notizie relative ad una delle pagine più buie della storia italiana, i c.d. “anni di piombo”, nella quale il ricorrente è entrato a far parte a pieno titolo macchiandosi di reati di matrice terroristica eversiva dell’ordine democratico». Provvedimento del 24 marzo 2016 [doc. web: 5242797] sotto il profilo del ruolo rivestito dall’interessato nella vita pubblica, «la professione di avvocato esercitata dal ricorrente deve essere considerata “un ruolo pubblico” […] e che le notizie […] su presunte condotte certamente immorali oltre che illegali, quali la circonvenzione di incapace, hanno una indiscutibile rilevanza pubblica, quantomeno al fine di tutela del pubblico rispetto a comportamenti pubblici o professionali impropri».

[33] Cass. civ., sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525; Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2000, n. 6877; Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10690.

[34] cfr. Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3651; Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 2006, n. 23273; Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2007, n. 3462; Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2011, n. 9404.

[35] Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2013, n. 16111; Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1998, n. 5658.

[36] Cass. pen., sez. V, 9 marzo 2015, n. 18170.

[37] Cfr. Cass. pen., sez. V, 19 gennaio 2011, n. 1454; Cass. pen., sez. V, 4 marzo 2005, n. 15986.

[38] Cass. pen., sez. V, 24 novembre 2009, n. 45051.

[39] Cass. pen., sez. I, 2 aprile 2015, n. 13941.

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