Il difficile bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio: la soluzione delle sezioni unite

Corte di Cassazione, sez. un. civ., 22 luglio 2019, n. 19681

Va ribadita la rilevanza costituzionale sia del diritto di cronaca che del diritto all’oblio; quando, però, una notizia del passato, a suo tempo diffusa nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, venga ad essere nuovamente diffusa a distanza di un lasso di tempo significativo, sulla base di una libera scelta editoriale, l’attività svolta dal giornalista riveste un carattere storiografico; per cui il diritto dell’interessato al mantenimento dell’anonimato sulla sua identità personale è prevalente, a meno che non sussista un rinnovato interesse pubblico ai fatti ovvero il protagonista abbia ricoperto o ricopra una funzione che lo renda pubblicamente noto.

In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (nella specie, un omicidio avvenuto ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva, reinserendosi poi positivamente nel contesto sociale)

 

Sommario: 1. Il caso. – 2. Sulla tutela della libertà di espressione. – 3. Sul diritto all’oblio. – 4. Sul bilanciamento delle sezioni unite

 

  1. Il caso

Il ricorrente (attore nei giudizi di merito) impugnava avanti alla Corte d’appello di Cagliari la sentenza del Tribunale di Cagliari che aveva ritenuto legittima la pubblicazione di un articolo apparso sul quotidiano l’Unione Sarda rievocativo – a ventisette anni di distanza – dell’uxoricidio che lo stesso aveva commesso nel lontano 1982.

In particolare, il ricorrente, che aveva già interamente scontato la sua pena di dodici anni di reclusione, lamentava che detta pubblicazione, oltre ad avergli determinato un profondo senso di angoscia e prostrazione, l’aveva esposto ad una nuova gogna mediatica, quando ormai era riuscito a ricostruirsi una nuova vita e a reinserirsi nel contesto sociale. Tale condotta, che lamentava essere una violazione del suo diritto all’oblio, gli aveva arrecato gravi danni, di natura patrimoniale e non patrimoniale, anche conseguenti alla cessazione dell’attività, dei quali chiedeva il risarcimento.

La difesa dei convenuti (editore, direttore responsabile e giornalista) per contro, rilevava che l’articolo rispettava i criteri elaborati dalla giurisprudenza per il legittimo esercizio del diritto di cronaca, ossia: verità della notizia, continenza della forma espressiva e, soprattutto, interesse pubblico alla conoscenza dei fatti narrati. Inoltre, proprio con riferimento a tale ultimo criterio, eccepiva che non potevano trovare applicazione i principi elaborati in tema di diritto all’oblio, trattandosi di un articolo pubblicato all’interno di una rubrica dal titolo “La storia della domenica”, nella quale si rievocavano i casi più rilevanti di cronaca nera avvenuti a Cagliari negli ultimi trenta/quaranta anni e che avevano colpito e turbato la collettività locale, per l’efferatezza del delitto, per il contesto in cui era maturato, per la straordinarietà delle decisioni giudiziarie, e così via.

In entrambi i gradi del giudizio di merito le domande attoree non trovavano accoglimento.

In particolare, secondo la Corte d’appello di Cagliari, la pubblicazione di un grave fatto di cronaca nera a distanza di anni dall’accaduto, se accompagnato da una puntuale contestualizzazione, idonea ad offrire ai lettori una sponda di riflessione su temi delicati (quali l’emarginazione, la gelosia, la depressione, la prostituzione, con tutti i risolti e le implicazioni che queste realtà possono determinare nella vita quotidiana), esclude una volontà editoriale di generare una rinnovata condanna mediatica e sociale lesiva della privacy del soggetto coinvolto in tali fatti, con conseguente insussistenza del diritto all’oblio e al silenzio[1].

Contro tale decisione veniva proposto ricorso in cassazione, affidato a tre motivi di censura della decisione di merito:

– con il primo motivo, veniva denunciata la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost. nella parte in cui la Corte di merito (alle pp. 7-9) ha ritenuto l’art. 21 Cost incompatibile e sempre prevalente sui diritti individuali, garantiti dall’art. 2 Cost., tra i quali il diritto all’oblio. Sostiene che profondamente lesivo dei diritti garantiti dal suddetto articolo della nostra carta costituzionale sia il fatto storico materiale della ripubblicazione (accompagnata da una sua foto e dall’indicazione completa delle sue generalità) di un articolo che era già stato pubblicato nel lontano mese di luglio 1982. Lamenta la lesione del proprio diritto all’oblio, cioè ad essere dimenticato anche dopo aver commesso fatti penalmente rilevanti»;

– con il secondo motivo, veniva denunciata la «violazione degli artt. 3 e 27 Cost., rispettivamente nella parte in cui la Corte ha confermato quanto statuito dal giudice di primo grado (e cioè che la pubblicazione di una notizia, risalente nel tempo, anche relativa a vicende di cronaca, persino locale, potrebbe fondarsi sulla necessità di una informazione volta a concorrere utilmente alla evoluzione sociale), senza considerare che lui si era riabilitato e reinserito nel tessuto sociale, anche trovando un modesto impiego come ciabattino; nonché nella parte in cui non ha tenuto conto che ripubblicare nel 2009 un articolo risalente al 1982 costituisce di per sé un trattamento disumano per qualsiasi persona (per quanto colpevole di un grave delitto)»;

– con il terzo motivo, infine, veniva denunciata la «violazione ed erronea applicazione degli artt. 7 – 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nella parte in cui, considerando lecito il ricordo di fatti verificatisi tanti anni prima, ha violato la vita privata e familiare, protetta dalla norma denunciata».

Il ricorso veniva discusso alla pubblica udienza del 26 giugno 2018, avanti la terza sezione civile, la quale – con ordinanza interlocutoria[2] – trasmetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite stante la necessità di stabilire i precisi confini tra il diritto di cronaca – posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione – e del c.d. diritto all’oblio – posto a tutela della riservatezza della persona – alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale negli ordinamenti interno e sovranazionale. Chiarendo inoltre che l’esame dei tre motivi del ricorso, «impone di affrontare il problema del bilanciamento tra il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione, e il diritto all’oblio, finalizzato alla tutela della riservatezza della persona». Aggiungendo infine che, in «considerazione della specifica concreta vicenda, non viene in esame il problema del diritto all’oblio connesso con la realizzazione di archivi di notizie digitalizzati e fruibili direttamente on line».

Con la decisione che qui si pubblica le sezioni unite civili hanno accolto il ricorso proposto, rinviando alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione affinché decida il caso attenendosi al seguente principio di diritto: «In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (nella specie, un omicidio avvenuto ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva, reinserendosi poi positivamente nel contesto sociale)».

 

  1. Sulla tutela della libertà di espressione

È nota l’importanza che nelle società contemporanee rivestono la salvaguardia della libertà fondamentale di ricevere informazioni, la libertà ed il pluralismo dei media nonché la libertà di accedere alle informazioni.

Tali libertà sono garantite, a livello europeo dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[3] e dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo[4]; a livello nazionale, invece, trovano garanzia nell’art. 21 Cost.

Dal canto loro, dottrina e giurisprudenza (anche costituzionale) italiane hanno, nel tempo svolto una accurata indagine ermeneutica per la interpretazione estensiva della formula dell’art. 21 Cost., che ha portato ad equiparare alla manifestazione del pensiero la diffusione di fatti, di notizie, di informazioni, giungendo a configurare una libertà di cronaca e di critica che costituisce la espressione della libertà di comunicare il pensiero come informazione) [5]. Come ricordato anche dalla sentenza in commento, la Cassazione civile, a partire dall’incipit sistematico del 1984 (sentenza nota come il “decalogo”[6]) ha posto in evidenza le tre condizioni che rendono lecito il diritto di cronaca e di critica, anche se in conflitto con diritti e interessi della persona, e tali sono le condizioni parametri della verità oggettiva o putativa, della continenza del fatto narrato o rappresentato e della utilità sociale alla diffusione della notizia [7]. Tale ultimo parametro (che è quello che vien in rilievo nel valutare il bilanciamento con il diritto all’oblio) è comprensivo di tutti quegli avvenimenti di attualità che coinvolgono la vita collettiva e le persone che ne sono protagoniste[8]. Avvenimenti, la cui rilevanza pubblica dovrà accertarsi di volta in volta con riferimento al fatto concreto[9].

 

  1. Il diritto all’oblio

Ferma dunque restando la libertà di informazione (e la sua più ampia tutela), il soggetto cui l’informazione si riferisce è comunque titolare del diritto al «rispetto della propria identità personale o morale». Ciò significa, anzitutto, il diritto a che non venga «travisato o alterato all’esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale»[10], e dunque, che non venga compromessa dall’azione di terzi, la “verità” della propria immagine nel momento storico attuale: difatti, poiché l’identità personale ha natura «dinamica, si pone il problema di conciliare il conflitto tra verità storica e identità attuale»[11]. Nell’alveo della tutela del diritto alla riservatezza e all’identità personale viene così in rilievo il c.d. diritto all’oblio, inteso quale diritto dell’individuo ad essere dimenticato[12]. Si tratta di un diritto che mira a salvaguardare il riserbo imposto dal tempo ad una notizia già resa di dominio pubblico. In particolare, si ritiene che, una volta venuto meno l’interesse alla conoscenza del fatto, il «diritto alla riservatezza e la tutela dell’onore e della reputazione di un soggetto si espandono sino ai loro fisiologici confini»

In proposito le sezioni unite tracciano un excursus delle sentenze nazioni, civili penali, e di quelle europee al fine di meglio delineare il quadro.

In particolare, la corte richiama le seguenti sentenze civili:

– il leading case di cui alla sentenza n. 3679/1998, nella quale nel dare rilievo alla nozione di “attualità della notizia”, identifica il diritto all’oblio come il «giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata». Fermo restando che quando il fatto passato dovesse – per altri eventi sopravvenuti – ritornare di attualità, «rinasce un nuovo interesse pubblico all’informazione, non strettamente legato alla contemporaneità tra divulgazione e fatto pubblico»[13];

– a seguire poi la sentenza n. 10690/2008, che precisa la distinzione tra il diritto all’integrità morale ed il divieto della diffusione dei fatti della vita privata (divieto, quest’ultimo che prescinde dalla loro attitudine infamante) e conclude per una prevalenza della libertà di informazione sul diritto alla riservatezza e all’onore, purché la pubblicazione sia giustificata dalla funzione dell’informazione e sia conforme ai canoni della correttezza professionale; in particolare, è giustificata dalla funzione dell’informazione quando sussista un apprezzabile interesse del pubblico alla conoscenza dei fatti privati in considerazione di finalità culturali o didattiche e, più in generale, della rilevanza sociale degli stessi»[14];

– nonché la nota sentenza n. 5525/2012, che per prima ha affrontato la questione dei rapporti esistenti tra le notizie già legittimamente pubblicate in passato (perché conformi ai criteri di verità, interesse pubblico e continenza) e il loro permanere on-line. Secondo la Corte, rispetto all’interesse del soggetto «a non vedere ulteriormente divulgate notizie di cronaca che lo riguardano, si pone peraltro l’ipotesi che sussista o subentri l’interesse pubblico alla relativa conoscenza o divulgazione per particolari esigenze di carattere storico, didattico, culturale»; ciò in quanto un fatto di cronaca può “assumere rilevanza come fatto storico”, giustificando in tal modo il permanere dell’interesse della collettività alla fruizione di quel fatto. Il trascorrere del tempo, però, impone che la notizia sia anche aggiornata, posto che la sua diffusione negli stessi termini in cui aveva avuto luogo in origine potrebbe fare sì che essa risulti “sostanzialmente non vera”[15];

– ed infine la sentenza n. 16111/2013, «la rievocazione di vicende personali ormai dimenticate dal pubblico trova giustificazione nel diritto di cronaca soltanto se siano recentemente accaduti fatti che trovino diretto collegamento con quelle vicende, rinnovandone l’attualità». In particolare, la «diffusione di notizie personali in una determinata epoca ed in un determinato contesto non legittima, di per sé, che le medesime vengano utilizzate molti anni dopo, in una situazione del tutto diversa e priva di ogni collegamento col passato. In altre parole, il lungo tempo trascorso tra i due eventi fa sì che non possa ritenersi il fatto oggi divulgato come un fatto reso noto direttamente dall’interessato»[16].

Per quanto concerne, invece, la giurisprudenza penale, vengono in rilievo:

– sentenza n. 38747/2017, che ha confermato l’indubbia la rilevanza pubblica della notizia rievocata (nella specie, l’uccisione di un uomo all’isola di Cavallo per mano di Vittorio Emanuele di Savoia, benché avvenuta molti anni prima), considerato che «l’articolo era stato scritto in occasione della cerimonia di riapertura della reggia di Venaria, alla quale aveva partecipato Vittorio Emanuele di Savoia, così com’era indubbia l’esistenza di un pubblico interesse a conoscere le vicende di un soggetto che “è figlio dell’ultimo re d’Italia e, secondo il suo dire, erede al trono d’Italia”; per cui il diritto all’oblio doveva nella specie cedere di fronte al diritto della collettività ad essere informata e aggiornata sui fatti da cui dipende la formazione dei propri convincimenti»[17];

– ed infine, anche se non citata dalle sezioni unite, la sentenza n. 45051/2009, secondo la quale il «decorso del tempo può attenuare l’attualità della notizia e far scemare anche l’interesse pubblico all’informazione. Può anche verificarsi, nondimeno, che all’effetto di dissolvenza dell’attualità della notizia non faccia riscontro l’affievolimento dell’interesse pubblico o che— non più attuale la notizia — riviva, per qualsivoglia ragione, l’interesse alla sua diffusione. Insomma, può non esserci corrispondenza o piena sovrapposizione cronologica tra attualità della notizia ed attualità dell’interesse pubblico alla divulgazione. Nondimeno, in quest’ultima ipotesi, il persistente o rivitalizzato interesse pubblico, che— in costanza di attualità della notizia — doveva equilibrarsi con il diritto alla riservatezza, all’onore od alla reputazione, deve trovare— quando la notizia non è più attuale — un contemperamento con un nuovo diritto, quello all’oblio, anche nell’accezione di legittima aspettativa della persona ad essere dimenticata dall’opinione pubblica e rimossa dalla memoria collettiva»[18].

Con riguardo alla giurisprudenza comunitaria viene ovviamente in rilievo il caso Google Spain, deciso dalla Corte di Giustizia, la quale non solo ha riconosciuto il diritto dell’interessato a richiedere la cancellazione dei propri dati personali che si trovavano nella titolarità di Google, ma – per la prima volta – ha sancito il principio che le richieste di cancellazione possono essere avanzate anche direttamente al gestore del motore di ricerca, ancorché le relative informazioni siano state originariamente pubblicate su altri siti e successivamente indicizzate da Google[19].

 

4.- Sul bilanciamento delle sezioni unite

Se, dunque, ogni «libertà civile incontra il proprio limite nell’altrui libertà e nell’interesse pubblico idoneo a fondare l’eventuale sacrificio dell’interesse del singolo, anche la tutela del diritto alla riservatezza va contemperata in particolare con il diritto alla informazione, nonché con i diritti di cronaca, di critica, di satira e di caricatura, questi ultimi trovanti a loro volta limite nel diritto all’identità personale o morale del soggetto cui l’informazione si riferisce. Il diritto alla riservatezza, che tutela il soggetto dalla curiosità pubblica (in ciò distinguendosi dal diritto al segreto, il quale protegge dalla curiosità privata) essendo volto a tutelare l’esigenza che quand’anche rispondenti a verità i fatti della vita privata non vengano divulgati, sin dall’emanazione della L. n. 675 del 1996 (poi abrogata e sostituita dal D.Lgs. n. 196 del 2003) ha visto ampliarsi il proprio contenuto venendo a compendiarsi anche del diritto alla protezione dei dati personali, il cui trattamento è soggetto a particolari condizioni»[20]. In proposito, come già sopra accennato e, come evidenziano anche le sezioni unite che qui si annotano, vengono in rilievo, oltre al già citato art. 8 CEDU, anche: «l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nel ribadire la formula del citato art. 8, sostituisce al termine “corrispondenza” quello più moderno di “comunicazioni”, mentre l’art. 8 della medesima Carta prevede il diritto di ogni persona “alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano” e dispone che tali dati siano trattati “secondo il principio di lealtà”, sotto il controllo di un’autorità indipendente. Ed anche l’art. 16 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, nella versione consolidata risultante dal Trattato di Lisbona, prevede il diritto di ogni persona “alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano”. Assai di recente, infine, l’Unione Europea è tornata ad occuparsi della materia emanando il Regolamento 2016/679/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, che ha ad oggetto la “protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati”, atto che abroga la precedente direttiva 95/46/CE e che contiene, nel suo art. 17, un preciso riferimento al diritto alla “cancellazione” (tra parentesi definito come “diritto all’oblio”). Tale Regolamento ha reso necessaria l’emanazione del citato D.Lgs. n. 101 del 2018».

Dato tale quadro normativo e giurisprudenziale, le sezioni unite (richiamando testualmente l’ordinanza interlocutoria) osservano come il diritto all’oblio venga in rilievo in almeno tre differenti situazioni:

  • anzitutto nella tutela di colui che vorrebbe non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione;
  • in secondo luogo, viene in rilievo nell’uso di internet e nella reperibilità delle notizie nella rete, in bilanciamento con l’esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale;
  • e, infine, viene in rilievo quando l’interessato intende far valere il proprio diritto alla cancellazione dei dati che lo riguardano.

La prima ipotesi concerne la fattispecie concreta sulla quale sono state chiamate a decidere le sezioni unite, le quali in virtù del principio secondo cui «ogni pronuncia giudiziaria trova il proprio limite nel collegamento con una vicenda concreta» e, dunque, in coerenza con il petitum e con le funzioni nomofilattiche, hanno circoscritto il loro campo di indagine alla soluzione del problema del corretto bilanciamento tra diritto all’oblio e libertà di informazione esercitata a mezzo stampa, restando escluse altre ipotesi connesse alle informazioni circolanti online.

Come si è accennato alle pagine che precedono, l’ordinanza interlocutoria ha chiesto alle sezioni unite, di indicare la linea di confine tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio. Per poter assolvere tale compito, è stata operata una premessa sui “confini” del diritto di cronaca. In particolare, la sentenza in esame ha precisato che «quando un giornalista pubblica di nuovo, a distanza di un lungo periodo di tempo, una notizia già pubblicata – la quale, all’epoca, rivestiva un interesse pubblico – egli non sta esercitando il diritto di cronaca, quanto il diritto alla rievocazione storica (storiografica) di quei fatti». In proposito le sezioni unite, osservano che la parola “cronaca”, ha la propria radice etimologica nella «parola greca Kpovoc, che significa, appunto, tempo». Il “diritto di cronaca”, dunque, è un «diritto avente ad oggetto il racconto, con la stampa o altri mezzi di diffusione, di un qualcosa che attiene a quel tempo ed è, perciò, collegato con un determinato contesto. Ciò non esclude, naturalmente, che in relazione ad un evento del passato possano intervenire elementi nuovi tali per cui la notizia ritorni di attualità, di modo che diffonderla nel momento presente rappresenti ancora una manifestazione del diritto di cronaca (in tal senso già la citata sentenza n. 3679 del 1998); in assenza di questi elementi, però, tornare a diffondere una notizia del passato, anche se di sicura importanza in allora, costituisce esplicazione di un’attività storiografica che non può godere della stessa garanzia costituzionale che è prevista per il diritto di cronaca».

Orbene, trattandosi di “storia” e non di “cronaca”, la rievocazione di vicende passate – eccezion fatta per l’homo publicus, o per quei fatti che, per il loro stesso concreto svolgersi, implichino il richiamo necessario ai nomi dei protagonisti – deve effettuarsi in «forma anonima, perché nessuna particolare utilità può trarre chi fruisce di quell’informazione dalla circostanza che siano individuati in modo preciso coloro i quali tali atti hanno compiuto». In altre parole, l’interesse alla conoscenza di determinati fatti non necessariamente implica la «sussistenza di un analogo interesse alla conoscenza dell’identità della singola persona che quel fatto ha compiuto». Ferma quindi restando la libertà di scelta della linea editoriale che la stampa può autonomamente darsi, in forza della quale «non può essere sindacata la decisione – tanto per fare un riferimento al caso oggi in esame – di pubblicare con cadenza settimanale, nell’arco di un certo periodo di tempo, la ricostruzione storica di una serie di fatti criminosi che hanno coinvolto e impressionato in modo particolare la vita di una collettività in un determinato periodo». Ciò che, al contrario, va verificato è se, a fronte del diritto alla «ripubblicazione di una certa notizia, sussista o meno un interesse qualificato a che essa venga diffusa con riferimenti precisi alla persona che di quella vicenda fu protagonista in un passato più o meno remoto; perché l’identificazione personale, che rivestiva un sicuro interesse pubblico nel momento in cui il fatto avvenne, potrebbe divenire irrilevante, per i destinatari dell’informazione, una volta che il tempo sia trascorso e i fatti, anche se gravi, si siano sbiaditi nella memoria collettiva». Il che ulteriormente significa che il «diritto ad informare, che sussiste anche rispetto a fatti molto lontani, non equivale in automatico al diritto alla nuova e ripetuta diffusione dei dati personali».

In un’ottica di trovare un giusto bilanciamento tra due contrapposti diritti costituzionali in gioco quale il diritto di cronaca e quello all’oblio le sezioni unite quindi

  • da un lato, ribadiscono la tutela della libera scelta editoriale di ripubblicare/diffondere – anche a distanza di un arco temporale significativo – una notizia già legittimamente pubblicata (ossia una notizia rispondente ai parametri di verità, continenza e interesse pubblico);
  • dall’altro lato, precisano che assumendo tale attività carattere prettamente storiografico, deve considerarsi prevalente il diritto dell’interessato al mantenimento dell’anonimato sulla sua identità personale, tutte le volte in cui si tratti di avvenimenti passati che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva;

salvo che non sussista un rinnovato interesse pubblico ai fatti ovvero il protagonista abbia ricoperto o ricopra una funzione che lo renda pubblicamente noto. Dovendosi a tal fine valutare, l’interesse pubblico – concreto ed attuale – alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Senza dimenticare, ad avviso di chi scrive, che, «l’attualità dell’interesse non si identifica necessariamente (…) con l’attualità del fatto, siccome un fatto non attuale può ben essere idoneo a rivestire interesse per la collettività o per frazioni significative della stessa, per la rilevante importanza morale o sociale dello stesso. È solo a tali condizioni che un fatto di per sé non più attuale mantiene un’attualità indiretta tale da connotarlo con apprezzabili profili di interesse sociale che ne legittimano la pubblicazione»[21].

 

[1] App. Cagliari, 8 aprile 2016, n. 392, in Rivista giuridica Sarda, 2016, 453 ss., con nota di S. Peron, Gli incerti confini del diritto all’oblio.

[2] Cass. civ., sez. III, ord. 5 novembre 2018, n. 28084, pubblicata in questa Rivista, 1, 2019 con nota di A. Vesto, L’effetto affievolitivo del decorso del tempo rispetto ai fattori di cronaca, 235 ss., e in Foro it., I, 2019, 235 ss., con nota di: R. Pardolesi, B. Sassani, Bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca: il mestiere del giudice.

[3] Cfr. CGUE, C-283/11, Sky Österreich (2013), in Riv. dir. ed economia sport, 1, 2013, 169 ss., e C-201/11 P, UEFA c. Commissione (2013), in Riv. dir. ed economia sport, 2, 2013, 165 ss.

[4] Cfr. Trib. UE, T-68/08, FIFA c. Commissione (2011), § 51: «la libertà di espressione, tutelata dall’art. 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, […] fa parte dei diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento giuridico comunitario e configura un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare simili restrizioni […] ai sensi del n. 1 di tale articolo, la libertà di espressione include anche la libertà di accedere alle informazioni».

[5] Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. III, 17 luglio 2007, n. 15887.

[6] Si tratta della Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259, diventa nota al pubblico, essendogli stata attribuita l’intenzione di fissare una sorta di decalogo sui contenuti e limiti del diritto di cronaca. La sentenza è stata pubblicata, con diversi commenti anche molto critici, in numerose riviste, quali: NGCC, I, 1985, con note di G. Alpa, Diritto di cronaca – Illecito civile, 214 ss., e di E. Roppo, La Corte di cassazione e il decalogo del giornalista, 218 ss.; Dir. inf., 1985, con note di S. Fois, Il c.d. decalogo dei giornalisti e l’art. 21 Cost., 152 ss., di G. Giacobbe, Noterelle minime in margine ad una sentenza contestata, 165 ss., e di F. Morozzo della Rocca, Controllo di legittimità e giurisprudenza consolidata, 163 ss.; Giust. civ., I, 1985, con nota di M. Dogliotti, La cassazione e i giornalisti: cronaca, critica e diritti della persona, 356 ss. Chi scrive conviene invece con quanto scritto in proposito da G.B. Ferri, secondo il quale, tale sentenza è stata «ingiustamente interpretata come una sorta di dichiarazione di guerra dei magistrati ai giornalisti e scioccamente accusata di voler predisporre bavagli per la stampa». Secondo tale Autore questa, invece, «fu una sentenza ragionevole, coraggiosa ed anche progressista; perché nonostante la prevedibile ostilità dell’ambiente giornalistico, non temette di affermare le ragioni del singolo cittadino e dunque di tutti coloro (e noi tra questi) che non possono fare affidamento sulla protezione di potentati o di lobbies, quali sono quelli cui il “quarto potere” quasi sempre si affida e di cui, quasi sempre, è espressione»; così G.B. Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in Riv. dir. civ., I, 1990, 807.

[7] Ex multis, tra le più recenti in questo senso si veda: Cass. civ., sez. III, 5 settembre 2019, n. 22178.

[8] Cass. pen., sez. V, 3 maggio 1985, Ruschini, in Cass. pen., 1987, 76 ss. In questo senso anche: Cass. pen., sez. V, 23 gennaio 1984, Franchini, in Cass. pen., 1985, 1539 ss., che ha enunciato il principio del «potere-dovere conferito al giornalista di ragguagliare il lettore sulle più notevoli ed importanti emergenze della vita individuale ed associata».

[9] La dottrina, non ha mancato ad evidenziare come il rilievo sociale della notizia non sia «un elemento intrinseco e necessario di questa ma un elemento accidentale di mero fatto che, nel concorso di altri requisiti legittimanti, acquista significato nel conflitto con l’eventualmente contrastante diritto del singolo che veda compromessa la propria reputazione, al fine di invocare l’esimente dell’esercizio del diritto», così, testualmente, M. Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, Padova, 1998, 103. Altresì, è stato osservato come il limite tra la notizia «socialmente utile e la notizia priva di tale qualità non pare poter essere tracciato con precisione e definitività, ma finirà col dipendere, molto spesso, dalle circostanze del caso concreto – questo presupposto del legittimo esercizio del diritto di cronaca sembra essere utilizzato, sia dalla giurisprudenza sia dalla dottrina, come criterio per porre un freno al semplice gusto del pettegolezzo, alla divulgazione di notizie prive di significatività pubblicate per il solo fine di appagare una malsana curiosità dei lettori di un quotidiano o di un periodico», così, P. Nuvolone, voce Cronaca (Libertà di), in Enc. dir., Milano 1962, 424.

[10] Cfr. Cass. civ., sez. I, 22 giugno 1985, n. 7769

[11] Cass. civ., sez. I, 24 giugno 2016, n. 13161, in Foro it., I, 2016, 2730 ss., con nota di R. Pardolesi, Diritto all’oblio, cronaca in libertà vigilata e memoria storica a rischi di soppressione. Con tale sentenza la Corte di Cassazione ha confermato la «pronuncia di merito che: a) rilevata la facile accessibilità, nel sito web di un quotidiano on line, di un articolo di cronaca relativo a vicenda giudiziaria di natura penale ancora in attesa di definizione, per un periodo di tempo protrattosi dal momento dell’originaria pubblicazione a quello della diffida intimata dagli attori e, dunque, per due anni e mezzo; b) constatata la deindicizzazione dello scritto in data successiva all’inizio del procedimento, con conseguente cessazione della materia del contendere sul punto, abbia giudicato contrario al principio dell’essenzialità dell’informazione il perdurare della disponibilità in rete dell’articolo dopo la diffida e sino alla deindicizzazione, riconoscendo in capo agli attori il diritto alla cancellazione dell’articolo, oltre al risarcimento dei danni».

[12] Cfr. L. Crippa, Il diritto all’oblio: alla ricerca di un’autonoma definizione, in Giust. civ., 7-8, 1997, 1979: il «diritto all’oblio viene inteso quale pretesa a non vedere rievocati accadimenti della propria vita passata; è identificabile con l’interesse del soggetto, le cui vicende furono un tempo pubblicizzate, a rientrare nell’anonimato ad essere dimenticato». Osserva S. Morelli, Fondamento costituzionale e tecniche di tutela dei diritti della personalità di nuova emersione (a proposito del c.d. «diritto all’oblio»), in Giust. civ., II, 1997, 517: «L’interesse all’«oblio» [o al «segreto del disonore»]attiene quindi, pur esso, alla sfera della riservatezza, ma dal «diritto alla riservatezza» [nel quale non può risolversi]si distingue nettamente per il fatto che, in questo caso, l’interesse che reclama tutela ha ad oggetto notizie (attinenti al vissuto della persona) già sfuggite alla riservatezza ed alla sfera di appartenenza esclusiva del titolare, delle quali si vuole impedire una nuova circolazione. Emerge così il connotato essenziale dell’interesse in esame, il quale è legato al fattore tempo nel senso che è proprio il fluire del tempo, più precisamente il decorso di un notevole intervallo temporale, a giustificare – in positivo – la pretesa del soggetto di riappropriarsi di notizie che lo concernono, che un tempo furono note ma sulle quali è poi appunto calato l’oblio. Mentre il dato ulteriore, che al primo deve dare supporto, è – in negativo – quello della inesistenza di una utilità sociale alla rievocazione delle notizie medesime».

[13] Così, P. Laghezza, Il diritto all’oblio esiste (e si vede), in Foro it., I, 1998, 1836, a commento della sentenza Cass. civ., sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679 (sentenza pubblicata anche in Danno e resp., 1998, 882 ss., con nota di commento di C. Lo Surdo, Diritto all’oblio come strumento di protezione di un interesse sottostante).

[14] Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n.10690, in Resp. civ. prev., 2009, 155 ss., con nota di S. Peron, Sul corretto esercizio del diritto di rettifica.

[15] Cass. civ., sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525, in Resp. civ. prev., 2012, 1155 ss., con nota di F.G. Citarella, Aggiornamento degli archivi online, tra diritto all’oblio e rettifica «atipica». Sentenza annotata anche in: Dir. inf., 2012, 383 ss., da G. Finocchiaro, Identità personale su Internet: il diritto alla contestualizzazione dell’informazione; Dir. inf., 2012, 911 ss. da T.E. Frosini, Il diritto all’oblio e la libertà informatica; Danno e resp., 2012, 747 ss., da F. Di Ciommo, R. Pardolesi, Trattamento dei dati personali e archivi storici accessibili in Internet: notizia vera, difetto di attualità, diritto all’oblio; NGCC, I, 2012, 843 ss., da A. Mantelero, Right to be forgotten ed archivi storici dei giornali – La Cassazione travisa il diritto all’oblio; Corriere giur., 2012, 747 ss., da A. Di Majo, Il tempo siamo noi.

[16] Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2013, n. 16111, in Foro it., I, 2013, 2442 ss.; osserva la Corte come le «vicende relative ai c.d. anni di piombo appartengono certamente alla memoria storica del nostro Paese, ma ciò non si traduce nell’automatica sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza di eventi che non hanno più, se non in via del tutto ipotetica e non dimostrata, alcun oggettivo collegamento con quei fatti e con quell’epoca. Nel caso in esame, (…) il diritto alla riservatezza – che assume, nella specie, i connotati del diritto ad essere dimenticato – deve prevalere sul diritto di cronaca, perché il fatto puro e semplice del ritrovamento di una cospicua quantità di armi nella zona di residenza, non poteva consentire al giornalista di creare un oggettivo (ed arbitrario) collegamento tra quell’evento, attuale, e la sua storia passata, ex terrorista ma pure ormai reinserito nel contesto sociale. La riemersione, per così dire, di un fatto molto lontano nel tempo – che rivestiva, all’epoca, un sicuro interesse pubblico – non si traduce, ipso facto, nella permanenza dell’interesse anche nel momento attuale; ed è del tutto evidente, proprio per la ricostruzione operata dalla Corte milanese, che il riferimento alla vicenda personale non aveva nessun collegamento con l’evento del ritrovamento delle armi, se non al limitato fine di fare colore, ossia di presentare la notizia (odierna) in modo tale da destare l’attenzione dei lettori».

[17] Cass. pen., sez. V, 22 giugno 2017, n. 38747, in Foro it., II, 2017, 649 ss., con nota di R. Pardolesi, Il mio regno per un cavallo: limiti del diritto all’oblio per un aspirante erede al trono.

[18] Cass. pen., sez. V, 17 luglio 2009, n. 45051, in Resp. civ. prev., con nota di S. Peron, La verità della notizia tra attualità ed oblio.

[19] GGUE, C-131/12, Google Spain (2014), in Giur. cost., 2014, 2949 ss., con nota di O. Pollicino, Diritto all’oblio e conservazione di dati. La Corte di giustizia a piedi uniti: verso un digital right to privacy. Decisione pubblicata anche nelle seguenti riviste: Resp. civ., 2014, 1177 ss., con nota di S. Peron, Il diritto all’oblio nell’era dell’informazione on-line; Cass. pen., 2015, 1247 ss., con nota di S. Ricci, Le ricadute penali della sentenza della corte di giustizia europea sul diritto all’oblio.

[20] Cass. civ., sent. 5525/2012, cit.

[21] M. Polvani, op. cit., 106.

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