Ripensare oggi la disciplina della diffamazione o dell’intero sistema dell’informazione?

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La recente vicenda della condanna a 14 mesi di reclusione del direttore responsabile di un quotidiano cartaceo – per omesso controllo di un articolo con autore ignoto, i cui contenuti sono stati riconosciuti in sede di giudizio penale come falsi e diffamatori – ha dato l’avvio ad un intenso dibattito, non solo politico, sulla necessità di un ripensamento complessivo della disciplina dei reati connessi all’esercizio della manifestazione del pensiero. Invero le proposte, ma bisognerà vedere quante e in quali termini troveranno concretizzazione in progetti di legge, sono diversificate e vanno dalla richiesta di depenalizzazione dei reati di opinione (proseguendo sulla via di quanto previsto dalla legge 85 del 2006), alla revisione delle sanzioni per la lesione dei diritti della personalità (ed in particolare per il reato di diffamazione) fino ad arrivare alla richiesta del solo ripensamento della responsabilità del direttore di una testata giornalistica.

Si tratta di temi che, al di là del caso specifico, hanno il merito di sollecitare un ripensamento dell’intera disciplina della libertà di informazione in Italia.

Sono note le “peculiarità” del sistema dell’informazione italiana, con la presenza di un albo dei giornalisti con poteri formalmente significativi; di una legge sulla stampa, che risale al 1948 e in parte risente del fatto che vi era in quel momento storico una oggettiva urgenza a provvedere alla sua adozione, considerata l’imminenza della prime elezioni politiche della Repubblica e la necessità di liberare la libertà di informazione dai limiti introdotti durante il regime fascista; di un regime della libertà di informazione cartacea, televisiva e telematica quanto mai diversificato anche in merito agli aspetti che qui interessano.

Presumibilmente le specificità della disciplina dell’informazione in Italia nascono in parte proprio dal lavoro dell’Assemblea Costituente che nello scrivere la legge fece da un lato la scelta di disciplinare la sola stampa cartacea (come dimostra l’art. 1) e dall’altro definì un sistema di tutela – si veda in particolare l’istituto della “riparazione pecuniaria” – additivo rispetto a quanto previsto dal Codice Rocco. Tale scelta era il frutto di un preciso bilanciamento tra libertà di stampa e diritto alla dignità individuale dell’individuo che, come è noto, ha trovato formalizzazione giurisprudenziale nel “decalogo del giornalista”, contenuto in una quanto mai famosa sentenza della Corte di Cassazione del 1984, che esime il giornalista da responsabilità per lesione della reputazione altrui qualora l’articolo contenga una vera (o almeno attendibile, in base alle fonti) ricostruzione dei fatti, utilizzi un linguaggio adeguato e tratti di un fatto o opinione di attualità e di interesse per l’opinione pubblica. L’esigenza di informare quest’ultima prevale sulla reputazione di un individuo ma a condizione che la notizia sia vera o provenga almeno da una fonte attendibile. In caso contrario, ossia in presenza di una lesione arbitraria, la sanzione prevista risulta aggravata sia per l’autore della diffamazione sia per il direttore responsabile.

Decisione dell’Assemblea Costituente e giurisprudenza seguono quindi una comune ratio: da un lato riconoscimento del ruolo fondamentale della libertà di stampa per la democrazia, come strumento di formazione dell’opinione pubblica e come watch dog della società, dall’altro ancoraggio di questo importante ruolo ad un significativo sistema di responsabilità per la eventuale lesione di diritti soggettivi altrui.

Il modello (che ha peraltro subito nel tempo poche modifiche), ideato per la stampa, ha trovato come è noto solo in parte estensione agli altri media che si sono nel tempo affermati: televisione e Internet. La disciplina della diffamazione compiuta mediante televisione è disciplinata dalla l. 223/1990, che pur rinviando alla disciplina sulla stampa del 1948, apporta alcune limitazioni che hanno prodotto una disciplina complessiva del tutto peculiare. I telegiornali e giornali radio sono assoggettati all’obbligo di registrazione e i loro direttori “sono, a questo fine, considerati direttori responsabili” (art. 32, d. lgs. 177/2005). Tuttavia, l’equiparazione sembra terminare qui ed infatti parte della dottrina e della giurisprudenza (ex plurimis Corte di cassazione 34717/2008) sono orientate a ritenere che l’art. 57 c.p. non sia applicabile alle trasmissioni televisive, neppure a quelle di informazione, dal momento che la citata legge 223 indica in modo preciso quali sono i soggetti responsabili nel caso di una diffamazione avvenuta nel corso di una trasmissione televisiva, individuandoli nel concessionario o nel delegato alla trasmissione. Ne deriva che qualora il direttore della testata giornalistica venga delegato al controllo editoriale, si rinnova il binomio giornalista-direttore; altrimenti la responsabilità del giornalista autore della diffamazione viene associata a quella del concessionario (o a un suo delegato). Il tema si pone, come appare evidente, non tanto per i tele e radio giornali, quanto per le trasmissioni di approfondimento giornalistico. Peraltro la Cassazione ha recentemente stabilito la non applicabilità al mezzo televisivo dell’art. 12 della legge sulla stampa del 1948, relativo alla riparazione pecuniaria, in quanto nessuna disposizione in materia di televisione dispone in tal senso. Ne deriva che il soggetto offeso, qualora opti per la querela penale, potrà in ogni caso chiedere solo il risarcimento del danno. Ancora, anche la disciplina della rettifica, sulla quale si è avuto modo di soffermarsi in un altro post, presenta nel sistema televisivo caratteri peculiari.

Se dalla stampa cartacea e dalla televisione si passa all’informazione on line il quadro normativo e giurisprudenziale relativo al sistema della responsabilità diviene ancora più complesso. Come è noto, infatti, i giornali telematici non hanno, in base alla legge 62/2001, l’obbligo ma solo la facoltà di registrarsi. Inoltre, anche in presenza di un giornale on line registrato, il divieto di estensione analogica delle norme penali impedisce che al direttore responsabile si applichi l’art. 57 c.p.. In alcune sentenze, infatti, la Corte di Cassazione ha affermato l’inapplicabilità al direttore di un giornale telematico registrato della responsabilità per omesso controllo, vista l’impossibilità materiale di controllare contenuti dinamici, in continuo aggiornamento; in particolare ha stabilito l’irresponsabilità per i contenuti postati dai lettori, anche in forma anonima. Della diffamazione on line risponde quindi solo l’autore, se noto; anzi, se la diffamazione avviene mediante post di autore anonimo, non ne risponde nessuno. Il che non equivale a dire che la lesione non sia avvenuta ma solo che non si è riusciti ad individuare il responsabile.

Se tale può essere (il dubbio è lecito a fronte di un quadro tinteggiato più dalla giurisprudenza che dal legislatore) il contesto nel quale si vuole ora intervenire, anche un’azione tecnicamente “semplice” come quella della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria nell’ipotesi di omesso controllo da parte del direttore, richiede che si allarghi l’orizzonte di riferimento e si valutino le ricadute sul complessivo sistema dell’informazione.

In un ambito così importante appare infatti necessario intervenire in modo sistematico e può essere allora interessante esercitarsi a seguire una sequenza logica (almeno per chi scrive): se si decide di trasformare la sanzione penale del direttore di giornale cartaceo in una sanzione pecuniaria occorre rivedere anche la sanzione a carico del giornalista, autore dell’articolo diffamatorio, che oggi, come è noto, è anch’essa di tipo detentivo, come ci rimprovera la Corte europea dei diritti dell’uomo; del pari, se si affievolisce la sanzione nei confronti dell’autore della diffamazione cartacea, occorre rivedere anche quella a carico del concessionario televisivo, dal momento che la legge che regola quest’ultima rinvia allo specifico articolo della legge del 1948; ed ancora, se si depenalizza la responsabilità più grave, quella della informazione a “mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità”, non si può non ripensare anche alla sanzione per la diffamazione semplice, anch’essa di tipo detentivo, proprio in considerazione dell’indubbia minore lesività che essa presenta. E se si mette in discussione il sistema della responsabilità nell’ambito della carta stampata, occorre ripensare anche la disciplina dei blog, ormai informazione a pieno titolo, che ancora subiscono il sequestro preventivo dei post ritenuti diffamatori. E, sull’altro versante, se si affievolisce il sistema di responsabilità del sistema giornalistico, occorre agire per contrappeso sul versante della tutela della persona offesa, che tale resta perché colpita da un esercizio della libertà di informazione “falsa o con fonti non attendibili”. Molti i possibili strumenti: tra gli altri, la previsione di una pena pecuniaria adeguata, di una “riparazione pecuniaria” di analogo tenore formale, una maggiore attenzione per il diritto all’oblio e per il diritto di chiedere la rettifica.

Un impegno legislativo difficile e tuttavia necessario, non solo per adeguare l’Italia alla giurisprudenza della Corte EDU ma per assumere consapevolezza che il settore dell’informazione è ormai profondamente diverso da quello che ha ispirato le leggi del 1948 e del 1990.

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