Proiezione di film al cinema: non è dovuto l’equo compenso all’IMAIE

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Il Tribunale di Roma – Sezione specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale si è pronunziato per la prima volta, il 12 ottobre scorso, su una causa facente parte del contenzioso avviato dall’Istituto Mutualistico Interpreti Esecutori (Imaie) contro l’Associazione Nazionale Esercenti Cinema (ANEC) e singoli esercenti di sale cinematografiche, i quali rifiutavano, rispettivamente, di quantificare – di concerto con lo stesso Imaie – l’equo compenso richiesto dagli artisti interpeti ed esecutori dei film proiettati nelle sale (l’Anec) e di riconoscersi debitori di tale compenso (gli esercenti).

Secondo l’Imaie, alla proiezione dei film in sala avrebbe dovuto applicarsi il disposto dell’art. 84 della legge sul diritto d’autore (l. n. 633/1941; di seguito Lda), secondo il quale “[a]gli artisti interpreti ed esecutori che nell’opera cinematografica sostengono una parte di notevole rilievo, anche se di artista comprimario, spetta, per ciascuna utilizzazione dell’opera cinematografica e assimilata a mezzo della comunicazione via etere, via cavo e via satellite un equo compenso a carico degli organismi di emissione” (comma 2) ed inoltre [p]er ciascuna utilizzazione di opere cinematografiche e assimilate diversa da quella prevista nel comma 2 […] spetta un equo compenso a carico di coloro che esercitano i diritti di sfruttamento per ogni distinta utilizzazione economica” (comma 3). A giudizio dell’Imaie, la proiezione dei film in sala avrebbe dato luogo ad una di quelle ulteriori utilizzazioni “diverse da quella prevista nel comma 2”, in relazione alle quali sarebbe sorto in capo agli artisti interpreti esecutori (di seguito, Aie) il diritto ad ottenere l’equo compenso nella misura fissata nell’accordo da concludersi tra l’Imaie e le associazioni sindacali competenti della confederazione degli industriali (cioè, in quel caso, dall’Anec) o, in difetto, da quantificarsi all’esito di una procedura arbitrale, come previsto nel comma 4 dello stesso art. 84.

Al contrario, l’Anec e gli esercenti suoi associati sostenevano che gli Aie non potevano vantare alcun diritto all’equo compenso e che, comunque, quand’anche un siffatto diritto fosse sussistito in capo agli Aie, non avrebbe potuto farlo valere in giudizio l’Imaie, in nome proprio, in mancanza di una disposizione di legge che espressamente lo prevedesse.

Quanto a quest’ultimo profilo, nel giudizio deciso con la sentenza in commento, gli esercenti e la loro associazione hanno richiamato l’art. 81 c.p.c. (rubricato “Sostituzione processuale”) in forza del quale “[f]uori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. Secondo i convenuti, avendo l’Imaie agito in nome proprio (piuttosto che in nome degli Aie, sulla base di specifiche procure rilasciate da parte dei singoli Aie), esso era privo di legittimazione attiva, poiché né la norma istitutiva dell’Imaie (l’art. 4 della l. n. 93/1992), né l’art. 84 Lda prevedono una siffatta sostituzione processuale.

Nel merito, gli esercenti cinematografici hanno sostenuto che la pretesa dell’Imaie era infondata, facendo essa leva su un’infelice formulazione del terzo comma dell’art. 84 Lda, dovuta ad una sua vorticosa e reiterata novellazione intervenuta in occasione del recepimento di alcune direttive comunitarie susseguitesi in un lasso di tempo piuttosto ristretto (cioè, la direttiva 93/83/Cee, in materia di diritto d’autore e connessi applicabili alla diffusione televisiva via satellite e via cavo; la direttiva comunitaria 93/98/Cee volta ad armonizzare la durata di protezione dei diritti d’autore e connessi). Il citato art. 84 però, ove interpretato alla luce di una complessiva ricostruzione sistematica della normativa in tema di opera cinematografica e di diritti del produttore, degli autori e degli Aie, finiva piuttosto col dimostrare l’infondatezza delle pretese dell’Imaie.

Con la decisione in commento, il Tribunale di Roma ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’Imaie ed ha, invece, accolto la ricostruzione dell’evoluzione normativa interna e comunitaria su cui l’Anec ed i suoi associati basavano le proprie difese nel merito.

Qui si vuole esaminare brevemente l’iter motivazionale che ha portato il Tribunale di Roma a tale esito, con la doverosa avvertenza che l’estensore del presente commento è stato il difensore di una delle parti in causa (l’Anec).

Vale allora la pena di notare innanzitutto come sull’eccepito difetto di legittimazione dell’Imaie il Tribunale di Roma sia andato in diverso avviso rispetto ad una recente sentenza del Tribunale di Torino – Sezione specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale (n. 2956 del 29 aprile 2011), con la quale i giudici torinesi hanno invece accolto analoga eccezione in una controversia in cui l’Imaie chiedeva, al titolare di un negozio che noleggiava e vendeva supporti contenenti film, il pagamento dell’equo compenso per il noleggio (ex art. 80, comma 2, lett. f, Lda) e per la vendita di tali supporti (ex art. 84 Lda). Il Tribunale di Torino ha osservato in particolare che il potere rappresentativo degli Aie, attribuito all’Imaie dalle citate disposizioni con riferimento alla conclusione degli accordi collettivi con le competenti associazioni degli industriali, attiene a profili sostanziali (la quantificazione dei compensi) e non può essere esteso alla rappresentanza processuale. Infatti, nel nostro sistema processuale chi agisce in giudizio per far valere un diritto altrui deve agire (in nome del titolare) in forza di una procura che espressamente gli attribuisca la rappresentanza processuale ex art. 77 c.p.c., ovvero deve poter invocare l’eccezionale istituto della sostituzione processuale prevista dal già richiamato art. 81 c.p.c., che però – secondo i giudici torinesi – non è applicabile in favore dell’Imaie in quanto nessuna disposizione di legge attribuisce allo stesso Istituto una “generale potestà di agire in rappresentanza dei titolari dei diritti” (cioè gli Aie), né si rinviene una norma analoga all’art. 164 Lda, il quale stabilisce che i funzionari della Siae possono esercitare le azioni previste nella medesima legge “nell’interesse degli aventi diritto [gli autori]senza bisogno di mandato bastando che consti la loro qualità”.

Per pervenire all’esito opposto, il Tribunale di Roma ha invece valorizzato una disposizione di legge approvata nel corso del giudizio avviato dall’Imaie contro l’Anec, che ha istituito il “nuovo Imaie” a seguito dell’emersione di gravi irregolarità gestionali che avevano già condotto allo scioglimento e messa in liquidazione del vecchio Imaie (vicenda ricostruita in entrambe le sentenze, cui si rinvia anche per le connesse problematiche giuridiche). Secondo tale disposizione di legge, “[a]decorrere dal 14 luglio 2009, sono considerati trasferiti al nuovo IMAIE compiti e funzioni attribuiti ai sensi di legge ad IMAIE in liquidazione ed, in particolare, il compito di incassare e ripartire, tra gli artisti aventi diritto, i compensi di cui agli articoli 71-septies, 71-octies, 73, 73-bis, 80, 84 e 180-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, e 5 e 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 93 (…)” (art. 7, comma 2, d.l. n. 64/2010, conv. con modificazioni in l. n. 100/2010). A giudizio del Tribunale di Roma, il “legislatore ha quindi affermato che il nuovo Imaie ‘eredita’ le funzioni dell’istituto che lo ha preceduto, con particolare riguardo alla funzione di ‘incassare e ripartire’ le somme di cui all’art. 84 Lda; tale trasferimento, avvenuto per effetto di una espressa previsione normativa, si giustifica soltanto riconoscendo la preesistente titolarità in capo all’Imaie in liquidazione delle medesime funzioni ed in particolare quella di incassare i crediti derivanti dall’art. 84 Lda”.

Tuttavia, innanzitutto, la volontà del legislatore di “trasferire” al nuovo IMAIE gli stessi “compiti e funzioni [già] attribuiti ai sensi di legge ad IMAIE in liquidazione” sembra perfettamente compatibile con una lettura opposta della nuova disposizione, cioè nel senso (come si dirà costituzionalmente conforme) di escludere che il legislatore volesse riconoscere al nuovo Imaie diritti e legittimazioni processuali mai spettati al vecchio Imaie.

 Inoltre, può seriamente dubitarsi che, quantomeno nell’attuale quadro costituzionale, il legislatore sia talmente “onnipotente” da poter attribuire retroattivamente una legittimazione eccezionale (qual è la fattispecie della sostituzione processuale) ad un ente che eventualmente già non la possedesse. Posto infatti che, come osservato anche dai giudici torinesi, nelle precedenti norme relative alla legittimazione processuale dell’Imaie nulla si rilevava con specifico riferimento ai diritti di cui all’art. 84 Lda, dovrebbe desumersene che la disposizione del 2010 avrebbe dovuto operare retroattivamente: ipotesi ricostruttiva, questa, che (anche se il Tribunale di Roma non lo dice espressamente) sembra voler attribuire alla disposizione sopravvenuta il valore di una norma di “interpretazione autentica”. Tuttavia rimane difficile accogliere questa prospettiva ermeneutica.

Innanzitutto, il citato art. 7 non sembra contenere una norma di interpretazione autentica, poiché non adopera le formule tipiche attraverso le quali il legislatore manifesta la volontà di fornire l’interpretazione autentica di una norma (“la disposizione x si interpreta [o va interpretata; o deve essere interpretata] nel senso y”). Inoltre, come evidenziato dalla Corte costituzionale, il legislatore può bensì adottare norme di interpretazione autentica, anche in mancanza di incertezze interpretative o giurisprudenziali, ma ciò può farequando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore” (si v., da ultimo, C. cost. 11 giugno 2010, n. 209), mentre il comma terzo dell’art. 84 Lda non sembra consentire all’interprete di desumere la legittimazione processuale dell’Imaie ex art. 81 c.p.c.. Ad ogni modo, la stessa Corte costituzionale ha pure individuato “una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, che attengono alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento […]; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto […]; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico […]; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario” (cit. Corte cost. n. 209/2010); al contrario, l’attribuzione retroattiva ex lege di una legittimazione attiva che l’Imaie sembra non avesse al momento dell’introduzione del giudizio sembra porsi in contrasto con i valori costituzionali testé richiamati.

Per quanto attiene invece al merito della questione controversa, il Tribunale di Roma ha ritenuto infondata la pretesa dell’Imaie svolgendo un doppio ordine di argomentazioni, uno relativo alle caratteristiche essenziali delle opere cinematografiche, un altro relativo all’interpretazione sistematica della disciplina nazionale di recepimento delle direttive comunitarie.

Sotto il primo profilo, i giudici romani hanno sottolineato come, a differenza di altre forme di espressione artistica (ad es., l’opera teatrale), l’opera cinematografica non possa essere fruita da un pubblico presente alla sua interpretazione, essendo la fissazione dell’interpretazione sulla pellicola indispensabile persino per la prima utilizzazione dell’opera da parte del titolare dei diritti economici su di essa (il produttore cinematografico); laddove per le altre tipologie di opere, come quella teatrale, la prima utilizzazione economica dell’interpretazione non necessita di fissazione su un supporto e, per converso, tale fissazione rappresenta, appunto, un’“utilizzazione secondaria” e comunque “ulteriore” dell’opera stessa. Pertanto, la proiezione del film nelle sale cinematografiche non costituisce una “utilizzazione” rilevante ai sensi del terzo comma dell’art. 84 Lda e non dà quindi luogo al sorgere di un diritto all’equo compenso, essendo tale utilizzazione primaria già remunerata attraverso il corrispettivo versato dal produttore in forza del contratto di scrittura artistica con l’Aie.

Sotto il secondo profilo, il Tribunale di Roma ha osservato, per un verso, che il legislatore ha riformulato il citato art. 84 per recepire la direttiva comunitaria 93/98/Cee, contestualmente riformulando, allo stesso fine, il precedente art. 46-bis (relativo ai diritti degli autori in caso di ulteriori utilizzazioni dei film); e, per altro verso, che nel caso degli autori è stata esclusa la sussistenza di alcun diritto all’equo compenso in occasione della proiezione in sala, con la conseguenza che anche un’interpretazione sistematica della normativa conferma la soluzione sfavorevole alle tesi dell’Imaie. Del resto – aggiunge il Tribunale di Roma – ove si desse preferenza alle tesi dell’Imaie si verrebbe a creare un’evidente disparità di trattamento tra gli Aie (ai quali spetterebbe l’equo compenso) e gli autori (ai quali non spetterebbe), con il sorgere di un’ingiustificata sperequazione rilevante ai sensi dell’art. 3 Cost., sia sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, sia sotto il profilo della irrazionalità della disciplina, poiché gli autori sono i primi (se non i soli, v. infra) destinatari della disposizione di delega per il recepimento della direttiva, mentre seguendo le tesi dell’Imaie ad avere i maggiori benefici sarebbero proprio gli Aie.

Quest’ultimo passaggio della decisone consente peraltro di evidenziare, in conclusione, due aspetti di cui il Tribunale di Roma non si è giustamente occupato (avendo accolto le difese principali dei convenuti), ma che potrebbero essere di qualche interesse anche per la diversa fattispecie della diffusione dei film in televisione. L’Anec aveva infatti eccepito, per un verso, che la norma di delega sulla cui base era stato introdotto il diritto all’equo compenso per le “ulteriori utilizzazioni” dei film (art. 17, comma 5, lett. d, della l. n. 52/1996) riguarda soltanto gli autori e non gli Aie, con conseguente sospetto di illegittimità costituzionale della riformulazione dell’intero art. 84 Lda; e per altro verso che, ad ogni modo, a dover versare tale equo compenso avrebbero semmai dovuto essere i produttori cinematografici o i loro cessionari (o, in alternativa, i distributori cinematografici), i quali peraltro hanno conseguito i maggiori vantaggi dal recepimento della direttiva 93/98/Cee, e non altri soggetti come gli esercenti, che comunque non sembra possano considerarsi «coloro che esercitano i diritti di sfruttamento per ogni distinta utilizzazione economica» (art. 84, co. 3, Lda).

Si tratta intuitivamente di problematiche (ancora tutte da esplorare) che, in entrambi i casi, potrebbero estendersi anche al diritto all’equo compenso vantato dagli Aie nei confronti delle emittenti televisive.

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