Le testate telematiche e la tutela costituzionale

 Trib. Milano, ord. 25 gennaio 2018

È possibile ricondurre alla nozione di “stampa” anche i giornali telematici sulla base del riscontro dell’esercizio di un’attività professionale di divulgazione e commento di notizie ed informazione, esercitata secondo regole preliminarmente elaborate di responsabilità o doveri o rispetto di limiti – ed in prevalenza autoamministrate per l’organizzazione in albi di natura pubblicistica – da parte di soggetti particolarmente qualificati, in regime di trasparenza anche quanto a fonti di finanziamento e sostanzialmente di riferimento. Ne segue che le forme o limitazioni di tutela di cui all’art. 21 Cost. possono predicarsi riservate a quelle specifiche forme di manifestazioni di pensiero, come appunto la diffusione ed il commento professionali di notizie od informazioni, indispensabili per la formazione della pubblica opinione in una moderna società democratica, quali giustificazione stessa o contrappeso della particolare responsabilità loro richiesta ed imposta. 

Fermo restando l’onere di valutare separatamente i contenuti propri od esclusivi delle testate telematiche, ad essi non potrà allora immediatamente estendersi la conclusione della applicazione de plano della normativa di tutela, di rango tanto costituzionale che sovranazionale ed ordinario, ma dovrà essere ricercata di volta in volta in base ai parametri rilevanti propri della singola fattispecie, eventualmente diversi, a tutto concedere riferiti al solo art. 21 c. 1 Cost. ed al più intenso bilanciamento con gli altri diritti fondamentali della prima parte della Carta fondamentale. Ragion per cui, nel caso di testate telematiche – alla luce della tutela attenuata garantita dalla pronta pubblicazione della rettifica, nelle modalità sopra indicate – non possano trovare accoglimento provvedimenti di inibitoria che porterebbero all’adozione di un provvedimento assimilabile ad una censura, con effetti sostanzialmente simili a quelli di un provvedimento di sequestro, emesso all’esito di un accertamento solo sommario dei fatti – in violazione del diritto alla libera manifestazione del pensiero, tutelata nei limiti di cui all’art. 21 Cost.

 

Sommario: 1. Il caso – 2. La libertà di espressione e il sequestro della stampa – 3. I rimedi atipici offerti dall’art. 700 c.p.c.  – 4. L’art. 21 Cost. e l’informazione online

 

  1. Il caso

Con ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. veniva adito il Tribunale di Milano per ottenere l’inibizione all’ulteriore diffusione di un articolo pubblicato online da una testata giornalistica e ritenuto lesivo dell’immagine e della reputazione professionale dei ricorrenti che ne lamentavano la falsità dei contenuti.

Con ordinanza del 22 dicembre 2017 (comunicata il 27 dicembre 2017), il giudice della cautela dichiarava inammissibile il ricorso, richiamandosi ai principi recentemente espressi dalle sezioni unite civili[1].

I ricorrenti proponevano dunque reclamo, deciso con l’ordinanza collegiale qui in commento, che lo rigettava per motivi parzialmente difformi.

 

  1. La libertà di espressione e il sequestro della stampa

Accanto alla libertà personale, la libertà di espressione rappresenta il “cuore” dei diritti di libertà, dal quale possono farsi discendere tutti gli altri diritti. La libertà di espressione a livello nazionale trova riconoscimento e tutela nell’art. 21 Cost., che recita: «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», mentre a livello sovranazionale nell’art. 10 CEDU secondo cui: «Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera»[2].

È noto che l’art. 21, c. 3, Cost. sancisce il principio che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure e che «si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili»[3]. Inoltre, come ricordano anche le sezioni unite, «l’assemblea costituente, in attuazione della XVII disposizione transitoria della Carta fondamentale, varò anche la L. 8 febbraio 1948 n. 47, intitolata “disposizioni sulla stampa” e ritenuta integrante il disposto dell’art. 21 Cost., il cui art. 1 precisa che sono da considerarsi stampe o stampati “tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”»[4].

 

A sua volta, il r.d.lgs. del 31 maggio 1946, n. 562 (norme sul sequestro dei giornali e delle altre pubblicazioni), all’art. 1 stabilisce che «non si può procedere al sequestro della edizione dei giornali o di qualsiasi altra pubblicazione o stampato […] se non in virtù di una sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria». La Costituzione, disciplina quindi l’istituto del sequestro in stretta correlazione col divieto di autorizzazione o censura, preventiva o successiva, sottoponendolo alla duplice garanzia della riserva di legge e di giurisdizione[5].

Come osservato dalla Corte Costituzionale (opportunamente richiamata dal Tribunale di Milano, nell’ordinanza che qui si pubblica), per accertare la sfera di applicazione dell’art. 21 Cost., occorre partire dalla non controvertibile constatazione che la «rigorosa disciplina disposta dalla Costituzione a proposito della stampa e la tassativa delimitazione degli interventi consentiti al legislatore ordinario ed alle pubbliche autorità sono preordinate, in un settore di particolare rilevanza, a garanzia del diritto di libera manifestazione del pensiero». Ne segue che, per garantire la diffusione della stampa, la quale potrebbe venire «compromessa o addirittura definitivamente pregiudicata da provvedimenti che, ancorché adottati dall’autorità giudiziaria, si basano su una cognizione sommaria e possono poi risultare ingiustificati in sede di accertamento definitivo, la Costituzione, tenendo conto della importanza del ruolo della stampa in un regime democratico, ha disciplinato il conflitto fra l’interesse al sequestro e l’interesse alla circolazione della stampa: la norma costituzionale di raffronto, mentre consente al legislatore ordinario di dar prevalenza al primo (purché attraverso un’espressa previsione) nel caso di delitti, direttamente stabilisce la prevalenza del secondo in ogni altra ipotesi»[6].

Tale previsione costituzionale «copre l’intera area del sequestro, qualunque sia il contrapposto interesse col quale la stampa entra in collisione»[7], e «mira ad assicurare, contro ogni forma di censura, sia successiva che preventiva, la libera circolazione dell’attività di pensiero»[8]. In definitiva, nel regolare il conflitto tra interesse al sequestro e interesse alla circolazione della stampa, si ritiene che l’art. 21, c. 3, Cost. accordi una «indefettibile prevalenza al secondo, così ponendo un divieto a qualsiasi provvedimento, ivi compresi quelli del giudice civile a tutela dei diritti di sfruttamento di opera dell’ingegno, che comporti il sequestro dello stampato se non nei casi in cui la legge espressamente lo autorizzi e sempre che a mezzo dello stampato sia stato commesso un delitto»[9].  Inoltre, il limite del sequestro a tre esemplari previsto dall’art. 1, c. 1, r.d.lgs. 561/1946, «riguarda, invece, il solo sequestro probatorio, sia per ragioni storiche sia perché la previsione di un sequestro preventivo limitato a tre sole copie sarebbe contraria alle finalità tipiche dell’istituto, preordinato ad impedire l’aggravamento e il protrarsi delle conseguenze della ipotizzata condotta criminosa; con riguardo al sequestro preventivo, il legislatore – salvo che per talune fattispecie (stampa clandestina ovvero pubblicazioni o stampati osceni ed offensivi) – non ha dato, infatti, attuazione alla riserva di legge, sicché l’adozione del sequestro preventivo, al di là dei casi espressamente previsti, è illegittima»[10].

 

  1. I rimedi atipici offerti dall’art. 700 c.p.c.

È altrettanto noto che i procedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., sono tesi ad ottenere provvedimenti cautelari atipici, ossia tutti quei provvedimenti che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. Per tale ragione vengono richiesti dalla parte che – durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria – ha fondato motivo di temere che esso sia minacciato da un pregiudizio grave ed irreparabile. Correlativamente, il giudice ha ampia discrezionalità nell’individuare il contenuto del provvedimento più idoneo a preservare un diritto, quando vi è il fondato motivo che durante il tempo occorrente per farlo valere, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile.

Ciò posto, al di fuori dei casi di «stampa oscena, apologetica del fascismo o integrante violazione del diritto d’autore costituente delitto, non è ammissibile il sequestro cautelare o provvedimenti ad esso equivalenti, ex art. 700 c.p.c., delle pubblicazioni a mezzo stampa, ancorché lesive dei diritti all’onore, alla riservatezza o all’identità personale della persona; né può ritenersi in contrasto con l’art. 2 Cost. la mancata previsione, nel codice della protezione dei dati personali, di una norma che consenta l’adozione di provvedimenti anticipatori assimilabili al sequestro»[11].

In questa linea giurisprudenziale consolidata si pone anche il Tribunale di Milano, il quale osserva come «sebbene l’art. 700 c.p.c. possa consentire l’emanazione di provvedimenti cautelari atipici intesi a far cessare temporaneamente o a limitare il pregiudizio che deriva a terzi da una pubblicazione, tale strumento non può, tuttavia, costituire la fonte di un potere di concedere un provvedimento sostanzialmente di sequestro della stampa, vietato da altra norma dell’ordinamento e, in particolare, dall’art. 21 Cost., che lo consente solo con l’osservanza di limiti molto rigorosi».

Fermo restando, in ogni caso, che tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione sono tra loro in un «rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri», altrimenti si «verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona»[12]. Difatti la «Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale»[13].

 

  1. L’art. 21 Cost. e l’informazione online

Nelle moderne società liberal-democratiche, il ruolo svolto dai mass media, nella formazione di una pubblica opinione[14] è sicuramente di primaria importanza (tanto da essere descritto come un ruolo di “cane da guardia”, secondo la definizione nota definizione della Corte EDU[15]), poiché in tal modo i «cittadini possono esercitare i diritti costituzionalmente sanciti per la loro democratica partecipazione alla vita politica, economica e sociale del paese»[16]: del resto, «è grazie alle discussioni tra giornali di partiti diversi, onesti o disonesti, partigiani o indipendenti, che in una democrazia un barlume di luce qualche volta filtra tra la gente. Sopprimete queste discussioni e il cittadino che sotto una democrazia è miope, sotto una dittatura diventa completamente cieco»[17].

Tuttavia, a partire dal c.d. secolo breve[18], la rapida e costante evoluzione dei mezzi con i quali si diffondono le informazioni, ha rivoluzionato i mass media ed il loro rapporto con le persone e la società: tant’è che oggi è stato palesato il rischio che i mass media più che una forma di rappresentazione della realtà, vengano percepiti come la realtà stessa[19].

Alla categoria dei mezzi di comunicazione di massa, non vi è dubbio alcuno che vi appartenga anche internet, rispetto al quale è stato rimarcato come «grazie alla facilità di accesso, all’interattività e alla copertura mondiale», internet ben «possa dare concreta attuazione al diritto sancito dall’art. 21 Cost., nel duplice senso di esprimere liberamente il proprio pensiero, diffonderlo e di assicurare la pluralità delle fonti informative»[20].

L’altra faccia della medaglia è che internet si presti facilmente a diventare una cassa di risonanza (che, a volte, assume i connotati di una gogna mediatica) pressoché inesauribile: una qualunque informazione che cade nella rete viene ripresa e riciclata, circolando in maniera istantanea e cumulativa (teoricamente all’infinito sia nel tempo che nello spazio virtuale[21]) da un sito all’altro, navigando all’interno di blog, transitando nei vari social network, arricchendosi di commenti etc., tanto che, in qualche caso, si arriva a smarrire il significato originario dell’informazione o, in altri casi, talune false informazioni vengono create e fatte circolare ad arte per le finalità più disparate[22]. Può dunque accadere che tramite la rete internet si possano commettere reati di manifestazione del pensiero (anzi secondo la Cassazione è «addirittura intuitivo»[23]), quali, esemplificativamente, ingiurie, diffamazioni, vilipendi, diffusioni di scritti immagini o disegni osceni, istigazioni ed apologie di reati, etc. Per tale ragione è pacifico che anche l’informazione online, soggiace ai ben noti limiti, rappresentati dalla tutela della persona umana (e parimenti tutelati dalla Costituzione agli artt. 2 e 3), i quali si concretizzano nella tutela del diritto all’immagine, al nome, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza.

Ciò posto, anzitutto, pare utile ricordare che giurisprudenza consolidata ha generalmente escluso l’estensione dell’obbligo di registrazione per il giornale online[24] e, conseguentemente, l’applicabilità ad internet del regime penalistico previsto dalla Legge sulla stampa (l. 47/1948) o dalla legge sul sistema radiotelevisivo (l. 223/1990), aderendo agli insegnamenti della dottrina secondo la quale la nozione di stampa non può estendersi sino a ricomprendervi anche quella telematica. Vi osterebbe, difatti, il tenore letterale dell’art. 1, l. 47/1948, il quale richiede una riproduzione con mezzi meccanici o fisico-chimici[25], ai quali il messaggio diffuso per via telematica non può essere assimilato[26].

Su questo tema la Cassazione, aveva avuto modo di precisare che, affinché possa «parlarsi di stampa in senso giuridico (ai sensi della ricordata l. 47/948, art. 1), occorrono due condizioni che certamente il nuovo medium non realizza: a) che vi sia una riproduzione tipografica (prius), b) che il prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione e, quindi, debba essere effettivamente distribuito tra il pubblico (posterius)». Peraltro, il «fatto che il messaggio internet (e, dunque, anche la pagina del giornale telematico) si possa stampare non appare circostanza determinante, in ragione della mera eventualità, sia oggettiva, che soggettiva. Sotto il primo aspetto, si osserva che non tutti i messaggi trasmessi via internet sono “stampabili”: si pensi ai video, magari corredati di audio; sotto il secondo, basta riflettere sulla circostanza che, in realtà, è il destinatario colui che, selettivamente ed eventualmente, decide di riprodurre a stampa la “schermata”»[27].

Seguendo questa linea interpretativa, la Dottrina ha escluso l’estensibilità alla telematica della legge che disciplina il sistema radiotelevisivo (l. 223/1990), sul presupposto che la nozione legislativa di «trasmissione» non possa comprendere servizi di comunicazione che operano su richiesta individuale, con la conseguenza che si potrebbe ammettere l’assoggettabilità al «regime della L. 223/1990 solo quelle trasmissioni radiofoniche o televisive che vengono diffuse attraverso una rete telematica con modalità analoghe e quelle della diffusione via etere e cioè con una programmazione continua determinata dall’emittente e non alterabile dal ricevente nel suo contenuto e nella sua disposizione cronologica»[28].

Dalla non riconducibilità dell’informazione online alla nozione di stampa (quanto meno sotto il profilo dell’interpretazione analogica in malam partem), discende che per tutte le ipotesi di dichiarazioni diffamatorie contenute in un sito internet non potrebbero applicabili né l’art. 13, l. 47/1948, che punisce la diffamazione a mezzo stampa, né l’art. 30, c. 4, l. 223/1990, che sanziona la diffamazione commessa tramite trasmissioni radiofoniche e televisive. Al riguardo si ritiene che essendo internet un mezzo di informazione del tutto peculiare, non può essere estesa in via analogica (stante il divieto di estensione analogica in malam partem[29], fondamentale estrinsecazione del principio del nullum crimen sine lege, enunciato dall’art. 25, c. 2, Cost.), la disciplina dettata per la stampa. In questo contesto non trovano inoltre applicazione gli art. 57 (responsabilità del direttore responsabile)[30], 57-bis (responsabilità dell’editore), 58 (responsabilità dello stampatore) c.p.

Tanto premesso in via generale, la Corte di Cassazione, nel precisare che i forum online «non possono essere qualificati come un prodotto editoriale, o come un giornale “on line”, o come una testata giornalistica informatica», trattandosi di una semplice area di discussione non soggetta alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa (ad es. indicare un direttore responsabile; registrare la testata, giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che la Costituzione riserva solo alla stampa)»[31], apriva la strada ad un’interpretazione evolutiva laddove lasciava intendere che sarebbe stato possibile giungere a conclusioni diverse per i «forum strutturalmente inseriti in una testata giornalistica diffusa per via telematica, di cui costituisca un elemento e su cui il direttore responsabile abbia la possibilità di esercitare il controllo (così come su ogni altra rubrica della testata)»[32].

Tale tendenza evolutiva è stata inizialmente intercettata nelle decisioni di alcuni Tribunali[33] e, recentemente, è stata ulteriormente delineata, dapprima, dalle sezioni unite penali[34] e poi dalle sezioni unite civili[35], le quali hanno indicato, tra i compiti del giurista, quello di «interpretare il sistema giuridico esistente per verificarne la tenuta ed adattare alla nuova realtà, benché in magmatica evoluzione, gli istituti e le discipline esistenti in coerenza quanto meno coi principi generali o fondamentali che si ritengano di persistente validità».

In particolare tali ultimi due recenti arresti giurisprudenziali hanno precisato:

  • che il «dato informatico in sé, in quanto normativamente equiparato a una “cosa”, può essere oggetto di sequestro, da eseguirsi, avuto riguardo al caso concreto, secondo determinate modalità espressamente previste dal legislatore e nel rispetto del principio di proporzionalità»[36];
  • che nel contesto della realtà digitale della rete, il sequestro preventivo – tenuto conto della peculiare realtà nella quale va ad incidere – consiste in una «inibitoria rivolta al fornitore di connettività, che deve impedire agli utenti l’accesso al sito o alla singola pagina web incriminati ovvero rimuovere il file che viene in rilievo, con l’effetto di arrestare l’attività criminosa in atto o scongiurare la commissione di ulteriori condotte illecite»;
  • che, ove «ricorrano i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora, è ammissibile, nel rispetto del principio di proporzionalità, il sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p.. di un sito web, o di una singola pagina telematica, anche imponendo al fornitore dei relativi servizi di attivarsi per rendere inaccessibile il sito o la specifica risorsa telematica incriminata»[37];
  • che alla nozione di stampa possono ricondursi sia i giornali tradizionali che quelli telematici, laddove anche quest’ultimi siano caratterizzati: «da una testata, dalla diffusione regolare, dall’organizzazione in una struttura con un direttore responsabile che sia giornalista professionista o pubblicista, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione, dalla finalizzazione all’attività professionale di informazione diretta al pubblico, per tale intendendosi quella di raccolta e commento di notizie di attualità e di informazioni da parte di soggetti professionalmente qualificati»[38];
  • che, dunque, anche la «testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di “stampa” di cui alla  8 febbraio 1948, n. 47, art. 1e, pertanto, non può essere oggetto di sequestro preventivo in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto si tratta di prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l’attività di informazione professionale diretta al pubblico»[39].

A tale ultimo riguardo le sezioni unite civili hanno precisato che soltanto la stampa che presenti caratteristiche, in «teoria idonee ad offrire una divulgazione di informazione responsabile e professionale, possono meritare anche, da un lato, un sovvenzionamento pubblico e, dall’altro, la tutela preventiva dal sequestro». Ragion per cui, laddove questi «connotati strutturali e funzionali siano posseduti dal giornale pubblicato, non importa se in tutto o in parte, col mezzo telematico, a prescindere anche dall’equipollenza dei metodi impiegati […], si giustifica allora la riconduzione di tale giornale nel concetto di “stampa” rilevante ai fini dell’art. 21, 3° comma, Cost. e quindi ai fini dell’esclusione del sequestro od altra forma di controllo preventivo»[40]. Per contro invece, non vengono fatti rientrare nel concetto di stampa i nuovi mezzi di manifestazione del pensiero destinati a essere trasmessi in via telematica, quali forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, e social network[41].

Il Tribunale di Milano, ha fatto applicazione di questi insegnamenti laddove, dapprima, ha accertato che la testata telematica in questione possedesse tutte quelle «caratteristiche, in teoria idonee ad offrire una divulgazione di informazione responsabile e professionale, e possa, di conseguenza, meritare la tutela preventiva dal sequestro». Dopodiché, ha valutato se le misure richieste in via cautelare dalla parte (o concedibili dal giudice) mirassero ad impedire la «persistenza nella Rete o l’ulteriore circolazione o diffusione dell’articolo – o equipollente – di giornale telematico ritenuto diffamatorio o comportino un effetto ad esso equivalente».

A tale ultimo riguardo il Tribunale, in un’ottica di bilanciamento tra i diritti costituzionali in gioco ed osservato che la natura pervasiva e diffusiva dell’informazione online non può portare ad un giudizio di inammissibilità nei confronti di qualunque tutela cautelare atipica, ha colto l’occasione per aggiungere un ulteriore tassello chiarificatore alla materia[42].

In particolare il Tribunale, da un lato, ha ritenuto di non poter eludere l’esigenza di prevalenza che – in fase cautelare – la Costituzione accorda alla libertà di stampa, sull’onore e la reputazione, ragion per cui sono inammissibili tutti quei provvedimenti che avrebbero l’effetto di comprimere o limitare la predetta libertà; dall’altro lato, ha però giudicato ammissibili tutti quei rimedi i quali, pur «senza giungere ad un risultato pratico equivalente al sequestro e, dunque, senza limitare la formazione dell’opinione pubblica, consentano di informare il fruitore di notizie on line dell’esistenza di “voci contrarie”, della “verità soggettiva” del soggetto oggetto della notizia, del potenziale aggiornamento delle informazioni (ad esempio in ragione di sviluppi di indagine o di successive rivelazioni da parte di altre fonti) o, ancora, dell’esistenza di un procedimento giurisdizionale volto all’accertamento della veridicità – anche solo putativa – delle informazioni contenute nell’articolo».

In tal modo, il Tribunale di Milano ha concretamente bilanciato il diritto all’onore e reputazione con libertà di stampa, in modo da non privare di ogni rimedio il titolare del diritto, al quale invece viene lasciata la scelta delle modalità di attuazione della tutela, considerato che, appaiono sicuramente ammissibili, «rimedi di tipo integrativo e correttivo che, peraltro, svolgono un ruolo di promozione del pluralismo ex art. 21 Cost.».

Esclusa quindi l’adozione di provvedimenti volti a impedire la diffusione e la permanenza della pubblicazione contenente le notizie ritenute diffamatorie, posto che avrebbero effetti corrispondente a quelli del sequestro, a diverse conclusioni si perviene con l’adozione di provvedimenti che mirano ad un “aggiornamento” della notizia, contenente le precisazioni e le contestazioni dei diritti interessati[43]. Provvedimenti che nel caso di specie il Giudice ambrosiano ha ritenuto di non dover adottare «atteso che […] nello stesso corpo dell’articolo è stato prontamente inserito un link contenente le lettere di precisazioni e spiegazioni inviate per e-mail alla redazione dagli odierni reclamanti».

Da ultimo, per completezza di esposizione si noti che tale rimedio, ad avviso del Collegio giudicante, può assimilarsi all’esercizio del «diritto di rettifica rispetto al quale, è comunque indubbio, che si differenzi per presupposti e disciplina – ed appare compatibile con l’attenuata tutela cautelare di cui godono l’onore e la reputazione rispetto alla stampa». La rettifica[44], difatti, trova fondamento nel «più ampio diritto all’identità personale, la cui lesione legittima il titolare all’esercizio dei rimedi speciali apprestati dal citato articolo 8 della legge sulla stampa e di quelli ordinari generalmente consentiti dall’ordinamento, tra cui anche il rimedio risarcitorio»[45]. Essa dunque non è diretta a realizzare la verità oggettiva dell’informazione, ma è diretta ad arricchire la divulgazione di una notizia con una verità soggettiva, costituita dall’interpretazione dei fatti della persona che si ritiene lesa.

 

 

[1] Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 2016, n. 23469.

[2] Il comma successivo così precisa: «L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».

[3] I casi nei quali le leggi vigenti consentono il sequestro preventivo sono: a) violazione delle norme sulla registrazione delle pubblicazioni periodiche e sull’indicazione dei responsabili (l. 8 febbraio 1948, n. 47 artt. 3 e 16); b) stampati osceni o offensivi della pubblica decenza ovvero divulganti mezzi atti a procurare l’aborto (r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 561: dichiarato incostituzionale con sentenza C. cost. 16 marzo 1971, n. 49); c) stampa periodica che faccia apologia del fascismo (l. 20 giugno 1952, n. 645, art. 8); d) violazione delle norme a protezione del diritto d’autore (l. 22 aprile 1941, n. 633, art. 161).

[4] Cass. civ., sez. un., 18 novembre 2016, n. 23469, in Foro it., 2016, I, 3753 ss., con note di richiamo di A. Palmieri.

[5] Ibidem. La sentenza, a sua volta, richiama C. Cost., 19 gennaio 1972, n. 4 e C. Cost. 25 marzo 1976, n. 60: «il sequestro della stampa generalmente intesa cioè, senza specificazioni, sia essa periodica o comune – può essere disposto, con atto motivato dell’autorità giudiziaria, soltanto nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi o nel caso di stampa clandestina; quello della stampa periodica è soggetto ad ulteriori garanzie procedurali; in ogni caso, il riferimento alla legge sulla stampa non introduce una riserva qualificata di legge, ma è indicativo del complesso delle norme riguardanti la materia».

[6] Come notazione storica si evidenzia che tale decreto fu uno degli ultimi firmati da Umberto II e venne pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di luglio quando l’Italia era già una Repubblica.

[7]  C. Cost., 9 luglio1970, n. 122, in Foro it., 1970, I, 2294 ss.

[8] Trib. Napoli, 15 dicembre 1997, in Dir. inf., 1998, 608 ss.; Trib. Roma, 6 dicembre 1993, in Dir. inf., 1994, 334 ss.

[9] Trib. Milano, 26 settembre 1994, in AIDA, 1995, 556 ss.

[10] Cass. pen., sez. V, 12 giugno 2008, n. 27996.  Si veda anche Trib. Milano, 23 ottobre 2002, in Foro ambrosiano, 2003, 471: «È da ritenersi tuttora in vigore il disposto dell’art. 1 r.d.leg. 561/1946, ai sensi del quale, nel caso di diffamazione a mezzo stampa, è previsto il sequestro di un massimo di tre esemplari dell’opera incriminata, qualora non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna e non si verta in materia di pubblicazioni oscene, di stampa clandestina o di diritto d’autore».

[11] Trib. Roma, 14 febbraio 2008, in Dir. inf., 2008, 177 ss. In senso contrario: Trib. Napoli, 18 febbraio 2015, n. 1184, in Dir. inf., 2015, 336 ss. (con nota di P. Sammarco, Stampa on-line: compatibilità dello strumento cautelare di cui all’art. 700 c.p.c. per la rimozione di articoli diffamatori e brevi annotazioni sui profili risarcitori), secondo il quale «lo strumento cautelare di cui all’art. 700 c.p.c. attivato per la rimozione di articoli di stampa pubblicati su internet all’interno di testate telematiche non è soggetto alle limitazioni riportate dall’art. 21 Cost. e dalle disposizioni della legge sulla stampa (art. 1 del r.d.lg. n. 561 del 1946) perché non vi è equiparazione di tale provvedimento cautelare richiesto al giudice civile al sequestro preventivo proprio del processo penale e contemplato dall’art. 321 c.p.p.».

[12] C. Cost., 24 gennaio 2017, n. 20 e C. Cost., 11 febbraio 2015, n. 10.

[13] C. Cost., 9 maggio 2013, n. 85 (espressamente richiamata nell’ordinanza in commento).

[14] Tanto che i mass media vengono intesi come intesi come «luogo di raccolta, di produzione e di archiviazione della parola pubblica», così, J. Derrida, Breve storia della menzogna, Roma, 2006, 61.

[15] La Corte EDU ha più volte ribadito il ruolo di “cane da guardia” svolto dall’informazione all’interno delle democrazie europee: CEDU, 25 giugno 2002, ric. 51279/99, Colombani c. Francia, in Riv. internaz. dir. dell’uomo, 2003, 216 ss.; CEDU, 6 maggio 2003, ric. 48898/99, Perna c. Italia, in Cass. pen. 2003, 11, 3566 ss. (con nota di A. Tamietti, Libertà di espressione della stampa e diritto all’onore delle persone diffamate nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo). Concetto questo ripreso anche dalla giurisprudenza nazionale, si veda ad esempio: Cass. pen., sez. V, 2 luglio 2007, n. 25138, in Resp. civ. prev., 2007, 2550 ss.

[16] Cass. pen., sez. V, 3 giugno 1983, in Giustizia penale, 1984, II, 69 ss.

[17] G. Salvemini, Sulla democrazia, Torino, 2007, 37.

[18] È il felice titolo del saggio dello storico inglese E. Hobsbawm: Il secolo breve, Milano, 2007.

[19] J. Braudillard, Il virtuale ha assorbito il reale reperibile al seguente link http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/b/baudrillard.htm: «i media si frappongono in maniera tale fra la realtà e il soggetto, che, mi pare, non ci sono più interpretazioni possibili in quanto l’informazione rende l’accadimento incomprensibile. L’evento storico non si sa più cosa sia quando passa attraverso i media, in breve si ha una transustanziazione di questo tipo in tutto ciò che i media fanno, così che ne risulta quel che io chiamerei una simulazione, un simulacro, e perciò non esiste più né il vero né il falso: non si sa più quale sia il principio della verità. Questo è certamente un dato importante; ma infine, c’è davvero bisogno della verità? In fin dei conti, l’obiettivo dei media non è stato forse di eliminare effettivamente il principio morale e filosofico della verità, per installare al suo posto una realtà completamente ingiudicabile».

[20] C. Di Lello, Internet e costituzione: garanzia del mezzo ed i suoi limiti, in Dir. inf., 2007, 907 ss., il quale sottolinea come internet, sue «caratteristiche di poliedricità ed interattività, si rende mezzo potenzialmente idoneo a fungere contemporaneamente da mezzo di informazione e di comunicazione e dà luogo virtuale nel quale possono realizzarsi innumerevoli altri rapporti».

[21] Ma con possibilità di concretizzarsi anche in quello reale, dato se sempre più spesso accade che un’informazione nata nella rete, venga poi ripresa e diffusa dai mass media tradizionali.

[22] In tema di fake news si rinvia a M. Bassini – G.E. Vigevani, Primi appunti su fake news e dintorni, in Rivista di diritto dei media, 2017, 11 ss.; G. Ghidini – A. Massolo, Fake news: responsabilità, non censura, in Diritto industriale, 2017, 352 ss.; E. Bertolini, Selfie con Merkel? Diffamazione, hate speech, fake news e responsabilità dei social networks: un difficile bilanciamento, in www.dpce.it, 2017, 149; F. Pizzetti, Fake news e allarme sociale: responsabilità, non censura, in www.astrid-online.it, 2017.

[23] Cass. pen., sez. V  17 novembre 2000, n. 4741  , in Resp. civ. prev., 2001, 309 ss.

[24] Cass. pen., sez. V, 10 maggio 2012, n. 23230, in Dir. inf. 2012, 1120 ss. (con nota di P. Di Fabio, Blog, giornali on line e «obblighi facoltativi» di registrazione delle testate telematiche: tra confusione del legislatore e pericoli per la libera espressione del pensiero su Internet): «l’omessa registrazione, preventiva alla diffusione, di un giornale telematico non integra il reato previsto dagli artt. 5 e 16 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 atteso che tale adempimento è riservato solo alle testate editoriali per le quali i prestatori di servizio intendano avvalersi delle provvidenze economiche per l’editoria e che la sua estensione costituirebbe interpretazione analogica in “malam partem”».

[25] Ai sensi dell’art. 1, l. 47/1948, che «sono considerati stampa o stampati […] tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinati alla pubblicazione».

[26] Così, testualmente, V. Zeno-Zencovich, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa: note critiche, in Dir. inf., 1998, 15, il quale osserva che il messaggio diffuso per via telematica, viene «sì riprodotto, ma non con mezzi tipografici e similari. E quando si materializza attraverso tali mezzi non vi è più una pubblicazione, ma un uso privato».

[27] Cass. pen., sez. V, 16 luglio 2010, n. 35211, in Resp. civ. prev., 2011, 82 ss., con nota di S. Peron, Internet, regime applicabile per i casi di diffamazione e responsabilità del direttore. In senso conforme anche: Cass. pen., sez. V, 11 giugno 2010, n. 30065, secondo la quale «appare errato (oltre che, ancora una volta, superfluo) il richiamo – contenuto nel capo di imputazione- alla L. n. 47 del 1948, art. 13 relativo alla diffamazione a mezzo stampa, atteso che un quotidiano telematico, pur essendo certamente un giornale, non di meno non può essere ricondotto al concetto di stampato. Ne consegue la differenza di trattamento sanzionatorio (che, per il ricordato art. 13, in presenza di fatto determinato, comporta reclusione da uno a sei anni); ne consegue ancora, ad es., la inapplicabilità del disposto di cui all’art. 57 c.p.».

[28] V. Zeno-Zencovich, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa: note critiche, cit., 19. In senso conforme anche: G. Corrias Lucente, Il diritto penale dei mezzi di comunicazione di massa, cit., 262, secondo il quale «alla nozione di televisione non sono, comunque, riconducibili i servizi di comunicazione che operano su richiesta individuale accessibili per internet».

[29] Difatti, si ricorda che ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale «le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati». In questo senso tra le corti di merito si vedano: Trib. Lecco,  3 ottobre 2014, «È inapplicabile al settore dell’informazione diffusa via internet la disciplina delle disposizioni incriminatrici dettate in materia di carta stampata, su tutte quella di cui all’art. 57 c.p., con ogni conseguenza anche di ordine civile che ne possa derivare»; Trib. Bologna, 18 febbraio 2010, n. 508: «all’ipotesi di diffamazione a mezzo internet non è applicabile la normativa prevista in ordine alla diffamazione a mezzo stampa, atteso che diversamente verrebbe violato il principio generale del divieto di interpretazione analogica “in malam partem” che vige in materia penale»; Trib. Oristano, 25 maggio 2000, in Foro it., 2000, II, 663 ss., con nota di C. Russo, Internet, libertà di espressione e regole penali: spunti di riflessione a margine di una pronuncia in tema di diffamazione: «nell’ipotesi di «dichiarazioni diffamatorie contenute in un sito web non si applica né l’art. 13 l. 47/48, che punisce la diffamazione a mezzo stampa, né l’art. 30, 4° comma, l. 223/90, che sanziona la diffamazione commessa tramite trasmissioni radiofoniche e televisive, ma può configurarsi il delitto di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, 2° e 3° comma, c.p., consistente nell’attribuzione di fatti determinati mediante «altri mezzi di pubblicità» (nella specie, il reato è stato escluso perché i fatti in questione sono stati ritenuti privi di concreta attitudine diffamatoria nei confronti del querelante)». La sentenza è stata pubblicata anche con nota di P. Costanzo, Ancora a proposito dei rapporti tra diffusione in Internet e pubblicazione a mezzo stampa, in Dir. inf., 2000, 659 ss.

[30] Rileva G. Buonomo, La responsabilità penale, in E. Tosi (a cura di), I problemi giuridici di internet, Milano, 2003, 604: «l’articolo 57 del codice penale, se applicato anche nel caso di diffamazione per via telematica, comporterebbe la responsabilità (penale) per il direttore o il vice-direttore responsabile (…). È evidente il fine cui tendono i sostenitori della tesi della responsabilità diretta del “gestore-direttore”: per la persona offesa è certamente più facile ottenere giudiziale tutela nei confronti del (certamente noto) fornitore di servizi, piuttosto che nei confronti del (non sempre noto autore del fatto). A questo punto basterebbe ricordare che il divieto di analogia nell’interpretazione della legge penale (art. 14 della disposizione sulla legge in generale) esclude l’applicazione degli articoli citati al di là dei casi espressamente considerati dalla norma incriminatrice (direttore del periodico a stampa) per chiudere la discussione». Per la giurisprudenza, in questo senso si veda: Cass. pen., sez. V, 5 novembre 2013, n. 10594, in Cass. pen., 2015, 3, 1202 ss., in cui «il direttore di un periodico on-line non è responsabile per il reato di omesso controllo, ex art. 57 c.p., sia per l’impossibilità di ricomprendere detta attività online nel concetto di stampa periodica, sia per l’impossibilità per il direttore della testata on line di impedire le pubblicazioni di contenuti diffamatori “postati” direttamente dall’utenza»; Cass. pen., sez. V, 16 luglio 2010, n. 35511, in Dir. inf., 2010, 895 ss., (con nota di C. Melzi D’Eril, Roma locuta: la cassazione esclude l’applicabilità dell’art. 57 c.p. al direttore della testata giornalistica on-line) secondo cui «il direttore di periodico “on line” non risponde del delitto di omesso controllo ex art. 57 c.p. in relazione ai reati ivi commessi (nella specie diffamazione a mezzo di lettera ivi inserita), non rientrando le comunicazioni telematiche nel concetto di “stampa”»; App. Roma, 11 gennaio 2001, in Dir. inf., 2001, 31: «l’art. 2 l. 47/1948 prevede l’obbligo di un direttore responsabile solo per i giornali a stampa, il quale assume i relativi doveri a seguito della prescritta registrazione; alla edizione telematica dello stesso giornale, non costituendo stampato e non essendo assoggettato a registrazione, non sono estendibili in malam partem le responsabilità previste dalla legge penale per il direttore responsabile dell’edizione a stampa».

[31] Cass. pen., sez. III, 11 dicembre 2008, n. 10535, in Foro it., 2010, II, 95 ss. (con nota di M. Chiarolla, Riflessioni intorno al concetto di prodotto editoriale digitale), continua la Corte, gli «interventi dei partecipanti al forum in questione, invero, non possono essere fatti rientrare nell’ambito della nozione di stampa, neppure nel significato più esteso ricavabile dalla L. 7 marzo 2001, n. 62, art. 1, che ha esteso l’applicabilità delle disposizioni di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 2 (legge sulla stampa) al “prodotto editoriale”, stabilendo che per tale, ai fini della legge stessa, deve intendersi anche il “prodotto realizzato… su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico”. Il semplice fatto che i messaggi e gli interventi siano visionabili da chiunque, o almeno da coloro che si siano registrati nel forum, non fa sì che il forum stesso, che è assimilabile ad un gruppo di discussione, possa essere qualificato come un prodotto editoriale, o come un giornale on-line, o come una testata giornalistica informatica. Si tratta quindi di una semplice area di discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole ed agli obblighi cui è soggetta la stampa (quale quello di indicazione di un direttore responsabile o di registrazione) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che l’art. 21 Cost., comma 3, riserva soltanto alla stampa, sia pure latamente intesa, ma non genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero. D’altra parte, nel caso in esame, neppure si tratta di un forum strutturalmente inserito in una testata giornalistica diffusa per via telematica, di cui costituisca un elemento e su cui il direttore responsabile abbia la possibilità di esercitare il controllo (così come su ogni altra rubrica della testata)».

[32] In questa linea evolutiva si veda anche Cass. pen., sez. V, 25 febbraio 2016, n. 12536, in Foro it., 2016, II, c. 359: « È legittimo il sequestro preventivo di un sito, qualificato blog anche dal suo gestore, che sia stato utilizzato per commettere il reato di diffamazione e manchi degli elementi necessari a individuare una testata giornalistica telematica (nella specie, era stata dal giudice di merito valorizzata l’assenza del carattere della periodicità regolare delle pubblicazioni, della testata e della registrazione), non rilevando in senso contrario la natura dell’attività informativa svolta dal sito medesimo, né la circostanza che il gestore fosse iscritto all’ordine dei giornalisti».

[33] Trib. Milano, 21 giugno 2010, in Guida dir., 44, 28 ss., con nota di J.A. Dudan – C. Melzi d’Eril, In assenza dei presupposti previsti dalla norma inapplicabili le garanzie sulla non sequestrabilità; Trib. Padova (ord.), 01.10.2009, in Foro it., 2009, I, 3225. Nonché, in anticipo su tutti, sempre Trib. Milano, 16 maggio 2002, n. 6127, in Resp. civ. prev., 2004, 214 ss., con nota di S. Peron, Sull’applicabilità della normativa del sequestro di stampati alle testate telematiche.

[34] Cass. pen., sez. un., 29 gennaio 2015, n. 31022, pubblicata e annotata in numerose Riviste, quali: Riv. pen., 2015, 831 ss., con nota di V. Vartolo, In tema di sequestro preventivo della pagina web di testata giornalistica on line; Processo penale e giustizia; Giur. it., 2015, 2002 ss., con nota di S. Lorusso, Un’innovativa pronuncia in tema di sequestro preventivo di testata giornalistica on line; Cass. pen., 2015, 3437 ss., con nota di L. Paoloni, Le sezioni unite si pronunciano per l’applicabilità alle testate telematiche delle garanzie costituzionali sul sequestro della stampa: «ubi commoda, ibi et incommoda»?; Dir. inf., 2015, 468 ss., con nota di G. Corrias Lucente, Le testate telematiche registrate sono sottratte al sequestro preventivo – Qualche dubbio sulla «giurisprudenza legislativa»; Giur. costit., 2015, 1055 ss., con nota di L. Diotallevi, La Corte di cassazione sancisce l’«equiparazione» tra giornali cartacei e telematici ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di sequestro preventivo: un nuovo caso di «scivolamento» dalla «nomofilachia» alla «nomopoiesi»?; Processo penale e giustizia, 2015,. 6, 62 ss., con nota di A. Pulvirenti, Sequestro e Internet: dalle sezioni unite una soluzione equilibrata ma «creativa»; Dir. pen. e proc., 2016, 201 ss., con nota di B. Piattoli, Il sequestro preventivo di una pagina web: il funzionalismo della rete e le sue intersezioni nelle dinamiche processuali. Nonché anche in: Foro it., 2016, I, c. 3753, con nota di A. Palmieri; Guida Dir., 2015, fasc. 33, 64, n. Amato; Guida Dir., 2015, fasc. 38, 82 (m), con nota di C. Melzi D’Eril – G.E. Vigevani.

[35] Cass. civ., sez. un., 18 novembre 2016, n. 23469.

[36] Cass. pen., sez. un., 29 gennaio 2015, n. 31022,: «a seguito dell’entrata in vigore della L. 18 marzo 2008, n. 48, di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, sulla criminalità informatica (cybercrime) e di adeguamento del nostro ordinamento agli impegni assunti con la medesima Convenzione, il dato informatico è esplicitamente equiparato al concetto di “cosa”, che, se pertinente al reato, può essere oggetto di sequestro. La Convenzione, infatti, dopo avere definito all’articolo 1 il concetto di “dato informatico”, disciplina nel successivo articolo 19 “Perquisizione e sequestro di dati informatici immagazzinati”, stabilendo che “Ogni Parte deve adottare le misure legislative e di altra natura che dovessero essere necessarie per consentire alle proprie autorità competenti di sequestrare o acquisire in modo simile i dati informatici per i quali si è proceduto all’accesso (…). Tali misure devono includere il potere di: a) sequestrare o acquisire in modo simile un sistema informatico o parte di esso o un supporto per la conservazione di dati informatici; b) fare e trattenere una copia di quei dati informatici; c) mantenere l’integrità dei relativi dati informatici immagazzinati; d) rendere inaccessibile o rimuovere quei dati dal sistema informatico analizzato”. Al termine “sequestrare” è affiancata l’espressione “acquisire in modo simile”, indicativa, come si legge nella relazione esplicativa del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, degli altri modi con i quali i dati intangibili possono essere resi indisponibili (renderli cioè inaccessibili o rimuoverli dal sistema). Le modifiche apportate, in esecuzione di tale Convenzione, dalla L. n. 48 del 2008 al codice penale e a quello di procedura penale confermano l’assimilazione del dato informatico alle “cose”».

[37] Si veda anche Cass. pen., sez. V, 25 febbraio 2016, n. 12536, in Foro it., 2016, II, 359 ss., secondo cui «è legittimo il sequestro preventivo di un sito, qualificato blog anche dal suo gestore, che sia stato utilizzato per commettere il reato di diffamazione e manchi degli elementi necessari a individuare una testata giornalistica telematica (nella specie, era stata dal giudice di merito valorizzata l’assenza del carattere della periodicità regolare delle pubblicazioni, della testata e della registrazione), non rilevando in senso contrario la natura dell’attività informativa svolta dal sito medesimo, né la circostanza che il gestore fosse iscritto all’ordine dei giornalisti».

[38] Cass. civ., sez. .un., 18 novembre 2016, n. 23469.

[39] Cass. pen., sez. un. 29 gennaio 2015, n. 31022.

[40] Cass. civ., sez. un., 18 novembre 2016, n. 23469, la quale precisa che la «periodicità, talvolta richiesta dalla normativa in esame ed in ogni caso imposta per la qualificazione di una pubblicazione come giornale o periodico, sta nella non occasionalità o nella non episodicità o nella non unicità dell’edizione o pubblicazione: cosa che può riscontrarsi in una regolarità di pubblicazione di nuove edizioni (o numeri), unificate dall’identità o perlomeno dalla costanza degli altri elementi sopra descritti; e che, nella stampa telematica periodica, strutturalmente articolata su di un sito tendenzialmente permanente, può risolversi — ai fini che qui interessano e sempre con la vista premessa di grande approssimazione, funzionale all’applicazione di concetti originariamente modellati su realtà fattuali non ancora evolute — anche nel consueto «aggiornamento» delle relative pagine: ciò che, per mantenere un parallelismo meramente descrittivo con la stampa tradizionale, può equipararsi alla lontana ad una «edizione» di un certo giorno o di una certa ora».

[41] Cass. pen., sez. V, 25 febbraio 2016, n. 12536, in Guida dir., 2016, 19, 94 ss.

[42] Scrive il Tribunale che «carattere pervasivo e diffusivo del mezzo di comunicazione telematico e l’idoneità dello stesso a causare danni potenzialmente irreparabili (un’irreparabilità dovuta dagli effetti ormai irreversibili provocati dalla permanenza, on line,  di informazioni dal contenuto ancora non verificato per molto tempo) – caratteristiche espressamente richiamate proprio dalle Sezioni Unite – precludano la possibilità di qualificare come inammissibile qualunque tutela cautelare atipica. In tal modo, infatti, verrebbe preclusa la possibilità di una tutela effettiva – nei limiti compatibili in sede cautelare – di un diritto fondamentale, rinviando ad una fase (quella di merito) i cui effetti dannosi dell’illecito (eventualmente accertato) sarebbero ormai irreversibilmente consolidati».

[43] Secondo Cass. civ., sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525, in Resp. civ. prev., 2012, 1155 ss. (con nota di G. Citarella, Aggiornamento degli archivi online, tra diritto all’oblio e rettifica «atipica»): «così come la rettifica è finalizzata a restaurare l’ordine del sistema informativo alterato dalla notizia non vera (che non produce nessuna nuova informazione), del pari l’integrazione e l’aggiornamento sono invero volti a ripristinare l’ordine del sistema alterato dalla notizia (storicamente o altrimenti) parziale. L’aggiornamento ha in particolare riguardo all’inserimento di notizie successive o nuove rispetto a quelle esistenti al momento iniziale del trattamento, ed è volto a ripristinare la completezza e pertanto la verità della notizia, non più tale in ragione dell’evoluzione nel tempo della vicenda».

[44] Si ricorda che ai sensi dell’art. 8, l. 8 febbraio 1948, n. 47, il direttore o il responsabile è tenuto a fare inserire nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale. La norma esclude ogni discrezionalità in capo al direttore responsabile il quale è gravato da un vero e proprio obbligo, cui corrisponde una posizione di diritto soggettivo dell’interessato, che trova limite esclusivamente nell’ipotesi di rilevanza penale delle dichiarazioni o delle rettifiche (cfr. ex multis Cass. civ., sez. III, 24 novembre 2010, n. 23835, in Dir. inf., 2011, 231 ss., con nota di M. Dimattia, Funzione della rettifica e aggravamento del danno da reputazione).

[45] Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10690, in Resp. civ. prev., 2009, 148 ss., con nota di S. Peron, Sul corretto esercizio del diritto di rettifica.

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