L’arbitro delle controversie sul diritto d’autore online supera il vaglio del giudice amministrativo. Nota a Tar Lazio, sez. I, 30 marzo 2017, n. 4101.

Con sentenza n. 4101 del 30 marzo 2017, il Tar Lazio ha confermato la legittimità della delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (“Agcom”) n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013, avente a oggetto il regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica.

Come noto, la titolarità del potere regolamentare dell’Agcom nella predetta materia ha suscitato un ampio dibattito in dottrina, specie con riferimento all’annosa questione della sua copertura legislativa, risultata, sin dalla prima procedura di consultazione pubblica avviata dall’Autorità nel 2010, una delle maggiori criticità del regolamento.

L’importanza della questione era, peraltro, resa ancor più manifesta dalla circostanza che la mancanza di una chiara predeterminazione legislativa non investiva esclusivamente la potestà regolamentare dell’Autorità in materia di tutela del diritto di autore online, ma anche le misure interdittive (quali, ad es., gli ordini rivolti ai prestatori di servizi di hosting di rimozione selettiva delle opere digitali rese illecitamente disponibili o, addirittura, di disabilitazione dell’accesso all’intero sito) che la stessa Agcom avrebbe potuto adottare sulla base delle proprie previsioni regolamentari.

Ebbene, la questione è giunta dinanzi al giudice amministrativo, il quale, pur senza celare un tortuoso percorso argomentativo, ha aderito alla tesi prospettata dall’Autorità, volta al riconoscimento in capo ad essa del potere regolamentare in esame e, di conseguenza, delle potestà interdittive ivi stabilite.

Prima di addentrarsi più specificamente nelle argomentazioni fornite dal Tar Lazio a suffragio delle proprie conclusioni, non si può non rammentare che sul punto è, altresì, incidentalmente intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 247 del 3 dicembre 2015.

La decisione della Consulta è stata, in particolare, sollecitata dalle ordinanze nn. 10016 e 10020 del 26 settembre 2014, con cui il Tar Lazio aveva sollevato questione di legittimità costituzionale di talune disposizioni legislative che il giudice rimettente aveva posto a fondamento del potere regolamentare dell’Agcom e che – ad avviso del medesimo giudice – avrebbero violato, tra gli altri, i principi di legalità e di riserva di legge per l’assenza di parametri che garantissero una adeguata ponderazione, da parte dell’Agcom, dei diversi diritti costituzionali coinvolti nell’esercizio delle proprie attribuzioni regolamentari.

La Corte ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tar Lazio, “in quanto entrambe (le ordinanze) presenta(va)no molteplici profili di contraddittorietà, ambiguità e oscurità nella formulazione della motivazione e del petitum”.

Per quanto più rileva ai nostri fini, e con specifico riguardo alla titolarità in capo all’Agcom del potere regolamentare in esame, la decisione della Corte assume particolare rilievo nella misura in cui essa non ha mancato di rilevare che “(a) prescindere da ogni considerazione sulla accuratezza della ricostruzione del quadro normativo e della interpretazione datane dal rimettente, è evidente che nessuna delle disposizioni impugnate, in sé considerata, dispone specificamente l’attribuzione all’autorità di vigilanza di un potere regolamentare qual è quello esercitato con l’approvazione del regolamento impugnato nei due giudizi davanti al Tar. Esso è desunto dal giudice a quo, in forza di una lettura congiunta delle previsioni sopra esaminate, che non risulta coerentemente o comunque adeguatamente argomentata”.

Ed invero, è proprio sul tentativo di una più coerente, e logicamente intelligibile, interpretazione sistematica dell’ambigua trama legislativa che si è appuntata la decisione in commento.

Occorre, tuttavia, sin da ora evidenziare che il rinnovato sforzo argomentativo messo in atto dal Tar Lazio per rinvenire nell’ordinamento un fondamento legislativo del potere regolamentare dell’Agcom in materia di tutela del diritto d’autore online non pare sufficiente – almeno sul piano del diritto positivo e della stretta compatibilità col principio di legalità amministrativa – a rendere immuni da critiche le conclusioni cui è giunto il giudice amministrativo.

Lasciando in disparte – anche per ragioni di economia della presente nota – l’analisi delle ulteriori censure avanzate dai ricorrenti, quella relativa alla carenza di potere dell’Autorità appare, in effetti, la più problematica e, dunque, meritevole in questa sede di un più attento e specifico esame.

Ciò posto, la norma che, secondo il Tar, riveste “un’importanza centrale” ai fini dell’individuazione del fondamento legislativo del potere regolamentare di Agcom è l’art. 182-bis della l. n. 633/1941, da “leggere” in combinato disposto con gli artt. 14, 15, 16 e 17 del d.lgs. n. 70/2003 (che ha recepito la direttiva n. 31/2000/Ce sul commercio elettronico).

Più precisamente, l’art. 182-bis cit. attribuisce all’Agcom, in coordinamento con la SIAE “nell’ambito delle rispettive competenze previste dalla legge”, compiti di vigilanza per la prevenzione e l’accertamento delle violazioni concernenti la normativa sul diritto d’autore. Gli artt. 14-16 del d.lgs. n. 70/2003 (riferiti, rispettivamente, all’esercizio, da parte dei prestatori dei servizi della società dell’informazione, dell’attività “di semplice trasporto – mere conduit”, “di memorizzazione temporanea – catching” e “di memorizzazione di informazioni – hosting”) dispongono, invece, che l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza possano esigere che il prestatore, nell’esercizio delle predette attività, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse. Infine, l’art. 17 del d.lgs. n. 70/2003 introduce una clausola generale di esenzione della responsabilità del prestatore di servizi per la commissione di altrui illeciti.

La conclusione che il Tar trae dalla “visione sistematica delle norme richiamate” è presto detta: “(…) la sussistenza in capo ad Agcom di compiti di regolamentazione e di vigilanza nel settore del diritto d’autore che possono anche consentirle di impedire l’accesso a determinati contenuti resi disponibili sulla rete internet per il tramite di un prestatore di servizi”.

Come anticipato, l’apparato argomentativo che supporta il verdetto del giudice amministrativo presta il fianco a una serie di critiche.

In primo luogo, il riferimento del Tar all’art. 182-bis, l. 633/1941 e al potere di vigilanza ivi previsto non pare idoneo a radicare in capo all’Agcom un ulteriore e inespresso potere di tipo regolamentare.

Pur se non espressamente evocato, è di tutta evidenza, infatti, il ricorso del giudice alla c.d. teoria dei poteri impliciti, secondo cui il potere amministrativo privo di base legislativa sarebbe da ricavare “implicitamente” dall’ambito “abilitativo” della norma attributiva del potere tipico al quale il primo è legato da un nesso di strumentalità.

A tacere della sussistenza di una riserva di legge nella materia interessata dal regolamento, non pare comunque ammissibile l’auto-attribuzione da parte dell’Agcom di un potere implicito regolamentare, stante l’impossibilità, se non a scapito di stigmatizzabili forzature interpretative (peraltro prive di una adeguata base motivazionale), di estendere l’ambito “abilitativo” del potere di vigilanza sino a includere il succitato potere regolamentare.

In altri termini, sebbene non possa negarsi l’eterogeneità delle molteplici manifestazioni della funzione di vigilanza espressamente attribuita all’Agcom, non sembra che essa possa financo estrinsecarsi in un’attività normativa vincolante nei confronti dei soggetti vigilati.

Inoltre, più specificamente, non può sottacersi che la vigilanza di cui è titolare l’Agcom in base all’art. 182-bis, l. n. 633/1941, si traduce essenzialmente in una serie di poteri ispettivi demandati ai funzionari dell’Autorità ai sensi dell’art. 182-bis, comma 3, cit., che sono strumentali all’accertamento di alcune fattispecie penalistiche (v., a tal proposito, l’art. 182-ter, l. 633/1941, secondo cui “Gli ispettori, in caso di accertamento di violazione delle norme di legge, compilano processo verbale, da trasmettere immediatamente agli organi di polizia giudiziaria per il compimento degli atti previsti dagli articoli 347 e seguenti del codice di procedura penale”).

In secondo luogo, non appare, altresì, convincente a fondare la potestà regolamentare e i conseguenti poteri interdittivi in capo all’Agcom la “lettura” dell’art. 182-bis, cit., “congiuntamente” agli artt. 14-17 del d.lgs. n. 70/2003. Difatti, oltre a non fare alcun riferimento esplicito alla potestà regolamentare, tali disposizioni, siccome interpretate alla luce della direttiva 2000/31/Ce sul commercio elettronico, non si appalesano direttamente attributive di un generale potere interdittivo in capo all’Agcom, ma mirano, piuttosto, a proteggere la posizione giuridica del prestatore di servizi a fronte del rischio di essere sempre ritenuto corresponsabile di altrui illeciti.

In ragione di quanto sopra, non sono, pertanto, condivisibili le argomentazioni offerte dal Tar Lazio per giustificare la legittimità del regolamento impugnato, specie in considerazione della riflessa e significativa “tensione” venutasi a creare col principio di legalità, nella sua veste sia formale sia sostanziale.

Ad ogni modo, pur ammettendo la potestà regolamentare dell’Agcom, un altro profilo su cui occorre riflettere (che non è emerso dalla vertenza da cui è scaturita la sentenza in commento) concerne la definizione dei limiti del potere para-giurisdizionale che l’Autorità esercita in base al regolamento. Più precisamente, in dottrina e in giurisprudenza non si sottovaluta il rischio – non sconosciuto all’attività dell’Agcom e di altre autorità indipendenti (si pensi ad. es. alle decisioni dell’Aeegsi sui reclami presentati ai sensi dell’art. 44 del d.lgs. n. 93/2011) – che l’esercizio di poteri para-giurisdizionali possa travalicare lo stretto recinto della singola controversia e “debordare” in atti impliciti di regolazione del mercato di volta in volta considerato, i quali sarebbero incompatibili con l’ordinamento generale.

Con ciò, si badi bene, non s’intende negare che il diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica esiga strumenti di tutela rapidi ed efficaci, ma si vuole osservare che essi potrebbero risultare, da un lato, sufficientemente “coperti” da una norma di rango primario e, dall’altro, che il loro utilizzo sia circoscritto alla risoluzione della singola controversia.

In merito alla non stretta osservanza del principio di legalità e delle esigenze garantistiche e democratiche a esso sottese, non parrebbe, infine, ardito il tentativo di trovarne una possibile spiegazione nella natura – più evidente rispetto ad altre authorities – essenzialmente neutrale e apolitica dell’Agcom nella protezione del diritto d’autore online.

Il ruolo di “arbitro” che l’Autorità assumerebbe nell’esercizio di tale funzione potrebbe, infatti, giustificare un’accezione debole del principio di legalità, che ammetta poteri innominati (anche di carattere inibitorio) in vista della tutela del soggetto debole del rapporto (il quale, in genere, corrisponde al titolare del diritto d’autore), senza che il contratto venga intaccato in via amministrativa.

Dunque, il ricorso da parte dell’Autorità a poteri impliciti potrebbe forse trovare una giustificazione nello scopo “compensativo” che essi perseguirebbero per riequilibrare posizioni in partenza sbilanciate a favore di una delle parti del rapporto (si pensi a una multinazionale come Google rispetto a una persona fisica titolare di un diritto d’autore su un’opera digitale). D’altra parte, la sola tutela giurisdizionale si rivelerebbe inadeguata a offrire una tutela rapida ed effettiva al diritto d’autore su internet.

 

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