La torta della discordia: la mancata soluzione al conflitto tra leggi antidiscriminazione e libertà di espressione e di religione nella sentenza Masterpiece Cakeshop (US Supreme Court)

Masterpiece Cakeshop v. Colorado Civil Rights Commission, 584 U.S. ___ (2018)

Nel decidere se il rifiuto da parte di un pasticciere di preparare una torta per la celebrazione di un matrimonio omosessuale fosse o meno contrario alle leggi statali antidiscriminazione, la Colorado Civil Rights Commission non ha tenuto un comportamento ispirato da religious neutrality, come la Costituzione US impone. Pertanto, la Supreme Court ha annullato la sentenza di condanna del plaintiff, evitando però di pronunciarsi in modo netto sulla controversa questione del conflitto tra leggi antidiscriminazione e libertà di espressione e di religione (tutelate dal First Amendment).

 

Sommario: 1. Il caso in breve. 2. La majority opinion (Kennedy): la Corte contro un giudizio ispirato a “due pesi, due misure”. 3. Le concurring opinion (Kagan, Gorsuch, Thomas): la diversità di vedute tra i giudici. 4. La dissenting opinion (Ginsburg): l’irrilevanza dei commenti dei commissari. 5. Conclusioni: “leave the broader issues for another day”.

 

1.Il caso in breve

Nell’estate del 2012, Charlie Craig e Dave Mullins hanno varcato la soglia di Masterpiece Cakeshop – una pasticceria di Lakewood, Colorado – e al suo proprietario, Jack Phillips, pasticciere professionista da oltre ventiquattro anni, hanno chiesto di preparare una torta per il loro matrimonio. Phillips – che si è descritto come un cristiano osservante e praticante[1] – si è rifiutato, spiegando di non preparare torte per matrimoni tra persone dello stesso sesso, ma di essere disponibile a vendere loro altri prodotti, quali, ad esempio, torte per compleanni o feste varie, brownie, cookie…[2] La coppia lasciò il negozio senza chiedere ulteriori spiegazioni. Il giorno dopo, però, la madre di Craig telefonò a Phillips per chiedere come mai si fosse rifiutato di servire suo figlio: il pasticciere reiterò la propria spiegazione sul fatto di non preparare torte nuziali per l’occasione in parola, per via dei suoi personali convincimenti religiosi e per l’opposizione, quindi, al riconoscimento stesso del diritto di poter contrarre matrimonio per le coppie omosessuali (ha successivamente aggiunto che preparare quella torta sarebbe equivalso, per lui, a un endorsement per il matrimonio cosiddetto “egualitario”[3]). Qualche giorno dopo, Craig e Mullins denunciarono Phillips secondo le forme previste dalla legge statale antidiscriminazione nota come Colorado Anti-Discrimination Act (di seguito: CADA)[4]. Convenuto di fronte a un giudice amministrativo, prima, e alla Colorado Civil Rights Commission (di seguito: Commission), poi,  Phillips ha articolato la propria difesa su basi strettamente costituzionali, sostenendo che l’applicazione del CADA avrebbe violato due suoi fondamentali diritti protetti dal First Amendment[5]: i) quello di libertà di espressione, obbligandolo a impiegare il proprio talento per esprimere un messaggio che egli non condivideva; ii) quello di libertà religiosa, essendo egli, per motivi religiosi, contrario al riconoscimento dei matrimoni omosessuali. Le autorità adite hanno respinto le difese di Phillips, ritenendo che il CADA fosse una «valid and neutral law of general applicability», pertanto – in virtù di quanto la Supreme Court ha deciso in Employment Division v. Smith (1990)[6] – non in contrasto con la Free Exercise Clause del First Amendment. Nonostante l’appello alla Colorado Court of Appeals, la decisione fu confermata: anche la nuova Corte, infatti, basandosi sull’appena citato precedente di Smith, ha affermato che un individuo non può ritenersi scusato dal rispettare le prescrizioni contenute in una legge della natura del CADA sulla base di una pretesa lesione della propria libertà religiosa. Dopo il rifiuto della Colorado Supreme Court di pronunciarsi in materia, Phillips ha cercato e ottenuto un writ of certiorari presso la US Supreme Court: il che ci porta alla sentenza ora in commento.

 

2.La majority opinion (Kennedy): la Corte contro un giudizio ispirato a “due pesi, due misure”

La Supreme Court ha deciso, con una maggioranza 7-2, in favore di Jack Phillips. La notizia dell’ampia e trasversale maggioranza (al blocco tradizionalmente considerato come “conservatore”, integrato dallo swing-vote di Kennedy, si sono aggiunti due giudici “liberal”, quali Breyer e Kagan) è stata accolta con stupore: ma questo è svanito rapidamente quando si è compreso che la Corte aveva scelto di risolvere il caso su narrow ground, evitando di rispondere alle domande più controverse che erano sorte nel corso della controversia. Ma procediamo con ordine.

L’autore della majority opinion è Kennedy, e ciò non ha costituito motivo di sorpresa: la sua giurisprudenza[7] ha avuto tra i propri punti cardinali sia la protezione dei diritti degli omosessuali[8] che l’affermazione delle libertà tutelate dal First Amendment[9]; era scontato, quindi, che – visti i valori in conflitto nel caso in esame – gli sarebbero toccati l’onore e l’onere di scrivere la sentenza in parola[10]. Come già anticipato, però, la decisione è risultata “deludente”, dal momento in cui Kennedy ha preferito evitare di affrontare e pronunciarsi sul tema più rilevante e difficile (quello del bilanciamento tra effetti delle leggi antidiscriminazione e tutela delle libertà di espressione e di religione), concentrando la propria attenzione sul riscontrato atteggiamento di aperta ostilità da parte dei componenti della Colorado Civil Rights Commission nei confronti delle opinioni religiose di Phillips. Proprio questa attitudine si è tradotta, a giudizio della Corte, nel non assicurare al nostro pasticciere il diritto a un equo e imparziale trattamento, in cui le sue obiezioni religiose fossero tenute in adeguata considerazione, e – di conseguenza – nella violazione delle garanzie offerte dal First Amendment. Come è emerso dall’istruttoria svolta, i commissari hanno sostenuto che le personali convinzioni in materia di fede non possono trovare albergo nell’agone commerciale, per cui Phillips sarebbe stato sì libero di credere in ciò che vuole, ma non anche di agire conseguentemente e coerentemente, data l’attività di impresa svolta[11]. Addirittura, uno dei commissari si è lasciato andare affermando che:

«La libertà di religione è stata usata per giustificare ogni tipo di discriminazione nel corso della storia, dalla schiavitù all’olocausto […]. Secondo me è uno dei più spregevoli esercizi di retorica il fatto che le persone possano usare la religione per fare del male agli altri»[12].

Specialmente questa dichiarazione – dalla quale, secondo i verbali raccolti, non si è dissociato nessuno degli altri commissari – ha fondato l’opinione della Corte sul fatto che la Commission non abbia tenuto l’atteggiamento di religious neutrality imposto dalla Costituzione US nel verificare la corretta applicazione della legge antidiscriminazione. Altro elemento valorizzato da Kennedy è stato il differente metro di giudizio che la Commission ha adottato in una vicenda parallela (cosiddetto caso Jack), laddove ha ritenuto legittimo il rifiuto di alcuni pasticceri di servire un cliente che aveva chiesto delle torte che riportassero un messaggio di disapprovazione nei confronti del matrimonio tra persone dello stesso sesso. La Commission ha deciso contro Phillips, argomentando che il messaggio rappresentato dalla torta nuziale richiesta sarebbe stato attribuito al cliente e non al pasticciere: ma se così fosse, puntualizza Kennedy, lo stesso sarebbe dovuto valere anche nel caso Jack. In aggiunta a ciò, in quest’ultimo caso, la Commission ha preso le parti dei pasticceri, perché costoro – pur avendo rifiutato il confezionamento di una torta – si erano offerti di vendere al cliente altri prodotti: la stessa, identica condotta tenuta da Phillips e che, però, è stata considerata dai commissari, nel caso in commento, come irrilevante. Ma, ammonisce Kennedy, uguali situazioni richiedono uguali trattamenti: altrimenti, si finisce nel più classico esempio di “due pesi, due misure”. E, continua, a nulla vale adottare il tentativo di giustificazione offerto dalla Colorado Court of Appeals, in ragione del quale il diverso trattamento degli analoghi casi sarebbe dipeso dalla diversa valutazione operata dal governo circa l’offensività delle condotte: questo perché non è compito dello Stato decidere cosa sia “offensivo”, quando si tratta di opinioni[13].

Come si vede, quindi, Kennedy è arrivato alla soglia della questione rappresentata dal rispetto delle libertà tutelate dal First Amendment, ma lì si è arrestato, ritenendo che l’ostilità nei confronti del credo religioso di Phillips mostrata dai membri della Commission fosse di per sé motivo sufficiente per ordinare la cassazione della sentenza impugnata. Ma, in questo modo, ha lasciato irrisolta la domanda sulla compatibilità tra le leggi antidiscriminazione e le libertà tutelate dal First Amendment. Cosa sarebbe successo, infatti, nel caso in cui i commissari avessero adottato un atteggiamento di neutralità e rispetto nei confronti dei convincimenti religiosi di Phillips? È possibile che ciò avrebbe potuto condurre a una decisione in suo favore, ma non pare ragionevole escludere a priori l’esito contrario: in quel caso, allora, si sarebbe potuto obbligare Phillips a vendere la torta nuziale richiesta da Craig e Mullins? Kennedy riconosce il potenziale conflitto, ma sceglie di non pronunciarsi in proposito e così conclude:

«Le decisioni in casi analoghi, ma con diverse circostanze, richiedono maggiore elaborazione da parte delle Corti, avendo presente che queste dispute vanno risolte con l’impiego della tolleranza, senza ingiusto disprezzo dei sinceri convincimenti religiosi e senza sottoporre le persone omosessuali ad umiliazioni quando ricercano beni e servizi sul libero mercato»[14].

 

3. Le concurring opinion (Kagan, Gorsuch, Thomas): la diversità di vedute tra i giudici

Se la majority opinion si contraddistingue per un’evidente cautela – nonché per l’essere palese espressione del cosiddetto judicial minimalism – lo stesso non può dirsi per le tre distinte concurring opinion[15], le quali affrontano a viso aperto la questione che abbiamo etichettato come centrale nel caso in esame, risolvendola, però, in modo assai differente. Con ciò confermando la sensazione per cui se la Corte avesse affrontato direttamente la questione del bilanciamento tra i valori in conflitto, la decisione avrebbe avuto un altro respiro, un altro tono e (probabilmente) un’altra (e più stretta) maggioranza.

Particolarmente interessante è il duello intellettuale tra il giudice Kagan e il giudice Gorsuch: se, infatti, entrambi hanno aderito alla majority opinion in quanto concordi con Kennedy circa la censurabilità della condotta tenuta dalla Commission, nei loro scritti mostrano di avere idee radicalmente opposte circa la legittimità del rifiuto di Phillips di servire Craig e Mullins. Secondo Kagan, infatti, la Commission avrebbe potuto distinguere tra i casi Phillips e Jack, semplicemente attraverso una piana e letterale interpretazione del CADA senza dover così cadere nel pregiudizio e nell’ostilità nei confronti del credo religioso di Phillips. E, difatti, si argomenta, ciò che differenzia i due casi è il diverso bene richiesto ai pasticcieri: a giudizio di Kagan, infatti, nel caso Jack, i pasticceri si sarebbero rifiutati di confezionare una torta – recante un messaggio di disapprovazione nei confronti dei matrimoni omosessuali – che non avrebbero venduto, in nessun caso, a nessun potenziale cliente; al contrario, nel caso Phillips, il pasticciere si sarebbe rifiutato di vendere, a una coppia omosessuale, una torta nuziale che, invece, avrebbe venduto a una coppia eterosessuale (così, discriminando tra clienti in base al loro orientamento sessuale e, dunque, violando la legittima e costituzionale previsione del CADA)[16].

All’opposto, Gorsuch[17] ritiene che Phillips non abbia discriminato in base all’orientamento sessuale dei suoi clienti, perché non avrebbe venduto la particolare torta desiderata neanche a un cliente eterosessuale, qualora gli fosse pervenuta una richiesta in questo senso. In altre parole, il caso non verte intorno a una torta soltanto nuziale, ma una torta nuziale per un matrimonio tra persone dello stesso sesso[18]. Tanto nel caso Phillips, quanto nel caso Jack, scrive Gorsuch, «è il tipo di torta, non il tipo di cliente, ad essere importante per i pasticceri»[19]: in entrambi i casi, questi ultimi hanno scelto di rifiutare la richiesta del cliente perché ritenevano che il prodotto desiderato violasse un loro convincimento morale. Evidenzia Gorsuch che la Commission ha potuto “condannare” Phillips e “assolvere” i pasticceri del caso Jack perché ha scelto di impiegare un doppio standard di giudizio: nel caso Phillips, ha considerato il prodotto a un livello “generalissimo”, qualificandolo come una qualsiasi torta nuziale, a prescindere dell’effettiva occasione per la quale era stato richiesto; nel caso Jack, invece, ha scelto di guardare in modo specifico alla torta concretamente ricercata. In questo modo, però, avverte Gorsuch, l’autorità pubblica – adottando, di volta in volta, il livello di generalità ovvero di specificità che più ritiene, a sua discrezione, consono – sarebbe in grado di giustificare qualsiasi decisione celi, in realtà, una violazione dell’uguale trattamento dei cittadini di fronte alla legge[20].

Ancora più addentro al tema della libertà di espressione è, infine, l’opinione del giudice Thomas[21], per il quale

«[o]bbligare Phillips a confezionare una torta nuziale per un matrimonio tra persone dello stesso sesso significa richiedergli, come minimo, di riconoscere che quest’ultimo è un “matrimonio” e che, pertanto, andrebbe celebrato – l’esatto messaggio che, secondo lui, la sua fede gli impedisce di abbracciare»[22].

Di conseguenza, ha errato gravemente la Colorado Court of Appeals quando: i) non ha ritenuto la condotta di Phillips protetta dal First Amendment; ii) ha concluso che, tutto sommato, il pasticciere avrebbe potuto esporre un disclaimer pubblico, chiarendo di aver confezionato quella torta solo perché obbligato dal CADA. Ma, in questo modo, ragiona Thomas, si svuoterebbe di qualsiasi significato il First Amendment, dal momento in cui si potrebbe obbligare chiunque a dire qualsiasi cosa il governo desideri, semplicemente facendo precedere un discorso da una similare avvertenza…[23] Ancora, sarebbe da respingere l’argomentazione avanzata da Craig e Mullins, per effetto della quale lo Stato del Colorado avrebbe il potere di forzare la condotta di Phillips al fine di impedirgli di sminuire la «“dignità delle coppie omosessuali” […] “affermandone l’inferiorità” e sottoponendole a “umiliazione, frustrazione e imbarazzo”»[24]: il First Amendment, infatti, impedisce al governo di vietare la libertà di esprimere delle opinioni per il solo fatto che queste potrebbero suonare come offensive alle orecchie di qualcuno. E non è neanche possibile, conclude Thomas, ritenere che la legalizzazione del matrimonio “egualitario”, realizzata dalla sentenza Obergefell, abbia avuto un effetto di restrizione dello spettro delle opinioni la cui libera espressione è tutela dal First Amendment. Ma questo è un profilo su cui torneremo nelle conclusioni.

 

4. La dissenting opinion (Ginsburg): l’irrilevanza dei commenti dei commissari

Ginsburg[25], con l’associazione di Sotomayor, ha votato in modo contrario al resto della Corte, perché ha ritenuto che i commenti e le dichiarazioni dei membri della Commission fossero di per sé irrilevanti, dal momento in cui quel passaggio amministrativo non è stato che uno dei tanti che hanno portato alla condanna di Phillips e non è stato neanche dimostrato che l’ostilità mostrata nei confronti delle opinioni religiose in quella sede abbia viziato i successivi sviluppi del caso. Ma, al netto di questo punto, la sua opinion sembra a chi scrive del tutto sovrapponibile a quella a firma Kagan, dal momento in cui ne sposa il parere secondo cui i casi Jack e Phillips (e i loro esiti) sarebbero inconciliabili, per i motivi già esposti sopra.

 

5. Conclusioni: “leave the broader issues for another day[26]

Proprio la sostanziale sovrapponibilità, in merito alla legittimità o meno del comportamento di Phillips, tra gli scritti di Kagan e Ginsburg (la prima in maggioranza, la seconda in minoranza) sembra confermare l’opinione, già segnalata in apertura, secondo cui, se la Corte non avesse scelto un atteggiamento di judicial minimalism, ma avesse affrontato direttamente la questione centrale del conflitto tra i valori in rilievo nel caso in esame, la decisione ora in commento avrebbe avuto, sicuramente, un altro (e più segnato) profilo e, possibilmente, anche un diverso esito. Dalla lettura delle opinion individuali, infatti, appare piuttosto scontato che – a parte il profilo della religious neutrality – il blocco “liberal” avrebbe votato per confermare la condanna di Phillips, mentre è altrettanto chiaro che Gorsuch, Thomas e Alito avrebbero votato per riformarla. Il Chief Justice Roberts non ha ritenuto di dover aggiungere nulla di personale alla majority opinion, ma sembra possibile affermare – anche guardando alle altre decisioni assunte in questo ultimo term – che avrebbe votato insieme agli altri giudici “conservatori”. Ancora una volta, il compito di fornire il voto decisivo per una maggioranza sarebbe ricaduto su Kennedy: e, a chi scrive, sembra che alcuni passaggi della sua majority opinion abbiano lasciato intendere la possibilità che, in caso di una condotta “neutra” della Commission, questi avrebbe pure potuto votare a fianco dei quattro giudici “liberal”. In ogni caso, la sentenza ha rappresentato un’occasione mancata per affrontare e risolvere il tema del conflitto tra leggi antidiscriminazione e libertà tutelate dal First Amendment (anche rivedendo, se necessario, il precedente di Smith, che – a leggere l’opinion di Gorsuch – è tutt’altro che saldo). L’auspicio di Kennedy, e cioè che casi così controversi possano essere sempre risolti in nome della fondamentale tolleranza che una società libera deve costantemente promuovere[27], è sicuramente condivisibile, ma se la tolleranza è sempre una virtù tra i cittadini comuni, non altrettanto necessariamente lo è tra i giudici, specialmente se questa si traduce in un judicial minimalism che postula «[a] never-say-never disposition [which]does damage for several reasons», come ebbe a dire una volta Scalia[28].

Che la questione centrale di questo caso sia ancora rimasta intatta e tornerà, quasi sicuramente, di fronte alla Supreme Court è testimoniato dalla pendenza di altre e analoghe controversie giudiziarie (si pensi, ad esempio, al caso Arlene’s Flowers Inc. v. Washington, che è stato rinviato al tribunale inferiore per un riesame, alla luce della decisione in Masterpiece). D’altro canto, non si può sorvolare sul fatto che il riconoscimento del matrimonio “egualitario” realizzato da Obergefell pone delle sfide alle libertà protette dal First Amendment (importante il già anticipato rilievo del giudice Thomas in proposito): in quella sentenza, la Corte statuì che l’emendamento in parola assicura alle organizzazioni e agli individui con sinceri convincimenti religiosi adeguata protezione quando questi sono intenti a diffondere e difendere i principi che derivano dalla loro fede e che così importanti e centrali per le loro vite. Ma qual è l’effettiva estensione di questa statuizione? Ad esempio, un membro del clero può sicuramente rifiutarsi di fornire i propri servigi per un matrimonio omosessuale: ma la Corte non ha detto se lo stesso possa valere anche per un pasticciere sinceramente convinto del fatto che il matrimonio sia solo tra un uomo e una donna. In particolare, non ha chiarito se – al fine di verificare la legittimità del rifiuto di servire un cliente – il bene e/o servizio vada considerato a un livello generale (e neutro), ovvero a uno particolare che tenga conto della specifica occasione per il quale è stato richiesto (si guardi al dissidio in proposito tra Kagan-Ginsburg e Gorsuch). Ancora, non ha spiegato se e a quali condizioni il lavoro di un professionista (dal pasticciere al fotografo, passando per il fioraio…) possa essere considerato “artistico” e dunque protetto dal First Amendment. E così via discorrendo: per avere queste risposte dovremo aspettare un altro giorno e un’altra sentenza[29].

 

[1] Come ricordato da J. Thomas, opinion, 10: «Phillips routinely sacrifices profits to ensure that Masterpiece operates in a way that represents his Christian faith. He is not open on Sundays, he pays his employees a higher-than-average wage, and he loans them money in times of need. Phillips also refuses to bake cakes containing alcohol, cakes with racist or homophobic messages, cakes criticizing God, and cakes celebrating Halloween – even though Halloween is one of the most lucrative seasons for bakeries».

[2] Masterpiece Cakeshop v. Colorado Civil Rights Commission, Opinion of the Court delivered by Kennedy, J. (di seguito: Kennedy), 4.

[3] Ibidem. Lo Stato del Colorado non riconosceva, al tempo dei fatti di causa, il diritto per le coppie omosessuali di contrarre matrimonio.

[4] Come ricordato da Kennedy (4-6), il CADA è stato emendato nel 2007 e 2008 per proibire discriminazioni (da parte di un pubblico esercizio) anche in riferimento all’orientamento sessuale del cliente.

[5] Il quale, lo ricordiamo, così recita: «Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances».

[6] Nel caso in esame, la Corte – con una majority opinion a firma di Scalia – affermò che rientrava tra le prerogative dello Stato negare l’assegno di disoccupazione a chi fosse stato licenziato per aver violato una legge che rendeva illegale il possesso di peyote (un particolare cactus da cui possono estrarsi sostanze stupefacenti), anche se questi avesse affermato di averlo posseduto per motivi religiosi. La Corte ritenne che, poiché lo Stato non aveva varato la norma per ledere la libertà di culto di un credo, nessuno avrebbe potuto sottrarsi al suo rispetto, essendo questa passibile di applicazione, in maniera generale, a chiunque, e per qualunque motivo, fosse stato trovato in possesso del peyote (una «neutral law of general applicability», per l’appunto).

[7] Su cui v. F. Colucci, Justice Kennedy’s Jurisprudence: The Full and Necessary Meaning of Liberty, Lawrence, 2009.

[8] Alla penna di Kennedy si deve la majority opinion di ognuno dei più recenti landmark case in materia di riconoscimento dei diritti per gli omosessuali: Romer v. Evans, 517 U.S. 620 (1996); Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558 (2003); United States v. Windsor, 570 U.S. 744  (2013); Obergefell v. Hodges, 576 U.S. ___ (2015).

[9] Vd., in particolare, Citizens United v. FEC, 558 U.S. 310 (2010) e, oltre alla sentenza qui in commento, la sua concurring opinion in National Institute of Family and Life Advocates v. Becerra, 585 U.S. ___ (2018).

[10] Cfr. I. Shapiro, Justice Kennedy Will Be Top Chef in Masterpiece Cakeshop Case, in www.cato.org, 5 dicembre 2017.

[11] Kennedy, 12-13.

[12] Ibid., 13.

[13] Vale la pena riportare la centrale espressione adoperata in questo senso, e riportata in sentenza, nel caso West Virginia Bd. of Ed. v. Barnette (1943), che dichiarò incostituzionale l’obbligo di omaggio alla bandiera nelle scuole: «No official, high or petty, can prescribe what shall be orthodox in politics, nationalism, religion, or other matters of opinion».

[14] Kennedy, 18.

[15] Le tre opinioni sono a firma Kagan (con l’associazione di Breyer), Gorsuch (con l’associazione di Alito) e Thomas (con l’associazione di Gorsuch).

[16] Nelle parole di Kagan (Masterpiece Cakeshop v. Colorado Civil Rights Commission, Kagan, J., concurring, 3 in nota): «A vendor can choose the products he sells, but not the customers he serves – no matter the reason. Phillips sells wedding cakes. As to that product, he unlawfully discriminates. He sells it to opposite-sex but not to same-sex couples».

[17]  Masterpiece Cakeshop v. Colorado Civil Rights Commission, Gorsuch, J., concurring (di seguito: Gorsuch).

[18] Ibid., 8-9: «Words or not and whatever the exact design, it celebrates a wedding, and if the wedding cake is made for a same-sex couple it celebrates a same-sex wedding. […] [I]t is our job to look beyond the formality of written words and afford legal protection to any sincere act of faith». E, ancora, 11-12: «It is no more appropriate for the United States Supreme Court to tell Mr. Phillips that a wedding cake is just like any other – without regard to the religious significance his faith may attach to it – than it would be for the Court to suggest that for all persons sacramental bread is just bread or a kippah is just a cap». Peraltro, seguendo l’opinion di Thomas, 1-2, si può affermare che, ancorché le parti non abbiano offerto una versione pacifica dei fatti di causa intorno al tipo di torta richiesto, la Colorado Court of Appeals ha adottato la ricostruzione offerta da Phillips, affermando che la torta richiesta fosse una «to celebrate [a]same-sex wedding». A ciò si aggiunga l’ordine proveniente dalla Commission, per effetto del quale Phillips avrebbe dovuto vendere a Craig e Mullins qualunque prodotto egli avrebbe venduto a una coppia eterosessuale, ivi inclusa una torta “personalizzata”.

[19] Gorsuch, 4.

[20] Gorsuch, 7, dedica anche particolare attenzione al tema della tutela della libertà religiosa di Phillips: «Just as it is the “proudest boast of our free speech jurisprudence” that we protect speech that we hate, it must be the proudest boast of our free exercise jurisprudence that we protect religious beliefs that we find offensive. […] Popular religious views are easy enough to defend. It is in protecting unpopular religious beliefs that we prove this country’s commitment to serving as a refuge for religious freedom».

[21] Masterpiece Cakeshop v. Colorado Civil Rights Commission, Thomas, J., concurring (di seguito: Thomas). Thomas, 2-5, ha ricordato che, per consolidata giurisprudenza della Corte, anche una condotta “materiale” (quale, per l’appunto, la preparazione di una torta) può rientrare, a determinate condizioni, tra quelle protette dalla libertà di espressione di cui al First Amendment.

[22] Ibid., 8.

[23] Ibid., 10-11: «Because the government cannot compel speech, it also cannot “require speakers to affirm in one breath that which they deny in the next”. […] States cannot put individuals to the choice of “be[ing]compelled to affirm someone else’s belief” or “be[ing]forced to speak when [they]would prefer to remain silent”».

[24] Ibid., 12.

[25] Masterpiece Cakeshop v. Colorado Civil Rights Commission, Ginsburg, J., dissenting.

[26] La citazione viene da NASA v. Nelson, 562 U.S. 134 (2011), Opinion of the Court delivered by Alito, J., 12 in nota.

[27] Kennedy ha ribadito che «tolerance is essential in a free society», durante le udienze del caso in parola.

[28] Sempre nel caso NASA v. Nelson. In tema, in uno dei suoi scritti più celebrati, Scalia affermò che «[j]udges are sometimes called upon to be courageous, because they must sometimes stand up to what is generally supreme in a democracy: the popular will» (Id., The Rule of Law as a Law of Rules, in The University of Chicago Law Review, 4, 1989, 1180).

[29] Per una soluzione positiva ai dubbi così espressi vd. le interessanti e ampiamente condivisibili riflessioni di D. Laycock, The Wedding-Vendor Cases, in Harvard Journal of Law & Public Policy, 1, 2017, 63 ss.

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