La legge siciliana sull’informazione locale e l’anonimato in rete. Abbiamo bisogno di una legge anti-troll?

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Il 3 dicembre scorso l’Assemblea regionale siciliana ha approvato una nuova legge recante: “Norme per la promozione ed il sostegno delle imprese dell’informazione locale” (DDL 304-8-280). La notizia dell’approvazione della legge – che prevede per l’appunto misure di sostegno pubblico all’informazione locale veicolata attraverso ogni media (carta stampata, tv, internet) – sarebbe rimasta relegata all’informazione locale se non fosse stato per un emendamento, poi approvato dall’Assemblea, che in sostanza subordina la concessione dei benefici ai portali di informazione online all’implementazione di un sistema che assicuri “la possibilità di identificare l’identità degli autori” di post e commenti pubblicati su tali portali.

La norma, giornalisticamente definita “anti-troll”, inserita all’articolo 4, comma 2, lettera e) prevede, più nello specifico, tra i requisiti per l’accesso ai benefici che i portali online si avvalgano:”[…] di un sistema informatico che assicuri, per i “post” e i commenti inviati dai lettori e pubblicati sulle pagine web, la possibilità di identificare l’identità degli autori, nel rispetto delle garanzie stabilite dalla vigente disciplina statale e comunitaria in materia di riservatezza dei dati personali (privacy) e consentendo l’utilizzo di eventuali pseudonimi, mediante acquisizione in copia di un documento d’identità o altri strumenti tecnicamente idonei all’accertamento dell’identità”.

Al di là dell’utilizzo di espressioni tautologiche, che pure potevano essere evitate ( accertare l’identità invece di identificarla?), la norma così strutturata, almeno nella sua prima parte, potrebbe voler dire che i portali di informazione devono consentire l’identificazione di coloro che postano contributi o commenti sulle piattaforme gestite.

Se così è, allora non è necessaria l’implementazione di alcun sistema specifico.

Tecnicamente è, infatti, possibile nella generalità dei casi risalire all’identità dell’autore del commento o del post attraverso l’indirizzo IP e l’incrocio dei dati con i fornitori di accesso.  Tanto è previsto dal Decreto E-commerce (D. Lgs. 70/2003) che all’articolo 17 comma 2 lettera b) obbliga il prestatore di servizi di hosting,  così come si qualifica il gestore di un portale di informazione nel momento in cui ospita commenti o post dei propri utenti (sul punto si registra l’orientamento consolidato della Cassazione almeno a partire dalla sentenza n. 35511/2011), a fornire senza indugio su richiesta delle autorità competenti (e non quindi su richiesta degli interessati proprio per salvaguardare esigenze di riservatezza, su questo punto si richiama il caso Promusicae innanzi alla Corte di Giustizia  e in Italia Peppermint) “le informazioni in suo possesso che consentano l’identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione di dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite”.

La norma siciliana quindi, non aggiungerebbe niente né, così come formulata, richiederebbe alcuna specifica attività a carico dei gestori dei portali di informazione online in aggiunta a quanto già previsto dalle fonte primarie di rango europeo e nazionale.

Più problematica è la seconda parte della disposizione che prevede a carico del gestore del portale online di acquisire copia di un documento di identità o di implementare altri sistemi volti alla preventiva identificazione degli utenti che sulla piattaforma vogliano postare commenti o contributi utilizzando uno pseudonimo.

Quale che sia l’interpretazione che si voglia offrire alla norma citata è certo che la stessa, nel subordinare l’erogazione dei benefici pubblici all’adozione di specifici, seppur non determinati, meccanismi di identificazione degli utenti di un portale di informazione online ponga un tema di compatibilità con il framework legislativo vigente a livello nazionale ed europeo interpretato alla luce della giurisprudenza delle corti di Strasburgo e Lussemburgo. Non si tratta di un obbligo ma di un onere cui si subordina l’erogazione di un contributo ma sappiamo quanto i finanziamenti pubblici tanto contestati rappresentino il principale, se non unico mezzo di sostentamento di molte testate soprattutto dell’informazione locale.

Nell’analizzare la norma nel prisma della giurisprudenza europea bisogna prestare attenzione ai tre poli di interesse che vengono, in qualche modo incisi, dall’imposizione dell’onere richiamato: 1) anzitutto viene in rilievo la libertà di espressione degli utenti dei portali di informazione protetta a livello costituzionale e, tra le altre fonti sovranazionali, dall’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU); 2) quindi viene in rilievo il diritto all’onore e alla reputazione di terzi eventualmente lesi dalla pubblicazione dei commenti, diritto anch’esso di rango costituzionale e che trova una proiezione sovranazionale nell’articolo 8 della CEDU 3) ed infine, viene in rilievo l’esercizio della libertà di impresa dei gestori dei portali di informazione probabilmente incisa dall’imposizione di un onere come quello richiesto dalla disposizione in commento.

La domanda da porsi per verificare la tenuta della norma siciliana è questa: la norma garantisce un equilibrio tra i diritti di tutti i soggetti dalla stessa coinvolti?

La risposta, come spesso, accade non è univoca ma vi sono degli indici che militano nel senso di una non conformità della stessa con il framework descritto.

Anzitutto sul piano dell’articolo 10 CEDU secondo una costante giurisprudenza della Corte le limitazioni alla libertà di espressione devono essere interpretate restrittivamente, rispondere ad un’esigenza sociale pressante (“pressing social need”), essere proporzionate e finalizzate al perseguimento di un obiettivo legittimo.

La tutela dell’onore e della reputazione di soggetti terzi può rappresentare un valido fondamento per eventuali restrizioni alla libertà di espressione.  Ma occorre chiedersi se l’imposizione di un sistema di registrazione, come quello che sembra previsto dalla norma siciliana, possa essere considerato un mezzo proporzionato per la tutela degli interessi avuti di mira.

Da questa prospettiva è significativo rilevare come nella recente decisione Delfi contro Estonia del 10 ottobre 2013, commentata su altra rivista, nella quale la Corte nel riconoscere come non fosse in contrato con l’articolo 10 l’imposizione a carico di un giornale online di una multa equivalente a 300 euro per la mancata rimozione di alcuni commenti anonimi di natura diffamatoria abbia valorizzato due elementi nel suo reasoning.

Da un lato, ha ribadito l’importanza dell’aspettativa degli utenti di internet di rimanere anonimi nell’esercizio della propria libertà di espressione (paragrafo 92 “The Court is mindful, in this context, of the importance of the wishes of Internet users not to disclose their identity in exercising their freedom of expression”) e sotto altro profilo, ha valutato positivamente che la decisione estone di cui si discuteva non avesse imposto a carico del gestore del portale online l’adozione di misure invasive qual per esempio, sistemi di registrazione obbligatoria dei propri utenti (paragrafo 90 “[…] no specific measures such as a requirement of prior registration of users before they were allowed to post comments, monitoring comments by the applicant company before making them public….”).

La considerazione di tali due elementi potrebbe condurre ad una valutazione diversa sulla norma in questione.

Guardando all’esercizio della libertà di impresa è agevole constatare come la norma in questione sembrerebbe richiedere al gestore di un portale di informazione online l’implementazione di un sistema di registrazione dei propri utenti permanente e con costi a carico di quest’ultimo.  Anche sotto tale profilo, pur se su fattispecie diversa relativa all’apposizione di filtri permanenti al traffico internet per la tutela di diritti di proprietà intellettuale, un’altra corte europea quella di Lussemburgo ha recentemente ribadito  come tali misure si pongano in contrasto con il diritto comunitario.

Anche sotto questo angolo visuale, dunque, la norma in questione propone delle perplessità allorquando pone a carico del portale online l’adozione a proprie spese di misure finalizzate alla tutela dei diritti di terzi.

Infine, occorre guardare all’interesse avuto di mira dalla norma in analisi e bisogna chiedersi se la predisposizione di un sistema di registrazione come quello che sembrerebbe emergere dalla legge siciliana sia idoneo a proteggere efficientemente e senza un eccessivo sacrificio di altri diritti il diritto all’onore e alla reputazione di soggetti terzi coinvolti nei commenti.  Anche sotto profilo la norma pone degli interrogativi.  E’ certo che la stessa non prevenga la commissione di illeciti ma piuttosto sia finalizzata ad una più agevole identificazione dei responsabili.

Ma chi garantisce la corrispondenza dei dati comunicati con quelli effettivi dell’autore del commento? E quale ruolo gioca il gestore del portale di informazione in tale contesto?  E’ da escludere che possa avere ruoli di certificazione né che possa essere portatore di responsabilità addizionali, al di là di quanto previsto a livello nazionale e comunitario dalla normativa sul commercio elettronico.

Insomma, una norma di cui francamente non se ne sentiva la necessità e che sullo sfondo riporta all’attualità un tema da tempo dibattuto a livello nazionale e non solo: esiste un diritto all’anonimato per gli utenti della rete internet? E’ un valore da difendere o un illegittimo schermo che garantisce una sostanziale impunità?

Non è questa la sede più adatta per approfondire un tema così complesso ma forse, anche alla luce del valore sociale delle rivelazioni dei diversi whistleblower in giro per il mondo è arrivato il momento per discutere compiutamente anche da noi.

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