La copia cartacea dello screenshot ha valore probatorio

Corte di Cassazione, sez. V penale, 16 gennaio 2018, n. 8736

La copia cartacea di una schermata telematica è soggetta alla libera valutazione del giudice e ha valore probatorio anche se è priva di attestazione ufficiale che ne confermi l’autenticità.

 

  1. Il caso.

Su un quotidiano on line venivano pubblicati alcuni articoli dal contenuto diffamatorio in danno del presidente di una Provincia. All’esito del primo grado di giudizio il Tribunale emetteva una sentenza di condanna per il reato di diffamazione: la prova decisiva della colpevolezza sembra essere stata desunta da una copia cartacea delle schermate telematiche del sito internet (prodotta dalla parte civile), da cui risultava che l’imputato fosse l’autore degli articoli e il direttore responsabile del giornale on line.

La condanna era successivamente annullata dalla Corte di Appello, che, al contrario, non riteneva attendibile tale prova documentale, non essendo vidimata da un notaio e in mancanza di dati ulteriori che ne confermassero la certezza e l’autenticità.

Con la sentenza in commento la V sezione della Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione, ritenendo, invece, utilizzabile e attendibile la copia delle schermate del sito internet su cui erano stati pubblicati gli articoli dal contenuto diffamatorio.

A supporto della propria decisione il Giudice di legittimità ha osservato, anzitutto, che l’estrazione di dati archiviati su un supporto informatico non costituisce un accertamento tecnico irripetibile neppure in seguito all’entrata in vigore della l. 48/2008.

La Corte ha precisato, inoltre, che con tale legge si è introdotto solamente l’obbligo per la polizia giudiziaria di rispettare determinati protocolli di comportamento, senza prevedere alcuna sanzione processuale nel caso gli stessi non fossero attuati. La violazione della normativa, dunque, si rifletterebbe unicamente sul piano dell’attendibilità della prova acquisita tramite l’accertamento.

Si è rilevato, poi, che i dati di carattere informatico contenuti nel computer rientrano tra le prove documentali, in quanto rappresentano cose e che per l’estrazione di tali dati non occorre alcuna particolare garanzia, trattandosi di un’operazione esclusivamente meccanica.

È richiamata, inoltre, una recente pronuncia in cui si sostiene che i fotogrammi scaricati dal sito internet Google Earth costituiscono prove documentali pienamente utilizzabili ai sensi dell’art. 234 co. 1 c.p.p. e 189 c.p.p.[1]

La Corte di Cassazione ha concluso il proprio ragionamento ricordando che la possibilità di acquisire un documento e di porlo alla base della decisione non è limitata ai soli casi in cui il documento provenga da un pubblico ufficiale o sia autenticato. Ogni documento acquisito legittimamente, infatti, ha valore probatorio ed è soggetto alla libera valutazione del giudice sebbene sia privo di certificazione ufficiale di conformità e l’imputato ne disconosca il contenuto.

Dal momento che l’annullamento è stato disposto ai soli fini civili, la Corte di Cassazione ha trasmesso il procedimento al giudice civile competente per valore in grado di appello.

 

  1. La nozione di “documento” di cui all’art. 234 co. 1 c.p.p. e le garanzie previste per l’acquisizione dei dati informatici.

Come rilevato in dottrina[2], il codice di procedura penale ha consapevolmente omesso di fornire una definizione di “documento”, essendosi limitato a prevedere la possibilità di acquisire ogni supporto materiale che rappresenti fatti, persone o cose. Gli elementi costitutivi del documento sono, dunque: (i) il fatto rappresentato, ossia l’oggetto della prova; (ii) la rappresentazione, che è la creazione di un equivalente al fatto rappresentato; (iii) l’incorporamento, vale a dire la procedura con cui la rappresentazione è fissata sulla base materiale e (iv) la base materiale, che è il mezzo con cui si conserva e si riproduce la rappresentazione[3].

Ogni documento, inoltre, è formato con la medesima finalità di diffondere e condividere le informazioni.

La decisione di lasciare aperto il catalogo dei supporti idonei a riprodurre il documento ha certamente agevolato l’estensione della disciplina dettata dall’art. 234 co. 1 c.p.p. anche ai documenti informatici.

Tale possibilità, del resto, è stata ammessa pacificamente dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui: «I dati contenuti nel computer […] costituiscono prova documentale ai sensi dell’art. 234 c.p.p., comma 1, trattandosi della rappresentazione di cose, termine cui deve attribuirsi la più ampia estensione, effettuata mediante mezzi diversi da quelli tradizionali, così come previsto dalla norma»[4].

Se non vi sono dubbi sulla possibilità di ricondurre il documento informatico alla categoria di documenti di cui al citato art. 234, più incerto è il rapporto tra il documento informatico e i documenti tradizionali. Infatti, se da un lato, il documento informatico potrebbe essere ritenuto una species di rappresentazione nuova e ulteriore rispetto a quelle codificate; dall’altro, si è correttamente osservato che uno scritto, una fotografia o un video possono indistintamente rivestire la tradizionale forma analogica oppure quella digitale, quando sono contenuti all’interno di un file.

Ciò che distingue un documento informatico da uno tradizionale, dunque, non è l’attitudine rappresentativa, ma la metodologia di incorporamento: all’interno dei file (la base materiale) vi è una serie ulteriore di dati che, pur non attenendo alla rappresentazione del fatto, sono rilevanti nel momento in cui la prova deve essere acquisita, ammessa e valutata. Si pensi alla dimensione del file, alla data di ultima modifica, all’autore del documento, alla data di ultimo accesso: sono tutte informazioni che, se alterate, potrebbero incidere irrimediabilmente sulla genuinità della rappresentazione.

Proprio in ragione della rilevanza di tali dati, la l. 48/2008, modificando alcune norme del codice procedura penale, ha imposto, in caso di accertamenti su materiale informatico, di adottare misure tecniche idonee ad assicurarne la conservazione e a impedirne l’alterazione, nonché di procedere, se possibile, alla immediata duplicazione dei dati mediante procedura che garantisca la conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità.

Va rilevato, peraltro, come a differenza di quanto affermato nella sentenza in esame, in dottrina si è sostenuto che l’adozione di procedure scorrette, a tal punto da far sorgere dubbi in ordine alla conformità della copia all’originale, comporterebbe l’inutilizzabilità del dato digitale in quanto acquisito in violazione dell’art. 191 c.p.p[5].

Parimenti in dottrina non si condivide l’opinione secondo cui l’acquisizione di dati da un hard disk sia da considerare sempre alla stregua di un accertamento tecnico ripetibile, ai sensi dell’art. 354 c.p.p., dal momento che la semplice accensione del computer potrebbe portare alla modica di alcuni dati conservati nella memoria[6].

 

  1. Conclusioni.

Il principio di diritto affermato nella sentenza in commento è chiaro: la copia cartacea di una schermata telematica è prova documentale anche se priva di attestazione ufficiale che ne confermi l’autenticità.

Stando alla prima parte delle motivazioni sembrerebbe che la Corte di Cassazione sia giunta a tale conclusione dopo aver qualificato la prova documentale acquisita nel caso concreto come un documento informatico riconducibile alla categoria dell’art. 234 co. 1 c.p.p. ed escluso la necessità di acquisire i dati tramite la procedura dell’accertamento tecnico irripetibile, essendo sufficiente un’operazione meccanica, inidonea a modificare il contenuto dei dati stessi. Parimenti irrilevante è stata ritenuta la mancata applicazione dei protocolli di comportamento di cui alla l. 48/2008.

Se la ripetibilità dell’operazione con cui è stata acquisita la copia delle schermate telematiche appare indiscutibile, invece, i brevi approfondimenti sulla nozione di documento informatico e sulla acquisizione di dati da un supporto informatico fanno sorgere dei dubbi in merito agli altri passaggi della motivazione.

In particolare, si può davvero ritenere che nel caso concreto la Corte abbia valutato un documento informatico e che vi sia stata l’acquisizione di dati conservati su un sistema informatico nel senso di cui alla l. 48/2008?

Dal tenore letterale delle motivazioni emerge, infatti, che la valutazione ha riguardato la copia cartacea delle schermate telematiche del sito internet ove erano stati pubblicati gli articoli dal contenuto diffamatorio. La prova, dunque, sembrerebbe essere costituita da un documento analogico, simile a una fotografia, che riproduce ciò che era visualizzato sullo schermo del computer. Si tratterrebbe, in altri termini, di una stampa dello screenshot.

L’estrapolazione dei dati sottoposti alla valutazione del giudice, inoltre, sembra essere avvenuta solo “dall’esterno”, ossia senza entrare nel sistema e senza acquisire il “vero” documento informatico.

Mancherebbe, quindi, la copia informatica, in senso stretto, dei dati conservati sul sito internet, che avrebbe consentito al giudice di valutare elementi ulteriori, quali, per esempio, l’autore dei file di testo contenenti le espressioni diffamatorie, l’autore delle eventuali modifiche e il responsabile della pubblicazione dei file sulla pagina web.

Il giudice, diversamente, pare che abbia valutato una prova “tradizionale”, costituita solo da ciò che era rappresentato all’interno del documento cartaceo.

I passaggi conclusivi della motivazione non chiariscono tali dubbi.

Nel precedente relativo ai fotogrammi scaricati dal sito Google Earth, infatti, non si fa mai riferimento alla nozione di “documento informatico”, riconducendo, piuttosto, tali immagini alla categoria delle prove atipiche di cui all’art. 189 c.p.p.

Infine, nella fase conclusiva del ragionamento è richiamata una pronuncia in cui si afferma che le copie fotostatiche hanno efficacia probatoria anche in assenza di una certificazione ufficiale di conformità, in forza del principio della libertà della prova[7].

Qui il tema è radicalmente diverso: non si tratta più di capire quali garanzie devono essere rispettate per acquisire i dati informatici, ma si ragiona sulla possibilità di utilizzare una copia di un documento in luogo dell’originale, e sulla valenza probatoria che deve essere riconosciuta alla copia medesima.

In definitiva, nonostante le premesse, rimane il dubbio che la Corte di Cassazione abbia propeso per l’utilizzabilità del documento ritenendolo equivalente a una copia fotostatica dello schermo del computer, di cui si è ritenuta l’attendibilità in assenza di elementi dimostrativi di una qualche alterazione.

Va rilevato, infine, come la decisione assunta nel caso in esame si allinei con quanto affermato in altra pronuncia di legittimità, pressoché coeva, in cui è stata ritenuta utilizzabile la stampa di una pagina Facebook sebbene non fossero state rispettate le procedure di cui alla l. 48/2008. Anche in tale caso la Corte ha rilevato che tale disciplina non avesse «introdotto alcuna inutilizzabilità probatoria del dato acquisito (costituito, peraltro, da una mera stampa di una videata frutto di un’operazione informaticamente elementare) senza il rispetto delle suddette procedure, che il giudice potrà valutare secondo il principio del libero convincimento, al pari di qualsiasi altro documento»[8].

 

[1] Cass. pen., sez. III, 15 settembre 2017, n. 48178, CED 271313

[2] L. Kalb, Il documento nel sistema probatorio, Torino, 2000, 57.

[3] P. Tonini – C. Conti, Le prove penali, Milano, 2012, 383.

[4] Cass. pen., sez. III, 12 luglio 2012, n. 37419, CED 253573.

[5] L. Luparia, La ratifica della Convenzione Cyber Crime del Consiglio d’Europa. I profili processuali, in Diritto penale e processo, 2008, 696.

[6] P. Tonini, Documenti informatici e giusto processo, in Diritto penale e processo, 2011, 406.

[7] Cass. pen., sez. II, 21 novembre 2014, n. 52017, CED 261627.

[8] Cass. pen., sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5175.

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