Immagini di persone arrestate: illecita la diffusione da parte del giornalista se raccolte all’interno dell’abitazione privata

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Le norme in materia di trattamento dei dati personali a fini giornalistici individuano alcuni parametri entro cui assicurare la tutela dei diritti fondamentali protetti dalla Costituzione.
Si tratta di semplici presupposti, e non di minuziose norme di dettaglio, in quanto l’attività giornalistica  è caratterizzata da una molteplicità e varietà di vicende di cronaca e soggetti che imbrigliarli entro stretti confini risulterebbe anzitutto difficoltoso ed inopportuno.
Il necessario bilanciamento tra i diritti e le libertà dovrà quindi avvenire, in sostanza ed in prima battuta, ad opera del giornalista il quale, in base a una propria valutazione – ovviamente sindacabile – acquisisce, seleziona e pubblica i dati che ritiene utili ad informare la collettività su fatti di rilevanza generale, restando comunque all’interno del quadro normativo vigente.
A tal riguardo, con segnalazione del 31 gennaio 2012, viene sottoposta al Garante per la protezione dei dati personali la diffusione, nel corso di una puntata della trasmissione “Presa Diretta” andata in onda su RAI 3, di immagini relative all’arresto dei segnalanti effettuato dai Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale (R.O.S.) nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Genova.
Durante tale puntata veniva trasmesso un servizio (ora non più reperibile sul sito internet della trasmissione) che mostrava nei minimi dettagli l’arrivo degli agenti davanti alle abitazioni degli indagati, l’irruzione all’interno di dette abitazioni in orario notturno e le immagini degli indagati stessi (uno dei quali in abiti succinti) mentre assistevano alla perquisizione ed al sequestro di alcuni valori e documenti e rispondevano alle domande degli agenti.
Così come dichiarato dall’avvocato dei segnalanti le immagini raccolte dai R.O.S erano state messe a disposizione “per finalità di indagine e per garantire, attraverso il controllo video, il corretto svolgersi della perquisizione”.
La RAI (Radiotelevisione Italiana S.p.a.) nel rispondere alla richiesta di informazioni allegava la dichiarazione di un giornalista il quale ribadiva che le riprese all’interno delle abitazioni fossero state consegnate loro dai R.O.S di Genova con l’autorizzazione a metterle in onda.
Il Garante, analizzando la questione, osserva come la diffusione di dati personali relativi a persone identificate o identificabili nel corso di una trasmissione televisiva, raccolti durante le operazioni di arresto effettuate dalla polizia giudiziaria all’interno o all’esterno di abitazioni private, configura un trattamento di dati personali per finalità giornalistiche, sottoposto alla disciplina degli artt. 136-139 del Codice per la protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196 – d’ora in avanti: Codice).
Tale disciplina è finalizzata al bilanciamento tra il diritto all’informazione e alla libertà di stampa ed i diritti dell’individuo, in particolare il diritto alla riservatezza.
In base a tale disciplina il giornalista può divulgare informazioni, anche sensibili e senza il consenso dell’interessato, purché “nei limiti del diritto di cronaca […] e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico” (art. 137 c. 3 Codice).
A ciò si aggiunga che, in tali casi, si applicano pure le norme deontologiche dell’attività giornalistica, il cui codice precisa infatti che “Salva l’essenzialità dell’informazione” il giornalista “non […] pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona” (art. 8).
Come già affermato nella premessa dello scritto, il giornalista, nel diffondere immagini che documentano operazioni di arresto, dovrà conformarsi non solo ai parametri generali di liceità e correttezza, ma dovrà pure valutare la loro essenzialità rispetto alla notizia riferita, in relazione alla necessaria e fondamentale tutela della dignità degli indagati.
Nel caso di specie, il Garante ritiene che la trasmissione “Presa diretta” ha riferito una vicenda di interesse pubblico, relativa ad alcune indagini dell’autorità giudiziaria dalle quali emerge l’infiltrazione di organizzazioni di stampo mafioso nel tessuto economico e nel governo locale di alcune regioni del Nord Italia, riportata con gli strumenti del c.d. giornalismo di inchiesta, ossia una particolare modalità del diritto di cronaca tutelata pure dal rispettivo codice deontologico.
Nonostante ciò, però, le riprese “in primo piano” dell’arresto degli indagati non risultano conformi al quadro normativo anzidetto.
Non è infatti rispettoso della dignità umana diffondere immagini della persona, tra l’altro semi-svestita, all’interno della propria abitazione, nel momento delicatissimo della presa in custodia da parte delle forze dell’ordine.
Ma v’è di più.
Tali immagini, diversamente da quanto affermato dalla RAI, non risultano essere essenziali quanto all’interesse del pubblico per la vicenda de quo, in quanto, come ben descritto nel codice deontologico “non indispensabil[i]in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti” (art. 6 c. 1).
Ciò premesso, il Garante, ex artt. 139 c.5, 143 c. 1 lett. c) e 154 c. 1 lett. d) del Codice in materia di protezione dei dati personali, ha vietato alla RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.a. l’ulteriore diffusione dei dati personali consistenti nelle immagini in chiaro dei segnalanti ritratti nel momento in cui vengono arrestati.
Il giornalista, infatti, dovrà sempre operare valutazioni accurate sull’utilizzazione e la diffusione dei materiali di cui viene in possesso, non solo secondo i citati parametri dell’essenzialità rispetto all’interesse della collettività per il fatto narrato, ma pure secondo correttezza, pertinenza e non eccedenza, riguardo altresì alla natura del dato medesimo, per non incorrere in sanzioni che ben possono essere pure di natura penale.

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