Il sito blog come associazione a delinquere

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1, La sentenza della Corte di Cassazione del 31 luglio 2013[1] affronta due temi di notevole interesse: se possa configurarsi il reato di associazione a delinquere per un sito blog che divulghi incitato alla violenza per discriminazione razziale e religiosa ed a quali condizioni sia ravvisabile la giurisdizione italiana se il sito abbia sede all’estero.

Entrambe le questioni  trattate risultano di immediata e vasta rilevanza, con l’unica specificazione che si tratta di una sentenza relativa a duna procedura cautelare e, dunque, necessariamente caratterizzata dalla sinteticità e fluidità.

2. Quanto al primo aspetto, la sentenza richiama un precedente in materia di associazione a delinquere[2] che risolveva le questioni attinenti la sussistenza in un sito blog dei requisiti costitutivi del reato associativo. Riconosceva, in particolare, che la stabile organizzazione potesse identificarsi con la regolamentazione delle comunicazioni in Internet, decisi dal responsabile e nella condivisione delle illecite finalità propria degli aderenti al gruppo di discussione.

La Cassazione statuisce, dunque, il principio secondo il quale “costituisce un’associazione a delinquere finalizzata all’incitamento ed alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi anche una struttura quale quella evidenziata agli atti, la quale utilizzava la gestione del blog per tenere i contatti fra gli aderenti, fare proselitismo, anche mediante diffusione di documenti e testi inneggianti al razzismo, programmare azioni dimostrative e violente, raccogliere elargizioni economiche a favore del forum, censire episodi o persone (“traditori” e “delinquenti italiani”, perché avevano operato a favore dell’uguaglianza e dell’integrazione degli immigrati).

L’orientamento seguito dalla Suprema Corte appare condivisibile, nel senso che un’organizzazione stabile dedita al crimine può coincidere, quando si presentino le condizioni dettagliatamente indicate, con l’associazione a delinquere, sia comune che speciale (come nel caso concreto).

3. Altro problema risolto dalla Cassazione riguarda la giurisdizione. V immediatamente premesso che non essendo stato proposto nei motivi a corredo del riesame, la Corte aveva ritenuto che non fosse possibile devolverlo con il ricorso; ciononostante dedica attenzione anche al tema.

Riconsoce la giurisdizione italiana, pur essendo il sito costituito all’estero e là, dunque, operando la struttura organizzativa, tuttavia la maggior parte dei singoli delitti commessi si era realizzata nel nostro Stato e, dunque, secondo la giurisprudenza in materia di associazione a delinquere, ivi deve incardinarsi la competenza o, come nel caso, la giurisdizione. Tale principio è desunto dall’art. 6 del codice penale interpretato nel senso che attribuisce valenza espansiva ad una frazione di attività commessa in Italia anche da taluno dei partecipi al sodalizio, in modo che l’applicazione della norma penale si estenda a tutti i compartecipi ed a tutta l’attività criminosa ovunque realizzata.

Per sostenere l’assunto, la S. C. richiama un precedente in materia di diffamazione[3], per il quale era stata riconosciuta la giurisdizione italiana anche per un sito registrato all’estero in quanto l’offesa era stata percepita da fruitori stabiliti in Italia.

Ritengo che tale questione meriti maggiore approfondimento. E’ infatti connaturata al web l’ubiquità  e la possibilità che l’azione criminosa, pur partendo dal luogo dove questo è stabilito, si dirami globalmente. A riconoscere valido il principio esaminato, si dovrebbe, dunque, riconoscere la giurisdizione di qualsiasi Stato ove sia leggibile il messaggio illecito, con accentuato rischio di sovrapposizione e moltiplicazione di processi. Poiché le regole sulla competenza e giurisdizione sembrano inadatte e superate a regolar e il fenomeno senza produrre la proliferazione di miriadi di processi, mi pare necessario fissare principi specifici per i reati commessi con il mezzo di Internet. Ovviamente tali regole dovrebbero essere condivise dalla comunità internazionale. Uno dei presupposti della giurisdizione potrebbe, ad esempio, essere individuato nel luogo di residenza dell’offeso che abbia percepito l’illecito. Posso immaginare che si tratti di una strada lunga da percorrere prima di giungere ad un diritto comune, tuttavia, mi pare necessario tentare di agglomerare consenso intorno al tema della regolamentazione della giurisdizione nel web.



[1] Cass. Sez. III, 24 aprile 2013, c.c., n. 33179.

[2] Si tratta della sentenza Cass., Sez. III, 3 marzo 2005, Ongari, Rv 231243.

[3] Cass., Sez, V, 17 novembre 2000, n. 4741.

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