Hate speech e misure nazionali di sospensione delle trasmissioni televisive: il caso RTR Planeta

Sommario: 1. Introduzione – 2. La procedura di cui all’art. 3 Direttiva SMAV – 3. Il caso RTR Planeta – 4. Conclusioni

  1. Introduzione

La Commissione europea con decisione del 4 maggio 2018[1] si è espressa a favore della compatibilità con il diritto dell’Unione europea della misura adottata dall’Authority lituana sui servizi radiotelevisivi (LRTK) di sospensione temporanea delle trasmissioni della rete russa RTR Planeta, sulla base delle previsioni eccezionali contenute nell’art. 3 della direttiva 2010/13/UE (Direttiva sui servizi di media audiovisivi, c.d. “Direttiva SMAV”).

L’analisi della decisione della Commissione, che tra l’altro non è la prima che ha interessato RTR[2], emittente russa che ritrasmette dalla Svezia, costituisce lo spunto per svolgere alcune riflessione sulla procedura di cui all’art. 3 della Direttiva SMAV, che, in deroga al principio dell’home country control[3], concede agli Stati la possibilità di interventi restrittivi nei confronti delle libertà informative.

L’applicazione di tale articolo appare tuttavia contornato da limiti stringenti, sia con riferimento alle tipologie di condotte, che con riferimento alla procedura e su questo ci concentreremo in questo breve commento.

Non sfugge però che l’intera vicenda possa essere letta in un’ottica diversa, a carattere geopolitico, nell’ambito della quale si misurano i complessi e non facili rapporti tra Russia e Lituania con particolare riguardo ad un possibile utilizzo da parte russa di media “stabiliti” in paesi europei (quali quelli del nord Europa) in cui le libertà informative risultano particolarmente garantite per diffondere contenuti di propaganda politica a carattere problematico, anche considerando la forte presenza di minoranze russofone in tutti i paesi dell’ex URSS e specialmente nei paesi baltici.

 

  1. La procedura di cui all’art. 3 della Direttiva SMAV

Come noto, l’impianto originario della direttiva televisione senza frontiere (direttiva 89/552/CEE) di cui la Direttiva SMAV costituisce l’ultimo sviluppo, ai fini di facilitare lo svolgimento di attività economiche in regime di prestazione dei servizi, si fonda, fin dall’inizio, sul principio del mutuo riconoscimento che, basandosi su un sistema di reciproca fiducia tra gli Stati, ed attribuendo allo Stato di trasmissione l’obbligo di vigilare che i servizi trasmessi rispettino il diritto nazionale e quello europeo, impedisce un doppio controllo sui contenuti da parte del paese ricevente[4]. La tecnica legislativa adottata a livello europeo, anche in ragione dei limiti competenziali, è stata quella di un’armonizzazione parziale del settore dei servizi di media audiovisivi[5] ; in tal senso si è provveduto a disciplinare direttamente solo alcuni alcuni ambiti (libera circolazione dei servizi, quote di programmazione per opere europee, tutela dei minori, diritto di rettifica, pubblicità ecc.), mentre viene rimessa alla normativa nazionale una parte sostanziale della regolamentazione relativa, ad esempio, all’organizzazione, al finanziamento delle emittenti televisive e al contenuto dei programmi[6].

Tale impianto non fondato su un’armonizzazione totale, che non sarebbe apparsa neppure tecnicamente possibile[7], bensì su un’armonizzazione minima, che consente peraltro agli Stati membri talora l’adozione di norme più severe a seconda delle diverse sensibilità nazionali[8], ha dato buona prova di sé nel corso del tempo. Particolarmente felice è risultata la scelta del principio di mutuo riconoscimento che costituisce un «criterio di condotta capace di imporsi in virtù del fatto puro e semplice che i costi della sua mancata applicazione ricadono direttamente su coloro i quali (Stati, industrie, agenzie) evitano di adeguarvisi»[9].  Il recepimento delle direttive europee in materia di servizi televisivi ha portato tra l’altro ad un progressivo affinamento della tutela dei diritti delle persone, con particolare riguardo alla categoria dei minori, nonostante oggi si renda necessario un aggiornamento della normativa alla luce delle evoluzioni tecnologiche e del mutamento delle pratiche sociali che hanno comportato un utilizzo sempre maggiore dei servizi a richiesta e delle piattaforme per la condivisione di video[10].

L’art. 3 della Direttiva SMAV, dopo aver affermato il dovere degli Stati membri di assicurare la libertà di ricezione dei servizi di media audiovisivi e ponendo il divieto di ostacolare la ritrasmissione di quelli provenienti da altri paesi membri «per ragioni attinenti ai settori coordinati dalla presente direttiva» prevede, al c. 2, alcune deroghe a tale principio al ricorrere di precise condizioni, relative sia alle tipologie di condotte che a previsioni di tipo procedurale.

Per consentire la deroga del principio dell’home country control vi deve essere una violazione «in maniera evidente, grave e seria» di alcuni obblighi previsti in funziona di tutela dei diritti delle persone dall’art. 27, par. 1 o 2, e/o dall’art. 6 (lett. a). In particolare, l’art. 27 prevede, al c. 1. un divieto assoluto di programmi che possano «nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori, in particolare programmi che contengono scene pornografiche o di violenza gratuita» e, al c. 2, un divieto relativo di altri programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori  «a meno che la scelta dell’ora di trasmissione tecnico o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minori che si trovano nell’area di diffusione vedano o ascoltino normalmente tali programmi».

L’art. 6 invece, che sarà quello invocato nel caso che qui si esamina, afferma, in termini più generali, che gli Stati membri debbano assicurare «con misure adeguate» che i servizi di media audiovisivi soggetti alla loro giurisdizione «non contengano alcun incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità».

Inoltre tali violazioni devono essere reiterate nel tempo, almeno due volte nel corso dei dodici mesi precedenti (lett. b).

Sotto un profilo procedurale lo Stato membro interessato, nel caso del verificarsi di trasmissione lesive dei sopra visti interessi, deve notificare per iscritto all’emittente televisiva e alla Commissione le pretese violazioni e i provvedimenti che intende adottare in caso di nuove violazioni (lett. c).

Inoltre occorre consultare lo Stato che effettua la trasmissione e la Commissione al fine di tentare una soluzione amichevole della controversia entro un termine di quindici giorni dalla notifica della lettera e per procedere alla sanzione occorre la persistenza della violazione[11].

Il ruolo della Commissione si colloca in un momento successivo in quanto, entro due mesi dalla notifica del provvedimento adottato dallo Stato membro, essa deve adottare una deci­sione sulla compatibilità di tale atto col diritto dell’Unione e, in caso di decisione negativa, chiedere allo Stato membro di revocare senza indugio il provvedimento adottato.

 

  1. Il caso RTR Planeta

Il 14 febbraio 2018 la LRTK adotta una decisione di sospensione sul territorio lituano delle trasmissioni dell’emittente RTR Planeta per un periodo di 12 mesi, sulla base delle previsioni contenute nella normativa interna in materia, la Law on Provision of  Information to the Public. Al centro delle contestazioni della LRTK vi erano alcuni programmi (“Duel. Vladimir Solovyov Programme”, “Evening with Vladimir Solovyov”) i cui contenuti avrebbero incitato all’odio e alla violenza sulla base della nazionalità e avrebbero istigato alla guerra e al terrorismo violando l’art. 6 della Direttiva SMAV. In particolare, nel corso di tali trasmissioni sarebbero state auspicate forme di violenza fisica contro il popolo americano e inglese, si sarebbe paventata un’invasione dell’Ucraina e della Francia, minacciandosi un ritorno all’Unione sovietica.

Le Autorità lituane aprono un procedimento nei confronti di tali trasmissioni che si conclude, a seguito dei vari step procedimentali previsti dall’art. 3 della Direttiva SMAV, e dopo il fallimento del tentativo amichevole di risoluzione della controversia, con la decisione di sospensione delle trasmissioni di RTR Planeta per un periodo di dodici mesi.

La Commissione è quindi chiamata a valutare la compatibilità di una misura nazionale incidente sulla libertà d’informazione con il diritto europeo, e in particolare con l’art. 3 della Direttiva SMAV, avendo la facoltà, in caso che non la ritenga conforme, di disporne la revoca[12].

Risulta evidente come, in questo caso, l’attività interpretativa della Commissione operi in un ambito estremamente delicato segnato, da un lato, dalla tutela di un diritto fondamentale, riconosciuto anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 11), la libertà di espressione e dall’altro dalla necessità di tutelare altri valori, collegati alla tutela di interessi privati e pubblici, quali il benessere psico-fisico dei minori, il divieto di “incitamento all’odio”, di veicolare idee discriminatorie o aventi contenuto “terroristico”.

Tale operazione diventa oltremodo complessa con riferimento ai programmi di informazione politica, come quelli in oggetto, ove risulta assai difficile identificare quella sottile linea di confine che distingue l’esplicazione di manifestazione del pensiero, per quanto radicale ed estremistica, dall’hate speech o addirittura dalla propaganda di terrorismo[13].

Con particolare riferimento alla vicenda RTR possiamo registrare come gli orientamenti maggiormente favorevoli a un’interpretazione assai ampia delle libertà informative mal sopportino l’imposizione di limiti all’informazione e questo pare l’atteggiamento della Svezia,  affiancata dalla Russia, laddove essa nella sua “linea difensiva” sostiene che nel corso di programmi di informazione politica in diretta debba essere consentito ai partecipanti di esprimere la propria opinione senza alcuna limitazione. Tale assunto viene invece respinto dalla Commissione che, sulla scia della giurisprudenza europea sul punto (sentenza Mesopotamia Broadcast e Roy TV), ritiene che i programmi in questione costituiscano “incitamento all’odio” ai sensi dell’art. 3 della Direttiva SMAV.

Alla Commissione spetta tuttavia l’ultima parola circa la compatibilità delle misure nazionali con il diritto europeo[14].

Dato che, nel caso di specie, le condizioni procedurali erano state rispettate, così come non viene posta in discussione la questione relativa all’applicazione del diritto europeo ai contenuti trasmessi da Planeta RTR emittente russa, ma sottoposta, in virtù del principio di stabilimento, al diritto svedese[15], la questione centrale verte sulla riconducibilità dei contenuti televisivi trasmessi nell’ambito della nozione di «incitamento all’odio».

La Commissione, dopo aver ribadito la centralità della freedom of expression, «founding element of democratic states», precisa tuttavia come questa possa incontrare dei limiti collegati a interessi pubblici (la national security) e alla protezione della reputazione delle persone.  Sulla scorta della giurisprudenza europea viene precisato come il divieto di «incitamento all’odio», previsto nell’art. 6 della Direttiva, costituisce un motivo di divieto fondato sull’ordine pubblico diverso da quello relativo alla tutela dei minori[16] e come con la nozione di “odio” si intenda «un sentimento di animosità o di ripulsa contro un insieme di persone»[17].

Sulla base dunque di tali indicazioni, per la particolare natura dei contenuti trasmessi da RTR, che richiamano minacce di occupazione o distruzione di altri Stati compresi alcuni paesi baltici, a nulla rilevando che questi siano stati espressi in trasmissioni di informazione politica in diretta, la Commissione ritiene di ravvisare «manifestly, seriously and gravely» una violazione dell’art. 6 della Direttiva SMAV.

Anche la lunga durata della misura amministrativa di sospensione viene ad essere ritenuta dalla Commissione proporzionata alle condotte lesive[18], anche alla luce dei numerosi precedenti riferibili a trasmissioni dai contenuti pressoché identici.

 

  1. Conclusioni

La decisione della Commissione sul caso RTR Planeta ha suscitato una certa eco mediatica, sollevando anche alcune critiche sotto i profili delle libertà informative, anche in ragione della durata della misura sospensiva adottata. Al di là delle contrapposte posizioni ideologiche sul punto cerchiamo brevemente di capire se nel contesto della modifica della Direttiva SMAV[19], che dovrebbe essere approvata in tempi brevi, i principi e gli istituti che abbiamo richiamato possano essere ancora validi o se le modifiche introdotte siano suscettibili di incidere in termini modificativi rispetto al  quadro sopra illustrato.

La proposta di revisione conferma la tecnica legislativa dell’armonizzazione minima, così come viene mantenuto e rafforzato anche il principio del paese d’origine, semplificandosi per certi versi le norme che stabiliscono la competenza giurisdizionale.

Il nuovo art. 3 sulle trasmissioni transfrontaliere, che prevede il regime di eccezioni all’obbligo di ritrasmissione, viene riscritto unificandosi la disciplina, prima differenziata, tra servizi lineari e non lineari e modificandosi alcuni aspetti procedurali. Tra le condotte che possono giustificare divieti nazionali di ritrasmissioni, prima applicabili ai soli servizi di media audiovisivi a richiesta[20], ora si prevede anche «il rischio serio e grave di pregiudizio per la pubblica sicurezza, compresa la salvaguardia della sicurezza e della difesa nazionale» e il pregiudizio per la sanità pubblica[21]. Molto interessanti e innovative appaiono poi le previsioni relative all’hate speech. In via preliminare la nuova versione della direttiva prevede nel Considerando 8 che la definizione di «incitamento all’odio» dovrebbe essere allineata alla definizione contenuta nella decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio che la definisce come «istigazione pubblica alla violenza e all’odio» richiedendosi anche un’armonizzazione dei motivi su cui si basa l’istigazione alla violenza o all’odio. Inoltre nei Considerando 26 e 28 si sottolinea come particolare attenzione debba essere prestata ai contenuti nocivi e ai discorsi di incitamento all’odio trasmessi sulle piattaforme di condivisione, con particolare riguardo alla tutela dei minori, prevedendosi poi specifici divieti[22].

Nel nuovo art. 6 con riferimento ai servizi di media audiovisivi i contenuti dell’hate speech vengono identificati «nell’istigazione alla violenza e all’odio nei confronti di gruppi di persone o un membro di tale gruppo definito in riferimento al sesso, all’origine razziale o etnica, alla confessione alla disabilità, all’età o all’orientamento sessuale». Viene poi ribadito che, nell’adozione di misure adeguate per la tutela dei diritti delle persone occorre svolgere un delicato bilanciamento tra diritti fondamentali anche alla luce del principio di proporzionalità (Considerando 31).

Se quindi nella proposta di revisione della Direttiva SMAV la nozione di «odio» appare meglio circoscritta, risulta però evidente come la concreta valutazione dell’incidenza pregiudizievole di contenuti “problematici” rimanga in larga misura rimessa alle autorità amministrative dei paesi dell’Unione e come in taluni casi risulti fortemente influenzata delle vicende storiche e politiche nazionali. La sfida che si porrà nel futuro, sarà vedere, trattandosi di un bilanciamento particolarmente delicato tra diritti, sino a che punto sia possibile o desiderabile approdare a definizioni maggiormente armonizzate o mantenere invece un certo grado di flessibilità nel consentire differenziati apprezzamenti nazionali.

 

 

[1] Commission Decision on the compatibility of the measures adopted by Lithuania pursuant to Article 3 (2) of Directive 2010/13/EU of the European Parliament and of the Council of 10 March 2010 on the coordination of certain provision laid down by law, regulation or administrative action in Member States concerning the provision of audiovisual media services, C (2018) 2665 final.

[2] In senso quasi identico v. le decisioni della Commissione del 10 luglio 2015, C (2015) 4609 final e del 17 febbraio 2017 C (2017) 814 final. La Commissione ritenne compatibili con il diritto europeo le misure nazionali di sospensione temporanea delle trasmissioni di RTR per i contenuti violenti e che comportavano istigazione all’odio.

[3] Tale principio, sviluppatosi nel settore dei servizi finanziari nell’ambito dell’attuazione dell’Internal Market Programme, concede al paese d’origine il ruolo primario nell’autorizzare e supervisionare l’attività d’impresa riservando al paese destinatario un ruolo meramente complementare. Per una ricostruzione dell’evoluzione del principio, cfr. E. Lomnicka, The home Country Control Principle in the Financial Services Directive and the Case Law, in European Business Review, 2000, 324 ss. Con riferimento all’ambito televisivo questo comporta che «il rispetto delle norme armonizzate viene garantito dallo Stato alla cui giurisdizione viene sottoposto il fornitore di servizi audiovisivi, id est lo Stato di trasmissione» (R. Mastroianni, La direttiva sui servizi di media audiovisivi, Torino, 2009, 76).

[4]  Per un’ampia ricostruzione della portata del principio in ambito televisivo, cfr. R. Mastroianni, op cit. 19.

[5]Sul punto v. CGUE, cause riunite C-34/95, C-35/95 e C-36/95, Konsumentombudsmannen c. De Agostini e altri (1997), § 28.

[6] Su questo punto cfr. R. Mastroianni, op. cit., 27, ove bene viene precisato l’aspetto della competenza limitata a livello europeo in materia di audiovisivo ritenendosi che «in linea di principio, l’intervento di armonizzazione delle legislazioni nazionali e quindi la sostituzione delle regole interne con quelle di origine comunitaria, può realizzarsi solo nei settori in cui la consistenza di diverse regole nazionali è tale da incidere negativamente sulla libertà di circolazione dei servizi televisivi». Tuttavia l’autore notava, osservando l’ampia categoria di interessi (tutela dei minori, della dignità umana, diritti delle persone con disabilità) contemplate nel considerando 67 della direttiva 2007/65, come, se questo fosse vero, in linea di principio le previsioni europee potrebbero dare luogo ad interventi «di fatto illimitati delle istituzioni comunitarie nella disciplina dei contenuti delle trasmissioni radiotelevisive» (§ 29).

[7] Mancando al riguardo la base giuridica che appare comunque necessariamente collegata alla libera prestazione dei servizi nel mercato interno (art. 53, § 1 del TFUE in combinato disposto con l’art. 62 del TFUE).

[8] Come si è verificato per la definizione di SMAV, in materia di promozione delle opere europee, tutela dei minori, comunicazioni commerciali.

[9] In tal senso v. S. Cotellessa, Mutuo riconoscimento e credibilità delle politiche: il ruolo della reputazione nell’impianto economico europeo, in V. E. Parsi, Cittadinanza e identità costituzionale europea, Bologna, 2001, 227 che tuttavia, come studioso di policy, riflette sulle potenzialità, ma anche sui limiti «di un processo di integrazione europea che trova il proprio punto saliente […] nella disponibilità degli attori pubblici e privati a riconoscersi in corsi d’azione reciprocamente vincolati» (230).

[10] Ciò ha fatto sì che nel quadro della strategia per il mercato unico digitale nel 2015 la Commissione presentasse un aggiornamento della Direttiva SMAV che prevedesse una disciplina anche per tali piattaforme come YouTube e Dailymotion, particolarmente utilizzate dai minori.  Sul punto, v. la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2010/13/UE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione della realtà del mercato approvata il 25 maggio 2016, COM (2016) 287 final.

[11] Tale termine appare eccessivamente breve e infatti nella proposta di revisione della Direttiva il termine per concludere il tentativo di soluzione amichevole viene aumentato a 30 giorni (v. nuovo art. 3, c. 2, lett. c).

[12] Tale attività costituisce un’esplicazione settoriale di quel potere generale di supervision riconosciutele come “guardiana dei Trattati” dalla normativa primaria; per tale funzione v. K. Lenaerts-P.V. Nuffel, Constitutional Law of the European Union, London, 2005, 427 ss.

[13] Tale aspetto, relativo alla definizione di un’attività come “terroristica” appare assai problematico.  Sul punto v. CGUE,  cause riunite C-244/10 e C-245/10, Mesopotamia Broadcast, Roj TV c. Bundesrepublik Deutschland (2011). In questo caso la decisione delle autorità tedesche di sospensione delle trasmissioni di Mesopotamia Broadcast e Roy TV risultano giustificate alla luce dei contenuti trasmessi che avrebbero assunto i caratteri di un’apologia della lotta armata condotta dal PKK (il partito dei lavoratori del Kurdistan), acuendo i contrasti tra curdi e turchi e violando il principio, contenuto nella Legge fondamentale tedesca, della «comprensione fra popoli».

[14] Nella proposta di revisione della Direttiva nella procedura viene coinvolto anche l’ERGA con funzione consultiva v. art. 3, c. 4.

[15] In verità RTR Planeta contesta la giurisdizione del diritto svedese, ma non fornendo adeguate prove l’eccezione viene respinta. Sul punto occorre ricordare come l’individuazione del paese che detiene la “giurisdizione” si fonda su un elemento assai problematico (cfr. R. Mastroianni, op. cit., 76-77): l’individuazione dello Stato membro di stabilimento del fornitore del servizio.

[16] In tal senso, v. sent. Mesopotamia Broadcast, cit., pt. 39.

[17] Ibid., pt. 41.

[18] Sul principio di proporzionalità come «canone di legittimazione della normazione e dell’amministrazione» che comporta l’obbligo nel perseguire l’interesse pubblico ritenuto prevalente di «contenere nella misura minima possibile l’incidenza negativa sulle libertà e sui diritti dei destinatari dell’azione»  v. G. della Cananea-C. Franchini, I principi dell’amministrazione europea, Torino, 2013, 107.

[19] Proposta di direttiva cit., 25 maggio 2016, COM (2016) 287 final. Nel momento in cui si scrive (luglio 2018) il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno confermato il preliminary political agreement raggiunto il 26 aprile 2018 sul testo di revisione della Direttiva.

[20] Su cui nel nostro commento non ci eravamo soffermati, riguardando il nostro caso servizi lineari.

[21] Art. 3, c. 2, lett. b) e c).

[22] Cfr. art. 28-bis, c. 1, lett. b) che prevede per i fornitori delle piattaforme di condivisione di video la «tutela di tutti i cittadini da contenuti che istighino alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone  o un membro di tale gruppo definito in riferimento al sesso, alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza, all’origine nazionale o etnica».

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