È legittima la lettura dei messaggi di testo da parte della polizia? [USA]

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When the precious rights of individuals to keep private the expression of their innermost thoughts collides with the desire of law enforcement to know all at all costs, this Court must take special care to ensure that what it says today is fair game for police conduct does not sacrifice on the altar of tomorrow the rights that we hold most dear under our state and federal constitutions”.

Questo l’esordio della recentissima sentenza pronunciata nello Stato del Rhode Island da parte del giudice J. Savage che si è fermamente schierato a favore della tutela della privacy.

La possibilità per le forze di polizia di appropriarsi e leggere i messaggi di testo (sms) di una persona è una questione da tempo dibattuta all’interno della giurisprudenza americana, tanto che nel 2010 la Corte Suprema ha addirittura rifiutato di decidere la questione stante il delicato bilanciamento di interessi che risulta esserci in gioco.

Senza la benchè minima direttiva a tal proposito da parte della Corte Suprema, i vari Stati si ritrovano maldestramente ad affrontare il tema ed a proporre le soluzioni che paiono loro più opportune.

Ci si trova quindi di fronte a Stati come la California, la Georgia e la Florida dove si ritiene che le forze di polizia siano autorizzate a sequestrare un telefono cellulare ed esaminarne il contenuto pur in assenza di un esplicito mandato in seguito all’arresto del proprietario del cellulare, e Stati come l’Ohio in cui tali pratiche non sono mai ammesse.

Lo Stato del Rhode Island ha però espressamente sancito la sua contrarietà alla lettura degli sms privati da parte delle forze di Polizia in assenza di apposito mandato, in quanto ciò contrasterebbe con quanto espressamente disposto nel Quarto Emendamento.

Il Quarto Emendamento prevede – giusto per fare chiarezza – che non ogni perquisizione, arresto o sequestro debba essere posto in essere in virtù di un mandato, purchè le circostanze di fatto dimostrino la “ragionevolezza” di tali atti.

In termini più precisi la Corte Suprema ha predisposto delle eccezioni alla necessità di mandato per tali operazioni per contemperare gli interessi e la privacy dei cittadini con le esigenze di giustizia proprie delle forze dell’ordine.

In casi, ad esempio, di urgenza il tempo che la polizia impiegherebbe ad inoltrare una richiesta di mandato ed ottenerla potrebbe comportare la compromissione di prove essenziali ai fini della causa.

Sono quindi state previste sette eccezioni alla “regola del mandato”.

Per quel che riguarda il caso di specie viene in rilievo l’eccezione che dispone la possibilità, in seguito ad un arresto regolare, di perquisire la persona del sospettato e tutti i beni che si trovino nelle immediate vicinanze del soggetto stesso pur in assenza di mandato.

Nel caso si specie però le cose si sono svolte in maniera differente, e la fattispecie concreta non presenta gli elementi richiesti dalla citata eccezione.

Procediamo con ordine.

Nel mese di ottobre del 2009 il piccolo M.N., di soli sei anni, venne portato d’urgenza all’ospedale di Hasbro in stato di arresto cardiaco dopo una disperata chiamata della madre T.O. al 911. Dopo 11 ore dal ricovero il bambino morì.

Nel frattempo un agente di polizia si recò nell’appartamento dove T.O. viveva assieme al figlio M.N., al compagno M.P. e alla loro figlia J.O.

L’agente si trovò di fronte ad una casa in completo disordine e notò un telefono cellulare sopra al bancone della cucina.

Decise allora di appropriarsi dello stesso e leggere il contenuto dei messaggi di testo per ottenere informazioni sul presunto padre del bambino.

Scoprì quindi degli sms in cui la compagna di M.P. lo accusava di avere colpito il piccolo M.N. troppo forte e di non aver chiamato prima i soccorsi accorgendosi delle difficoltà respiratorie del piccolo.

A fronte di questi elementi M.P. venne arrestato con l’accusa di omicidio, e gli agenti di polizia ottennero ulteriori mandati di perquisizione per la ricerca di prove.

Alla luce dei fatti il giudice Savage ha quindi deciso, con sentenza del 04 settembre 2012[1], di espungere dal processo tutte le prove raccolte dalla polizia dal momento dell’appropriazione illegittima del telefono cellulare, in quanto questo ha comportato, a suo parere, la contaminazione di ogni prova che è stata successivamente raccolta, compresa la confessione di M.P. per la morte del bambino.

La decisione si rivela particolarmente audace ed interessante soprattutto laddove sostiene che il contenuto del cellulare sia meritevole di tutela in forza del Quarto Emendamento in quanto le persone rivelano per il tramite dei messaggi di testo tutti i pensieri e le emozioni più intime e pare quindi ragionevole che il contenuto di tali messaggi elettronici resti privato, in particolare nei confronti delle forze dell’ordine.

In questi anni infatti, sottolinea il giudice, i telefoni cellulari hanno sostituito i telefoni, ed i messaggi di testo spesso sostituiscono addirittura le conversazioni faccia a faccia tra le persone, persone che ne inviano e ricevono milioni ogni giorno.

M.P., a parere del giudice Savage, aveva quindi diritto alla privacy per le sue conversazioni di testo e pure alla privacy nei confronti di un oggetto ritrovato all’interno del suo appartamento, soprattutto considerando che l’agente si era impossessato del cellulare e del relativo contenuto privo di mandato, o comunque superando i limiti del mandato ottenuto.

Conseguentemente ha quindi sancito l’inutilizzabilità di tutte le prove raccolte, compresi i messaggi di testo, i telefoni cellulari ed il loro contenuto, i tabulati telefonici e intere parti della videodichiarazione del convenuto M.P. e della sua dichiarazione scritta consegnata alla polizia.

Il giudice ha inoltre espressamente accusato molti degli agenti che hanno prodotto dichiarazioni giurate inerenti i fatti di causa che le stesse fossero false o comunque realizzate non conoscendo la verità ma basandosi unicamente sugli elementi raccolti illegalmente.

Stante l’instabilità della questione tra le Corti americane è facilmente intuibile prevedere che lo Stato del Rhode Island deciderà di ricorrere in appello avverso la sentenza Savage.

Ma, nel frattempo, tale decisione si pone ancora una volta a tutela del fondamentale diritto alla privacy di ogni cittadino a fronte di prevaricazioni irragionevoli.


[1] Decisione riportata per intero (190 pagine PDF) dal Providence Journal

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2 Comments

  1. raffaele zallone on

    molto interessante: sei al corrente di decisioni sulla stessa materia in Europa, se cioè qualcuno si sia espresso sulla riservatezza di twits, di sms o simili?

    • Laura Valentini on

      Non sono ancora a conoscenza di altre decisioni europee in materia.
      In ogni caso sto tenendo controllato – per quanto possibile – l’argomento ed eventualmente condividerò i risultati delle mie ricerche qui su medialaws.

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