Diritto di cronaca vs diritto all’oblio: quando i vuoti fanno le sentenze, le sentenze fanno il vuoto

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Devo fare una premessa: nei giorni scorsi ho cercato, senza tuttavia trovarlo, il testo della sentenza che mi accingo a criticare. Nondimeno, la vicenda mi pare sufficientemente chiara, al punto da non rendere una follia abbozzare un tentativo di commento, seppure “a caldo”.
Non si può parlare di un vero e proprio ritorno di attualità per il tema del diritto all’oblio, che già si trova al centro delle attenzioni di legislatori, operatori e autorità alla luce delle modifiche che, verosimilmente, incideranno a breve il framework dell’Unione europea in materia di dati personali. Ma di una pronuncia che restituisce luce alle criticità del rapporto tra diritto all’oblio e diritto di cronaca, quantomeno, è dato parlare.
La polemica, recentemente rinvigorita, trae origine da una sentenza emessa del Tribunale civile di Ortona –sezione distaccata di Chieti- che, facendo seguito a una propria decisione di due anni fa, e replicandone di fatto il contenuto, ha ordinato a un quotidiano online la cancellazione di un articolo riguardante un procedimento penale definito con un provvedimento di archiviazione.
Le persone sottoposte a indagini, nel settembre 2009, avevano promosso un’azione in sede civile affinché il giudice condannasse il direttore responsabile e l’editore pro tempore del giornale “PrimaDaNoi” alla cancellazione di un articolo, pubblicato anni prima, che riferiva dell’avvio del procedimento penale. Richieste che venivano accolte dal giudice, senza tuttavia che il quotidiano provvedesse in seguito a ottemperare al dispositivo.
In punto di fatto, il giornale aveva pubblicato, nel marzo del 2006, la notizia relativa all’applicazione della misura della custodia domiciliare nei confronti dei ricorrenti, riportando peraltro dettagli in ordine ai reati loro contestati nella vicenda.
All’esito del proscioglimento, nel gennaio 2008 il giornale apportava un aggiornamento alla pagina web contenente l’articolo, riportando la notizia dell’avvenuta archiviazione e della revoca dell’ordinanza applicativa della misura cautelare.
Ulteriore aggiornamento si registrava nel giugno 2008, quando il giornale dava atto della volontà dei ricorrenti di formulare una domanda volta a ottenere l’equa riparazione dell’illegittima detenzione subita.
A questo punto, iniziava una serie di richieste da parte degli interessati affinché il quotidiano provvedesse all’eliminazione dell’articolo contestato. Invano.
Ora, passiamo al diritto. Secondo il Codice della privacy, quello effettuato dal giornale è un trattamento di dati personali per finalità di cronaca giornalistica (art. 136), che in quanto tale prescinde dalla prestazione del consenso da parte dell’interessato. Il trattamento, in questi casi, è consentito fintantoché persista un interesse pubblico alla conoscenza della notizia.
Non è il caso di scomodare, è bene precisarlo, l’ulteriore finalità storicistica, che può giustificare la conservazione, da parte dei giornali, di notizie ormai prive di interesse pubblico precedentemente raccolte per finalità di cronaca giornalistica. Tema sul quale si registra una pronuncia di un anno fa della Cassazione in cui molti, nonostante le incerte affermazioni del Supremo Collegio, hanno intravisto una consacrazione del diritto all’oblio, forse ammaliati dalle sirene della proposta di Regolamento licenziata dalla Commissione, che in realtà in tema di oblio lascia ancora pressoché tutto nelle mani degli Stati membri.
Che si trattasse di trattamento lecito eseguito per finalità di cronaca giornalistica, del resto, era stato confermato perfino dall’Autorità garante per la protezione dei dati personali, interpellata dai ricorrenti nel 2009.
Ciò non era bastato, tuttavia, affinché il giudice rigettasse la pretesa avanzata dai ricorrenti alla cancellazione dell’articolo. Secondo il Tribunale di Ortona, infatti, le notizie pubblicate dal portale, collocandosi a distanza di alcuni anni dagli accadimenti, avevano cessato di rivestire carattere di interesse pubblico, così privando dei presupposti di legittimità il trattamento per finalità di cronaca giornalistica.
Ora, a mio avviso la decisione si fonda, almeno in parte, su un equivoco di fondo: la corte sembra aver trascurato, che anche la notizia della definizione del procedimento penale con un provvedimento di archiviazione, così come quella relativa agli strascichi generati dalla vicenda giudiziaria, costituiscono a loro volta notizie, che rivestono –al pari di quelle inerenti agli altri stadi della vicenda, come l’applicazione dell’ordinanza cautelare- carattere di interesse pubblico. Certo, l’avvenuto aggiornamento di un articolo non può rendere automaticamente lecito un trattamento effettuato per finalità di cronaca giornalistica, quando sia decorso un tempo ormai apprezzabile dalla pubblicazione della notizia, ma contribuisce a rafforzare l’idea che l’attività del giornale miri a fornire al pubblico un’informazione quanto più possibile precisa e aggiornata, sul presupposto che la notizia principale, cui gli aggiornamenti accedono, conservi carattere di interesse pubblico.
Ma anche per evitare la perpetuazione di una gogna mediatica e la circolazione di notizie imprecise o fuorvianti: la pubblicazione di aggiornamenti relativi agli sviluppi di una vicenda favorevoli all’interessato potrebbe, entro certe condizioni, rivelarsi essa stessa una forma di protezione del diritto all’oblio, del diritto cioè a non essere ricordati secondo una proiezione negativa, determinata da una circolazione soltanto parziale di dati, in forza del concreto rendere conto degli accadimenti nella loro pienezza e anche nella loro evoluzione favorevole agli interessati.
Certo, esiste una differenza tra il diritto all’oblio in sé e per sé, vale a dire il diritto di non essere ricordati, e il diritto a un’informazione aggiornata sulle vicende che riguardano l’interessato. Ma questo scarto deriva dall’assenza di un dato normativo che qualifichi quando una notizia cessi di rivestire carattere di interesse pubblico e meriti, per l’effetto, di essere metaforicamente cestinata.
E del resto valutare la persistenza dell’interesse pubblico è compito che appartiene alla discrezionalità interpretativa del giudice, laddove per giudice si dovrebbe più correttamente intendere il Garante della privacy, cui normalmente sono devolute le richieste di cancellazione dei dati personali da parte degli interessati.
Quantomeno nell’ambito della cronaca giudiziaria, un tentativo di fissare alcuni parametri temporali esauriti i quali si proponeva di inibire la diffusione di notizie relative a procedimenti penali è stato intrapreso, in Italia, dall’ormai naufragato progetto di legge Lussana. Un disegno che forse avrebbe introdotto variabili non del tutto condivisibili, ma che mostrava lo sforzo di realizzare, seppur infelice, una modulazione dell’interesse pubblico attraverso la definizione di diversi periodi di tempo, di durata variabile a seconda della gravità dei fatti, decorsi i quali si presumeva che tale interesse venisse meno.
Normalmente, peraltro, la valutazione circa la persistenza dell’interesse pubblico di una notizia è compiuta dal Garante, con un ruolo meno incisivo da parte delle corti. Rimane, in ogni caso, la difficoltà di un apprezzamento privo di criteri diversi da quelli sviluppati in via di fatto dalla giurisprudenza dell’Autorità e aggravato, ancor più a valle, dall’assenza di una disposizione che codifichi direttamente il diritto all’oblio nel nostro ordinamento.
Problemi, questi, che potrebbero in parte trovare rimedio nelle possibili innovazioni di fonte comunitaria, sul quale è comunque opportuno accompagnare ogni pronostico da grande cautela.
Atteso che, comunque, il miglior strumento di critica a una sentenza è dato dall’impugnazione. L’inottemperanza all’ordine contenuto in una sentenza di condanna, specialmente in casi come questi, a poco può servire se non ad aggravare le conseguenze della propria condotta, come si è puntualmente verificato nella fattispecie.

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About Author

Marco holds a PhD in Constitutional and European Law from the University of Verona (2016) and is a qualified lawyer in Milan (2013). He is an Emile Noël at the Jean Monnet Center for International and Regional Economic Law & Justice - New York University (School of Law). In 2010 he got his degree in Law (magna cum laude) from Bocconi University, Milan. He has been a visiting researcher at the Max Planck Institute for Comparative Public Law and International Law in Heidelberg (2012) and at the Max Planck Institute for Foreign and International Criminal Law in Freiburg im Breisgau (2012). His research interests include Constitutional Law, Information and Communication Law and EU Law.

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