Diritti TV del calcio: il Tar annulla le multe antitrust a Lega, Infront, Sky e Mediaset, ma l’AGCM ordina alla Lega di modificare le modalità d’asta

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Nella seconda metà dell’anno avrà luogo l’asta della Lega Calcio (o Lega), resa obbligatoria dalla “Legge Melandri” (D. lgs. 9/2008), per l’assegnazione dei diritti di trasmissione televisiva della Serie A per il triennio 2018-2021.

Rispetto al passato, la prossima tornata d’asta potrebbe dimostrarsi assai diversa sotto vari aspetti, dalla modalità di svolgimento alla varietà e qualità dei pacchetti di contenuti posti in vendita, che hanno poi un effetto diretto sul numero di partecipanti all’asta e sull’intensità della concorrenza tra di essi. Elementi questi da cui discende il tipo e la varietà di offerta televisiva del campionato di Serie A disponibile per gli italiani a partire dal prossimo anno, nonché l’ammontare e la ripartizione della più importante fonte di risorse finanziarie da cui attinge il sistema calcistico italiano, oltre che gli operatori della pay-TV che sui quei contenuti contano per conquistare una base minima di abbonati e importanti risorse pubblicitarie.

Non può stupire quindi che le novità riguardanti l’asta siano il frutto degli interventi condotti negli ultimi anni dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’“AGCM” o “Autorità”) sulle modalità di commercializzazione e assegnazione dei diritti televisivi calcistici. Interventi che hanno come obiettivo anche quello di aprire ad una maggiore concorrenza il mercato a valle dell’offerta pay-TV agli utenti.

Il mercato dei diritti audiovisivi sportivi cosiddetti “premium” non è tra l’altro nuovo all’attenzione delle autorità di concorrenza, posto che a partire dal 1993 ad oggi sono intervenuti almeno 5 importanti provvedimenti antitrust della Commissione europea in questo settore (v. qui), e altri delle autorità nazionali degli Stati membri dell’Unione europea.

La stessa Autorità ha già svolto indagini in passato sui diritti TV del calcio, ma in questi ultimi due/tre anni ha mostrato di voler agire con maggior decisione tanto che, per la prima volta dall’approvazione della Legge Melandri, ha deciso di bocciare le Linee Guida sullo svolgimento dell’asta che la Lega Calcio ha l’obbligo di sottoporre all’approvazione dell’Autorità ai sensi della stessa legga. Ma per comprendere appieno quest’ultimo intervento occorre ripercorre gli eventi e le vicende intercorsi a partire dall’asta per i diritti TV della Serie A dei campionati del triennio in corso, svoltasi nel 2014.

Si ricorderà che nel corso di quell’asta SKY aveva depositato le offerte più alte per i pacchetti di diritti più ricchi – A e B, che garantivano l’esclusiva sulle piattaforme satellitare (DTH), digitale terrestre (DTT), internet e rete mobile per il 65% delle partire di campionato, incluse le partite delle 8 squadre più seguite – ma ciononostante la Lega, anche a seguito delle lamentele di Mediaset sulla probabile incompatibilità del risultato con la no single buyer rule prevista nella legge Melandri, aveva deciso di assegnare a Sky il pacchetto A e a Mediaset i pacchetti B e D, salvo poi questa sub-licenziare il pacchetto D a Sky con l’autorizzazione dell’AGCM.

Nonostante l’autorizzazione alla sub-licenza del pacchetto D a Sky, l’AGCM aveva però, avviato un istruttoria ritenendo che le modalità complessive di assegnazione dei diritti fossero contrarie vuoi alle regole della Legge Melandri vuoi, in ogni caso, al divieto di intese anticoncorrenziali di cui agli artt. 101 TFUE e 2 della legge 287/90. Nella decisione del 19 aprile 2016, sostenne che il risultato naturale dell’asta – ritenuta dall’Autorità la modalità più pro-competitiva per questo mercato e comunque obbligatoria per legge – sarebbe stato sostituito da una ripartizione artificiosa dei pacchetti da parte della Lega a seguito un’intesa tra Lega, Sky e Mediaset, coadiuvata da Infront, tesa a definire un’assegnazione alternativa che non scontentasse nessuno e che, di fatto, favorisse gli operatori tradizionali a scapito di potenziali nuovi entranti.

In punto di diritto, secondo l’Autorità, una tale intesa spartitoria tra i partecipanti a un’asta configura un accordo anticoncorrenziale “per oggetto” (o hardcore), e come tale una violazione per sé del divieto di intese anticoncorrenziali. Per tale motivo, non ha ritenuto necessario dimostrare che, considerato il contesto del mercato, nel caso concreto l’intesa contestata produce effetti lesivi della concorrenza. Di conseguenza ha multato le predette imprese per circa 66 milioni di Euro complessivamente.

Tuttavia, il Tribunale Amministrativo Regionale (“TAR”) del Lazio, con sentenza del 23 dicembre 2016, ha annullato le multe statuendo che l’Autorità aveva errato nel definire l’intesa come restrittiva “per oggetto”, motivando che lo scopo e il risultato perseguito dalla concertazione avvenuta tra le parti era di rimuovere un esito dell’asta contrario alla Legge Melandri e che avrebbe prodotto una situazione di pressoché monopolio di Sky. In particolare, secondo il TAR l’Autorità, contrariamente a quanto da essa ritenuto, avrebbe dovuto fornire le prove degli effetti anticoncorrenziali dell’intesa dimostrando che nello scenario “controfattuale” (i.e. quello che si sarebbe prodotto in assenza dell’intesa) si sarebbe potuta svolgere una nuova asta che “plausibilmente” avrebbe potuto portare ad un risultato migliore per la concorrenza. L’Autorità ha impugnato la sentenza di fronte al Consiglio di Stato.

Nel frattempo, l’Autorità aveva ricevuto dalla Lega la bozza di Linee Guida sulle modalità di commercializzazione dei diritti TV e, a seguito della consultazione pubblica su di esse, il 25 gennaio 2017 ha deciso di rigettarle, ai sensi dell’art. 6 della Legge Melandri, con le seguenti motivazioni:

  • l’estrema genericità con cui le Linee Guida (non) definiscono i pacchetti di diritti che saranno messi all’asta non consente di verificare che i pacchetti siano equilibrati secondo quanto richiesto dal Decreto Melandri, né di verificare che l’effettiva predisposizione delle offerte possa favorire il confronto competitivo e l’ingresso di nuovi operatori, anche attraverso nuove piattaforme trasmissive;
  • l’eccessiva discrezionalità della Lega su come formulare gli inviti a offrire e i pacchetti di diritti demanda di fatto a quest’ultima valutazioni che attengono ad una fase di approvazione ex ante che spetta invece all’Autorità (secondo cui particolarmente critica è la previsione che permette alla Lega, successivamente alla gara, di poter destinare alla commercializzazione un numero diverso di dirette, modificando ingiustificatamente l’esito della gara);
  • non vi è un’indicazione di quali sono i pacchetti che rilevano ai fini della no-single-buyer-rule o che, se assegnati ad uno stesso soggetto, determinerebbero un’eccessiva sproporzione lesiva della concorrenza nei mercati a valle della pay-TV;
  • infine, l’Autorità rileva che le Linee Guida mostrano una certa preferenza per le piattaforme storiche nell’assegnazione dei pacchetti, nella misura in cui stabiliscono che la predisposizione di offerte mirate alla singola piattaforma non deve comunque escludere l’offerta per le piattaforme storiche e a maggiore diffusione.

Il giorno seguente, anche l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (l’AGCOM) ha richiesto alla Lega di modificare le Linee Guida per i propri profili di competenza (cfr. il comunicato stampa).

La Lega deve ora emanare nuove Linee Guida che tengano conto dei rilevi dell’AGCM. Non potrà quindi esimersi dal definire in anticipo i pacchetti, o almeno dare indicazioni più precise su come saranno composti, alla stregua di quanto avviene in campionati stranieri come quello tedesco o spagnolo, in modo tale che gli operatori interessati a penetrare il mercato siano resi edotti per tempo su tipo di investimenti e di strategie che possono adottare per accaparrarsi una base iniziale di utenti, utile ad accumulare le risorse necessarie per ambire eventualmente ad offerte più ampie e pregiate nelle tornate successive.

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