Alcuni trend in materia di responsabilità dell’Internet Service Provider

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In tempi recenti, le corti italiane hanno emesso alcune interessanti pronunce in materia di responsabilità dell’Internet Service Provider (ISP). Tali pronunce hanno evidenziato una distinzione, in realtà non presente in alcuna norma di legge ma fondata su una constatazione fattuale del ruolo svolto dall’ISP, tra:

(i)             “ISP attivo”, che svolge un ruolo attivo nella trasmissione, selezione, organizzazione di contenuti e la cui responsabilità rispetto a tali contenuti dovrà essere valutata secondo le ordinarie regole di responsabilità civile (articolo 2043 c.c.), e

(ii)            “ISP passivo”, che offre un servizio di memorizzazione di informazioni senza svolgere alcun ruolo nella trasmissione e selezione di contenuti. Tale soggetto può essere ritenuto responsabile allorché ricorrano le condizioni indicate dal Decreto E-commerce (D. Lgs. 70/2003), e, cioè, in caso di:

  • omessa informazione dell’autorità competente in caso di effettiva conoscenza dell’illiceità dei contenuti trasmessi, o
  • inottemperanza ad una richiesta di disabilitazione dell’accesso a tali contenuti proveniente dell’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza[i].

Tale distinzione è stata, ad esempio, evidenziata dal Tribunale di Milano, in relazione alla causa Reti Televisive Italiane S.p.A. (RTI) c. Italia On Line s.r.l. (IOL)[ii], che, nell’accogliere le richieste di RTI, ha qualificato IOL come “hosting provider attivo”, a metà strada tra “content provider” (che immette in rete contenuti propri o di terzi e, dunque, ne risponde secondo le regole comuni di responsabilità), e semplice “hosting” (passivo), che svolge un ruolo neutro rispetto alle informazioni memorizzate, soggetto all’applicazione del Decreto E-commerce e delle relative regole di responsabilità.

Il Tribunale di Milano è giunto a tale conclusione attraverso un’analisi del ruolo svolto in concreto da IOL nella organizzazione e strutturazione sia del servizio che dei contenuti in esso presenti. Su tali basi, il Tribunale di Milano ha ritenuto che la diffusione, da parte di IOL, di brani di filmati tratti da alcuni programmi televisivi di titolarità di RTI costituisse violazione dei diritti connessi di RTI sui medesimi, ai sensi della legge 633/1941 sul diritto d’autore.

Con motivazioni sostanzialmente analoghe, qualche tempo dopo il Tribunale di Milano ha accolto un altro ricorso presentato da RTI nei confronti di Yahoo! Italia S.r.l.[iii].

Inoltre, con un’altra sentenza resa qualche mese dopo, il Tribunale di Roma, IX Sezione, ha respinto l’istanza con la quale RTI chiedeva di ordinare all’hosting provider Choopa LLC “la immediata rimozione dai server e la conseguente immediata disabilitazione all’accesso di tutti i contenuti riproducenti – in tutto o in parte, direttamente o indirettamente e con qualsiasi modalità di trasmissione – sequenze di immagini fisse o in movimento relative ai programmi “Squadra Antimafia 3 Palermo Oggi” e “RIS Roma 2”” nonché di inibirle “il proseguimento della violazione di tutti i diritti esclusivi di proprietà industriale ed intellettuale di RTI” riferibili ai medesimi programmi.

Infatti, secondo il Tribunale di Roma, non era esigibile nei confronti di Choopa, mero fornitore di un servizio di hosting “passivo” del sito di video-sharing coinvolto, l’esercizio di un controllo preventivo in riferimento a tutti i contenuti che fossero ospitati sui propri server. Diversamente, il Tribunale di Roma ha accordato la tutela cautelare richiesta da RTI nei confronti di VBBCOM.LIMITED, che gestiva il sito di video-sharing, ritenendo quest’ultima responsabile della violazione dei diritti di proprietà intellettuale di RTI sulle trasmissioni sopra citate.

E’ interessante osservare che, secondo il Tribunale di Roma, l’obbligo di informazione delle autorità competenti di cui al Decreto E-commerce può sorgere solo allorché l’ISP riceva una diffida da parte del titolare dei diritti – RTI, nel caso di specie – che contenga “una dettagliata e specifica indicazione dei video da rimuovere e delle relative pagine web”: che sia, cioè, analitica, e comprensiva dell’URL dei file in questione.

Pertanto, stando alla sentenza del Tribunale di Roma ora citata, una diffida “generica”, che non indichi in maniera puntuale i contenuti da rimuovere, non sarebbe idonea a fondare un obbligo di attivazione in capo all’ISP in relazione ai contenuti trasmessi. Tale argomento, d’altra parte, è stato utilizzato anche dal Tribunale di Roma, IX Sezione, in sede di revoca dell’ordinanza cautelare pronunciata dal medesimo Tribunale in data 24 marzo 2011 nei confronti di Yahoo! Italia S.r.l. su ricorso di PFA films S.r.l.[iv].

In ambito europeo, in data 14 novembre 2011 il Tribunal de Grande Instance de Paris (TGI) ha condannato Google France e Google Ireland per aver consentito ad una società di utilizzare come parole chiave (key-words) nell’ambito del servizio di posizionamento a pagamento “AdWords” offerto da Google il nome dell’attore francese Olivier Martinez per far comparire sul motore di ricerca annunci (cd. “link sponsorizzati”) che rimandavano ad un articolo e fotografie lesive della riservatezza dell’attore.

Secondo il TGI, Google France e Google Ireland svolgono un ruolo attivo nell’ambito della prestazione del servizio “AdWords” e, pertanto, non possono godere del regime di esenzione da responsabilità previsto dalla legge francese di attuazione della Direttiva Ecommerce (2000/31/CE).

In particolare, il TGI ha dato rilievo al fatto che le Condizioni Generali del servizio “AdWords” consentono a Google, tra l’altro, di:

  • conoscere in anticipo il contenuto di un annuncio prima della sua pubblicazione;
  • stabilire il posizionamento degli annunci (l’ordine di visualizzazione è determinato dal prezzo massimo per click, da una valutazione circa la qualità dell’annuncio da parte di Google, ecc.);
  • bloccare in qualunque momento, per qualunque ragione, la pubblicazione di un annuncio.

Sulla base di tali elementi di fatto, il TGI ha ritenuto che Google eserciti un “controllo editoriale” in relazione al contenuto degli annunci visualizzati nell’ambito del servizio “AdWords”.

Il TGI ha fatto espresso richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia nel caso Google c. Louis Vuitton del 23 marzo 2010[v]. Tale sentenza ha interpretato l’articolo 14 della Direttiva Ecommerce (i.e. la norma che, al ricorrere di determinati requisiti, esclude la responsabilità dell’hosting provider per il servizio di memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio), nel senso che esso si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet “qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati”. Pertanto, secondo la Corte, se tale prestatore non ha svolto alcun ruolo attivo, esso “non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati (…) egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi”.

A tale riguardo, il TGI ha ricordato che la sentenza Google c. Louis Vuitton demanda al giudice nazionale il compito di verificare se il ruolo dell’ISP (nel caso di specie, Google) sia di natura meramente tecnica, automatica e passiva, tale, quindi, da poter beneficiare del regime di esenzione da responsabilità previsto dalla Direttiva Ecommerce. Nel caso oggetto del suo esame, il TGI ha ritenuto che l’attività di Google nell’ambito del servizio “AdWords” non presentasse tale natura, in ragione della conoscenza, da parte di Google, delle parole chiave e del contenuto degli annunci.

Su tali basi, il TGI ha ritenuto che l’uso del nome di un individuo come parola chiave per visualizzare annunci che rimandino ad un articolo e fotografie relative alla vita privata di tale individuo sia lesivo della sua riservatezza. Ad essere illecito, secondo il TGI, non è il mero uso del nome altrui come parola chiave, quanto la pertinenza del nome dell’individuo come parola chiave che rinvia ad un articolo lesivo di diritti di terzi (nel caso di specie, come chiarito, un articolo lesivo della riservatezza dell’attore).

Il TGI ha quindi condannato la società titolare del sito web su cui l’articolo era stato pubblicato e che aveva registrato il nome dell’attore come parola chiave nell’ambito del servizio “AdWords”, nonché Google Ireland e Google France, a risarcire l’attore per un ammontare pari ad Euro 1.500, più Euro 3.000 di spese.

Sempre in Francia, nell’ambito di una causa promossa da SAIF, società francese di gestione collettiva dei diritti d’autore sulle arti visive, contro Google France e Google Inc. per violazione del diritto d’autore sulle immagini visualizzate per mezzo del motore di ricerca Google Image in modalità ridotta (cd. snippets), la corte d’appello di Parigi ha ritenuto che Google potesse beneficiare dell’esenzione da responsabilità di cui alla normativa francese che recepisce la Direttiva Ecommerce[vi]. Il titolare dei diritti sulle immagini in questione non aveva, infatti, indicato a Google l’URL delle opere di cui si chiedeva la rimozione. Tra l’altro, osserva la corte, il servizio Google Image normalmente avverte gli utenti che le immagini visualizzate “potrebbero essere coperte dal diritto d’autore”.

Come si nota dalla rapidissima rassegna giurisprudenziale che precede, il giudizio sulla responsabilità dell’ISP rispetto alle informazioni o contenuti trasmessi si risolve in un esame concreto dell’attività svolta dall’ISP in relazione all’organizzazione e alla strutturazione del servizio offerto agli utenti. Giudizio che, talvolta, può risultare piuttosto difficile, non essendo semplice stabilire quando un ISP eserciti un ruolo “attivo” nell’attività di trasmissione e selezione dei contenuti e quando, invece, svolga un ruolo meramente tecnico e passivo.

In ogni caso, l’individuazione in capo agli ISP di una posizione generica di garanzia, con conseguente obbligo preventivo di sorveglianza sui contenuti che transitano sulla rete internet, non solo sarebbe inesigibile, ma contrasterebbe anche con la normativa comunitaria[vii](come recentemente ricordato dalla Corte di Giustizia in occasione delle cause promosse dalla società belga SABAM[viii]) e con la normativa nazionale[ix]in materia di responsabilità degli intermediari.


[i]Articolo 17, comma 3, del Decreto Ecommerce.

[ii]Sentenza 16 giugno 2011, n. 7680/2011.

[iii]Sentenza 15 settembre 2011, n. 10893/2011, Reti Televisive Italiane S.p.A. c. Yahoo! Italia S.r.l.

[iv]Ordinanza 16 giugno 2011, Yahoo! Italia S.r.l. c. PFA films S.r.l.

[v]Cause riunite C-236/08-238/08.

[vi]Cour d’Appel de Paris, 26 gennaio 2011, La Société des Auteurs des arts visuels et de l’Image Fixe (SAIF) c. SARL Google France/Google Inc.

[vii]Articolo 15 della Direttiva Ecommerce.

[viii]Causa C-70/10, 24 novembre 2011, Scarlet Extended SA c. Société belge des auteurs compositeurs et éditeurs (Sabam)); causa 360/10, 16 febbraio 2012, Belgische Vereniging van Auteurs, Componisten en Uitgevers CVBA (SABAM) c. Netlog NV.

[ix]Articolo 17 del Decreto Ecommerce.

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